CAPITOLO 21 - DOVE SORGE IL SOLE
Mi avvolsi nella coperta e ispirai a pieni polmoni l'aria salmastra del mare. Parti, aveva detto il nonno, Molti giovani studiano in Grecia. Provvederò io alle spese del viaggio. Significava fuggire, ma sapevamo entrambi che non c'era alternativa: restare a Roma era troppo umiliante e tornare ad Andes... Affondai i denti nel labbro inferiore, sforzandomi di trattenere le lacrime. "Respira, Publio" non potevo piangere sul ponte della nave, non davanti all'intero equipaggio.
«Cenerai con noi questa sera?» s'informò il capitano, un amico d'infanzia del nonno, dalla pelle bruciata dal Sole e gli occhi profondi come l'oceano.
Scossi il capo. «Non ho fame.»
«La nausea migliorerà, se mangi qualcosa.»
Tentai invano di sorridere. Malgrado avessi un equilibrio precario, il moto oscillante delle onde non mi dava fastidio: erano i miei fallimenti a pesare sullo stomaco.
Il capitano si passò una mano sulla folta barba grigia. «Per Giove! Perché i giovani d'oggi non accettano più i consigli di un vecchio?»
«Non saprei» mormorai in tono assorto, senza distogliere lo sguardo dall'orizzonte. Il cielo e il mare s'incontravano su una linea sottile e i dolori del mondo parevano rimasti a riva. Avrei potuto consumare la vita immerso laggiù e forse, tra un tramonto e l'altro, avrei persino ritrovato la pace. Presi una seconda boccata d'aria, gustando il profumo di quell'angolo disabitato. «Conosci la leggenda dei sogni infranti?» io l'avevo ascoltata a Napoli e la portavo con me da allora «I desideri irrealizzabili non ci abbandonano mai davvero: si rifugiano nell'Oltretomba, tra i rami di un olmo nascosto ai mortali. Ne ingrossano le fronde e, di tanto in tanto, salgono in terra per bussare ai cuori dei loro proprietari». Rivolsi un'occhiata al capitano e incrociai la sua espressione perplessa. «Scusami» sospirai, picchiettando le dita sul parapetto «Non volevo annoiarti con una stupida favola.»
Non attesi una risposta e scesi sottocoperta. Speravo di addormentarmi, ma, appena abbassai le palpebre, rividi tutto ciò che pregavo di dimenticare. Hai fallito, mi dicevano i giudici, fallito, sentenziava Epidio, fallito, faceva eco Sabino, fallito.
Balzai a sedere con le mani premute sulle tempie: «Maledetti sogni infranti!». Ero solo nella stanza e, dalle travi lignee, entrava un refolo di vento, quasi fosse il respiro di un Dio venuto a osservarmi. «Chiunque tu sia, adesso è tardi» singhiozzai, affossando il mento tra le ginocchia «Perché non c'eri nel Foro?»
Un altro spiffero, più freddo.
«Concedimi almeno il sonno. Oppure l'oblio» sbarcare in Grecia senza memoria era allettante. Invece, il Dio misterioso lasciò i ricordi conficcati nel mio animo e mi mostrò una visione che non si presentava dalla prima volta in cui avevo baciato Sabino.
Scorsi una villa in lontananza, un giardino rigoglioso... e il fanciullo. Ora, nei suoi tratti infantili intravedevo i segni dell'adolescenza. "Un giovane Achille" pensai, studiando i denti bianchissimi, il profilo regolare e i boccoli biondi. Soltanto in seguito notai la spada di legno che brandiva.
«In guardia, soldato!» esclamò, contraendo i muscoli. A pochi passi da lui, un secondo ragazzino lo fronteggiava. Si scrutavano con attenzione, ciascuno impugnando la propria arma, e il fanciullo sembrava contento mentre parava i fendenti dell'amico.
"Non ti avevo mai sentito ridere".
Per un attimo credetti che gli Dei mi volessero dire di non disperare: anch'io potevo essere felice. Poi, adocchiai una donna.
«Cosa fai insieme al servo?» sbraitò, avvicinandosi ad ampie falcate.
Il fanciullo s'irrigidì. L'altro, invece, chinò il capo: «Mamma, non sapevo...»
«Basta così! Vai in camera» gli sfilò la spada di mano, aspettò che fosse lontano e si rivolse al fanciullo «Tu non tocchi mio figlio! So dove metti le mani e non osare...»
«Metto le mani laddove compiace tuo fratello, Domina» malgrado le avesse riservato il titolo di "padrona", quella frase arrogante non passò inosservata alla donna.
Lei sgranò gli occhi e afferrò il fanciullo per un lembo della veste. «Muoviti» sibilò, trascinandolo in una grande sala rivestita di marmi.
Mollemente sdraiato su un triclinio, sonnecchiava un uomo di mezz'età dai lineamenti tozzi e la corporatura massiccia.
«Importunava mio figlio!» esclamò la donna, spingendo il fanciullo a terra «Insegna l'educazione alla tua sgualdrina o evita d'invitarci in questa casa.»
Mi coprii il viso con entrambe le mani. "Non fategli del male!" sapevo che si trattava di un'immagine fumosa, ma non ero pronto a vederlo soffrire.
Il fanciullo, intanto, si era rialzato e sosteneva lo sguardo del padrone.
«Cos'hai combinato?» s'informò lui, per nulla partecipe del nervosismo della sorella «Non avrai derubato mio nipote?»
«No, domine.»
«Giocavano insieme... da pari» protestò la donna «Tienilo tra gli adulti!»
«Suvvia, non farne una tragedia.»
«Non farne una tragedia!?» ripeté lei stizzita «Quel maledetto ragazzino serve da latrina a te e ai tuoi amici. Non accetto che parli con mio figlio.»
L'uomo si grattò il ventre. «Chiedile scusa e giura che non lo farai più» sbadigliò, battendo un colpetto sulla guancia del fanciullo.
Lui esitò un momento, poi strinse i pugni, ubbidì e si ritirò nell'ala della servitù. «Dannati patrizi» ringhiò, spingendo la porta con rabbia «Marcite all'Inferno.»
«È successo qualcosa?» un'anziana dall'aspetto dimesso e la schiena ingobbita si tirò a sedere dal suo giaciglio «Ti preparo una tazza di latte?». Era premurosa, ma il fanciullo le rivolse uno sguardo gelido. «Il dominus ti ha dato un compito ingrato? Ci sono ospiti da intrattenere?»
«Smettila» soffiò «Non voglio parlare con te, né con nessuno in questa stanza.»
La donna provò ad avvicinarsi e lui le fece segno di stare alla larga.
«I bambini della casa dicono che sai tante storie: ti ascolterebbero volentieri.»
«Chi? I figli dei servi?» il fanciullo aggrottò la fronte, assumendo lo stesso atteggiamento altero dei padroni «Non m'interessano!»
Scossi il capo. «Va' da loro!» gridai «Sarai meno solo... Sarai più felice.»
Lui, invece, si raggomitolò in un cantuccio e prese a bisbigliare sottovoce. «Desidero che soffrano» teneva le mani davanti alla bocca affinché nessuno sentisse «Falli soffrire. È la mia preghiera.»
Mossi un passo verso il fanciullo, quando una corrente improvvisa mi destò dalla visione. Ero di nuovo sulla barca, in una stanza vuota e con la testa colma di pensieri. "Smetti di fingerti ciò che non sei" era quello il messaggio, non avevo dubbi: se speravo di trovare pace, dovevo seguire la mia Natura. E la mia Natura non portava né al Foro né ad Atene.
Appena sbarcammo, consegnai al capitano una lettera per il nonno e proseguii nell'entroterra. "Che mi credano al sicuro, ad ammirare il Partenone" ragionai, mentre camminavo per vie sempre meno battute "Che non sappiano mai dove sto andando".
Avevo una meta ben precisa in mente: la Tessaglia. La terra dei centauri e di Achille, delle leggende... e della magia.
NdA
Ebbene, con questo capitolo si conclude la parte 2! Niente più "volere" nella vita di Virgy, adesso è il momento di "osare" (come s'intitolerà la terza parte)! Per me, invece, è tempo di dire un sentitissimo grazie a chiunque stia seguendo questa storia! Ogni stellina, commento e lettura silenziosa è un enorme incoraggiamento, MA un grazie speciale va ad alcuni amici meravigliosi che ho avuto la fortuna d'incontrare. Siete davvero importanti e non smetterò di ripeterlo. <3
Tornando al povero Virgilio, nella terza parte lo ritroveremo all'inizio del 44 a.C., un anno decisamente turbolento per Roma! Chissà come vivrà tutto ciò... e chissà a cosa avranno portato i suoi studi di magia. ^_^ Passando a qualche piccola informazione:
1) Forse qualcuno c'è arrivato, ma la "visione" dello scorso capitolo è uno scorcio della selva dei suicidi descritta da Dante nel XIII canto. L'oltretomba verso cui va Virgy è un oltretomba dantesco e... beh, ogni tanto fa cu cu!
2) Il suicidio era un diritto dell'uomo libero romano. Gli schiavi, invece, non avrebbero potuto compierlo (nel senso, se lo compivano si poteva fare causa a chi aveva venduto lo schiavo perché era considerato "merce difettosa"); però, l'aneddoto del gladiatore è vero e Seneca ne parla ammirato (più o meno... diciamo che apprezza la forza d'animo) in una delle lettere morali;
3) Dopo tutta questa serietà... gossip: cosa diamine combinerà Valerio da solo al Nord?! Trufferà la famiglia di Virgilio? Farà affari azzardati? Realizzerà qualcosa di buono? E, venendo al capitolo 21, ta ta taaaa: fanciullo is back! Chissà perché!
Virgy: ho dato un'interpretazione! Sicuramente è quella giusta.
Io: se sei convinto che sia solo una proiezione della tua vita...
Virgy: non lo è?
Io: direi proprio di no!
4) La Tessaglia aveva davvero quella reputazione ed era un dominio romano, quindi Virgilio poteva sia muoversi nelle parti più rurali e selvagge sia in insediamenti dove parlavano latino (ex: sia Catilina che Pompeo che Catone avevano prestato servizio laggiù). Detto ciò, Virgilio conosce bene anche il greco. Interessava? Probabilmente no. E io ho parlato fin troppo.
Grazie ancora di tutto e.... alla parte 3! <3
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