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«C'è un sacco di gente», mormorò Hinata stringendo la tracolla del borsone, guardandosi attorno. Lo guardai di sottecchi e inarcai un sopracciglio, sistemandomi l'unico auricolare all'orecchio, mentre Thunder degli Imagine Dragons risuonò nella mia testa.

«È una degna finale con una delle migliori squadre del Giappone», ribatté Tanaka, camminando avanti a noi con Nishinoya al suo fianco.

«Non è il momento di farsela sotto», esordì Nishinoya. «L'essere bravi qui ci renderà soltanto più fichi...», ed eccoli che ricominciavano a fantasticare sulle loro qualità da attrarre un gruppo di oche sbizzarrite che urlavano a gran voce i loro nomi.

Alzai gli occhi al cielo riflettendo sul fatto che fossero maschi e i maschi erano stupidi quando si trattava di gonfiare il loro ego. Infilai le mani nelle tasche del giacchino e concentrai la mia attenzione su Hinata. «Sei preoccupato?» Il piccoletto scosse il capo, ma i tratti facciali del suo viso divennero più tesi, tradendolo. «Puoi dirmelo se vuoi. Magari, parlarne ti farà stare meglio. Ovviamente, spero che tu non voglia vomitarmi nuovamente addosso», Hinata rabbrividì come un gatto. Forse non era stata una buona idea avergli ricordato quell'avvenimento. «Ehi...», appoggiai una mano sulla sua spalla e lo fermai: Hinata saettò gli occhi nei miei. «Dico davvero... vuoi parlarne?»

«Voglio batterlo», disse. «Voglio battere Ushijima», ribadì terribilmente serio. Le sopracciglia mi schizzarono verso l'alto dalla sorpresa e sollevai un angolo della bocca all'insù. Avevo creato un piccolo grande mostro.

«Lo farai», e annuì credendoci in primis. «Oppure diverrai la mascotte della Karasuno e i tuoi giorni non saranno affatto facili», aggiunsi.

«Da quando la Karasuno ha una mascotte?» Chiese confuso con un cipiglio sulla fronte.

Feci finta di rifletterci. Anche perché nel regolamento della Karasuno non prevedeva alcun rigo specifico dove la squadra avrebbe dovuto avere una mascotte. Ognuno era libero di poter decidere cos'era meglio e cosa non. Per esempio, non tutte le altre squadre avevano un manager; quelle che le avevano si contavano sulle dita di una mano.

Tuttavia, metterlo sotto pressione era il minimo che potessi fare, in modo tale che non mollasse alla prima divergenza. Sapevo che il muro della Shiratorizawa fosse una spina nel fianco, ma nessuno di loro doveva pensare di non potercela fare. I muri venivano costruititi per poi essere abbattuti. Non importava di quale materiale venissero costruiti, bisognava credere di potercela fare e se il fallimento poi bussava alla tua porta, bisognava sbattergli in faccia: «Ho tentato e ci ho provato.»

«Da oggi», feci spallucce.

«Non devi andare al bagno, Hinata?» Domandò con un ghigno beffardo Tanaka, facendo spalancare gli occhi al piccoletto. Portai le dita alle labbra per nascondere un sorrisetto divertito.

«Ci sono andato prima!» Sbottò rosso in viso.

Improvvisamente, due ragazzi che non avevo mai visto, si presentarono davanti a noi e salutarono Hinata con molta confidenza. Al ragazzo gli si illuminarono gli occhi e li presentò, sia a me che a Tanaka, con i nomi di Izumin e Koji. Facevano parte del club di pallavolo delle medie di Hinata, ovvero gli amici che lo avevano aiutato per la partita contro la vecchia squadra di Kageyama.

Erano simpatici, anche se piuttosto timidi. Ogni qualvolta che chiedevo come se la cavasse il piccoletto alle medie, senza le basi e la giusta tecnica della pallavolo, loro mi rispondevano a monosillabi, lasciandomi perplessa e interdetta.

Hinata si vantò che la sottoscritta fosse la sua -senpai, la quale lo prendeva senza problemi a calci nel sedere se sbagliava oppure non ascoltava. Lo trovai assurdo che lo avesse rivelato con una certa nonchalance, persino Tanaka si trattenne dal ridere. I due ragazzi erano arrossiti, forse un po' troppo. Credetti di dover spegnere l'incendio delle loro facce con l'estintore prima che prendessero letteralmente fuoco.

Mentre eravamo persi in chiacchiere, Kageyama ci richiamò, incalzandoci a raggiungere il gruppo. «Ora dobbiamo andare. Fate il tifo per noi!» Esclamò il piccoletto e li salutammo, prima di avanzare il passo e riconciliarci con gli altri.

Affiancai Kageyama alla sua sinistra e Hinata alla sua destra. «Chi erano quei tizi?» Domandò il corvino.

«Hanno giocato con me alla partita delle medie», ribatté guardandolo di malo modo. «Come puoi non ricordarteli?»

«Che palle! Mica posso ricordarmi di tutti quanti?» Sbuffò.

Alzai un sopracciglio davanti alla sua arroganza. «Certo che sei proprio uno stronzo quando ti ci metti!»

«È proprio per questo che non hai amici, mio caro Kageyama!» Sghignazzò Hinata, il quale mi fece sorridere, ma il corvino sembrò tutto tranne che felice del commento.

«Lei è mia amica», e mi indicò con un dito.

«Aspetta... che?» Corrucciai la fronte. «Quando abbiamo stabilito 'sta cosa?» Intrecciai le braccia al petto e Kageyama mi lanciò un'occhiataccia. Perché tutto ad un tratto ero diventata il soggetto della loro discussione?

«Vedi? Kaori-chan non è tua amica. Nessuno sopporta il tuo carattere lunatico!» Lo fronteggiò.

«Mi hai rotto!» Kageyama ricambiò la provocazione, tentando di acciuffarlo per poterlo strapazzare come un pupazzo. Magari, anche staccargli la testa dal collo come una bambola di plastica.

«Voi due... smettetela subito! Mi farete venire l'emicrania...», si intromise il capitano con un diavolo per capello, massaggiandosi il ponte del naso. «Neanche la finale riesce a farvi andare d'accordo più di cinque minuti?»

Respirai profondamente dal naso. Sarebbe stata una lunga giornata. Intrecciai le dita per scaramanzia. Con quei due, tutto era possibile.


All'inizio del torneo mancavano venti minuti, così ne approfittai di andare al bagno prima che cominciassero. Mi avvicinai al lavandino, aprì il rubinetto e mi lavai frettolosamente le mani, asciugandole con una tovaglia di carta. Prima di uscire dal bagno, controllai il mio riflesso allo specchio; sfiorai le occhiaie dovute alle poche ore di sonno e sbuffai sonoramente. Sembrava che qualcuno che mi avesse gettato giù dal letto.
Gettai i capelli dietro alla schiena e portai alcuni ciuffi corvini dietro alle orecchie, avviandomi verso la porta e uscire.

Quando chiusi la porta del bagno alle mie spalle, ringraziando la mia sbadataggine cronica, andai a scontrarmi con una figura, la quale mi afferrò prontamente dalle spalle per non rischiare che finissi con il sedere per terra. «Scusami, non ti ho –», ma le parole mi morirono in bocca vedendo chi fosse. «Ushijima», lo salutai secca.

«Ukai», ribatté impassibile, indurendo i tratti facciali del suo viso. Alzai gli occhi al cielo e mi scostai dalla sua presa, facendo un passo all'indietro.
«Mi aspettavo di incontrarti diversamente.»

«Già, concordo», strinsi le braccia al petto. «Quasi quasi, ritorno in bagno. Averti visto è come mangiare un quantità infinita di cioccolato», e feci un'espressione innocente, massaggiandomi la bocca dello stomaco.

Ushijima però, mi guardò neutrale. Non gli toccò assolutamente il mio commento indiscreto. «Wow! Era un offesa?», allargò le labbra strette in un sorriso. «Dovresti lavorarci su, sai? Intendo - gesticolò con una mano sotto al mio sguardo accigliato - con i commenti disprezzanti. L'ultima volta mi hai dato della testa d'uovo...», mi ricordò con una smorfia.

«Tecnicamente lo sei ancora», marcai a denti stretti. Come mi innervosiva lui, nessuno c'era mai riuscito. «Ora, se permetti, dovrei andare...», proseguì. «Mi sarebbe piaciuto parlarti, ricordare i vecchi momenti, ma sei la solita testa di –»

«Cavolo. Dii cavolo. Sei una femmina», mi interruppe puntiglioso e inarcò un sopracciglio.

Sgranai gli occhi e strinsi i pugni. «Cavolo», ringhiai. «Sei una testa di cavolo», ribadì concisa. Ma chi era, mio padre? «Oddio!» borbottai rendendomi conto di avergli dato corda e gli diedi le spalle di scatto, pronta ad andarmene.

«Ho saputo che tu e Oikawa non state più insieme», era solo la mia impressione o voleva tenere su una conversazione con la sottoscritta?

Mi girai a metà corpo e cercai di capire qual era la fregatura alla sua domanda. «Sì, e allora?»

Alzò e abbassò le spalle. «Rispetto Oikawa come giocatore, ma come persona...», arricciò il naso e storse le labbra in una smorfia di disappunto. «Non l'ho mai visto giusto per te. Sei come un treno in picchiata, difficilmente qualcuno riesce a tenerti testa».

Aggrottai le sopracciglia. «È un complimento sincero o la tua solita ironia apatica?» e infilai le mani in tasca.

Ushijima sorrise a labbra strette. «Come preferisci», rispose.

Grugnì. «Sparisci dalla mia vista, Ushijima», ribattei vibrante di rabbia. Che pallone gonfiato.

«Ci vediamo in giro, Ukai» e invece mi salutò come un amico saluta un amico, dandomi le spalle e camminare nel corridoio inverso. Strinsi i pugni nelle tasche e ondeggiai con la testa così velocemente da procurarmi uno scricchiolio al collo per la violenza esercitata, ritornando nella sala d'aspetto dove mi aspettavano gli altri.







«Ma quello è il vicepreside della nostra scuola?» Nella mia vita potevo aspettarmi di tutto, anche dover dialogare con Ushijima per più di dieci minuti senza innervosirmi, ma non di vedere il vicepreside della Karasuno come dirigente d'orchestra per indirizzare a tempo la tifoseria della squadra.

«È stato scioccante anche per me», rispose mio fratello, passandomi accanto. I ragazzi avevano raggiunto il campo per fare riscaldamento, così affiancai Kiyoko che era rimasta da sola, visto che Hitoka si trovava già accomodata ai posti a sedere.

«Keishin ti occuperai tu di tutto?» Domandò il sensei, mentre mio fratello alzò il pollice all'insù.

«Takeda-sensei dove sta andando?» Chiesi curiosa vedendo il professore dirigersi verso le scalinate delle tribune. Il professore mi guardò e sorrise genuinamente, appoggiando una mano sulla mia spalla.

«Tuo fratello non te lo ha detto?»

Corrucciai la fronte confusa. «Detto, cosa?» Guardai Keishin che fece finta di ignorarmi. «Ha fatto qualcosa che non doveva?» E ritornai con gli occhi in quelli del sensei.

«Oh!», ridacchiò, scuotendo il capo. «Keishin ha detto che vuole averti in panchina e visto che massimo tre persone possono starci, andrò nelle tribune per fare il tifo», spiegò tranquillamente.

«In panchina...», ripetetti pensierosa. «Aspetta, cosa?!» sbottai in leggero ritardo. Il sensei mi diede due pacche sulla spalla prima di augurarmi un buon lavoro misto al divertimento e salì la scalinata, lasciandomi interdetta sui due piedi.

Mi voltai lentamente verso Kiyoko che strinse il quadernone al petto con un sorriso timido e dolce. «Lo hai sentito...?» Chiesi per sicurezza, sperando di non aver capito male le parole del sensei. La ragazza annuì divertita davanti alla mia espressione incredula. «Dammi un pizzicotto...», e le porsi il braccio, credendo che fosse soltanto un sogno.

«Si vede che il coach reputa questa partita molto più importante delle altre e vuole che tu stia in prima fila. Non circola un buon sangue tra te e il capitano della Shiratorizawa, vero?»

Scossi il capo. «Per niente», risposi. «Si nota così tanto?»

«Sì», alzò le spalle. «Sarà uno dei tanti motivi per cui porterete la Karasuno alla vittoria quest'oggi, no?»

Sorrisi rilassata. «Tranquilla. Conosco ogni punto debole del capitano, mi basterà richiedere un time out quando le cose si metteranno male.»

«Allora, andiamo», mi prese sottobraccio. La guardai sbigottita.

«Che cosa ne hai fatto della mia Kiyoko timida?» Chiesi sarcastica, fingendo un'espressione teatralmente spaventata.

Kiyoko mi diede un leggero spintone con la spalla, ridacchiando. «Oh, ma smettila!» E mi congiunsi alla sua risata cristallina.

Non vedevo l'ora che il torneo iniziasse per poter battere in primis Ushijima e infine l'intera Shiratorizawa.

Che la finale abbia inizio.




Ci posizionammo in fila orizzontale, mentre la voce meccanica chiamò un giocatore per volta, partendo dal capitano Sawamura Daichi. Quest'ultimo corse verso di noi, salutandoci con un "dammi il dieci" anziché "dammi in cinque", e così con tutto il restante. Ero emozionata. Non li avevo mai visti così tesi ed entusiasti prima di una partita. Erano arrivati al podio finale.

Quando toccò al turno di Hinata, gli feci un sorrisetto, augurandogli un in bocca al lupo. «Grazie Kaori-chan! È bello vederti in prima fila», ribatté il piccoletto, facendomi arrossire per la forte adrenalina mista all'emozione.

I saluti continuarono fino a quando non toccò la stessa cosa alla Shiratorizawa. Loro avevano percorso quella strada un'infinità di volte, a differenza della Karasuno che era la prima volta sul campo centrale. Avrebbero dovuto giocare una partita di cinque set. Se quella di tre set fosse infinita, la cinque set era incredibilmente tosta e interminabile.

Guardai alla mia sinistra Ushijima fare il suo ingresso, il quale incontrò per un secondo netto il mio sguardo e corrucciò la fronte confuso, come se si stesse chiedendo che ci facessi lì anziché fare il tifo dalle tribune. Feci un sorrisetto mingherlino, gettandomi con una certa noncuranza i capelli dietro alle spalle e andai verso la panchina, accomodandomi con le gambe accavallate.

Keishin si sedette alla mia destra e Kiyoko alla mia sinistra, lasciandomi in mezzo. «Credi che questa partita sarà più lunga e difficile delle altre?» Mi chiese mio fratello, tenendo gli occhi puntati su entrambe le squadra. Toccava alla Shiratorizawa battere.

Annuì, senza esitazioni. «Puoi giurarci», commentai discreta. «Per quanto non possa sopportare Ushijima come persona, rispetto il suo ruolo di asso e la sua tenacia di vincere», ammisi in un sospiro. Keishin girò la testa verso di me, ascoltandomi attentamente. «Ma non dimenticarti che la debolezza di Achille era proprio il suo tallone, e se un eroe leggendario aveva una debolezza alquanto stupida, Ushijima non sarà da meno...», riflettei ad alta voce. «Lascia che inizino a giocare, vedremo più avanti come si comporteranno i ragazzi e con quali difese e contrattacchi se ne usciranno. Voglio che capiscano e reagiscono con le loro uniche forze», proseguì e guardai mio fratello con un sorriso. «Dobbiamo solo fidarci del loro duro lavoro.»

Mio fratello mi guardò a lungo e annuì una volta che conclusi, continuando a tenere quel sorrisetto sulle labbra che trovai abbastanza irritante. «Spara! Che hai da sorridere come uno stupido?» Sbuffai, roteando gli occhi. Avevo notato che un po' tutti amavano ridermi o sorridermi, senza alcun motivo, in faccia. Ero per caso un pagliaccio?

«Niente...», mormorò e guardò avanti a sé. «Ora capisco perché tu sei il loro capitano», non ci volle un genio per capire a chi si stesse riferendo.

Rilassai le sopracciglia aggrottate e inclinai il capo di lato. «E la tua conclusione è...?» lo incalzai divertita a continuare al presunto complimento che stava per farmi.

«Sei forte», alzò e abbassò le spalle. «La mia sorellina è una tosta», si complimentò evidentemente imbarazzato, facendomi sorridere persino con gli occhi.

«Ho imparato dal migliore», ribattei schietta e Keishin sorrise dolcemente, scompigliandomi affettuosamente i capelli. «È deciso: sei un maledetto stronzo», grugnì, sistemandomi i capelli con disappunto. Mio fratello ridacchiò e l'arbitro fischiò, dando inizio al primo set della finale.

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