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Tintinnai con il peso su una gamba e poi sull'altra, stringendomi nelle spalle, cercando di dare sollievo alle mie gambe nude che tremavano per il leggero fresco serale estivo. Da lontano, dietro alla piccola finestrella della porta metallica d'emergenza, vidi una chioma corvina, alta e robusta, sbucare da dietro ad essa con addosso una felpa grigia e i pantaloncini del pigiama.
Sorrisi al suo abbigliamento, pensando a quanto gli donasse, nonostante i capelli più spettinati del solito.
Infilai le mani nelle tasche della mia felpa extralarge, lasciando che mi venisse incontro.
«Scusami per il ritardo, ma ho dovuto fare piano per non svegliare gli altri», giustificò inutilmente un ritardo di cinque minuti, fermandosi di fronte a me. «Aspetti da molto?»
Scossi il capo a destra e a sinistra, togliendomi alcuni fili di capelli incastrati tra le labbra. «No, sono appena arrivata», ed era vero. «Andiamo?» Indicai con un cenno di capo le scale che portavano al piano di sotto.
Akaashi annuì, seguendomi.
Scendemmo le scale, le quali ci portarono all'ingresso della struttura. Uscimmo dalla porta principale, mettendo piede nel cortile dei dormitori, vicino alle due palestre dove si allenavano continuamente le squadre da diversi giorni. Camminammo uno affianco all'altro, prelibandoci del venticello fresco che mi fece svolazzare alcune ciocche di capelli.
«Come stai?» Ruppe il ghiaccio Akaashi, guardandomi. «Stai meglio?»
«Sto bene...», sorrisi, «grazie al tuo aiuto e quello di Kuroo.»
Intravidi un leggero sorriso incorniciargli le labbra. «Sono felice che tu stia meglio», disse sincero, infilando le mani nelle tasche dei suoi pantaloncini. «E mi dispiace per quello che ti ha detto Tsukishima stamattina...», alzò gli occhi verso il cielo, continuando a camminare. «Se ti fa stare meglio, io non penso affatto quelle cose su di te».
«Grazie, ma non devi scusarti al posto suo», portai le braccia conserte strette al petto. «...Credo che da una parte, lui abbia ragione.»
«Che intendi?» Inclinò il capo di lato, guardandomi con un'espressione scettica.
«Sono debole», commentai. «Lo sono sempre stata...», posai l'indice e il medio sul labbro inferiore, torturandomelo con le dita pensierosa. Akaashi non fece parola in merito e sospirai mentalmente sollevata. «Vuoi vedere una cosa?» Chiesi dopo un breve silenzio, il quale annuì piano, fermandosi accanto alla collina.
Sfilai il cellulare dalla tasca della felpa, porgendoglielo. «Sei la prima persona a cui lo mostro, quindi...», sospirai. «Apri l'ultimo messaggio arrivato.» Suggerì, torturandomi le dita.
Akaashi mi lanciò un'occhiata mistica, portando poi l'attenzione sullo schermo e scorrere di volta in volta con il pollice sul display. Notai il suo sguardo cambiare man mano, fin quando non alzò gli occhi dall'aggeggio e sorridermi.
«Ma è fantastico, Kaori!» Esclamò entusiasta. «Avrai di nuovo la possibilità di partecipare»
«Forse», lo interruppi, riprendendo il telefono dalle sue mani e riporlo in tasca. «Ma forse è anche meglio che mi faccia da parte», sorrisi malinconica.
«Ma che dici, Kaori?» mi riprese, guardandomi male. «Sei sempre il capitano della tua squadra, non credi che ti incolpi fin troppo per quello che è successo?»
«Sì, ma» tintinnai, ma Akaaashi continuò.
«Se un membro della propria squadra, durante una partita, commette un errore, allora quell'errore diventa di tutti», sospirò, prendendo una pausa. «Sai perché Bokuto è il capitano della nostra squadra con il numero quattro anziché l'uno?»
«Perché è anche l'asso, no?»
Akaashi sorrise. «Perché nonostante i suoi momenti, ci ha sempre portati alla vittoria, senza mai arrendersi, poiché ci siamo sempre noi a proteggergli le spalle», le sue parole così stimate nei confronti di Bokuto, mi causarono lunghi brividi di freddo alla spina dorsale.
Keiji era sempre stato così calmo e composto per la maggior parte del suo tempo e non mostrava mai le sue reali emozioni. Sentirlo parlare così del suo compagno di squadra, del suo capitano, del suo migliore amico, mi commosse.
Era davvero una grande bella persona.
«Sei davvero un grande amico», esposi il mio pensiero ad alta voce; volevo che lo sapesse. «Bokuto è fortunato ad averti, così come la Fukurodani», Akaashi schiuse le labbra stupito ed io sorrisi con un leggero rossore alle guance, inclinando il capo di lato e lasciar ondeggiare la mia chioma corvina. «Forza, Fukurodani!» Esclamai abbassa voce, portando un pugno al cielo in segno di vittoria.
Akaashi si lasciò scappare in una dolce risata cristallina al mio gesto infantile, gettando la testa all'indietro e contagiare il cielo gocciolante di stelle che sembravano più lucenti viste da lontano, più lucenti al sorriso contagioso del ragazzo.
Ero sempre stata all'idea che la risata ti connetteva con le persone. Era quasi impossibile mantenere qualsiasi tipo di distanza o qualsiasi senso di gerarchia sociale quando stai solo urlando dalle risate. La risata era il fondamento della riconciliazione. La risata era la distanza più breve tra due persone. Non importava quale sia stato il tuo tormento, ridere ti aiutava a dimenticarlo per qualche secondo.
«Grazie, Akaashi», le parole mi uscirono dalla bocca senza volerlo e diventai paonazza dalla mia stessa sincerità; lui sembrò notarlo e appoggiò una mano sulla mia testa, accarezzandomi.
«Non è nelle stelle che è conservato il nostro destino, ma in noi stessi», sussurrò, percependo la distanza che divideva i nostri corpi diminuire. «Sai chi lo disse?»
«Fammi indovinare...», sorrisi mingherlina. «William Shakespeare?»
«Hai fatto i compiti, allora... che brava!», le sue dita esili intrappolarono una ciocca dei miei capelli tra l'indice e il medio, giocandoci.
«Alle stelle non interessano gli uomini», recitai in un modo teatrale. «Sai chi lo disse, piccolo Einstein?»
Akaashi ridusse lo sguardo in due fessure, guardandomi curioso e pensieroso. «Non me lo dire...», mi avvertì, bloccando la mia intenzione con una mano per ammutolirmi. «È un poeta italiano?»
Risi, mollandogli un leggero schiaffo sul bicipite. «Ovvio che no, stupido!», scossi il capo. «Gli italiani sono più romantici di così.»
Il ragazzo roteò gli occhi. «Dammi un piccolo indizio allora. Uno qualunque. Me lo farò bastare.»
«Assolutamente no!» Ribattei. «Mi deludi, Akaashi Keiji!», gonfiai le guance e appoggiai le mani sui fianchi. «Seconda stagione del Trono di Spade, primo episodio, Osha.»
«Era la battuta di un telefilm, Kaori?» Chiese stupito con un'espressione buffa, la quale dovetti fare ammenda sulle mie forze per non scoppiare a ridergli in faccia.
«Andiamo, chi non conosce il Trono di Spade? Hanno le battute e metafore migliori di tutti gli altri.» Difesi prontamente, sollevando entrambe le sopracciglia.
Akaashi ridacchiò, scuotendo il capo incredulo. «È la prima volta che mi capita una cosa del genere...», si massaggiò la mascella. «Sei stramba, davvero stramba.»
Mi morsi il labbro inferiore, dondolando sui miei talloni. «Lo prendo come un complimento allora.» Ammisi, strizzandogli l'occhio in un'occhiolino furbo, il quale non smise un secondo di ridere e di sorridere.
Fu la seconda serata più bella della mia vita. Decisamente.
Verso le due del mattino, arrivò il momento di ritornare nei nostri dormitori. Akaashi insistette ad accompagnarmi fino alla porta della mia stanza, ripentendomi: «Anche se ci conosciamo tutti qui, non vorrei che girassi da sola per i corridoi deserti. Non si sa mai.»
Avevo passato una bella serata con lui, spensierata e tranquilla; una di quelle che ti fanno riflettere ad essere ottimisti con se stessi e più coraggiosi ad affrontare i propri problemi a testa alta.
«Grazie per avermi accompagnata, ma te l'ho già detto che non c'era bisogno», affermai, fermandomi accanto alla porta con lui di fronte.
«Però ho vinto io e ti ho accompagnata», precisò. «Risparmiami la predica, Kaori», sorrise, appoggiandosi al muro.
Mi morsi il labbro e sorrisi, sfilando dalla tasca della felpa le chiavi, infilandole nella toppa della serratura. «Resterai qui fin quando non entrerò in stanza?» Sollevai un sopracciglio.
«Ti dispiace?» Ribatté, sghembo. «Non ho più sonno e potrei fare di guardia alla tua porta fino a domani.»
Alzai gli occhi al cielo sarcastica, facendo tintinnare le chiavi appese all'indice. «No, grazie.»
Akaashi rise. «Buonanotte, Kaori...», si avvicinò e appoggiò una mano dietro alla mia nuca, portando il mio viso ad un palmo dal suo. Il mio cuore batté all'impazzata a quel gesto inaspettato, saettando gli occhi sulle sue labbra leggermente carnose e lucide per essersele bagnate. Credetti che volesse baciarmi e invece, mi schioccò un bacio sulla fronte, rendendola umida e bagnata, facendomi stringere la presa delle chiavi nel palmo, delusa. «Dormi bene.» Sussurrò rauco, facendo un passo indietro e camminare verso la direzione da cui eravamo arrivati.
Sbattei le palpebre più volte, guardando un punto fisso davanti a me. Perché ero rimasta delusa? Strinsi le mani in due pugni e mi voltai con il busto di scatto, chiamandolo a gran voce: Akaashi si fermò e senza girarsi, mi guardò con la coda dell'occhio.
«Cos'era quello?» Domandai, delusa. Akaashi finalmente si voltò, confuso. «Di cosa parli?»
Inghiottì a vuoto, bagnandomi le labbra con la punta della lingua prima di parlare. «Quel bacio... cos'era?» Indicai la mia fronte.
«Era un semplice bacio della buonanotte, Kaori...», rispose perplesso. «Se ti ha dato fastidio, allora perdona»
«No!», lo interruppi. «È quello il punto: non mi ha dato fastidio. Credevo che tu...», abbassai gli occhi sulle mie mani. «...volessi baciarmi.»
Akaashi strabuzzò leggermente gli occhi sorpreso. «Ba-Baciarti?» Annuì, piano.
«Akaashi... se ti faccio una domanda mi risponderesti con sincerità?» Alzai gli occhi nei suoi, torturandomi l'interno guancia. Lui annuì indeciso. «Io... ecco, ti attraggo come ragazza? Ti piaccio fisicamente?» Domandai con un leggero rossore sulle gote. «...Sessualmente parlando.» Specificai in un mormorio, vedendo la sua faccia diventare mille colori alternativi. L'aveva sentito.
«Kaori... non credo che sia una cosa da chiedermi così, su due piedi», si grattò una guancia a disagio, agitandosi sul posto.
Corrucciai la fronte, facendo dei passi verso di lui, il quale per fortuna non indietreggiò, fissando attentamente ogni mia mossa. «È un no?», accorciai la distanza che ci separava, appoggiando le mani sul suo petto e giocherellare con i lacci della felpa. «Non sei attratto da me?» Ripetetti speranzosa, sentendolo inghiottire rumorosamente.
Mi posizionai in mezzo ad una sua gamba, divaricando le mie, continuando ad accarezzargli il petto con la mano sinistra e la destra portarla dietro alla sua nuca, accarezzandogli la base dell'attaccatura dei capelli.
«Kaori... smettila!» Mormorò a denti stretti, afferrando il mio polso sinistro e fermare la coccola. «Mi spieghi che cazzo ti prende all'improvviso?» Inveì abbassa voce, inclinando la testa per arrivare all'altezza del mio viso, fissandomi impaziente per una risposta.
«Perché ho voglia di scopare, Akaashi, non ti sembra evidente?» Rivelai schietta, usando un tono di voce basso e rauco. «È strano a dirlo sia una ragazza? Lo vedo dal tuo sguardo contrariato.»
Akaashi si bagnò velocemente le labbra, mollando la presa attorno al mio polso. «Io non ho voglia, è diverso, invece. Va' a dormire! La botta che hai preso alla testa stamattina ti ha fatto davvero male.»
Perché adesso si stava comportando da vero stronzo?
Lo guardai male e lo afferrai dalla felpa, in modo tale che non si staccasse da quel contatto. Potei sentire il mio centro pulsante gocciolarmi fino all'interno inguine. «Davvero non vuoi cogliere l'occasione di scoparmi, Akaashi?», soffiai sulle sue labbra, sentendo il suo corpo fremere. «Lo so come mi guardi, non negarlo...», seguì con la punta del mio naso il contorno della sua mascella, scendendo con la mano sinistra fino al cavallo dei suoi pantaloncini che prontamente venni fermata da quest'ultimo, di nuovo.
«Non voglio più ripetertelo Kaori, va' a dormire», disse nel mio orecchio che risuonò come una minaccia, la quale mi fece sorridere pericolosamente. «Non me ne approfitto delle ragazze come te, le preferisco meno esperte e meno chiacchierone.»
Sollevai un angolo della bocca, sfiorando con le mie labbra la sua guancia, fino ad arrivare alla sua bocca. «E chi lo ha deciso che saresti stato tu ad approfittarti di me e non l'incontrario?» Akaashi si ammutolì. «Voglio scopare, rilassarmi e dimenticarmi per una sera cosa significhi provare la vera tristezza», dissi amaramente. «Saresti disposto ad oltrepassare i tuoi limiti, per me, solo per questa volta?»
Akaashi mi guardò terribilmente serio, rispondendo con un miserabile: «No», «'Notte!» E allontanarsi dalla stretta e bollente che era il mio corpo, lasciandomi a bocca asciutta.
Conficcai le unghie all'interno dei miei palmi, guardando la sua chioma corvina spettinata da dietro. «Fottiti, Akaashi! Non ho bisogno di uno come te. Sai quanti ne trovo?» Gli urlai ad una tonalità di voce elevata, mentre lui arrivò quasi alla fine del corridoio.
«Anzi, sai che ti dico? Il primo che incontro me lo scoperò, potrà essere chiunque, non mi importa. Almeno, non mi ignorerà come hai fatto tu, rendendomi ridicola!» Vidi i suoi piedi fermarsi sotto all'arco del corridoio e stizzita, girai i tacchi, avvicinandomi alla porta della mia stanza già aperta, non vedendo l'ora di intrufolarmi all'interno del mio futon e pentirmi fino all'indomani di avergli chiesto una cosa simile.
Ma cosa mi era saltato in mente?
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