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𝖷𝖫𝖵

Vi ringrazio tantissimo per le 9 mila visualizzazioni. Non avrei mai pensato che questa storia avrebbe potuto riscuotere un successo del genere. Spero tanto che dopo la fine di Ace, continuate a leggere le mie storie, soprattutto Fly Down su Eren Jaeger. Vi voglio bene, ragazz*!

𝓐𝒎𝒐𝒓𝒆

Suonai il campanello con insistenza. Non sopportavo aspettare. Né quando la situazione mi causava un forte disagio. Era la prima volta che, di mia volontà, volevo vederlo.

La porta si spalancò e la sagoma dell'uomo mi si presentò sotto agli occhi. Lui era bello. Molto bello. Ci somigliavamo così tanto, eppure... eravamo due persone completamente diverse.

«Ciao», salutai facendogli un cenno con la mano; la sua sorpresa nel vedermi lì non durò a lungo e si mise di lato per lasciarmi passare. Sorrisi di circostanza e sbirciai con la coda dell'occhio la porta che veniva chiusa alle nostre spalle.

L'ultima volta che l'avevo visto fu nella vecchia casa d'infanzia a Miyugi con il nonno e Keishin. Non avrei mai creduto che il prossimo passo l'avrei fatto io nei suoi confronti. Di solito ero molto orgogliosa, specialmente con le persone che non avevano mai mostrato affetto nei miei confronti, ma la vocina nella mia testa continuava a suggerirmi che avrei dovuto provarci, creare una specie di connessione per poterlo capire. Ci speravo.

«Il mio jet privato è atterrato stamattina presto. Ti avrei avvisato una volta che avrei finito di sistemarmi.» Non capì perché si stesse giustificando, – sempre se le sue parole suonavano come una giustifica – ma la cosa non mi faceva né caldo né freddo. Si era sempre comportato così, ovvero un tipo che prendeva e partiva all'avventura senza mettere al corrente nessuno. Non mi stupiva più di tanto se non mi avesse avvisato. Dopotutto, neanche io l'avevo fatto presentandomi lì, su due piedi. Avevo scoperto il suo arrivo a Seattle dalle news su internet.

«Non era necessario. L'ho scoperto per puro caso...»,  alzai e abbassai le spalle. «Carino l'appartamento. Meglio di dove mi trovo io lo è sicuro.»

So cosa starete pensando: come facevi a sapere che tuo padre avesse comprato un appartamento proprio a Seattle? Beh, semplicemente perché, se fosse stato così furbo da farmi spiare dal suo manager, figuriamoci se non perdeva la prima occasione di comprare un'appartamento lì, facendo finta di nulla. Era sorprendente come facesse funzionare così strategicamente i suoi neuroni.

«È solo un appoggio temporaneo. Stasera ho l'ultimo concerto della mia carriera e mi stavo preparando il discorso di addio», ironizzò camminando verso una porta dove vi si presentava una cucina spaziosa. Si avvicinò al bancone dell'isola e afferrò la brocca del caffè.

«Come funziona in questi casi?» domandai curiosa di sapere come un cantante di certo livello abbandonasse la sua carriera per seguirne un'altra.

Diciamo che io non ero mai stata un'ottima allieva negli addii, li avevo sempre odiati, specialmente quando mi ero presa una pausa dalla mia squadra di pallavolo per colpevolizzarmi. Non era un addio vero e proprio, ma anche se fosse stato, non lo avrei pronunciato con l'intento di volerlo.

Mio padre afferrò un barattolo di caffè macinato, preparando la macchinetta e due tazze. Mi sedetti su uno sgabello posto lì e appoggiai i gomiti sul bancone, guardandolo fare. Entrambi restammo in silenzio, aspettando – o almeno da parte mia – che rispondesse, così da poter creare una connessione – che tanto speravo – tra padre e figlia.

«Come un discorso funebre, solo che non c'è nessuna salma su cui piangere», rispose semplicemente facendomi inarcare un sopracciglio per il gioco di parole.

«Wow», esclamai.

«Cosa c'è, la cosa ti sorprende?» Si voltò con il capo per lanciarmi un'occhiata e sorrise leggermente, ritornando a prestare attenzione al caffè che stava uscendo dalla macchinetta. Sospirai e appoggiai il mento sul palmo della mano.

«No, non mi sorprende», risposi ovvia. «È sempre stato il tuo forte. Un po' ti invidio...»

«Che intendi dire?» chiese distrattamente, sorseggiando il liquido marrone nelle tazze.

«Sono il tuo forte gli addii», risposi e lui mi venne incontro, servendomi la tazza. «Ma credevo che con il tuo sogno saresti stato più coerente», aggiunsi e afferrai la tazza, bevendone un sorso.

«Ho una certa età...», si giustificò accomodandosi sullo sgabello di fronte al mio. «non potrò intraprendere questa carriera per sempre. Ho bisogno di occuparmi di far emergere i giovani, cosa che, io non lo sono da un po'», scrollò le spalle e portò la tazza alle labbra.

Annuì. «Già», sorrisi di circostanza.

Sussidiò un breve il silenzio il quale venne spezzato da mio padre che riposò la tazza sul bancone e intrecciò le dita su di esso. «Non te l'ho detto prima perché ero sorpreso ma, sono contento che tu sia venuta qui...»

«Beh volevo farti una sorpresa», proclamai. «dato che tu l'hai fatta a me presentandoti improvvisamente a Miyugi, due mesi fa.»

Mio padre mi guardò. «Hai il torneo domani, vero?»

Feci un'espressione fintamente stupita. «Te ne sei ricordato? Credevo che avessi bisogno del promemoria o della chiamata del tuo manager. A meno che, non sia già successo prima che arrivassi...»

«Kaori», sospirò. «Cerco solo di rimediare–»

«Un po' tardi per questo, no?» lo interruppi risoluta. Le sopracciglia gli schizzarono verso l'alto e imprigionai la tazza calda tra i palmi, contorcendo la mia espressione in serietà. «Ma sono venuta qui per ascoltarti. Quindi, puoi dirmi tutto quello che vuoi. Domani sarà una giornata sfiancante, e pensavo che togliendomi un peso di dosso, mi sarei concentrata di più per il torneo.»

«Che cosa vuoi che faccia?» Allargò le braccia esasperato. «Sono passati tanti anni dall'ultima volta che...», era a disagio. Messo alle strette. Per la prima volta non era lui ad avere il controllo della situazione. Gonfiò il petto e sospirò, massaggiandosi la fronte. «Ascolta, perché non proviamo–»

«Scusa.»

«Cosa?» Domandò, sbattendo ripetutamente le palpebre. Puntai i miei occhi nei suoi.

«Mi bastava che tu mi chiedessi scusa...», scrollai le spalle. «...E il rapporto sarebbe migliorato man mano.»

Jim annuì piano, avendo compreso cosa avessi bisogno in quel momento. Si alzò dallo sgabello e mi fece un cenno. «Ti andrebbe di guardare una cosa con me?»

Accigliata, mi voltai con il busto sullo sgabello su cui ero seduta. «Non ho alcuna intenzione di guardare i video dei tuoi concerti...», affermai seria, facendolo ridere.

«Diavolo, no. – scosse il capo divertito – Non voglio farti guardare quanto era figo tuo padre a quei tempi...»

«Ara, ara!», roteai gli occhi e gli sventolai una mano davanti al viso come voler scacciare via una mosca fastidiosa. Mi diedi una leggera spinta con le gambe per scendere dallo sgabello e infilare le mani, a metà nocche, nelle tasche. «Allora, va bene! Cosa vuoi farmi vedere?»

Jim mi sorrise come non aveva mai fatto prima d'ora e mi fece strada verso il salotto, lasciandomi perplessa.




«Tu e tuo padre avete guardato videocassette di quando eri piccola per tutta la serata?» Domandò Mitsuki dall'altro capo del telefono, facendomi alzare gli occhi. Era la terza volta che me lo chiedeva come se voleva essere sicura di aver capito bene. Anche perché era rimasta incredula quando le dissi che sarei andata a trovare mio padre prima del torneo.

«Sì. È la terza volta che me lo chiedi ed è la terza volta che ti rispondo di sì», le feci notare, stringendo il telefono nella mano e mi guardai attorno.

Le strade serali di Seattle erano chiassose, le auto, le persone, le feste esclusive che venivano organizzate nei locali più cool della città... era così diverso dal contesto in cui ero cresciuta, anche se bastava un minimo sforzo per abituarsi a tutto quel baccano.

«Accidenti! Quanto sei acida», commentò infastidita e sorrisi, nonostante non potesse vedermi. «E poi aspetta: chi cazzo usa più le videocassette al giorno d'oggi?! Si potrebbe convertire in CD e...» Allontanai di poco il telefono dall'orecchio irritata dalla sua vocina squillante e sospirai, scuotendo il capo. «...Con la tecnologia di oggi si può fare di tutto. Tuo padre è ricco sfondato...»

«Beh ad alcune persone piace custodire le cose vecchie», ribattei, sottolineando l'ultima parola. «Non ci trovo nulla di strano», aggiunsi.

«Dimenticavo...», la immaginai roteare i suoi bei occhi marroni e sorrisi nostalgica. Mi mancava davvero tanto. Desideravo averla qui, così come gli altri. Così come la mia famiglia e Keiji. «...Sei la prima ad essere così vecchia dentro.»

«Ehi!» Esclamai da finta offesa, trattenendo una risata. «Che vorresti dire con questo?»

«Che sei una vecchia», ribatté con ovvietà. «E soprattutto molto puritana», specificò. «Vogliamo parlare che non fai sesso al di fuori del tuo letto?»

Mi fermai sui miei piedi e allontanai il telefono, guardando l'entrata di chiamata posta sul display. Lo riportai all'orecchio. «Non... Non è assolutamente vero!» strillai mentre dei passanti – una coppia – mi passarono accanto con dell'espressioni confuse e infastidite sul volto. Il mio giapponese doveva fargli davvero schifo, così come la mia voce. «I'm sorry...», sussurrai nella loro direzione ricevendo solo delle occhiatacce che mi fecero arrossire dalla vergogna fino alla punta dei capelli.

«Con chi ti stai scusando? Anzi, lascia stare... – sospirai – Cavolo, però, il tuo accento inglese è davvero sexy.»

«Non cambiare discorso», sibilai a denti stretti e ripresi a camminare più velocemente verso l'albergo.

Mitsuki ridacchiò.

«Va bene...», sbuffò. «Dicevamo... Ah! Vorresti dirmi che hai fatto sesso anche al di fuori del tuo habitat naturale?»

Mi guardai attorno imbarazzata. «Una specie...», mugugnai, attraversando la strada.

«Voglio sapere tutto!» Puntualizzò seria. Alzai gli occhi al cielo. Ero quasi a metà strada dall'albergo.

«Oh andiamo, Mits! 'Ste cose mi imbarazzano...»

«Imbarazzarti con la tua migliore amica?» Chissà perché il suo tono offeso non mi toccò per niente. Era così brava a girare e rigirare le persone che, tutto sommato, in colpa non mi sentì per niente. «Io ti racconto tutto!» Ecco che passava dall'atteggiamento offeso a quello bambino. Mi veniva da ridere, ma sapevo che se l'avessi fatto, sicuramente si sarebbe arrabbiata come quando le venivano le mestruazioni.

«Okay, okay...», sbuffai. «Io e Keiji... – dove le trovavo le parole adatte per risultare meno volgare? – abbiamo fatto–»

«Sesso virtuale!?» Strillò e dovetti allontanare nuovamente il telefono dall'orecchio prima che restassi senza un timpano. Dischiusi le labbra per risponderle, ma la sentì ridere e urlare silenziosamente a crepapelle. «Oh cazzo! Non ci credo! La mia migliore amica che ha vergogna persino di vedere una donna nuda, ha appena fatto sesso virtuale?»

«Basta! Smettila! Non urlare ai quattro venti», guardai l'orologio sul polso. «Da te sarà mattina, ti sentiranno tutti. Piantala!» Sbottai in un sussurro.

«È stato il miglior risveglio della mia vita, sai?»

Alzai gli occhi al cielo. «Mi fa davvero piacere per te. Peccato che per me sarà una notte da dimenticare...»

«Che melodrammatica! Sono cose naturali e normali al giorno d'oggi. Secondo te, come fanno quelle coppie di fidanzati che stanno insieme a distanza? È ovvio che scopano...»

«Oh Dio, ti prego! Smettila di essere così volgare», la interruppi lagnosa. Mitsuki sbuffò.

«Non smetterò mai di dirti che in questo campo sei super lagnosa e noiosa...»

Mi mordicchiai il labbro inferiore e sollevai gli occhi sull'insegna dell'hotel. «Preferisco agire anziché parlare.»

La sentì emettere dei versi di stupore, come fischi. «Cazzo, l'America ti sta rendendo più stronza di com'eri. Per questo mi piaci», ammiccò e ridacchiai, scuotendo il capo.

«Anche tu mi piaci, ma sono già impegnata in quel campo. Non vorrei illuderti», mormorai teatralmente.

«Parlerò io con il tuo fidanzato», continuò e infilai una mano in tasca.

«Ah sì? E con Bokuto come la metti?» La punzecchiai volontariamente.

«Beh lui... capirà. Anche se credo che è il tipico ragazzo che vede i porno lesbo.»

Guardai confusa un punto fisso e l'unica cosa che la mia mente andò a focalizzarsi era su Bokuto che si masturbava davanti ad un porno lesbo e - - scossi il capo, scacciando via quei pensieri.

«Okay, basta! Sono appena arrivata. Non voglio più sentirti fino alla fine dei miei giorni.»

«E poi come farai senza di me? Sono l'unica che vuoi, giorno per giorno, ventiquattr'ore su ventiquattro...»

Alzai gli occhi al cielo. Dio, perché? Sperai che mi desse anche una risposta.

«Sei vergognosa.»

«Tu una puritana, ma non per questo non ti voglia bene.»

Ridacchiai. «Sparisci. Buonanotte

«Buongiorno, stronzetta!»

Scossi il capo divertita e riagganciai la chiamata. Infilai il telefono in tasca e guardai nuovamente l'insegna dell'hotel. Domani era il grande giorno e se passavamo le selezioni del primo torneo scontrando la squadra di pallavolo femminile americana, allora, sarebbe stato un gioco da ragazzi per la finale di dopodomani.

Dita incrociate.

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