CAPITOLO 2 - PASSATO, PRESENTE, FUTURO
"Cos'è successo?".
Quando iniziai a pormi quella domanda, ero circondato dal fumo, accasciato in un angolo della stanza. Udivo un vociare confuso e le sagome che mi passavano accanto parevano ombre senza volto. Solo in seguito notai le ferite sul mio braccio destro. Nove sottili linee rosse.
«I... fantasmi...» balbettai «Vogliono... sangue». Cominciavo a ricordare. Avevo aperto io i tagli, mentre invitavo gli spiriti a cibarsi della mia essenza vitale. Portatemi nelle vostre dimore, avevo chiesto, Ricambierò il favore.
Mi massaggiai le tempie, cercando di ordinare le memorie delle ultime ore. Tuttavia, le droghe mischiate alla nostalgia mi trascinarono nella notte estiva di un Tempo lontano. Scorsi la mia casa di Andes. E fu come rivivere quel momento dall'esterno.
Il bambino che ero stato sedici anni prima indossava una leggera tunica verde, teneva Flacco in braccio e lo sguardo fisso su nostro padre. «Ci insegnerai a scacciare i fantasmi?»
«A mantenere divisi i nostri mondi.»
«Ma loro...»
«Non è bene che le cose dei morti stiano coi vivi» aveva spiegato mio padre, sfilando i sandali. Si era posto davanti all'ingresso di casa, aveva schioccato le dita, buttato alle spalle delle fave nere ed esclamato nove volte Io vi mando queste fave e con esse riscatto me e i miei cari. Una formula semplice ma efficace: gli spettri si sarebbero chinati per raccogliere i legumi, seguendo in silenzio chi li aveva gettati. Non sarebbero stati ostili, a patto di non essere osservati.
«Gli occhi degli uomini feriscono i fantasmi» aveva mormorato mio padre «Non cercate di vederli: percorrerete le loro strade quando il vostro tempo in Terra sarà concluso» ricevuto un cenno d'assenso, aveva proseguito «Adesso, bisogna toccare l'acqua, far risuonare il rame di Temesa e dire nove volte, con gentilezza, Spiriti degli avi, uscite. Dopo è permesso girarsi.»
"E la nostra casa sarà libera dai fantasmi" conclusi io, mentre abbandonavo il ricordo. Stavo calpestando tutti gli insegnamenti che mi avevano dato e mi sentivo colpevole. Però, qualcosa di più forte imponeva di non desistere. «Completerò il percorso d'iniziazione» promisi sottovoce «A qualunque costo.»
Mi alzai a fatica e raccolsi la toga. Nessuno badava a me, né io prestai attenzione agli iniziati: il fumo ci rendeva soli dal primo all'ultimo. Tuttavia, nell'istante in cui raggiunsi la porta, due uomini mi si pararono davanti. «Torna tra dieci giorni» ordinò il primo «E non parlare mai di questo luogo. Rammenta il motto: sapere, osare, volere, tacere.»
«Ti aiuteremo a governare il tuo dono» aggiunse il secondo in tono carezzevole «È un mezzo prezioso, per chi ambisce a scostare il velo della Morte.»
Abbassai lo sguardo sul mio braccio ferito. "Il sangue è già secco" constatai "Ne dovrò versare parecchio, se desidero vedere l'Oltretomba". In realtà, non mi sarei accontentato di vederlo: volevo mapparlo. Così, avrei sempre trovato la via di casa.
«Vi ringrazio» chinai il capo in segno di reverenza e, lasciando l'edificio, un'ondata di emozione mi travolse. Non sapevo se fosse eccitazione, paura o rimorso, ma era talmente intensa da offuscare il resto. Non feci caso alla strada lurida, al vocio sommesso e neppure all'uomo contro cui andai a sbattere. «Perdonami, io...» incrociai i suoi occhi e mi mancò il fiato. "Non è possibile".
Anche lui s'irrigidì, come un cervo che osserva la freccia puntata al suo cuore. Premette la schiena sulla porta da cui era appena uscito e il mondo tacque insieme a noi.
La Luna lo accarezzava con grazia sinistra, evidenziando le ciocche argentate tra i capelli scuri, inusuali per un giovane nel pieno della Salute. La sua pelle pareva tanto liscia quanto gelida, gli abiti erano scuri, la schiena innaturalmente dritta. Magari, fu proprio il contrasto tra una bellezza composta e un'aura di Morte a renderlo spettrale. «M... Marco?» ansimai.
«Catone» mi corresse in un sibilo «Sono pater familias da quasi due anni.»
«Ah, vero» "come ho potuto sbagliare?! Chiunque sa che il padre di Marco si è tolto la vita a Utica per non cedere a Cesare" più i pensieri mi affollavano la mente, meno riuscivo a parlare. Sapevo che la gens di Catone si era schierata al fianco di Pompeo nella guerra civile, sapevo che Marco aveva assistito al suicidio e sapevo pure che, subito dopo, aveva chiesto il perdono a Cesare, un perdono che non era tardato ad arrivare, permettendo al mio ex-compagno di tornare a Roma e conservare i beni di famiglia. «Ehm... Condoglianze. Tuo padre... Lui...»
«C'è chi è in balìa del Fato e chi ne guida la mano». Marco tentava di apparire deciso, ma aveva le labbra scosse da un tremito e, per la prima volta, colsi una sfumatura stonata nella sua voce. Fu allora che notai le profonde occhiaie, la mascella contratta e l'espressione tesa. Quegli anni folli non avevano cambiato soltanto me e, osservando Marco, ebbi la sensazione di guardarmi allo specchio. "Che ne è stato dell'alunno modello, del capogruppo risoluto, del figlio devoto?" lo immaginai sgattaiolare negli appartamenti di Vicus Tuscus, accantonando i rigidi principi con cui era cresciuto, e mi chiesi quale fosse la parte di Sabino. Però, prima che formulassi un'ipotesi, Marco si aggiustò il mantello.
«Perché mi fissi?» sbuffò.
«Ecco... eri l'ultima persona che credevo di trovare.»
«Ho diritto di muovermi per la città.»
«Ovviamente... Ma...»
«Aspetto un amico» troncò lui, sempre più seccato «Tu, invece, perché sei ancora qui? Stavi andando, quando gli Dei ci hanno fatto scontrare.»
«Temo che gli Dei non si curino di noi.»
«Temo sia tardi e tu debba...» non riuscì a concludere, che un imponente individuo dai tratti duri si fermò al suo fianco. Nell'istante in cui lanciò un'occhiata verso di me, Marco scosse la testa e gli prese il polso. «Ho da fare, Virgilio.»
«Certo... non ti... trattengo» ero perplesso. Quell'uomo sembrava un veterano e di sicuro non era un prostituto. "Hai un amante?! Ti concedi a un romano? E Sabino?" le domande erano dipinte sui miei occhi e, appena Marco le comprese, abbassò il capo, nascondendo il rossore che gli colorò le guance.
«Vieni, Cassio» mormorò allo sconosciuto, aprendo la porta alle loro spalle «Buon mattino, Virgilio.»
Li vidi entrare nell'edificio e, una volta solo, rimasi a guardare il vuoto. «L'ho sognato?» bisbigliai tra me "Marco Catone nella strada dei prostituti ad affittare una stanza per..." sbattei le palpebre esterrefatto "Il mondo è impazzito!". Tuttavia, sapere di non essere l'unico che tradiva il proprio Passato mi diede sollievo – una colpa condivisa appare meno grave – e non misi nemmeno in dubbio che Marco cercasse qualcos'altro nella via che sporcava le anime, magari perché mi piaceva l'interpretazione che avevo dato.
Inspirai a pieni polmoni, controllai di non avere macchie di sangue sugli abiti e proseguii verso il Circo Massimo, un quartiere sovraffollato e non troppo sicuro dove Cornelio si era trasferito di recente. Consumare una generosa colazione insieme fu il primo momento felice dal mio arrivo nell'Urbe e, quando lui mi propose di rimanere, fui sul punto di accettare.
«Pagherò i due terzi dell'affitto» incalzò «Ci divertiremo.»
Studiai la sala da pranzo, disordinata ma accogliente. «Tornerò a Posillipo tra un paio di mesi: non avrebbe senso lasciare la casa del non... di Valerio» mi morsi il labbro "Sono molto più estraneo laggiù che in questo appartamento". La tentazione di trattenermi era forte, eppure, ero a Roma per mia madre. Abbandonarla non era un'opzione. «Ci sarebbero troppe difficoltà.»
«Se è per la zona, sappi che non ho mai avuto problemi. Puoi dire a tua mamma...»
«Lei non si preoccupa facilmente.»
«Ottimo!» Cornelio mi riempì il bicchiere di latte e sorrise «La camera degli ospiti ti aspetta.»
Una parte di me voleva cedere, l'altra mi spinse a terminare il pasto e andare via. Camminai a lungo senza meta, poi mi sforzai di ricordare almeno un paio delle strane richieste di Valerio. Acquistai la zampa destra di iena, una pelle di serpente, radici di verbena e miele e, tornato a casa, controllai per l'ennesima volta di essere in ordine. «Che non scoprano ciò che ho fatto» pregai sottovoce «Che non intuiscano di Vicus Tuscus.»
Un'ultima occhiata alle braccia ferite. "Respira, Publio" il mio cuore batteva forte, tuttavia, nessuno mi domandò dove fossi stato. "Bene" pensai, con un pizzico di delusione "Non dovrò mentire". In verità, speravo che la mamma mi cercasse. Bastava una manciata di minuti, un istante per noi, un chiarimento sulle sue scelte... un come stai?
Non accadde nulla. Né quel giorno né i seguenti.
Io aiutai Valerio nei preparativi per il nascituro, studiai il ruolo di Deverra e ubbidii senza obiettare. Mancai soltanto un compito: non scrissi la lettera a Flacco. Comprendevo i motivi che lo inchiodavano ad Andes e capivo perché non volesse più parlare alla mamma. Con che coraggio potevo chiedergli di cambiare idea? Per fortuna, prima che considerassero il mio comportamento un atto egoista, giunse il tempo del parto.
«Sta arrivando!» Valerio mi passò una scopa e chiamò a raccolta il personale. C'erano servi di fiducia, ma anche un mago, delle levatrici e due ostetriche. L'amico che doveva accompagnarci nel rituale dei tre uomini era fuori città, dunque, ripiegammo su Cornelio.
«Prendi la scure appoggiata a terra» bofonchiai imbarazzato «Tu sarai Intercidona.»
«Cosa significa?»
Mi strinsi nelle spalle, osservando la scopa che avevo in mano «Proteggerai la stanza di mia madre dagli attacchi di Silvano. Di notte, batterai la porta con la scure, Valerio con un pestello e io spazzerò il pavimento» dirlo ad alta voce era ancora più stupido e, incrociando lo sguardo di Cornelio, intuii che la pensava come me. Valerio, invece, era impegnato a montare un letto accanto al giaciglio del bambino. Serve al dio Pilumnus, mi aveva spiegato, Voglio che stia comodo, così sarà felice di vegliare su mio figlio. «Forse ha ragione lui» sospirai.
Cornelio inarcò un sopracciglio.
«Forse, sono tanto sfortunato perché nessuna entità superiore mi protegge» picchiettai le dita sul manico della scopa «Non c'erano tre uomini a scacciare Silvano, né una levatrice, né una stanza da purificare: i miei genitori stavano passeggiando mano nella mano alle prime luci dell'alba, convinti che non sarei nato prima di qualche settimana. Eppure...»
«Eppure, hai fatto di testa tua» completò Cornelio ridacchiando «Nulla di nuovo, Virgilio. Laddove mille uomini scelgono la strada maestra, tu percorri uno sconosciuto sentiero che attraversa i monti. Il punto è...» fece una pausa e, per un istante, accantonò i toni scherzosi «mi porterai mai su quel sentiero?»
Trattenni il fiato. Dopo la necropoli, avevi promesso di non nascondergli più nulla, soffiò una voce nella mia testa, Bugiardo! Quante cose non gli hai detto?
"Un paio di sciocchezze" mi girai verso Valerio, sperando di far tacere la voce.
È una sciocchezza ciò che è accaduto in Tessaglia? La magia numitates? Il percorso d'iniziazione? E Sabino? Non sa neppure per chi ha battuto il tuo cuore.
Strinsi forte la scopa, tornando a parlare della mia infanzia come se Cornelio non avesse posto quella domanda scomoda. Gli chiesi della sua Forlì, delle tradizioni locali, del giorno in cui era diventato maggiorenne, dei ricordi più speciali, finché...
«Domine» la levatrice adagiò un bambino urlante ai piedi di Valerio «È un maschio.»
Lui sorrise e, senza perdere un secondo, prese il piccolo in braccio.
"L'erede che desideravi" vedevo l'orgoglio nei suoi occhi e non riuscivo a essere contento. Non lo ero nemmeno nove giorni dopo, quando il neonato divenne ufficialmente un cittadino romano.
Terminata la purificazione, furono invocati i Fata preposti al Destino e giunse il momento d'imporre il nome.
«Non ho dubbi su come chiamarlo» esclamò Valerio «Intendo omaggiare una persona».
Il suo tono commosso mi trasse in inganno. Credetti persino che avesse scelto Publio. Poi, però, pensai a una soluzione più appropriata. "Il nome del nonno" il macigno che avevo sullo stomaco divenne più leggero "Saggia decisione".
«Viviamo un Presente incapace di prevedere il Domani» proseguì Valerio «Occorre rinforzare le nostre radici. E occorre dimostrare lealtà a chi la merita.»
"Va' avanti."
«Ho un cliente speciale, una figura di grande importanza che ci garantirà stabilità nel prossimo Futuro. Desidero dargli prova della mia fedeltà.»
"E il nonno?" il macigno ripiombò subito, ancora più pesante.
«Si chiamerà Marco» dichiarò Valerio «Come Marco Giunio Bruto, il figlio adottivo di Cesare, l'uomo più potente di Roma.»
"Marco" contrassi la mascella "Il peggior nome che potevi scegliere". Non riuscii a sorridere, ma mi costrinsi a levare il calice. «Dunque, diamo il benvenuto a Marco Valerio Proculo.»
NdA
Eccomi, finalmente!! All'inizio, pensavo di aggiornare il 21, l'anniversario di morte di Virgy, ma era un po' luttuoso. Comunque, dopo la "pausa estiva+rientro", tornano le (dis)avventure di Virgilio. Inoltre, a breve la storia compirà un anno e... beh, che anno meraviglioso è stato, anche grazie ad alcune persone speciali che non mi stancherò mai di ringraziare!! <3 Venendo al capitolo, ho un paio di cosucce da dire:
1) Il sangue NON è una prerogativa vampiresca: basti pensare all'Odissea, quando troviamo fantasmi che apprezzano il sangue quanto io apprezzo un hamburger;
2) Davvero Marco ha un amante che incontra nella strada a luci rosse? Niente più verginità? E Sabino? E i saldi principi del cittadino romano? Uhm...
3) Affitto nell'antica Roma? Ebbene sì! Le speculazioni edilizie e gli affitti erano largamente diffusi, e i beni immobili davano grandi guadagni (Crasso conferma). Per ora non vi annoio coi particolari, però, sappiate che si iniziava a pagare dopo sei mesi d'affitto e c'erano appartamenti di lusso molto cari (all'anno, venivano il doppio della paga annuale di un legionario);
4) Virgilio non solo sarebbe nato in un fosso mentre Maia faceva la scampagnata col marito (all'alba a ottobre! Chiaramente erano masochisti), ma sarebbe anche stato un bambino bello e talmente tranquillo da non piangere neppure;
5) Il padre riconosceva un neonato sollevandolo da terra (altrimenti veniva soppresso o abbandonato!). Nove giorni dopo per i maschi e otto per le femmine c'era l'ufficializzazione, durante la quale veniva imposto il nome e tutti i presenti al parto si purificavano. A volte, avevano la brillante idea di purificare il bambino nell'alcol (no comment). In quanto al "letto per Divinità ospiti", era tradizione preparare un giaciglio per Pilumnus così da assicurarsi il suo aiuto.
Ci sarebbe tanto altro, ma mi rendo conto che sarete già pieni di impegni per il rientro, quindi dirò l'unica cosa davvero importante: GRAZIE MILLE! <3
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro