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Tamburellai le dita sul manico del mio borsone in spalla, guardando da più di cinque minuti l'insegna della scuola Inarizaki. Presi un grosso respiro e pensai che non fosse stata una buona idea presentarmi all'amichevole della Toda contro la squadra di pallavolo maschile. Ma non potevo tornare indietro, anche se la vocina nella mia testa continuava a ripetermi che stavo commettendo una grossa cazzata, una di quelle madornali che avrebbe scaturito caos e distruzione, però sarei passata per la codarda di turno se avessi girato i tacchi e raggiunto poi la stazione, saltando sul primo treno per ritornare a casa.

Perciò, presi un grosso respiro e spinsi la porta scorrevole dell'ingresso, varcando la soglia dell'arco. Gli striduli delle scarpe sul pavimento di legno lucido arrivarono come suoni inconfondibili alle orecchie, il rimbalzo della palla che passava dai palmi al suolo, mi destabilizzò per un attimo. Mai avrei creduto di trovarmi nuovamente nelle quattro mura di una palestra con la mia squadra e mai avrei creduto che la mia presenza potesse attirare così tanto l'attenzione della Toda e dell'Inarizaki che stavano palleggiando tra di loro per riscaldamento.

La coach Tamiako mi guardò e indurì i tratti del viso, facendomi sentire a disagio e abbassai gli occhi sulle mie scarpe. In realtà, avrei dovuto eseguire lo schema del Dottor Yagami, ma quando quest'ultimo si fece scappare che la Toda avrebbe giocato un'amichevole contro l'Inarizaki, era stato più forte di me.

Raggiunsi la panchina sotto agli sguardi curiosi dei ragazzi e increduli delle mie compagne che mi fissarono con le labbra semi aperte. Posai il borsone ai piedi della panca e inghiottì a vuoto, saettando gli occhi in quelli della coach. Lei mi guardò e da come si stava trattenendo nell'urlarmi in faccia che dovevo ritornare a casa, mi fece un cenno spazientito di accomodarmi e ritornò con gli occhi sulla squadra.

«Sai già cosa devi fare», commentò senza peli sulla lingua. Annuì piano e mi accomodai sulla panca di legno, serrando le gambe nude fasciate da semplici short da pallavolo e le mani congiunte in mezzo ad esse, guardando le due squadra fare riscaldamento.

Le squadre ripresero a riscaldarsi e notai l'arbitro fare il suo ingresso per prendere postazione, giocherellando con il fischietto in mezzo alle labbra. Alzai un sopracciglio. Sarebbe stata una giornata impegnativa, ma non per la sottoscritta.

Spostai lo sguardo sulla squadra di pallavolo maschile, notando le loro divise nere incollate come seconda pelle ai loro corpi. Bei ragazzi, nulla da dire, ma non mi sentivo affatto felice di osservarli, seduta su una panchina, mentre battevano o difendevano la palla. Li avrei trovati più belli guardandoli in una prospettiva diversa, in mezzo al campo con una delle mie schiacciate micidiali.

Percepì quattro occhi di fuoco sulla mia figura e ricambiai lo sguardo dei due, corrugando le sopracciglia: il biondo aveva un'espressione bastarda stampata in viso, mentre il ragazzo dai capelli grigi sprizzava noia e zero voglia di vivere da tutti i pori. Captai che fossero gemelli, visto che di fisionomia erano due gocce d'acqua, ma quello che dava più filo da torcere era sicuramente il finto biondo. Come lo sapevo? Semplice intuito.

«D'accordo, cominciamo!» Il coach della squadra avversaria batté le mani una contro l'altra per attirare l'attenzione dei partecipanti. Sospirai profondamente e pressai le labbra in una linea dritta.

Le squadre presero postazione nei loro rispettivi posti: la Toda si trovava alla mia sinistra e l'Inarizaki alla mia destra. Le mie ragazze erano sempre state forti, a parte qualcuna di loro che aveva il timore di ricevere una pallonata dritta in faccia, ma nessuna mai aveva mostrato codardia o paura di riceverla la pallonata.

«Kaori», alzai il capo a comando, trovandomi Yan Lara guardarmi timidamente, giocherellando con i suoi pollici. «Posso accomodarmi?» Indicò il posto a sedere accanto al mio e annuì, facendole spazio.

Lara era una ragazza minuta con un taglio a carré biondo e gli occhiali da vista quadrati ad incorniciarle i tratti delicati del viso. Fu per merito mio che Lara entrò nella Toda, nonostante avesse la forza fisica di un bradipo, ma le sue strategie schematiche e le percentuali di vittoria, erano tutte merito suo e della sua incredibile intelligenza. Osservava molto, capiva quando c'era qualcuno più forte dell'altro e se le ragazze, al di fuori di me e del libero, avessero possibilità contro l'avversario.

Non aveva mai giocato realmente, ma non la disturbava affatto. Aveva paura di trovarsi nel recinto dei leoni senza autodifesa.

«Come stai?» Chiese dopo un breve silenzio, osservando entrambe la palla in mezz'aria pronta ad essere schiacciata.

«Sto bene, Lara. Grazie per avermelo chiesto», risposi tranquilla, appoggiando le mani ai lati delle cosce. «E tu, invece? So che sei riuscita a passare l'esame di Matematica all'università.»

Essendo che la Toda era una squadra di serie B, la maggior parte delle ragazze erano più grandi di me: alcune lavoravano part-time in ristoranti e negozi, mentre altre frequentavano l'università. Ero l'unica liceale in mezzo a loro e nonostante la piccola differenza di età, decisero negli anni precedenti di eleggermi comunque capitano.

«Sì», sorrise timidamente. «È stato complicato, ho dovuto saltare molte volte gli incontri con la squadra per studiare, ma tutto sommato sono rimasta soddisfatta», la sua voce era così calda e dolce a differenza mia. «Non resteremo sempre insieme, ognuna di noi prenderà la propria strada in futuro.» Aggiunse con un pizzico di malinconia, sorridendomi.

«Già», annuì e feci un mezzo sorriso. «Nonostante giochiamo in serie B, sarà l'ultimo anno che avrò a che fare con voi ragazze», l'ultimo anno della Toda, «Se non fosse successo l'incidente sul campo, magari a quest'ora...», sospirai e tacqui.

Lara mi guardò comprensiva. «Lo sai che non è stata colpa tua, Kaori, ma solo nostra?» Corrugai le sopracciglia verso il basso, ma continuò: «La squadra non doveva auto squalificarsi dal torneo dopo il tuo incidente: non era mai successo nella storia del gioco sportivo. Si sono fatte prendere dal panico e... anche io», sfregò i palmi uno contro l'altro. «Dovevamo continuare a lottare anziché deprimerci e mollare. Ad oggi ci chiamano con diversi nomignoli, ma sui giornali veniamo descritte come: "lupi travestiti da agnelli..."», scosse il capo. «Buffo, no? Siamo diventate agnelli ora; piccoli e indifesi agnelli.» Sospirò profondamente. «È straziante.»

Non seppi cosa dire. In verità non ci avevo mai pensato che la Toda poteva auto squalificarsi per la mia mancanza di presenza sul campo. Sapevo che poteva essere difficoltoso -per loro- non avermi, visto che cercavo di auto difendere la palla anziché colpirla -alcune volte-, ma non mi ero mai applicata a guardare l'altra faccia della medaglia.

«Se non è colpa mia...», iniziai a parlare dubbiosa. «Perché non mi avete cercato? Avete idea come mi sono sentita in questi mesi?»

Lara pressò le labbra in una linea dritta e si strinse nelle spalle mortificata. «Lo so, e ci dispiace davvero tanto Kaori, ma ti giuro che nessuna di noi aveva il coraggio di scriverti e chiederti come stessi, per paura di una tua possibile reazione negativa», inghiottì a vuoto.

«E avevi dubbi, Lara? Dubbi sul fatto che non mi sarei sentita un'idiota?» Le chiesi senza aspettarmi alcuna risposta in merito. Ero frustata, nervosa e un accumulo di nervi pronti a scoppiare.

«Io...», abbassò lo sguardo. «Noi», si corresse, «credevamo che l'avessi capito che la colpa non era stata tua, Kaori.»

Il fischio dell'arbitro interruppe la nostra discussione. Il coach avversario aveva dato il time out e le ragazze stavano venendo proprio nella nostra direzione per riposarsi quei cinque minuti contati. Notai gli occhi di Nezero posarsi su di me e si asciugò la fronte imperlata di sudore con l'orlo della maglietta rossa, facendo un mezzo sorriso.

Mi alzai di scatto dalla panchina e andai contro a loro, guardandole una per una. «Kaori», strabuzzò gli occhi Fraya, il libero della squadra, ricevendo un'occhiataccia da parte mia.

«Anni e... anni, che lavoriamo e giochiamo insieme», iniziai a parlare, arrivando dritta al punto, accompagnando le mie parole in gesti nervosi con le mani. «Sono cresciuta con voi, la più piccola del gruppo nonché il vostro capitano», sibilai. Le ragazze mi guardarono sbigottite e alcune abbassarono lo sguardo. «Ho passato mesi ad auto infliggermi una colpa che ho ma al contempo non avevo, quando avreste potuto parlarmene...»

«Non era intenzione nostra, Kaori! Volevamo vincere il torneo contro la Mad Dogs, ma...», parlò Fraya prontamente che venne sostituita da un'altra voce.

«Ma avevamo paura. Paura di non farcela... senza te. Sei tu che ci indirizzavi come, quando e perché farlo» Continuò, Nezero, tenendo il conto sulle dita. «Come ci saremo dovute comportare senza la tua presenza in campo?»

Inghiottì il magone in gola. «Credete che sia merito mio ogni volta che vincevamo contro le squadri più forti dell'intero Giappone o del mondo?» Domandai, stizzita. «È il nostro, maledette stupide, lo capite?» sbottai. «Il merito è tutto nostro, del modo in cui collaboriamo nel team, il merito della coach e delle sue stridiate, del fatto che io sappia fare una veloce e Nezero un muro imbattile, se Fraya sappia fare una buona ricezione e Lara riflettere sulle azioni strategiche da pianificare», dissi tutto d'un fiato mentre il petto fece su e giù per lo sforzo. «E voi altre...», oscillai con gli occhi su di loro. «Avete la forza e la volontà di giocare una partita con o senza di me. Io non sono forte senza una squadra forte. È merito vostro, delle vostre alzate, delle vostre difese che... io riesco a schiacciare e vincere...», mi morsi il labbro inferiore e scossi il capo. «Siete... delle stupide.»

«È per questo che sei andata via...», sussurrò Nezero. «Per colpa nostra?»

«No, stupida!», sbottai. «Non hai capito nulla», conficcai le unghie all'interno dei palmi. «Io... ho avuto paura

«Kaori...», Fraya fece un passo in avanti ed io ne feci uno all'indietro.

«Ori, sbagliare è umano. Si sbaglia per imparare. Imparare a non ripetere mai certi sbagli. Si sbaglia per poter chiedere scusa, per poter ammettere di aver sbagliato. Si sbaglia per crescere e per maturare. Si sbaglia perché non si è perfetti. E tu, per quanto voglia metterci l'impegno in quello che fai, non sarai mai perfetta e va bene così, Ori. Lo capirai a tempo debito che le tue imperfezioni ti renderanno impeccabile, un giorno.» Disse, guardandomi con occhi pieni di compassione, mentre io strinsi con forza la fotografia che mi ritraeva con tutta la mia squadra.

Abbassai lo sguardo e strofinai l'indice sotto al naso. «Anche una come me può avere paura...», sussurrai con la voce incrinata. «E ho avuto così tanta paura in quel momento che al solo pensarlo provo ancora paura.» Alzai lo sguardo e curvai gli angoli tremanti delle labbra all'insù. «Sono un disastro, sì?» Ridacchiai amaramente.

«Sei UMANA! Lo capisci? Maledizione! Non devi avere paura di sbagliare né ora né mai. Chiunque può sbagliare, persino un prodigio come te, Ori. Mettitelo in testa!» premette il dito contro la mia fronte, guardandomi severamente negli occhi. «Le pallonate le sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarle. Svegliati ora, Ori!»

Il fischio dell'arbitro interruppe nuovamente la discussione, dando inizio al secondo tempo della partita. Mi inumidì le labbra e feci un cenno di mento di ritornare sul campo.

«Vincete, okay? Vincete perché... siete forti.» Incalzai pacata, sorridendo a labbra strette. «Resterò a guardarvi, così per tenermi pronta ad esultare la nostra vittoria.» Aggiunsi, notando i loro occhi lucidi.

Le regalai un ultimo sorriso prima di raggiungere la panchina, la quale Lara stava seduta comodamente a guardarci con gli occhi velati di lacrime. Era anche fin troppo emotiva. Alzai gli occhi sulla coach e mi sorrise consapevole che il mio discorso, nonostante sia stato dettato dalla foga e frustrazione, lo aveva apprezzato. Aspettava che reagissi da ritornare "la vecchia pazza coach di sempre."

Le feci un cenno e ricambiai il sorriso, accomodandomi nuovamente sulla panchina, accavallando le gambe e intrecciare le braccia sotto al seno. Anche se non ero lì, guardare le mie compagne con un punto di vista diverso da com'ero partita, mi rendeva doppiamente entusiasta.

«Kaori?» Mi richiamò la coach, quando la partita del secondo tempo ebbe inizio, voltandomi a guardarla con un sopracciglio alzato. Era il turno della Toda a battere.

«Vuole dirmi qualcosa, coach?» Sorrisi sarcastica, vedendo le sue labbra trattenere un altro sorriso, il quale lo nascose prontamente con un'espressione seria.

«Al secondo set», disse. «ti voglio riscaldata», voltò il capo nella mia direzione, incastrando il mento sulla spalla e l'incavo del collo. «Ci siamo capite?»

La guardai con uno sguardo di sfida e sarcasmo, annuendo. «Agli ordini, coach!» Risposi beffarda, imitando un saluto da militare. Lei mi ammutolì con un'occhiataccia. Certe cose non sarebbero mai cambiate.

Quando inizi a lavorare con una squadra devi lasciare che il team vada avanti per conto suo. E alla fine devi tutto a loro. L'inizio di ogni saggezza consiste nel perdonare agli altri il fatto di essere diversi da noi. Nessuno di noi è tanto in gamba quanto noi tutti messi insieme.

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