𝖷𝖵𝖨𝖨
۵
Dall'episodio in palestra di quella mattina movimentata, mi rifugiai per tutto il pomeriggio fino alla sera in camera mia senza voler sentire e vedere nessuno. Ero stanca. La mia mente lo era. E credetti che non ci fosse cosa peggiore di quella fisica.
La stanchezza del corpo, non inquieta come la stanchezza dell'emozione. È un peso della consapevolezza del mondo, una impossibilità di respirare con l'anima. E mi sentivo così priva d'emozione che ero arrivata al punto di essere incapace di intendere e di volere. Che cosa bizzarra!
Il ticchettio alla porta, mi fece sospirare per la quarta volta: continuavano a bussare alla mia porta da tutta la giornata, ormai.
«Kaori? Ci sei?» Strinsi il tessuto delle lenzuola tra le dita, rannicchiandomi nel futon azzurro e bianco. «Certo che ci sei...», ridacchiò amaramente Bokuto, rispondendo alla sua stessa domanda, sentendolo poi sospirare pesantemente.
«Scusami per oggi, non dovevo insistere. Ho sbagliato», feci un mezzo sorriso, consapevole del suo imbarazzo. «Io ho sbagliato anche a restare lì impalato senza fare nulla, ecco... scusami. Dico davvero. Sono un'idiota», era affranto, lo potevo percepire come se mi fosse stato vicino. Ma avevo la sensazione che non fosse da solo.
«Se non fosse stato per Akaashi e Kuroo, io davvero... cavolo! Sono stato inutile, ero come bloccato, impaurito. Per favore, aprimi! Voglio parlarti guardandoti negli occhi.»
Come risposta, affondai il capo nel cuscino e chiusi gli occhi: non volevo vedere nessuno, neanche se fuori alla porta ci fosse stato Ryan Gosling ad aspettarmi a braccia aperte. Qual era la difficoltà da capire: "non voglio percepire anima viva?"
«Dolce Ori, andiamo», sussurrò piano, sentendolo picchiettare la fronte contro la porta. «Vuoi che ti porti la cena? Almeno, il dolce! So quanto tu vada pazza per i mochi», rise. «Ricordo che una volta mi rubasti nel piatto ben cinque mochi al cioccolato e mi incazzai parecchio», mi morsi il labbro e sorrisi perdendomi in quel ricordo. «Ma eri così carina con le guance piene che mi calmai subito dopo e te ne offrì altri cinque.»
Già, come dimenticarlo? Eravamo andati a cena con gli altri membri del nostro ritiro, dopo gli allenamenti, in uno dei ristoranti più gettonati di Tokyo. Con noi venne anche Ushijima, un'occasione rara e imperdibile, visto che il ragazzo trovava sempre una giustificazione pronta per non partecipare. Ma quella sera, fu indimenticabile per me. Era stata la serata più bella della mia vita.
Nessuno di noi era un rivale, né un nemico, né uno sfidante. Eravamo solo amici, seduti nello stesso tavolo, a parlare più del meno e affogarci di cibo fino a quando lo stomaco non ne aveva abbastanza. Bokuto era seduto al mio fianco, mentre alla mia sinistra si accomodò Ushijima: molti dei nostri compari lo temevano, visto che non emanava un'aura tranquilla e solare da intraprendere una conversazione.
Tuttavia, Ushijima dialogò persino con Bokuto, a volte escludendomi -sapevo che lo facesse apposta, perché andiamo, chi mi escluderebbe?- e a volte per punzecchiarmi in un modo amichevole che -nonostante non gli appartenesse- cercava di dare il meglio di sé.
Certo, per una sera posai l'ascia di guerra, ma il giorno dopo avrei continuato ad odiarlo com'era il mio solito fare. Niente avrebbe cambiato questo mio sentimento nei suoi confronti. Neanche per tutti i dolciumi del mondo.
Comunque, scoprì che Bokuto andava pazzo per i mochi a tutti i gusti, proprio con me, e non resistetti a rubargliene uno alla volta nel piatto ogni qualvolta che si girava per parlare con gli altri. Quando si accorse che nel suo piatto mancavano circa la metà, mi guardò nel modo più assassino possibile ed io misi su l'espressione più docile che potessi mai fare: ero più un incrocio tra uno scoiattolo e una marmotta che un essere umano goloso di mochi.
«Se non riesco a convincerti con i mochi, allora ti lascerò riposare un altro po' e ne riparleremo domani, d'accordo?» Usò un tono dolce, il quale mi causò un lungo brivido per tutto il corpo.
Mi sentì in colpa per Bokuto. Sapevo che stesse mettendo da parte il suo orgoglio da maschio alpha per venirmi incontro, e sapevo che si sentisse in colpa per aver insistito sul farmi giocare. Ma lui non aveva colpe, la colpa era solo mia.
Avevo accettato io la provocazione di Tsukishima e ne avevo poi, pagato le conseguenze con tutti gli interessi.
Udì i bassi pesanti di Bokuto strisciare sul pavimento, capendo che si stesse allontanando e dandomi finalmente i miei spazi. Mi morsi il labbro e strinsi il cuscino tra le braccia, cercando un conforto.
Chissà se avrei resistito fino a domani mattina senza cibo nello stomaco, riflettei dubbiosa, perdendomi a fissare un spiffero di polvere svolazzare sotto ai piedi della scrivania. Ecco spiegata la mia allergia di stanotte, grugnì mentalmente.
All'improvviso, il cellulare di fianco al mio cuscino, vibrò. Ci misi un paio di secondi a decidermi, prima di afferrarlo e controllare chi fosse.
Sbuffai e mi distesi a pancia all'aria, afferrando alla cieca l'aggeggio infernale e una volta preso, lo sbloccai velocemente.
Andai nella casella dei messaggi, leggendo il nome del contatto: il mio cuore perse un battito e mi misi a sedere di scatto.
Cosa? pensai prontamente, aprendo il messaggio.
Coach Tamiako
Ciao Kaori! Come stai?
È da un po' che non ci sentiamo, visto che dall'incidente non hai più risposto ai miei messaggi e alle chiamate. Ho contatto più volte il Dottor Yagami per sapere come stessi e mi ha detto che stai dando ottimi risultati con la riabilitazione.
D'altronde, me lo aspettavo da te. Sei sempre stata una ragazza forte, anche quando le cose si mettevano male, riuscivi a trovare la famosa "luce" in fondo al tunnel.
Ti ho contattata perché volevo che tu sapessi che le ragazze si stanno dando molto da fare con gli allenamenti e nonostante questo, la tua assenza si fa sentire giorno per giorno. Le ragazze chiedono sempre di te, ma non hanno il coraggio di scriverti per un tuo possibile rifiuto, così mi sono permessa di fare il primo passo, sperando che tu mi risponda dopo la notizia che sto per darti.
La Toda, in questi giorni, ha ricevuto per via e-mail la possibilità di partecipazione alle Olimpiadi dell'anno prossimo. Non è fantastico? Le ragazze erano felicissime quando ho dato a loro la notizia.
Si terranno nuovamente in America, contro una delle squadre più forti: le Akes.
Non voglio che tu mi risponda subito, ma vorrei che ci pensassi su. È una grande opportunità per te e per la squadra. Manchi solo tu.
Perché d'altro canto,
sei sempre il loro capitano.
Non ti hanno dimenticata.
Ti saluto, Kaori.
Augurandoti una velocissima guarigione.
E sperando che tu possa scegliere il giusto senza darti colpe inutili, perché non servono, e nessuno qui pensa che tu non sia un bravo capitano
o una brava giocatrice.
Un abbraccio,
Coach Tamiako.
7:40 P.M.
Mi morsi il labbro inferiore e respirai profondamente dal naso. Olimpiadi. Le famose Olimpiadi.
Scacciai via le coperte dai piedi e portai una gamba stretta al petto, appoggiandovi il mento sul ginocchio. Continuai a rileggere, a rileggere il messaggio, senza tralasciare alcuna parola, senza perderci la speranza.
Bloccai il telefono e chiusi gli occhi, portandomi il lato del display al viso, cercando di capire cose avrei dovuto realmente fare. Mi alzai dal futon, posando il cellulare sulla scrivania spoglia, decidendo che ci avrei pensato, anche perché per quanto la notizia mi aveva reso felice, non volevo che influenzasse sulla mia idea.
Il ticchettio alla porta, mi fece sussultare sul posto. Neanche mi ero resa conto di essere rimasta imbambolata a fissare il punto in cui avevo posato il cellulare.
Non avrei potuto ignorarli per sempre. Prima o poi, sarei dovuta uscire da quella specie di topaia che era la mia stanza per quella settimana.
Afferrai una felpa dalla sedia al volo, indossandola velocemente, visto che avevo addosso una semplice canotta striminzita con uno scollo profondo e dei pantaloncini che lasciavano poco spazio all'immaginazione.
Mi avvicinai a gran falcate alla porta, cercando di slogarmi più volte la caviglia per via dei fili sparsi sul pavimento, arrivando poi a destinazione, sana e salva.
Svogliata, aprì la porta, trovandomi... «Mitsuki?» Corrucciai la fronte confusa, vedendo la sorella del capitano della Karasuno davanti al solco della mia porta con un piatto tra le mani, coperto da un coperchio.
«Ciao Kaori», sorrise dolcemente, alternando lo sguardo dal piatto a me. «Spero di non disturbare. Non ti ho vista a cena e ho pensato di portatela in camera», ridacchiò leggermente in imbarazzo. «Sai come si dice, no? "Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto"».
Continuai a fissarla curiosa, stringendo la maniglia nel palmo della mano. «Grazie...?» Risposi, dubbiosa.
Non volevo risultare antipatica, ma non ero in vena di ricevere visite e Mitsuki sembrò intuirlo.
«Ti lascio la cena...», si morse il labbro, porgendomi il piatto che afferrai. «Vado», indicò alle sue spalle, facendo un passo indietro con riluttanza. «Ci vediamo»
«Aspetta!» Sbuffai, bloccandola. Mitsuki mi guardò speranzosa. Socchiusi gli occhi, appoggiando la fronte contro la porta. «Senti, non ho molta fame», mentì di proposito e non seppi neanche io il perché. Io stavo letteralmente morendo di fame.
«E questo è troppo per me...», dissi mostrandogli il piatto che avevo in mano, offerto da lei. «Ti va di mangiare insieme? Oppure hai già»
«No!», rispose felice come una pasqua, interrompendomi. «Non ho cenato.»
Feci un mezzo sorriso, mettendomi di lato per farla passare. «Accomodati e scusami in anticipo per il disordine», Mitsuki sorrise e scrollò le spalle come per dire che non era importante, entrandovi poi in stanza, senza troppe cerimonie.
Avvicinai il piatto al naso, annusando il contenuto. Feci una smorfia e sospirai. «Dall'odore sembra buono...» Borbottai tra me e me, chiudendomi la porta alle spalle.
Era passata un'ora da quando Mitsuki si era presentata fuori alla mia porta con la cena. Avevamo divorato il pollo che c'era nel piatto in pochissimi minuti, visto che entrambe stavamo morendo di fame. Purtroppo però, non c'era alcun mochi ad accompagnare i nostri stomachi pieni e scoppiettanti. Restai abbastanza delusa.
«Sai, ho notato che tra te e Bokuto-san c'è molto feeling...», ammiccò con un sorriso malizioso, mentre io sgranocchiai l'osso del pollo.
Alzai e abbassai le spalle. «Si è sempre comportato così, da quando lo conosco non è cambiato di una virgola», risposi tranquillamente. «Ma non lo vedo come un possibile fidanzato futuro...», gettai l'osso mangiucchiato nel piatto, afferrando una salvietta bagnata. «È più...», ci pensai su, cercando di trovare le parole giuste per descrivere il nostro rapporto. «Un fratello maggiore che ha un debole per sua sorella minore».
Mitsuki si distese sul pavimento, a pancia all'aria, reggendosi sui gomiti. «Tipo come quegli anime scolastici dove il fratello va pazzo per la sorella?»
Sorrisi divertita. «Una specie», gettai la salvietta unta nel cestino e mi distesi accanto a lei: gli occhi puntati al soffitto e le mani posate sulla pancia lievemente scoperta dalla felpa. Sospirai con lo stomaco pieno. «Tu invece?» girai la testa verso di lei.
«Nani?» Mugugnò, guardandomi con un cipiglio in fronte.
Mi morsi il labbro, reprimendo un sorriso. «Ti piace il capitano della Nekoma?» A quella domanda, le guance della ragazza si colorarono di un rosso accesso. «È carino...», sdrammatizzai, cercando di farla sentire a suo agio.
«Già», annuì piano, facendo un mezzo sorriso. «Solo che... è complicato, capisci? Non dovrei farmi abbindolare da uno come lui: io sono la loro manager e se dovesse succedere qualcosa tra di noi», sospirò profondamente. «...le cose potrebbero solo peggiorare.»
Storsi le labbra in una smorfia pensierosa: capivo perfettamente cosa intendesse. «Hai paura?»
Lei mi guardò attentamente negli occhi. «Tu non ne avresti al posto mio?»
Ricambiai il suo sguardo e inghiottì la palla di saliva in gola. «Sì», risposi senza pensarci due volte. «Avrei una paura tremenda al posto tuo.»
«Sei sempre così sincera, non è vero?» Era così rilassante e liberatorio parlare con Mitsuki che per un attimo mi dimenticai del perché stavo così male.
Mi girai di lato, mettendomi su un fianco, guardandola meglio. «Credo che sia il mio difetto e pregio più grande, però non mi dispiace...» Ammisi abbassa voce, appoggiando la guancia sul dorso della mano per stare più comoda.
«Lo sapevo» sorrise cristallina, al che sollevai un sopracciglio. Mitsuki si schiarì la gola e aggiunse: «Sono felice di averti conosciuta Kaori, spero che non sia l'ultima volta che ci vedremo, dopo il ritiro.»
«Magari, potremo fare comparare al centro di Tokyo, una volta passata la settimana», proposi. «Anche se odio stare in mezzo alla matassa di gente», mimai un coniato di vomito, facendola ridere.
«Affare fatto!» Si mise seduta, reggendosi con le mani ai lati delle gambe. Guardò l'orologio che fasciava il suo polso sinistro e roteò gli occhi, «Si è fatto abbastanza tardi, meglio che vada.» Annunciò, rimettendosi all'impiedi e prendere il piatto sporco.
«Stai tranquilla, posso portarlo io in cucina quello...», indicai con l'indice il piatto. Mitsuki guardò prima me e poi l'oggetto. «Ho bisogno di sgranchirmi un po' le gambe», giustificai con un sorriso e mi alzai.
«Va bene...», rispose, porgendomelo. «Ci vediamo domani, Kaori. Buonanotte!»
«'Notte, Mitsuki.» La salutai e lei uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Saettai lo sguardo sul piatto sporco con gli ultimi residui di pollo. Mi avvicinai alla scrivania e afferrai il cellulare, sbloccandolo. Aprì l'applicazione della rubrica, scorrendo con il pollice sui contatti, fino a quando non mi comparì la persona che stavo cercando.
Cliccai sopra, facendo partire la chiamata. Controllai prima per vedere se squillasse e non partisse la segreteria telefonica: una volta sentito il primo squillo, portai l'oggetto all'orecchio.
Due, tre squilli e poi sentì una voce rauca, impastata dal sonno, rispondermi: «Moshi moshi?»
«Ehi...», tintinnai timida. «Ti ho disturbato?» Chiesi preoccupata per l'orario, ricalcando con l'unghia del pollice il bordo del piatto, nervosamente.
«Per niente...», ansimò, sentendolo muoversi tra le coperte. «Avevi bisogno di qualcosa?» Domandò subito dopo.
«Uhm...», mi guardai attorno pensando ad una banale scusa. «Stavo per... uscire e volevo chiederti se volevi...», farfugliai impacciata, maledendomi mentalmente. «Se volevi farmi compagnia.»
Sentì il suo respiro pesante come risposta, e pensando subito al peggio, optai per l'opzione di staccare la chiamata e fare finta di nulla. Però, quest'ultimo ridacchiò, facendo sparire ogni mia incertezza.
«Vuoi che ci incontriamo sulle scale del terzo piano?»
«Certo, uhm... tra cinque minuti?»
«Tra cinque minuti.» Ripetette soave, confermando l'invito.
Allontanai il cellulare dall'orecchio, sfiorando il tasto rosso con il polpastrello per interrompere la chiamata. Guardai un'ultima volta il nome di Akaashi sullo schermo e sorrisi, prima di staccare.
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