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«Tooru

Il suo sguardo si addolcì, allargando le labbra in un sorrisetto imbarazzato. Notai solo quando tirò la mano dietro per porgerla nel retro della nuca, – gesto che faceva di solito quando si trovava casualmente in imbarazzo – che indossava la tuta di pallavolo dell'Aoba Johsai.

«Che ci fai qui?» gli chiesi risultando più sorpresa che irritata dalla sua presenza, spostandomi una ciocca di capelli sfuggita dalla coda dietro all'orecchio.

Diedi colpa alla mia immaginazione oppure alla luce soppiatta dei lampioni, ma ero sicuro che alla mia domanda le sue gote si colarono di rosso. Uno come Tooru, alla notte di Capodanno, l'avrei immaginato godersi gli ultimi momenti con la sua squadra, dato che non avrebbe partecipato alle Nazionali e quello sarebbe stato il suo ultimo anno con i ragazzi.

«Sono passato a trovarti e... – possibile che fosse così dannatamente carino quando era imbarazzato? – volevo sapere come stessi. Ho saputo da una voce anonima che presto ti trasferirai di nuovo.»

Le voci giravano in fretta, ma non credevo che anche dove si trovasse lui le persone conoscevano la mia situazione. Però, la Toda era molto famosa tra i nostri avversari, non avrebbe dovuto stupirmi più di tanto. Ciò che mi lasciava interdetta era proprio lui che si trovava lì, di fronte casa mia, per vedermi.

«...Ma vedo che sei in compagnia. Quindi, vado!» aggiunse, indicando Takahashi al mio fianco.

Mi preoccupai subito a mettere in chiara la situazione. Anche se non avrebbe dovuto fregargli. Ma in qualche modo non volevo che pensasse che me la facessi con uomini più grandi. «Lui è mio zio... – sbattei ripetutamente le palpebre – Mi stava accompagnando a casa.»

«Oh!» fece Oikawa, alternando lo sguardo da me a Takahashi. «Piacere, io sono Oikawa Tooru: un vecchio amico di Kaori», e gli porse la mano come segno di cortesia.

Takahashi invece, guardò prima la mano grande e aperta di Oikawa e scosse il capo, sorridendo in modo nervoso. «Lo so chi sei, ragazzo», sentenziò e girò la testa per guardarmi. «Sei sicura che non vuoi che aspetti con te? Tuo fratello potrebbe ritornare verso l'alba...–»

«No. No, va bene così. – sorrisi a labbra strette – Grazie per la compagnia... zio

Takahashi mi guardò confuso per un secondo ma subito di rese conto che era il motivo di come l'avevo presentato ad Oikawa, sorridendo di rimando. «Okay – Chiamami se hai bisogno di...», squadrò dalla testa ai piedi Tooru e ritornò poi su di me. «...qualunque cosa

Annuì. «Certo! Ci vediamo», Takahashi mi fece un cenno e si voltò, dandoci le spalle, camminando da dov'eravamo venuti. Sospirai profondamente e guardai Oikawa, stringendo le braccia al petto. «Dovresti andare anche tu», affermai con serietà e inarcai un sopracciglio.

«Non mi avevi mai detto di avere uno zio», commentò poco convinto della mia scusa plausibile, assottigliando gli occhi. Certo, come avevo fatto ad essere così sciocca? Tooru non era di certo uno stupido.

«Non me lo hai mai chiesto», ribattei più seria che mai, sfuggendo dai suoi occhi indagatori raggiungendo la porta d'ingresso.

«Kaori», percepì i suoi occhi bruciarmi dietro alla nuca. «...Mi sono comportato come uno stronzo l'ultima volta. Lo so. Posso capire se non vuoi vedermi neanche da un miglio di distanza...», guardai la maniglia della porta e chiusi d'istinto gli occhi accorgendomi di non aver le chiavi di casa. «Ma vorrei parlarti. Dico davvero. – lo sentì calpestare il cemento della strada segno che si stesse avvicinando – Vorrei raccontarti alcune cose... parlare con te mi ha sempre fatto bene...»

Mi passai una mano sulla fronte quasi esasperata e mi voltai di scatto, guardandolo senza alcuna espressione in viso. «Raccontarmi delle cose?» replicai sarcastica. «Credevo che fossi stata chiara: non voglio più averci niente a che fare con te. Ho provato a convincermi che fossimo entrambi due persone completamente opposte, e visto che tu sei la tipica persona che ama talmente tanto fino a tradire, ed io l'ingenua della situazione, non capisco di cosa tu voglia parlarmi», affermai risoluta.

«Ma se hai scopato con il mio migliore amico?!» risuonò più come un'affermazione ben evidente e marcata, al che mi fece fremere le mani dal nervoso.

«Non stavamo più insieme!» sbottai.

«Questa sarebbe la tua giustificazione, Kaori?!» sbottò, alzando il tono di voce. «Solo perché non stavamo più insieme non significa che potevi scoparti i miei amici o i componenti della mia squadra. Cazzo!»

Avrei voluto tanto applaudire all'universo per aver reso la mia serata uno vero schifo. Ci mancava solo la discussione con il proprio ex davanti all'uscio di casa. Perché le cose più assurde accadevano proprio a me? Credevo che l'avessimo superata, che ognuno di noi fosse andato avanti a testa alta, ma... il passato continuava a bussare alla mia porta pur di ritornare a fare breccia nel mio cuore. Non potevo più sopportare tale peso, mi sentivo come se ognuno aspettasse la mia prossima mossa oppure l'ultima parola, poiché colei che doveva essere giudicata, ero solamente io.

Ma d'altronde, avevo imparato a mie spese che era meglio essere infedeli che essere fedeli senza volerlo essere.

«Sei solo una troia», commentò serio ed io sorrisi.

«E tu un figlio di puttana. Vedi?», ridacchiai amaramente. «Ci completiamo a vicenda», ringhiai.

«Adesso, dico davvero, dovresti andartene. Mio fratello tornerà tra poco», Keishin non avrebbe fatto ritorno a casa neanche il primo dell'anno a dire la verità. Sarà stato troppo ubriaco per preoccuparsi della sua sorellina sbadata che dimenticava le chiavi di casa e il cellulare. Almeno, avevo il cappotto di Takahashi che mi avrebbe tenuta al caldo per il resto della nottata.

Oikawa però rise di gola e scosse il capo. «È una minaccia?» corrucciai la fronte. «Tuo fratello non mi fa paura, Kaori, se è questo il tuo scopo.»

«Sai, a volte si crede che le persone possano cambiare, e invece guardo te e mi rendo conto che resterai il solito stronzo che non avrà nient'altro che delusioni nella propria vita, perché sei soltanto un magnanimo egoista che pensa a se stesso. Ecco cosa, Tooru!» sbottai a fiato corto. Oikawa mi guardò severamente negli occhi. «Per favore, se sei venuto qui solo per dimostrarmi quanto tu sia superiore a me, vattene. Non ho bisogno del tuo essere egocentrico per andare avanti.»

Fuori dalla paura c'era un sospiro di sollievo bellissimo. L'estrema sensazione di sollievo nel smettere di sperarci. La cosa peggiore che poteva accadere era finalmente accaduta. E c'era una specie di liberazione in questo, forse.

«Ero venuto qui perché volevo darti questa... – mi lanciò un'occhiata veloce e mise una mano in tasca, lanciandomi poi l'oggetto; lo afferrai al volo e notai che fosse una collanina con ciondolo penzolante ad ala. Alzai lo sguardo su di lui, confusa – L'ho comprata due settimana fa a Tokyo; l'ho vista e ho pensato subito a te...»

«Tooru...», chiusi gli occhi e sospirai.

«No. No, non dire nulla. – gesticolò freneticamente le mani davanti, interrompendomi – Volevo... Volevo solo che l'avessi. Tutto qui. È solo una sciocchezza», infilò le mani in tasca e sollevò un angolo della bocca in un sorrisetto amaro, retrocedendo di un passo. «Buon primo dell'anno, Kaori. Buonanotte.»

Aprì bocca per rispondergli ma l'unica cosa che uscì furono dei sospiri spezzati. Non sapevo cosa dirgli. Fu la prima volta che mi lasciò senza parole. Abbassai gli occhi sulla catenina con il ciondolo ad ala, mentre Tooru si voltò e mi diede le spalle per andarsene.

«A-Aspetta, Tooru!» istintivamente il mio corpo si mosse da solo e feci un passo in avanti. Lui mi ascoltò e si fermò su suoi passi, guardando davanti a sé. Presi un grosso respiro e guardai un'ultima volta la collanina nella mia mano. «Io non posso... Non posso accettarla, Tooru. Non è giusto...» nei confronti della persona con cui sto.

Oikawa girò la testa, incastrando il mento sulla spalla e sorrise a labbra strette. «Non è un regalo per ritornare insieme, Kaori. Puoi accettarla come... – esitò un secondo, pensieroso – Come una sorta di una nuova amicizia che sta per nascere. Tutto qui.»

Abbassai lo sguardo e corrucciai la fronte, prendendomi il labbro a morsi. «Ma dopo tutto quello che è successo...» ribattei in soprappensiero, stringendomi una mano al petto. Oikawa si voltò completamente con il corpo e improvvisamente afferrò il mio viso nelle sue mani, sollevandomelo su. Lo guardai confusa.

«Me lo merito. – ammise in un sospiro profondo, ma subito smascherò quella sofferenza in uno dei suoi sorrisi luminosi – Chiunque avrebbe reagito così... o peggio. Perciò, nessun rancore, okay?»

Inghiottì a vuoto e annuì. «Okay», sussurrai.

Inaspettatamente, Oikawa avvolse le sue braccia lunghe attorno alle mie spalle e mi strinse in un forte abbraccio, appoggiando il mento sul mio capo. Strabuzzai gli occhi vibranti, sentendomi un attimo sollevata dal suo gesto innocuo, stringendomi a lui. Prima di staccarsi, schioccò un bacio lungo e delicato nei miei capelli, facendomi percepire il calore che emanava.

«Buonanotte...», sorrise dolcemente e fece un passo indietro. Ricambiai quel sorriso un po' imbarazzata, congiungendo le mani in due pugni pigri sul petto.

«Buonanotte anche a te, Tooru.»







Il giorno dopo fu un trauma svegliarsi e rendersi conto di aver dormito sul divano. La sera precedente ero riuscita ad entrare in casa solo perché la finestra della mia stanza era socchiusa, e arrampicandomi come uno scimpanzé al muro di piante attaccate alla parete di legno della casa, riuscì ad entrarvi dentro.

Invece, per quanto riguardava la situazione di aver dormito sul divano, era dovuta dal fatto che non riuscivo a prendere sonno e dopo un viaggio in cucina con una bella tisana, mi ero accomodata sul divano a guardare la tv. La tisana alle erbe aveva il suo tocco naturale e salutare da farti andare in coma per una manciata di giorni. Un buon rimedio per chi soffriva di insonnia.

Alzai le braccia lunghe in alto e mi stiracchiai con tanto di versi, sollevandomi poi con i gomiti. Mi guardai attorno cercando di connettermi alla realtà e rendermi conto che la figura in versione zombie accanto al pilastro della cucina era proprio Keishin che sorseggiava quel che sembrava una buona dose di caffeina.

«Keishin?» borbottai con la voce bassa e assottigliai gli occhi per la luce solare che penetrava dalla tapparella della finestra in salotto. «Ma che ore sono? – guardai l'orologio appeso alla parete e notai che fosse troppo presto, anche per uno come Keishin – Per l'amor del cielo! Che ci fai alzato a quest'ora? Sono solo le otto del mattino!»

Mio fratello invece, alzò un dito come per ammutolirmi con gli occhi chiusi, mentre con l'altra mano tenne la tazza dal manico. Sollevai un sopracciglio. «Non dire una parola», borbottò con la voce impastata di uno che, come al suo solito, aveva bevuto fin troppo.

Sospirai e buttai gli occhi all'indietro così come il corpo, ricadendo di schiena sul divano. «Voglio anche io quello che stai bevendo», esordì con gli occhi rivolti verso il soffitto.

«È caffè.»

«Sì, una tazza di caffè, allora.»

«Alza il culo e prenditela.»

«Keishin!» piagnucolai. «Perché sei così crudele?»

«Perché sono tornato soltanto ora dalla mia serata emozionante, e tra un'ora dobbiamo andare al santuario con il vecchio. Mi ha telefonato. Ci sta aspettando già lì.»

«E che cosa c'entra con la mia tazza di caffè?» Mi sollevai di scatto con il busto, guardandolo male. Keishin fece spallucce.

«Semplicemente mi annoio», rispose con ovvietà, portando la tazza alle labbra. Sbuffai e senza voglia, mi alzai dal divano borbottando di quanto fosse inutile avere un fratello maggiore se poi non si limitava a soddisfare le esigenze di quello minore, raggiungendo a passi pesanti come quelli di un elefante le scale che portavano al piano di sopra.





Finì la mia preghiera di ringraziamento verso gli dei e aprì gli occhi, posando una moneta all'interno di un cofanetto per le offerte e accesi la mia candela che equivaleva ad un desiderio realizzabile per l'inizio del nuovo anno.

Io avevo molti desideri. Forse troppi per una singola persona. Desideravo che il vecchio campasse cento anni, che Keishin realizzasse i suoi sogni e che magari si sposasse con una bella donna prima dei trenta; desideravo vedere il fantasma di mia madre, anche se questo lo avrei messo nella casella di "cose irraggiungibili"; volevo che le mie compagne di squadra riuscissero a realizzare, passo dopo passo, ogni obiettivo, così come i ragazzi della Karasuno; e forse, desideravo anche di incontrare mio padre. Ma era una cosa irraggiungibile anche questa.

Elencai ogni desiderio nei confronti dell'altro, ma non avevo espresso un desiderio che partiva da me. Un desiderio tutto per me che mi avrebbe fatto diventare egoista, in parte. Forse i miei desideri non erano così importanti da essere ascoltati e forse–

«Kaori, vieni» il nonno mi porse la sua mano ed io la afferrai, alzandomi sulle ginocchia con il suo aiuto. Da quando la sua situazione clinica stava migliorando, non potevo essere più felice. Stava bene. Camminava da solo senza affaticamento, anche se alcune volte doveva fermarsi per riprendere fiato. Prendeva regolarmente le sue medicine, pure se consisteva di ficcargliele in bocca come un bambino capriccioso. Eppure... Eppure non riuscivo a stare tranquilla. Avevo paura che prima o poi avrebbe avuto il millesimo crollo. Il millesimo.

«Guardate lì, c'è una bancarella di souvenir. Che ne dite se ne prendiamo qualcuno?» Mio fratello indicò una bancarella poco più lontana da dove ci trovavamo, stretto nella sua grande sciarpa di lana con la punta del naso arrossata. Faceva davvero freddo, uno di quei freddi che partivano dopo una tempesta, eppure c'era un sole che spaccava le pietre.

Mi strinsi nel mio giubbotto pesante e sistemai goffamente il cappello di lana in testa, annuendo piano. «Va bene.»

Raggiungemmo la bancarella e notai che ci fossero molte statuette che rappresentavano i dodici segni zodiacali, più il gatto che non apparteneva al gruppo. Era una leggenda giapponese molto famosa che parlava di come il gatto, ingenuo e buono, aveva creduto alle parole del topo, ovvero che la festa organizzata da Dio che consisteva di invitare tutti gli spiriti, era stata spostata il giorno dopo anziché in quel giorno. Ma non fu così. Il gatto venne ingannato e il topo, superando gli altri animali dello zodiaco, riuscì a raggiungere Dio per primo e divenne uno dei suoi preferiti. Il gatto non venne riconosciuto come tredicesimo segno zodiacale, dato che non andò alla festa, e venne marginato.

Era una storia triste che mi veniva raccontata sempre dal nonno e ciò, mi fece comprendere che assomigliavo molto al gatto; ingenuo, credulone, fiducioso verso il prossimo, buono. Eravamo completamente identici.

«Ti piace il gatto?» sussultai essendo stata presa alla sprovvista e guardai il nonno al mio fianco con uno dei suoi sorrisi calorosi; arrossì senza una spiegazione logica. Senza essermi resa conto, avevo afferrato la statuina del gatto, e la posai subito dopo al suo posto.

«No... cioè... è carino. Ma stupido. Non me ne faccio niente di un animale stupido e... ingenuo», farfugliai nervosamente.

Il vecchio rise di gola. Lo guardai perplessa. «Il gatto è tutto fuorché stupido, Ori. Dovresti saperlo; ti ho raccontato quella storia molte volte. Il gatto non ha bisogno di essere circondato da tante persone, così come le persone che hanno a cuore le più preziose...», afferrò la statuina che avevo posato precedentemente e notai i suoi occhi illuminarsi. «Il gatto è intelligente: aspetta di circondarsi di persone a cui tiene e che lo vogliono bene. Proprio come te, proseguì, mettendomi la statuina nella mano. «Sii fiera di ciò che sei e vedrai che il gatto diverrà migliore del topo...», le mie labbra si schiusero dallo stupore. «Quanto le devo?» chiese alla signora dietro al bancone.

«Centotrenta yen!» rispose la signora cordialmente e il nonno le sorrise.

«Tenga il resto. A mia nipote serve una fortuna diversa», e mi sorrise dolcemente. «È un nuovo anno, per lei


– – –

Volevo informarvi che ho pubblicato alcuni giorni fa un video edit su Haikyuu sulla piattaforma Tik Tok. Se siete interessat*, passate a dare un'occhiata. Mi farebbe molto piacere.

@asiacampanile1 <— è il mio account dove pubblico le citazioni sulle mie fan fiction. <3

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