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☼
C'era un sole meraviglioso quella mattina. Il venticello fresco dell'estate all'ora esatta del mattino. L'erba alta della collina che dava un senso di tranquillità. La giusta musica da ascoltare, persa nei propri pensieri del cielo cristallino. Sembrava che le nuvole si muovessero, trasformandosi in strane immagini laddove la mia mente voleva che diventassero.
Vedevo due tigri, accompagnati da un drago grande e grosso che spiccava con le sue enormi ali. Avevo fantasia da vendere per immaginarmi una cosa del genere, ma non trovavo spiegazione più logica al di fuori della mia conoscenza.
L'immaginazione ama inseguire ciò che la ragione ha perso.
Chiusi i miei occhi per poter vedere quello che gli altri non potevano vedere. Misi play alla playlist di NF, abbandonandomi completamente alle parole del cantante, al significato che voleva trasmettere, alla pericolosità delle parole che usava. Non avevo mai trovato un artista completo quanto lui.
Afferrai ai piedi della sdraio, il ghiacciolo all'anice, scartando la carta e gustarmi la prelibatezza di quel gusto forte e al contempo dolce. Canticchiai sottovoce la canzone mandata in play, muovendo ritmicamente i piedi a tempo di musica.
Ma purtroppo le cose belle e rilassanti perdevano il loro valore quando un'ombra fastidiosa di un'altezza elevata ricoprì tutta la mia figura, evitando che godessi un altro po' della pace obliqua che volevo provare.
Aprì un occhio, girando la testa alla mia sinistra e togliere il ghiacciolo dalla mia bocca con un risucchio silenzioso. L'espressione furiosa di mio fratello, all'impiedi con le mani appoggiate sui fianchi, mi fece aprire anche l'altro occhio, guardandolo curiosa.
«Che vuoi?» Chiesi retorica, leccando la parte sotto del ghiacciolo, prima che colasse.
«Che ci fai qui? Gli altri sono già in palestra ad allenarsi: tra poco inizierà un'amichevole con la Nekoma.»
Alzai e abbassai le spalle. «E quindi?»
«Quindi devi esserci anche tu, come tutti», ribatté con un tono seccante. «Sei venuta qui per aiutare la squadra, non a prendere il sole, Kaori.»
«Keishin mi sto godendo la mia vacanza», cinguettai, indicandomi attorno, circondata dall'erba e dal silenzio. «Non verrò a guardare l'amichevole. E poi i ragazzi, hanno perso molte volte contro la Nekoma da quando sono arrivati», affermai, addentando un piccolo pezzo di ghiaccio. «Preferisco restare qui.»
«Potresti far amicizia con le manager delle altre squadre», disse con fare ovvio, cercando di convincermi.
«Oppure, posso restare qui a godermi il sole: è molto più piacevole», conclusi, abbassando gli occhiali sul naso. «Adesso se non ti dispiace, mi copri la visuale», gesticolai con una mano per dirgli di andarsene.
Mio fratello però, non era della stessa idea. All'improvviso, il ghiacciolo che stavo gustando come se fosse stato l'ultimo al mondo, me lo tolse da mano, così come gli auricolari e il cellulare.
Spalancai la bocca incredula dal suo atteggiamento da genitore super arrabbiato che mi sfilai gli occhiali da sole così velocemente che ebbi la sensazione di essermi cecata un occhio con la stanghetta.
«Mi spieghi che diamine stai facendo? Ridammi le mie cose!» Esclamai nervosa, alzandomi dalla sdraio goffamente.
Keishin mi fece una radiografia profonda, mentre si infilò il cellulare e gli auricolari nella tasca dei pantaloncini bordeaux, dicendo: «In costume? Davvero?»
Corrucciai la fronte, portando le braccia conserte sotto al seno. «E allora? Stavo prendendo il sole. Le persone normali prendono il sole in costume, e ora, ridammi le mie cose, Keishin.» Ribattei aspra quanto un limone, porgendo la mano in avanti e intimarlo di ridarmi indietro quello che io consideravo essenziale.
«Sei ad un ritiro zeppo di ragazzi in ogni dove, e tu sei qui, in costume?» Ribadì, facendo colorare le sue guance di un rosso acceso per la rabbia.
«Nessuno mi avrebbe visto», mi imputai, ovvia. «E poi, non sei mio padre che mi dice cosa fare o non. Come credi che ci vada al mare? Vestita?» Domandai, con finto tono sarcastico.
Keishin sembrò pietrificato dalle mie parole e solo in quell'istante mi resi conto di aver esagerato. Mio fratello distolse lo sguardo dal mio, dandomi poi le spalle.
«Ti chiedo solo di fare una volta quello che ti dico senza fare storie», mimò il numero uno con l'indice e mi strinsi nelle spalle. «Ce la puoi fare?» Mi guardò con la coda dell'occhio, aspettando una mia risposta.
Una qualunque. Gli sarebbe andata bene comunque.
Annuì. «Sì, va bene», mormorai.
«Bene! Mettiti qualcosa addosso e raggiungici.» E detto ciò, camminò giù per la collina.
Portai una mano nei capelli, stringendoli alla radice e sbuffai. A volte, ero così asfissiante anche per me stessa, che non mi rendevo conto di quando stare zitta e quando era il momento di dare fiato alla bocca.
Poteva essere una cosa da niente, ma sapevo che quella frase l'aveva toccato nel profondo. Keishin c'era sempre stato, a differenza della figura genitoriale che doveva accudirmi, nutrirmi e insegnarmi cos'era giusto e cos'era sbagliato.
Lo consideravo come un padre, un amico, un nemico in alcuni casi, ma era pur sempre una figura essenziale, il mio punto di riferimento che non potevo farne a meno.
Con quei pensieri di colpevolezza e maledire la mia boccaccia, afferrai la maglietta bianca e la indossai, scendendo poi giù per la collina per raggiungere gli altri.
Non mi sarei scusata, 'sta volta. Neanche io avrei accettato le mie stesse scuse.
༄
La sera, dopo la millesima sconfitta della Karasuno contro la Nekoma, mi radunai assieme alle altre manager nella sala comune preparando la cena.
I ragazzi erano ancora in palestra a fare palleggi, così ne approfittai di aiutare le altre ragazze ad apparecchiare la grossa tavolata.
Mentre stavo posizionando le posate accanto ai piatti nel mio modo maniacale ossessivo, mi sentì picchiettare la spalla. Voltai soltanto il capo alla mia destra, vedendo la manager della Fukorodani sorridermi.
Era una ragazza alta e slanciata, i capelli color abbronzatura legati in una coda di cavallo, gli occhi tra il blu e il grigio e presentava delle lentiggini graziose situate sulle guance e sul ponte nasale. Indossava dei semplici abiti sportivi: una maglietta con il logo della sua squadra di color blu e pantaloni da pista bianchi.
«Scusami se ti disturbo, ma prima non abbiamo avuto occasione di presentarci», mi porse la mano e con un gran sorriso, si presentò: «Io sono Suzumeda Kaori»
Alternai lo sguardo dalla sua mano tesa al suo viso, prima di stringergliela. «Ukai Kaori, è un piacere mio.»
Lei mi osservò con due lucciole al posto degli occhi, scoppiando a ridere. «Non ci credo! Abbiamo lo stesso nome» sorrideva così tanto che ebbi paura che la paralisi facciale venisse a me. «Sei anche tu una manager?»
«No, ci sono Kyoko e Hitoka per quello», risposi tranquillamente. «Io sono solo un'allenatrice presa in affitto da quei tori sbizzarriti della Karasuno.»
Suzumeda rise alla mia battuta, annuendo comprensiva. «Oh, ti capisco!» ammise in uno sbuffo. «Noi abbiamo Bokuto come toro sbizzarrito che vale più di cento ragazzi messi assieme», roteò gli occhi al cielo, al che ridacchiai. Non aveva tutti i torti.
«Sai, sei simpatica...», «Ti va se ti presento alle altre? Magari, potremo creare un'alleanza di sole donne.»
Risi. «Ci sto!»
La ragazza sorrise ad occhi chiusi, evidenziando i suoi tratti fini e semplici, prendendomi sotto braccetto. «Vieni con me», sussurrò nel mio orecchio, prima di attirare l'attenzione delle altre. «Ehi ragazze, abbiamo una new entry!»
Dopo essermi presentata alle altre e aver chiacchierato con loro del più e del meno, Suzumeda mi disse che mancava solo una all'appello ed era *Daichi Mitsuki, la sorella del capitano della Karasuno e la manager della Nekoma.
Le dissi che non era un problema, ne avrei approfittato di fare la sua conosceva una volta che la cena abbia avuto inizio.
Dalla cucina, mentre ero indaffarata a sistemare le pentole pulite negli appositi mobili, vi entrò mio fratello con un leggero rossore sulle gote e gli occhi lucidi di chi aveva esagerato con il vino.
Ero sicura che c'entrava qualcosa il coach della Nekoma, visto il suo amore incondizionato per le bottiglie di vino rosso e di tutte le volte che faceva ubriacare il vecchio.
«Sei già ubriaco?» Chiesi, anche se sapevo già la sua risposta, ogni qualvolta che alzava il gomito e mentiva.
«No», biascicò. «Non sono ubriaco».
«Questa è la solita risposta che da un ubriaco ad un sobrio», gli feci notare con un sorrisetto furbo, chiudendo l'anta del mobile. «Hai bisogno di una mano?» Domandai poi, ritornando seria.
Keishin scosse il capo, gesticolando con una mano come voler scacciare via una mosca in un modo abbastanza goffo. Dove avevo messo il cellulare? «Credo che per questa sera salterò la cena», piagnucolò, massaggiandosi la fronte. «Potresti occuparti tu di chiamare gli altri? Non ho la forza di togliere la palla da mano ad Hinata e Kageyama.»
Alzai gli occhi al cielo, appoggiandomi di pancia sul bancone d'acciaio della cucina. «Sì, va bene...», annuì e porsi la mano in avanti con il palmo aperto. Keishin mi guardò interrogativo. «Forza, sgancia. Voglio mille yen.»
«Che cosa?!» Sbottò.
Mi imbronciai come una bambina. «Non mi dire che non hai mille yen da dare alla tua sorellina.» Seriamente, avevo bisogno del mio cellulare per scattargli una fotografia degna del mio album di foto imbarazzanti.
«Ti farò questo favore soltanto se mi pagherai.» Ribadì, furbamente.
Keishin grugnì di disappunto. «Fai parte del club di pallavolo anche tu.»
Corrucciai la fronte, arricciando leggermente il naso. La solita espressione di chi rifletteva per finta. «Davvero? Non ho firmato nessun modulo per questo», sorrisi. «Quindi, sgancia.» Mossi le dita, incalzandolo a tirare fuori la banconota.
Con riluttanza, sfilò il portafoglio dalla tasca e afferrò una banconota da mille yen, porgendomela con prepotenza sul palmo della mano.
Sbattei ripetutamente le palpebre, innocentemente. «Mi piace fare affari con te, onee-chan!» Cinguettai, infilandomi la banconota in tasca.
«Va' al diavolo!» Brontolò e singhiozzò, facendomi ridere di gusto.
༄
Ero appoggiata con la spalla allo stipite della porta, i piedi intrecciati e le braccia conserte e strette sotto al seno. Guardai il capitano della Nekoma, Kuroo Tetsuro murare una schiacciata di Bokuto, il quale cambiò completamente espressione, rivelando così la sua parte emo e depressa.
Dalla parte sinistra del campo, c'era Bokuto come schiacciatore, Akaashi come alzatore e Hinata che cercava di difendere la palla battuta dalla squadra avversaria. Alla mia destra invece, c'era Kuroo assieme a Tsukishima a murare e Kenma come alzatore. Kageyama era rimasto in disparte ad osservare attentamente le alzate di Akaashi e Kenma.
Lanciai un'occhiata all'orologio ingabbiato della palestra, notando che fossero le sette e mezza passate. Mi schiarii la gola e li chiamai a gran voce: «Ehi, voi!» Ma non ottenni l'attenzione di nessuno, neanche quella di Bokuto rimasto come un fesso al centro del campo, mentre Akaashi alzava la palla ad Hinata.
Mi sentì sfiorare la spalla, notando una presenza più esile, a differenza di quei giganti pieni di muscoli, passarmi accanto. Guardai alla mia sinistra, vedendo una ragazza dai lunghi capelli mossi e castani, un corpo magro e prosperoso, i lineamenti delicati e il naso all'insù, guardare attentamente la situazione in palestra.
Feci un passo di lato, dandole l'occasione di vedere meglio, al quale non passò inosservato il gesto. Mi guardò, sorridendomi dolcemente e tirare all'insù il taglio d'occhio particolare i quali erano di un castano dorato, un colore che avevo visto molte volte nell'ultimo periodo.
«Se stai cercando di attirare la loro attenzione, puoi anche scordartelo», la informai con gli occhi fissi sulla palla. «Hanno la mente da tutta altra parte.»
Lei sospirò, come per confermare le mie parole. «Lo so, per questo sono venuta. Il coach della Nekoma darà di matto se non si presenteranno fra cinque minuti.»
Le lanciai un'occhiata curiosa, riportando poi gli occhi sull'azione post-emo di Bokuto. «Possiamo dividerci i compiti: io mi occuperò di quei tre a sinistra», indicai il gruppo di Bokuto con l'indice.
Lei mi sorrise e annuì d'accordo. «Affare fatto!», «Ora, mi sentiranno quei due.» Sibilò, cambiando completamente espressione e calpestare pesantemente il pavimento di legno nella loro direzione.
Scossi il capo divertita, facendo lo stesso verso i tre ragazzi. Con la coda dell'occhio vidi la palla in mezz'aria arrivare nel campo in cui mi trovavo, alla quale la afferrai con una mano, bloccando così il loro gioco.
Ottenni l'attenzione dei tre, anche se Bokuto era ancora nella sua fase di blocco. «Va bene così per stasera», commentai. «La cena è pronta e mancate soltanto voi.»
«Soltanto un'altra, un'altra ancora!» Saltellò Hinata, battendo le mani come per indicarmi di lanciargli la palla. Lo guardai avvilita.
«Hinata, continuerete domani, ma per stasera avete dato abbastanza», sbuffai. «E tu, riprenditi!» dissi autoritaria, lanciando la palla contro Bokuto, la quale gli andò a finire in testa e poi finire a terra con un tonfo.
Appoggiai le mani sui fianchi e sollevai un sopracciglio: «Quante volte te l'ho detto che non devi deprimerti così, Kotaro? Sei il migliore asso che conosca e dimostra a tutti con chi hanno a che fare in partita.»
Sentì lo sguardo infuocato di Akaashi addosso, sicuramente sollevato per essere la seconda persona che conosceva benissimo il comportamento di Bokuto. Il ragazzo dagli occhi gialli si riprese man mano, facendo ritornare il suo sorriso solare e l'atteggiamento da sbruffone.
«Hey, hey, hey, Ori! Hai visto la schiacciata di prima? E tu Akaashi, l'hai vista? Hinata che cosa ne pensi delle mie schiacciate, ne?» Era così eccitato che Hinata lo incoraggiò, saltellando per la palestra, mentre Bokuto si padroneggiò come un re.
Akaashi mi affiancò, guardando nella mia stessa direzione. «Grazie per essertene occupata.»
Gli lanciai un'occhiata e sorrisi dolcemente. «Bisogna avere pazienza con lui», dichiarai, guardando Bokuto mostrare a Hinata come fare una schiacciata diagonale. «Alla fine, è sempre il solito Bokuto.»
Akaashi sorrise e ricambiai, guardandolo.
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*Daichi Mitsuki è il personaggio creato da darkbum97 nella sua storia che adoro personalmente.
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