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CAPITOLO 12 - INIZIAZIONE

[trigger warning: essendo questo TW un po' spoileroso, utilizzerò il cifrario di Cesare, così chi non vuole anticipazioni non rischia. Per chi preferisse una lettura ultrasicura, il tema sensibile è VXLFLGLR]


«Sei pronto, Publio Virgilio Marone?» il necromante mi consegnò un pugnale d'osso «Oggi, nel terzo Mundus Cereris, le soglie dell'Oltretomba sono aperte e tu puoi dominare gli spiriti.»

Annuii solenne. Ero ben consapevole di trovarmi in quella grotta a un miglio dall'Urbe per essere iniziato. Cornelio mi credeva da mia madre, mia madre mi credeva da Cornelio e lo spirito del nonno, forse, sapeva che stavo commettendo un crimine .

"La magia sarà la soluzione" pensavo, diviso tra speranza e inquietudine "Dopo stanotte governerò le visioni. Scaccerò il fanciullo. E non temerò più di perdere chi amo".

Osservai gli uomini radunati intorno a me e la carcassa di suino che avevo ai piedi. Marciva da giorni, eppure i vapori che riempivano l'aria mitigavano la puzza.

Senza parlare, caddi in ginocchio e aprii la carne dell'animale. "Sii coraggioso!" mi ordinai, mentre adagiavo le interiora dentro una ciotola "All'alba sarà tutto un ricordo e avrai ottenuto ciò che brami da anni".

Un necromante col volto mascherato mi fece svuotare un calice pieno di kykeon, un secondo mise nel mio palmo una manciata di sementi e io cominciai a mormorare. «Rendimi colui che mangia gli uomini e gli Dei, si nutre della loro energia, inghiotte il loro spirito» una formula sacrilega tratta da antichi testi egizi. Gli stregoni lo chiamavano l'inno Cannibale «Che mi alimenti coi polmoni del saggio, mi sazi col suo cuore e la sua magia. L'essenza degli Dei entri in questo corpo e così il loro spirito. E l'anima degli Immortali appartenga a me.»

Poi chinai il capo, versai i semi nella ciotola e aggiunsi il mio sangue. Quando avvertii i primi conati, mi diedero ancora da bere - magari vino, magari qualcos'altro - e fui travolto da una strana euforia.

«Prendi il cuore» mi esortò il mago più anziano «Fallo a pezzi.»

Affondai di nuovo le mani nella carcassa e iniziai a tastare. "Eccolo" sorrisi "È caldo... e pulsa". Fu come scendere nell'Ade: i necromanti divennero figure silenziose e il cadavere più che mai vivo; gli spettri si staccarono dalle pareti, i suoni della Notte mi furono amici. Udivo le promesse sussurrate dai demoni, i fruscii dei lemures, le urla del Tartaro.

"Riesco a sentirvi!" estrassi il cuore, lo studiai col fiato sospeso e, d'improvviso, un'entità invisibile mi afferrò i polsi.

"Vattene!" tentai di opporre resistenza "È stato il Fato a condurmi qui. È il mio posto". Più ribadivo quelle frasi, più restavo bloccato. "Non ho chiesto di nascere con un dono. Non ho chiesto di essere... speciale". Mi passai la lingua sulle labbra e sentii il gusto salato delle lacrime.

«Distruggi il cuore» comandarono i necromanti «Fallo a pezzi.»

L'entità misteriosa stringeva forte e io ero terrorizzato.

Scrutai la carcassa, le ombre dei morti, le figure mostruose che affollavano la caverna. «Essere felice... e non rimanere solo» singhiozzai, rivolto all'entità invisibile che mi tratteneva «Non desideravo altro. Era troppo, vero?».

Dopo, percepii la mia anima strapparsi dal corpo e mi trovai in una camera lussuosa.

"Sono morto?".

Mossi qualche passo, chiedendomi se l'Ade avesse ville uguali a quelle di Roma. "Ho commesso un errore durante il rito?". Ipotizzai addirittura di aver sognato tutto, finché non riconobbi il fanciullo. «Eri tu a bloccarmi?!» gli gridai contro «Fammi completare l'iniziazione! Te lo ordino!»

Lui non rispose. Si aggiustò i riccioli biondi, esaminò il suo riflesso in un grande scudo dorato e si pulì i denti con l'unghia del mignolo. Non aveva più fattezze infantili: era cresciuto insieme a me e adesso appariva nel pieno della giovinezza, talmente bello da non sembrare una creatura mortale.

"Non lo è". Provai a spingerlo via. «Vattene, demone! Sparisci.»

Non riuscii a toccare il fanciullo ma, per la prima volta, lui parve avvertire la mia presenza. Portò una mano all'orecchio e s'irrigidì. Dopo, si levò nell'aria un rumore di passi cadenzati.

«Niente attività procreative a Mundus Cereris!» dichiarò un uomo, spalancando le porte della camera «Starò insieme a mia moglie domani». Aveva un corpo imponente e la tunica leggera lasciava scoperti polpacci robusti. Le sue spalle erano larghe, la mascella squadrata, i tratti virili e i capelli, seppur non più folti, conservavano il colore scuro. Slacciò la corda che aveva in vita e si sdraiò sul letto triclinare, facendo cenno al fanciullo di avvicinarsi. «Penserai tu a me.»

Lui annuì, s'inginocchiò e immerse le mani in una bacinella colma d'olio. «Sei stanco, domine?» domandò provocatorio «Noto che hai bisogno di... aiuto.»

L'uomo sorrise furente. «Come dicono i saggi» mormorò tra sé «Vi sono tre tipi di utensili: quelli che non si muovono e non parlano, quelli che si muovono e non parlano e quelli che si muovono e parlano... purtroppo. Uno schiavo muto sarebbe un utensile di gran lunga preferibile» attese un istante, ingoiò un po' d'uva e si stiracchiò «Fa' quel che devi.»

Distolsi lo sguardo. Non sapevo perché il fanciullo mi avesse trascinato lì, ma ero certo di non voler assistere. "Concentrati, Publio. Torna nella grotta".

Niente da fare. Continuavo a udire i gemiti sottili dell'uomo. Sentii respiri affannati, cigolii, insulti e schiaffi. Il dominus dava ordini e il fanciullo li eseguiva con la maestria di un esperto.

"È disgustoso!" Mi tappai le orecchie, però quei rumori non smisero di angosciarmi.

Poi calò il silenzio.

«Sistema la stanza» comandò l'uomo «A breve, inizieremo i preparativi per la festa di mio figlio e qui è un porcile.»

Tenendo una mano davanti agli occhi, mi girai piano e sbirciai dalle fessure tra le dita. Il triclinio era rovesciato, il cibo e gli oli sparsi a terra e i cuscini zuppi di vino.

«Possono farlo altri domestici» protestò il fanciullo «La mia pelle ti serve morbida.»

«Ho detto: sistema la stanza» ripeté l'uomo, scandendo le parole «Sarà il sedicesimo compleanno di mio figlio e intendo dargli un assaggio della cerimonia a cui parteciperà in primavera.»

Il fanciullo smise di raccogliere l'uva. «I Liberalia

«Ovvio! È quello il momento in cui si diventa ufficialmente maggiorenni» il dominus addentò un dattero e buttò il nocciolo sul pavimento «Ricordami quanti anni hai.»

«I... io?» balbettò il fanciullo.

«Vedi qualcun altro, per caso?»

«Compirò... sedici anni... durante l'inverno» la sua voce tremava e il mio stomaco si contrasse.

"Cosa tenti di comunicarmi, demone?"

«Rammentavo bene» ridacchiò l'uomo. La situazione lo divertiva immensamente e proseguì a fantasticare sui Liberalia lussuosi del figlio, elencando i vantaggi di essere un cittadino romano «Non mi aspetto che tu capisca, ragazzino.»

«Capisco, domine. Ho un animo che...»

«No» l'uomo gettò un secondo nocciolo e fece segno al fanciullo di raccogliere «Gli schiavi non hanno onore, né aspirazioni, né anima. La loro vita e la loro morte dipendono dal buon cuore del padrone. Adesso pulisci» sorrise di nuovo e uscì dalla stanza.

"Sto per svegliarmi" pensai. Invece rimasi lì, solo con quel demone dall'aspetto di ragazzo. "Perché non mi lascia in pace?". 

Cercai il fanciullo e lo vidi sbattere i pugni sul tavolo.

«Bastardo!» ringhiava, tirando i cuscini mosso da una rabbia cieca «Ti odio. Vi odio tutti. Bruciate all'Inferno! Voi...» tacque non appena notò i vetri sparsi: i calici del dominus erano in mille pezzi e, nel vederli, gli occhi del fanciullo brillarono.

Si aggiustò la tunica, tornò calmo e si passò una mano tra i capelli. Poi, afferrò il frammento più grande. «Io non avrei né anima né onore...» sibilò «La mia vita dipende da lui...»

L'osservai esaminare il pezzo di vetro. "Assisterò a un omicidio?".

Ormai ero convinto che il fanciullo fosse reale. Un demone, un Incubo, uno spirito... non lo sapevo, ma ne avevo paura e, quando incrociò il mio sguardo, sussultai.

"Vuole uccidere me?".

Io arretrai e lui mi studiò stringendo il coccio di vetro. «Non ti ho fatto nulla» ansimai «Smetti di perseguitarmi e vattene. Per sempre.»

«Per... sempre» ripeté il fanciullo col respiro corto e, pianissimo, si chinò sullo scudo. Contemplava il suo viso perfetto mentre le lacrime gli rigavano le guance. «Vattene per sempre.»

«Allora mi senti» l'iniziazione mi permetteva di fronteggiare il mio demone. «Da stanotte sarò libero?» bisbigliai incredulo.

«Sarò libero» fece eco il fanciullo. Scrutò un'ultima volta il suo riflesso e si accucciò tra le gambe del triclinio rovesciato. «Libero» disse ancora e ancora, più cupo di un canto funebre. «Non parlerò nel Foro, non vedrò il mondo, non sarò ricordato nei versi dei poeti, non amerò mai...» posò il vetro sul polso.

"Cosa stai facendo?!".

«Forse, non avrò nemmeno un'anima» tirò su col naso «Ma la mia vita non appartiene a nessuno». Pigiò forte e il sangue iniziò a colare.

«No, no, no!» mi guardai le mani inorridito, quasi avessi piantato io quel vetro nella sua carne. "Volevo sbarazzarmi di lui. Gli ho ordinato di sparire e ora..." magari avevo frainteso tutto. Magari, stavo condannando un innocente attraverso la magia. «Fermo, ti prego!» corsi al suo fianco e tentai di chiudere la ferita.

"Maledizione!" Avevo la consistenza di uno spettro: non potevo arrestare il sangue né impedire al fanciullo di spingere il vetro sempre più in profondità. «Non intendevo ucciderti» farfugliai «Posso... aiutarti. Dimmi in che modo.»

Respirava ancora, ma il colorito della sua giovinezza era sparso sul pavimento. A lui restava un pallore cadaverico.

«Cosa cerchi, fanciullo? Ti supplico, parla!»

Forse lo immaginai; però, mi parve di udire qualcosa. Essere felice, vibrarono le sue labbra, E non rimanere solo. Poi abbassò le palpebre, la villa scomparve e mi ritrovai nella grotta, col cuore del suino in mano e circondato dai necromanti. La droga mi annebbiava i sensi, l'angoscia mi toglieva l'aria.

«L'ho ucciso?» boccheggiai «È stata la magia. È pericolosa.»

Il mio mentore si avvicinò a me. «Non è vero» il suo tono era tanto pacato quanto sinistro «Non concedere alla paura di fermarti.»

Scossi la testa. Pregavo che il fanciullo fosse uno spirito buono e che avesse creato quelle immagini per aiutarmi. "In fondo, è comparso la prima notte in cui ho oltraggiato i morti" tentai di convincermi "Sapeva che il Fato mi avrebbe portato qui ed era l'unico modo di salvarmi". Dovevo sperare che fosse così, o non avrei sopportato il senso di colpa.

«Virgilio» l'uomo che avevo chiamato maestro mi sollevò il mento «Hai studiato molto per questo traguardo. Completa il rito.»

Esaminai la sua maschera lignea, un viso di satiro incorniciato da una folta criniera. Poi, spostai gli occhi sulla carcassa che avevo dilaniato. «No» dichiarai, lasciando cadere il cuore «Non voglio.»

«Non potrai tornare» mi ricordò lui con voce carezzevole.

«Non sarei mai dovuto venire.»


NdA

Che dire? Capitolo... spartiacque e decisivo per la vita di Virgilio (aveva storicamente intrapreso un percorso d'iniziazione abbandonato al momento del passaggio finale? Ebbene sì, perché lui non si è fatto mancare proprio niente), così tanto che i miei commenti di conclusione mi sembrano di troppo.

Ci tengo solo a ribadire un enorme GRAZIE a chi mi sopporta e agli amici speciali trovati in questi disagiati lidi <3

Ah, quasi dimenticavo! Non credete che sia finita qui col fanciullo. Tornerà tra qualche capitolo, ma... non nel modo in cui ci ha abituati finora, e si spiegheranno molti interrogativi... forse... Virgilio è più bravo a farsi domande che a darsi risposte. ^_^

Ultime postille: il cifrario di Cesare usato nel TW era, per restare in tema con i personaggi di questa storia, quello che lui utilizzava nelle comunicazioni militari con Quinto Cicerone Sr.!

Passando alla formula, è una rielaborazione di alcuni passi del cosiddetto Inno Cannibale del faraone Unis, parte dei testi iscritti nella sua piramide.

Infine, sia il dibattito sull'anima degli schiavi sia il modo di dire dei tre tipi di utensili erano diffusi nella Repubblica di quel periodo.

Ora ho detto tutto! Grazie grazie di nuovo e... speriamo che Virgilio la smetta di fare stupidaggini. XD XD


[Immagine di copertina: riti d'acqua]

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