CAPITOLO 11 - NON FA RIDERE
Ero sospeso a metà tra sonno e veglia, quando avvertii un respiro sul collo. Subito dopo, un tocco leggero mi accarezzò la schiena.
«Da' la colpa agl'Incubi.»
«S... Sabino?»
«Parla piano: gli altri dormono.»
Fu allora che ripresi piena coscienza. Eravamo nella scuola di Sirone, coi nostri compagni sdraiati ciascuno nel proprio giaciglio, mentre la luce delle stelle penetrava dall'unica finestra.
«Gli Dei rifiutano di concedermi il riposo» sussurrò Sabino, intrufolandosi sotto le mie coperte «La quarta notte in poche settimane! Devono essere incredibilmente ostili...» ricominciò ad accarezzarmi «...O incredibilmente benevoli.»
«Non...» le parole vennero cancellate dalle sue labbra e io non opposi resistenza. Dovevo provare ad accontentarlo. Lui aveva bisogni diversi dai miei, come il nonno aveva un modo diverso per esprimere i sentimenti, e, in fondo, a me piaceva che Sabino fosse lì. Nonostante le insicurezze, nel suo abbraccio ero... completo. "Hanno ragione: la persona amata trattiene parte della nostra anima" non osavo dirglielo, ma lo baciai con passione nella speranza che lui capisse "Soltanto quando siamo insieme, ogni cosa è al posto giusto".
Entrambi non indossavamo il subligaculum e bastava sollevare la tunica per accedere l'uno al corpo dell'altro. In breve, i nostri respiri divennero più corti e irregolari.
«Facciamolo adesso» ansimò Sabino, voltandomi all'improvviso «Sento che lo vuoi.»
«E i nostri compagni?»
«Navigano nel secondo sonno.»
«Potremmo svegliarli... o sbagliare qualcosa... o farci male...»
«Tutte scuse» mi fermò lui deluso «Non ti fidi di me.»
«Cosa non si fida?» il mugolio provenne dal letto accanto al nostro e, subito dopo, ci trovammo gli occhi di Marco Catone puntati addosso. «È estate» sibilò gelido «Andate fuori.»
Avvertii il mio cuore mancare un battito. «Intervieni» bisbigliai all'orecchio di Sabino «Digli che ha frainteso.»
Lui, però, fece spallucce. «Non temere, Marco: stavamo per dormire. Scusa se ti abbiamo svegliato». Prima che io o Catone potessimo ribattere, sgusciò fuori dalle coperte e raggiunse il suo giaciglio; poi, si avvolse nella lana dandoci le spalle.
«Hai mal interpretato...» balbettai «Sabino era... noi...»
«Non ho chiesto spiegazioni, mantovano» l'espressione altera trasudava tutto il suo disprezzo. Di basso rango, goffo, lento di parola e per nulla virile; ecco come mi considerava, ed era così evidente da mortificarmi.
Rimasi fermo a immaginare i peggiori risvolti per quella situazione, ma, al mattino, non notai il benché minimo cambiamento nei miei compagni.
«Torneremo tra sette giorni» dichiarò Marco Catone, assumendo l'abituale ruolo di capogruppo «Sirone ci permette di lasciare gli effetti personali nella scuola e Volumnio Eutrapelo verrà incontro a qualsiasi nostra esigenza.»
Mentre lui dava indicazioni, io mi avvicinai a Sabino. «Ci ha visti!» mormorai sottovoce.
«Non stavamo facendo niente.»
«Però, ora sa...»
«Lo sa da sempre» dichiarò, con una naturalezza che mi sorprese. Io non avevo detto nulla a Cornelio – evitavo persino di nominare Sabino – e non sapevo come considerare quella scelta.
"In che termini avrà parlato di me?" mi chiesi durante l'intero tragitto "Sono importante, o uno svago passeggero?". Ero talmente assorto, da non badare agli arredi che impreziosivano la dimora di Volumnio Eutrapelo. Passai per corridoi e porticati senza accorgermi di ciò che avevo attorno e soltanto il vociare proveniente dai giardini mi riportò al presente.
Il convivio era allestito in un immenso pergolato ricolmo di fiori e pietanze d'ogni genere. C'erano troppi invitati, troppi gioielli, troppi vini, troppi schiavi... era tutto eccessivo, e io avanzavo tra la folla con circospezione, ricambiando sorrisi e strette di mano nel costante timore di tradire le mie origini provinciali.
«Ci rivediamo a Posillipo!» il padre di Quinto mi venne incontro con aria accogliente «Ecco il giovane che ha salvato il mio cavallo da morte certa!» non sapevo se le sue parole contenessero un velato scherno, ma non ebbi il tempo di replicare che lui proseguì incalzante «Quinto si comporta bene, oppure la Cilicia l'ha trasformato in un barbaro?»
"Perché lo chiede a me?" fin dal nostro primo incontro, Cicerone mi dedicava attenzioni che avrei evitato volentieri. «Tuo figlio è... Vi assomigliate molto.»
«Grazie agli Dei, non ha preso dalla madre!» sorrise, accennando a una donna minuta ai margini del pergolato. Era più coperta delle altre matrone, eppure non riusciva a celare una magrezza eccessiva. I capelli scuri incorniciavano un viso cereo, dagli zigomi sporgenti, e lo spesso strato di trucco nascondeva a stento le occhiaie. Accanto a lei, Quinto era diverso dal ragazzo che conoscevo: lo vidi protettivo, attento, preoccupato.
"Dunque, è questo" conclusi, ripensando ai mesi trascorsi ad Andes "Sua mamma sta male, proprio come Silone e mio padre".
«Virgilio?» la voce di Cicerone spazzò via i ricordi «Ti ho fatto una domanda.»
«Ehm... io... potresti ripetere?»
Lui sollevò un sopracciglio e ordinò a un servo di portarci del vino. «Bevi, o il tuo disagio rimarrà palese» esclamò «Non è buona norma che un invitato sia tanto distratto da ignorare le basi della convivialità». Attese finché non ebbi svuotato l'intero calice, quindi me ne versò un secondo. «Va meglio?»
"No". «Indubbiamente.»
«Ebbene, ti avevo chiesto se fosse vero» proseguì pacato «Mio figlio sostiene che sei nato in una terra incantata e ne conosci le leggende.»
«Gli avevo raccontato la storia di Manto» minimizzai.
«Manto» ripeté lui «La figlia di Tiresia, un mortale col dono della preveggenza in grado di mutare la propria Natura.»
«Così si narra» sospirai, desideroso di terminare la conversazione.
«E, nelle storie bisbigliate al Nord, si dice nulla a riguardo? Cambiare forma è possibile?»
«Alla maniera dei licantropi, per esempio?»
Cicerone scosse la testa. «Perché abbassarsi allo stato animale? Pensavo più... a un demone.»
«U... un demone?» sorseggiai in fretta il terzo calice.
«Alcuni uomini si trasformano in demoni dopo la morte» spiegò lui «Li chiamano alastori, gli eredi di Alastor, signore della Solitudine.»
Al suono di quel nome, la mia mente volò allo spettro insanguinato apparso l'anno precedente. «Temi che Catilina sia uno di loro?» tutti sapevano che Catilina e Cicerone erano stati nemici giurati, e io ero troppo ubriaco per ricordarmi di aver svelato solo a Cornelio l'incontro avvenuto nella necropoli «Tuo fratello ha paura che torni dai morti per vendicarsi?»
«Oh no!» rise lui, senza dare peso alle mie parole «Catilina è nel Tartaro, alle porte di una città rossa e minacciato dalle Erinni.»
«C... cosa?»
«Fidati» soffiò in un sibilo capace di raggelarmi e, in quell'istante, capì come sfruttare le mie angosce a suo vantaggio. «Tu desideri sapere, Virgilio, e io posso aiutarti» mormorò «Se seguirai le mie indicazioni, troverai molte risposte.»
Stava per proseguire, quando entrò nel pergolato una figura che fece voltare tutti i presenti.
«Volumnia Citeride, più bella di una Dea e più calcolatrice della peggior sgualdrina» dichiarò Cicerone, con un trasporto che non mi sarei aspettato «In fondo, sia gli Dei che le meretrici appartengono a chi li reclama.»
«Gli Dei ci governano.»
«Oppure il contrario» mi provocò «Il giorno in cui nessuno li pregherà più, non cesseranno forse di esistere? Mito e favola sono linguaggi talmente simili che, spesso, si confondono.»
Dissentivo, ma rimasi in silenzio, concentrandomi sulla giovane appena arrivata. Indossava una toga identica a quella dei senatori, si esprimeva in tre lingue diverse e tesseva discorsi degni di un eccellente oratore, citando filosofi e politici che io stentavo a ricordare. E poi... capelli di miele, labbra rosee, grandi occhi celesti, corpo snello e pelle cesellata: sembrava l'incarnazione di Venere.
«Non lasciarti ammaliare» mi avvertì Cicerone «È un'attrice. E ogni mossa è pura menzogna.»
In effetti, più la osservavo e più l'intero pergolato pareva il suo palcoscenico.
«Nata schiava. Volumnio Eutrapelo l'ha cresciuta, istruita e, di recente, resa una liberta» spiegò ancora Cicerone.
«Dunque, significa che adesso è una donna libera» tentai di riassumere, mentre il vino ingerito iniziava a darmi la nausea.
«Significa che non è sconveniente se giace coi patrizi» mi corresse lui «Conosci il detto per uno schiavo è una necessità, per un liberto è un dovere? Insomma, un padrone resta tale anche dopo esser stati affrancati, e Volumnio Eutrapelo non poteva certamente proporre ai suoi amici una serva.»
"Ma, allora... che Libertà è?" persi l'occasione di rivolgergli quella domanda nell'attimo in cui cominciò l'intrattenimento, uno spettacolo in grande stile con nani, giovinetti e donne esotiche.
Cicerone, sempre accanto a me, aveva un sorriso smagliante; forse rapito dalla bravura degli attori, forse soddisfatto dall'esito del nostro breve colloquio.
Intanto, terminata una danza, tre ragazze stavano gareggiando per stabilire chi fosse la coppiera migliore: dovevano riempire decine di calici, bere e offrirli senza rovesciare una singola goccia.
"Non sembra difficile" ragionai, sforzandomi d'ignorare la nausea. Dopo, però, altrettanti uomini si posizionarono alle spalle delle giovani e le afferrarono per i fianchi.
Impiegai qualche secondo per comprendere, ma, appena capii, distolsi lo sguardo. "Non voglio vedere! È disgus..." osservai il pubblico e notai che, a differenza mia, ridevano tutti: rideva Sesto, attorniato da un manipolo di soldati; rideva Sabino, con quell'aria sorniona a cui non sapevo resistere; rideva persino Marco Catone, sebbene in modo più compassato.
Ero intento a scrutarli, quando una vampata improvvisa mi diede le vertigini: dovevo andarmene al più presto. Così, cercai d'inspirare adagio e di aprirmi un varco tra la folla.
«Uccidi quel maledetto servo!» gridava nel frattempo uno degli attori, interpretando la parte di una moglie bisbetica.
«Per quale colpa?» domandava il giovane col ruolo del marito «Che crimini ha commesso? Potete dirlo voi?»
Il pubblico continuò a sghignazzare senza, tuttavia, fornire risposte. Io, invece, volevo soltanto raggiungere un luogo isolato.
«Il servo che accusi è innocente, moglie mia» proseguiva il giovane attore «Prima di punire un uomo, dobbiamo averne motivo.»
«Imbecille! Un servo non è un uomo» replicò l'altro «Il mio desiderio basta per metterlo in croce.»
Sull'ultima battuta, il brusio crebbe. «In croce! In croce!» fecero eco alcuni, battendo le mani, mentre decine di risate riempivano l'aria.
Fu allora, nell'uscire dal pergolato, che incrociai gli occhi di Volumnia. Anche lei era emersa dalla calca, e mi fissò per un istante. Schiava o liberta, voi non mi ritenete comunque un essere umano, sembrava comunicare con la sua espressione cupa.
E io avvertii un brivido.
Stavamo scherzando sulla vita di chi, come lei, non possedeva una bulla. I miei compagni, illustri patrizi e politici si divertivano, ma, in verità, non c'era niente da ridere.
NdA
A cinque mesi dall'inizio di quest'avventura eccoci qui! Prima di tutto, non posso non ringraziare chiunque abbia dedicato un momento alla storia (spesso disagiata XD) di Virgilio <3 In alcuni di voi, ho trovato i migliori lettori che potessi desiderare, e non posso che esservi grato. Ebbene, in segno di ringraziamento, metterò qualche spiegazione:
1) Primo sonno, secondo sonno, che è codesto delirio? Forse sembrerà strano, però, i romani praticavano il cosiddetto sonno bifasico: andavano a letto presto e dormivano 3-4 ore, poi si svegliavano per un po' (spuntino di mezzanotte, meditazione extra, letturina sotto le stelle... occupate come vi pare il vostro periodo di veglia notturna; meglio se con attività rilassanti), quindi si riaddormentavano per altre 4-6 ore. Almeno, questo era l'analogo del nostro "otto ore di sonno per notte"!
2) Il subligaculum era una specie di mutanda da notte. Detto così è inquietante, come il fatto di voler dormire con le mutande (io mi oppongo!), ma tant'è. E, al posto del pigiama, i romani usavano spesso il subligaculum + subucula (che, per intendersi era la tunica indossata pure di giorno);
3) Non mi sono soffermato sullo spettacolo perché già così non era family friendly. Comunque, sappiate che il delirio da equilibrista con un tizio fa XYZ con te era un'usanza autentica; mentre la scenetta sugli schiavi sarà ripresa in forma leggermente diversa e meno "a canovaccio" da Giovenale;
4) Il detto riportato da Quinto Cicerone Sr è tramandato anche da Seneca e si riferiva proprio all'obbligo di andare a letto col padrone (o con chi volesse lui).
Per qualsiasi altra curiosità, io sono qui! Nel frattempo, vi chiedo: perché mai Sabino ha raccontato i fatti suoi a Marco? Ha intenzioni serie o sta vivendo tutto come un gioco? E Quinto Cicerone Sr, cosa vorrà esattamente da Virgilio? Perché ha citato gli alastori e il cambiare Natura? Vuole fare il transgender-demoniaco made in Antica Roma?
Oh beh, queste NdA sono fin troppo lunghe!! Grazie ancora e... al prossimo capitolo! <3
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