CAPITOLO 16 - TRA LE RIGHE
All'ennesimo falso sorriso, avevo i muscoli della mascella indolenziti. "Quanta gente intende salutare Valerio?" lo studiai di sottecchi, consapevole che né lui né le persone con cui parlava fossero realmente interessati a me: mi aveva trascinato negli horrea per dimostrare il suo successo di mercante. Era evidente. "Un narcisista, approfittatore, insensibile!" proprio non capivo perché piacesse tanto al nonno.
«Su, vieni» la voce squillante di Valerio sovrastò il brusio «Devo trattare coi miei sutores di fiducia, o rischio di andare al Nord senza dei calzari decenti.»
«Al Nord?» forse, quella tortura stava giungendo al termine «Sei in partenza?»
«Siamo in partenza» mi corresse «Io e Magio soggiorneremo a Cremona per qualche settimana: lasciarlo andare da solo sarebbe stato scortese. Non trovi, Publio?»
Provai a restare impassibile, ma il mio viso si contrasse in una smorfia.
«Posso chiamarti Publio, vero?»
"Nemmeno per sogno" non avrei concesso una confidenza del genere a uno sconosciuto. «Il nonno preferisce il nome della gens.»
Valerio sbatté le palpebre, indeciso su come ribattere. Poi, mi diede una pacca sulla spalla. «Non potrei mai contraddire Magio! Lo stimo molto, sai? Se ci fossero più uomini uguali a lui, la Repubblica navigherebbe in acque limpide». Fece per entrare nella bottega dei sutores; dopo si girò verso di me e mi toccò di nuovo, stavolta scompigliandomi i capelli. «Hai fame? C'è un'ottima taberna all'angolo dove lavorano dei miei ex-dipendenti.»
«Sei parecchio popolare negli horrea» constatai con un briciolo di esasperazione di cui Valerio non si accorse. Al contrario, sorrise compiaciuto.
«È l'arte del commercio» dichiarò, gonfiando il torace «Di questi tempi, la fiducia scarseggia e vale più della moneta: se saprai guadagnarla, avrai tessuto una rete in grado di resistere alle incertezze del Presente.»
«Più la rete è spessa, più pesci potrai pescare.»
Le mie parole non volevano essere una provocazione – almeno, non in maniera consapevole – eppure l'offesero. Valerio serrò le labbra ed entrò nella bottega. «Un buon mercante non sfrutta la fiducia che gli viene data» precisò, un attimo prima di esaminare i calzari da viaggio.
Io rimasi in disparte, pentito di quel commento infelice. "Ho esagerato" mi ripetevo "Forse, sto riversando su di lui i miei malumori". Poi, vidi Valerio lanciarmi un'occhiata di sfida.
«Tutto ciò che è di Magio, presto, sarà mio!» ghignò.
«No... non puoi...» indietreggiai. Intanto, la sua ombra si allungava fino a coprire l'intero pavimento. Oscurò i mobili, i clienti, i muri e proseguì nel cielo, spazzando via le nuvole candide e spegnendo il Sole. «Fermati!»
«Virgilio, ti senti bene?» era ancora Valerio, ma aveva un'aria turbata «Sei pallido. Siediti.»
Lo scrutai allibito. "Ho intravisto il suo cuore? Era uno scorcio sul Futuro?" mi chiedevo, mentre lui prendeva un po' d'acqua. Nulla aveva senso, a partire dalla visione del fanciullo, svanita dopo un semplice bacio. "Dei, perché mi avete concesso un dono, se non so che farmene?" le mie labbra si muovevano al ritmo delle domande, malgrado non emettessero suono.
«Non avrai la febbre, voglio sperare» Valerio si chinò su di me, destandomi dallo stato di torpore. «Proverò i calzari più tardi. Ora, hai bisogno di mangiare». E così, in una manciata di minuti, mi ritrovai a un bancone con davanti un piatto di legumi fumanti.
«Scusa» bisbigliai «Ho interrotto i tuoi acquisti.»
«Sta' tranquillo. A meno che non siano i calzari alati di Mercurio, non voleranno via!»
Accennai una risata e tornai a fissare il cibo. Magari, Valerio aspettava che gli chiedessi qualcosa... ma cosa? Alla fine, fu lui a rompere il silenzio: «Non c'è regione migliore della Campania, per un giovane.»
«È stato un soggiorno interessante.»
«E quante di queste cose "interessanti" si possono raccontare?»
Sgranai gli occhi. «Ehm... abbiamo visitato il tempio di Apollo, l'antro della Sibilla...»
«Le scuole di recitazione, i lupanari...» aggiunse Valerio in tono ammiccante «Suvvia, Virgilio, siamo uomini! Laggiù c'è il meglio della Repubblica.»
Ero a disagio e misi in bocca tre cucchiaiate piene. «Siamo andati a Napoli per studiare» tossii, nel vano tentativo di non ustionarmi il palato.
«Se temi la reazione della tua fidanzata, sappi che starò zit...»
«Non c'è nessuna fidanzata» detestavo il suo atteggiamento invadente. "Tornerò da Epidio domani" conclusi, nello stesso istante in cui Valerio mi posò una mano sulla spalla.
«Arriverà. Un giorno» dichiarò con fare paterno e, senza volerlo, mi diede un appiglio per cambiare discorso.
«A te quando è successo?»
Mi aspettavo tante, tantissime risposte possibili, specialmente una volgare e piena di dettagli non richiesti. Invece, lui ritrasse la mano. «Non è successo» ammise, quasi stesse confessando una colpa.
Non disse altro.
Non lo feci neanch'io.
Terminammo le commissioni in fretta, riempiendo i silenzi con parole vuote di cui non ci importava nulla. Rimasi a casa per la notte, promisi al nonno che sarei passato prima della sua partenza e mi diressi all'accademia.
«Salve, signore» mormorai, sperando che non facesse domande.
Invece, Epidio non solo evitò un interrogatorio su Napoli, ma mi rivolse un sorriso. «Dunque, gli Dei ti ritengono pronto» esclamò nell'abituale modo impostato «È giunto il momento che tu parli nel Foro.»
«Cosa?!»
Il rhetor cercò tra i documenti che gl'infestavano la scrivania. «Giusto ieri ho ricevuto una causa. Una bazzecola: l'accusato è innocente e non so perché il pretore abbia accettato di procedere.»
«E io dovrei...?»
«Difendere il convenuto, mi pare ovvio!» mostrò la tavoletta con scritti i capi d'imputazione «È un buon banco di prova per chi non ha spiccate doti oratorie. Se avessi davanti uno studente diverso, lo spingerei a preparare una controquerela per calunnia; però, nel tuo caso, concentrati sul creare un'orazione solida, senza farfugliamenti. Otterrai una facile vittoria e inizierai a farti strada.»
Allungai le mani verso la tavoletta, cercando di non tremare. "Difenderò un uomo?" ero emozionato e intimorito, eppure assunsi un'aria solenne. «Non ti deluderò.»
In tutta risposta, Epidio inarcò un sopracciglio. «Hai nove giorni. Ti raccomando, impara l'arringa a memoria, prevedi domande logiche per l'altercatio e sfrutta quanti più riferimenti eruditi. La gente non deve crederti né uno stupido né uno zotico». Nel suo atteggiamento era implicito che lui mi ritenesse entrambe le cose e io giurai tra me che l'avrei sorpreso.
"Posso farcela!" nel tragitto che separava lo studiolo dalla mia camera ne ero convinto. Poi, sempre meno.
"Occorre un parallelismo coi greci" pensavo, fissando le parole scritte sulla tavoletta "Frasi celebri, allusioni ai miti..." per quanto mi sforzassi, non sapevo come impostare l'orazione, non riuscivo a concentrarmi e, più i minuti passavano, più capivo di essere un inetto. «Maledizione!» sbuffai, gettando la tavoletta sulle coperte.
Intanto, la voce di Sabino tornò a tormentarmi. Femminuccia, lo sentivo ripetere quella parola ancora e ancora, Stai al tuo posto. Significava vivere dentro mura domestiche, non certo nel Foro! Nei sogni incomprensibili delle donne non esistevano carriere da avvocato.
E tu sei una femminuccia. Lo capiranno tutti.
Mi tappai le orecchie. "Basta!" dovevo uscire dalla scuola, svuotare la mente e ritrovare un briciolo di concentrazione. Per fortuna, conoscevo la meta perfetta.
«Allora ricordi di avere un lavoro!» brontolò Palaimon, appena varcai la soglia della bottega «Prendi gli arnesi per la ferratura e seguimi». Quando incrociò i miei occhi, però, il suo sguardo si addolcì. «Cos'è successo a Napoli?»
Feci spallucce e misi i ferri nella carriola. «Dove andiamo?»
«Ragazzo! Hai la faccia triste.»
«Sono stanco, niente d'importante. Dove andiamo?»
Palaimon si grattò la barba con un'espressione sospettosa, ma alla fine dovette arrendersi. Afferrò un paio di tavolette e le infilò nella sacca che portavo a tracolla, insieme al documento del caso. «Andiamo dal tuo cliente preferito» dichiarò, conscio dell'affetto che nutrivo per quel ragazzino dai capelli dorati «Noto che hai già un umore migliore.»
Non sbagliava. Riabbracciare Ottavio aveva il suono delle belle notizie. C'era qualcosa, in lui, che mi dava serenità.
"Chissà se lo troverò a letto" mi domandai lungo il tragitto, riflettendo su quale storia avrei potuto raccontargli "Chissà se sarà felice di vedermi. In fondo, compaio nella sua vita come un lampo nel cielo... E Ottavio detesta i lampi". Poi, superai l'ingresso della domus e rabbrividii.
L'abitazione era lugubre, intrisa di un'aria pesante e così ordinata da sembrare deserta. Nei mesi ad Andes avevo respirato angosce e paure, ma mai, neppure nelle ore più difficili, avevo avuto il presentimento di abitare in una necropoli. Laggiù, invece, pareva di entrare nel mondo delle ombre.
«Te l'avevo detto» bofonchiò Palaimon sottovoce «La Domina ha reso questa casa un angolo di Oltretomba: spera che la pover'anima del marito la scambi per un sepolcro.»
Mi morsi il labbro. Temevo la Morte fin da piccolo, quando avvistavo gli uccelli congelati durante l'inverno, e, camminando per i corridoi della domus, avvertii lo stesso tremito. Soltanto una voce famigliare m'infuse un po' di calore.
«Virgilio!?»
«Buon pomeriggio, raggio di Sole.»
I muscoli di Ottavio fremettero. In circostanze diverse avrebbe preteso un abbraccio, ma lì, nella dimora austera della nonna, gli sembrò fuori luogo. Rimase a studiarci da sotto una massa di capelli spettinati, torcendosi le dita mentre si chiedeva quale fosse il comportamento più consono. Che parte devo recitare? Ecco cosa gli passava davanti agli occhi. Era minorenne e gracile, però aveva il sangue di Giulio Cesare e viveva in una casa senza un uomo. Chi, se non lui, doveva occuparsi degli affari maschili?
Fu Palaimon a interrompere il silenzio. «Io ferro i cavalli» esclamò, prendendo i manici della carriola «Virgilio, gestisci i documenti: Cesare pretende che siano aggiornati e suo nipote saprà darti tutti i dati tecnici.»
L'osservai andare verso le stalle e, d'improvviso, fui travolto dall'inquietudine. I sensi si offuscarono, l'ambiente divenne distante e cominciai a sudare. Era capitato pure ad Andes, sempre senza motivo. "Non ora" inspirai a fondo, cercando di riacquistare la calma.
Ottavio mi fissò un istante e percorse il peristylium a passi lesti. «Stai male?»
Scossi il capo e accarezzai la guancia pallida del ragazzino. «Sarai indispensabile per compilare questi doc...» avevo le mani talmente umide che, nell'attimo in cui la sfilai, la sacca mi scivolò a terra.
«Non preoccuparti: faccio io!» Ottavio si chinò a raccogliere le tavolette. Poi strizzò le palpebre, sollevando l'unica con un'incisione sulla costa. «Cosa vuole un pretore da noi?»
«Nulla... Lui... Mi è stato affidato un caso.»
«Parlerai nel Foro?» provai a togliergli la tavoletta di mano, ma la presa di Ottavio si fece più salda «Quando?»
Bastava dire la data, tuttavia, le mie labbra si mossero altrove. «Considerato ciò che ho scritto, probabilmente mai» mugugnai, sperando che lui, dall'ottimismo dei suoi dodici anni, riuscisse a infondermi coraggio. Non pensavo, però, che fosse tanto interessato. Mi chiese di spiegargli il caso e ascoltò in silenzio, scrutando con attenzione i capi d'accusa.
«Il punto non è vincere» picchiettai le dita sulla tavoletta «Questa difesa sarà un palcoscenico per presentarsi a decine di possibili clienti: devo ammaliarli, sorprenderli e...» mi indicai, scuotendo la testa «Non sono un novello Cicerone.»
Ottavio imitò il mio movimento del capo.
«Vedo che siamo d'accordo.»
«Sì» sfiorò adagio la tavoletta «Tu sei come Omero.»
«Cieco?»
«Magari. Un pochino» ridacchiò, prima di farsi serio e guardarmi in faccia. I suoi occhi si specchiarono nei miei, cielo e mare che s'incontrano sulla linea dell'orizzonte. «Tu racconti mondi che gli altri ignorano, li rendi... importanti. Con te, pure una zanzara può diventate l'eroe della storia ed è su questo che costruirai una difesa memorabile.»
«Sei troppo gentile, Ottavio, ma, anche se fosse vero, nessun avvocato assomiglia a un aedo.»
«Appunto.»
Mi strinsi nelle spalle, senza capire.
«Se desideri avere successo, non guardare ciò che c'è, bensì ciò che manca» esclamò «Me l'ha insegnato un uomo speciale.»
«Cesare?»
Ottavio annuì, riprese la tavoletta e puntò il dito sullo spazio tra due righe. «È vuoto.»
«Corretto.»
«Dunque, non è interessante, un po' come un avvocato che assomiglia a un aedo.»
«Presumo di sì.»
«Ebbene, nelle comunicazioni militari, i segreti vengono scritti qui, tra le righe. I messaggeri sono convinti di portare un messaggio; invece, scaldando il documento, ne compare un secondo. E lo spazio vuoto diventa essenziale.»
«Suggerisci di costruire la difesa...»
«Come una storia» completò lui «E una storia ha bisogno di personaggi.»
Osservai la tavoletta immaginando ciò che ruotava attorno ai capi d'accusa. «Dovrei sfruttare i testimoni e creare un racconto corale, capace di coinvolgere i presenti.»
«I principi del Foro sono troppo impegnati ad ascoltare l'eco delle proprie voci per udire quelle dei patroni. Eppure, Cicerone ha subito una dura sconfitta l'anno scorso proprio a causa di un testimone» Ottavio sorrise con un pizzico di spregiudicatezza «Perdere per colpa di un patrono. Donna, addirittura!»
Gli scompigliai i capelli, divertito. «A qualcuno non piace Marco Tullio Cicerone.»
«Per niente» sghignazzò «Avrei stretto la mano a Fulvia personalmente, se fossi stato lì.»
«Pensi che questa Fulvia potrebbe darmi dei consigli?»
Ottavio si guardò intorno con aria assorta. «Non ne trarrebbe vantaggio. Ti serve qualcuno che voglia partecipare» poi, di colpo, s'illuminò «Una mamma farebbe di tutto, pur di avvicinarsi a un figlio lontano!»
«Davvero?»
«Beh, mia madre sì!» sospirò e proseguì «La persona che ho in mente conosce gli intrighi dell'Urbe; è colta, arguta e avrebbe un duplice interesse nell'aiutarti: approfittare del Foro per difendere la sua reputazione e avvicinarsi al figlio perduto da oltre un decennio.»
Aggrottai la fronte. «A chi ti riferisci?»
«Frequenti l'accademia con Marco Catone, se non erro.»
Annuii. «Presumo te l'abbia detto Cesare, considerato che...» non serviva proseguire: l'intera Repubblica sapeva della relazione tra il generale e la zia di Marco.
«In seguito al divorzio, Atilia è stata esclusa dalla vita dei figli. Non un attimo insieme, non una visita, nemmeno una lettera per spiegare i suoi errori. Ti basterebbe fare da tramite con Marco e Porzia per ottenere il suo aiuto, ma tu puoi darle anche l'occasione di parlare nel Foro. E a una donna è vietato, a meno che non debba testimoniare.»
Continuai ad annuire, mentre il cuore batteva forte. Entrare nel Passato di Marco mi preoccupava, però era la via per realizzare i miei sogni.
NdA
Innanzitutto, scusatemi tanto per l'attesa e per il capitolo lungo (non lo faccio più, promesso, ma dovevo introdurre l'ultimo macro-argomento della parte 2)!!
Un grazie dal più profondo del cuore a chi segue questa storia *_* Ogni lettura, stellina e commento significa moltissimo... Ad alcuni lettori speciali mando un triplo grazie, perché sono importanti, davvero!!
E ora, un paio di noiose annotazioni storiche:
1) Non entrerò nei dettagli della difesa di Virgy perché, purtroppo, le fonti non ci rivelano l'identità del cliente o gli esatti crimini. Potrei inventarli io? Sì, però non lo farò;
2) 10 giorni?? O_O Esatto, un accusato aveva una decina di giorni prima di finire davanti al pretore (o chi ne faceva le veci) e altri giudici. Alla faccia degli americani e dei loro processi-lampo! Il cosiddetto attore (l'accusante) presentava al pretore la sua postulatio (capi d'accusa, prove e testimoni) contro l'accusato (convenuto). A questo punto, il pretore faceva un interrogatorio all'accusato e poi dava o meno l'ok per procedere;
3) Salvo maltempo, i processi avvenivano nel Foro, davanti al pubblico. Iniziava l'accusa, con un'orazione che durava fino a 2h; dopo era il turno della difesa, che aveva 3h; quindi, si passava all'altercatio (un interrogatorio e controinterrogatorio dei diretti interessati). Fine? Eh no, adesso arriva la parte preferita dagli antichi romani, la probatio, in cui si esibivano prove e testimoni (detti patroni). Terminata anche questa, ciascun giudice esprimeva A (absolvo) o C (condemno);
4) "leggere tra le righe" deriva proprio dalla trovata di scrivere i messaggi segreti tra gli spazi vuoti con una sorta di "inchiostro simpatico" ;D
Direi che sono stato fin troppo pedante. Ora la smetto con le considerazioni storiche e vi ringrazio ancora per il sostegno <3
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