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Tic tac, tic tac.

L'orologio ticchettava nell'aula spoglia del sabato mattina. La penna stretta tra l'indice e il pollice che scriveva sbrigativa nelle caselle vuote. La gamba che tremava dal nervoso, picchiettando la punta del piede freneticamente sul pavimento.

Alzai gli occhi dal foglio, lanciando un'occhiata all'ora, vedendo che il tempo per consegnare i test stesse per scadere. Scrissi velocemente il mio cognome e il nome sul foglio, in alto a destra e posai la penna sul banco.

Mi alzai dal mio posto a sedere, camminando verso la cattedra, la quale era occupata dalla professoressa di Inglese, mi guardò curiosa per poi puntare gli occhi sul foglio che avevo tra le mani.

«Ho finito», dissi, mostrandoglielo.

«Puoi accomodarti al tuo posto in silenzio. Appena Hinata e Kageyama avranno finito, li correggerò e potrete andare.» Rispose e annuì comprensiva, consegnandole il compito senza obiettare, andandomi a sedere.

Strinsi le braccia conserte sotto al seno, accavallando le gambe e guardare insistentemente le lancette dell'orologio: più passavano i minuti e più l'ansia cresceva a dismisura.

A Tokyo, ci avrebbe accompagnati la sorella di Tanaka, il quale ci aveva informato la sera prima di partire, che ci avrebbe aspettato tranquillamente fuori la scuola.

Alla notiziona, ero sollevata, ma non vedevo l'ora che quei due si sbrigassero a consegnare la verifica per poter uscire da quella scuola e infilarmi sbrigativamente in macchina.

Come se mi avessero letto nel pensiero, Kageyama e Hinata si alzarono in contemporanea, raggiungendo la cattedra e consegnare i compiti svolti all'insegnante prima dello scadere dell'ora.

Quest'ultima indossò gli occhiali da vista e afferrò la penna rossa per correggerli, facendo trattenere il respiro simultaneamente a tutte e tre.

Quanto odiavo aspettare l'esito di una risposta che sembrava non arrivare mai. Non si direbbe, ma ero una persona molto ansiosa e insicura, alla quale venivano dubbi su dubbi su qualunque cosa facesse: «Avrei dovuto rispondere A o B?», «Ho scritto il mio nome?», «In alto a destra o a sinistra?», «E se avessi sbagliato la data di oggi?»

All'improvviso, l'insegnante si tolse gli occhiali da vista e li appoggiò sulla cattedra, congiungendo le mani e posarci sopra il mento, alternando lo sguardo su noi tre. Non avevo mai sudato così tanto in vita mia.

Se non avesse dato gli esiti, anziché fissarci senza alcuna espressione facciale, sarei scoppiata a piangere dal nervoso da un momento all'altro.

«Potete andare: siete passati tutti e tre con voti molto alti.» Dichiarò con un sorriso dolce e felice dalle nostre reazioni, facendoci alzare di scatto e uscire velocemente dall'aula. «Divertitevi al ritiro di Tokyo!» Gridò per farsi sentire dai corridoi, salutandoci, alla quale ricambiammo frettolosamente.

Uscimmo da scuola affannati, tentando più volte di cadere per le scale e inciampare sul pavimento lucido per la frettolosità. Ma per fortuna, arrivammo davanti a quella specie di auto grigia, interi e senza alcun graffio di guerra.

«Ehi, mocciosi!» Ci salutò, guardandoci divertita. «Oh, ma guarda. C'è anche una ragazza qui: Tanaka non me lo aveva detto», sorrise in mia direzione. «Chiamatemi sorellona Saeko.» Hinata e Kageyama si eccitarono, mentre io arrossì dalla schiettezza francante delle sue parole. «Forza, salite a bordo.» Indicò l'auto alle sue spalle e senza farcelo ripetere due volte, salimmo.

Mi accomodai sul sedile passeggero, mentre i due ragazzi si sedettero nei sedili di dietro. «Vi farò arrivare a Tokyo in un batter d'occhio», ammiccò strizzandoci l'occhio, prima di girare le chiavi nel quadro e mettersi in strada come una furia, facendomi scappare un urletto per lo spavento di come guidasse e pentirmi di non aver indossato la cintura di sicurezza in tempo.

A Tokyo ci saremmo arrivati... ma non interi.



Dopo mezz'ora di viaggio, conoscendoci meglio tra una chiacchierata e l'altra, evitando di finire fuori strada e schiantarci contro un'autoveicolo dalla corsia opposta, scoprì che la sorellona Saeko andava matta per i dolci, proprio come la sottoscritta.

In qualche modo inspiegabile, mi divenne più simpatica di quanto pensassi. Era molto solare, sorrideva sempre, raccontandoci vari aneddoti della sua vita al liceo, rivelandoci addirittura alcune scene piccanti con i ragazzi della sua scuola che fecero arrossire Hinata fino alla punta dei capelli.

Kageyama in tutto questo, dormiva e russava come un maiale. Per prevenire un possibile ricatto in futuro e per la vedetta di aver ripetuto il test (di nuovo) assieme a loro, sfilai il cellulare dalla borsa e gli scattai dieci foto alquanto imbarazzanti dove sbavava con la bocca spalancata e un video dove si sentiva il suo russare.

Mi sarei divertita un giorno a rinfacciarglielo. Alcune le avrei modificate con photoshop una volta tornata a casa.

Saeko parcheggiò la macchina in doppia fila e scendemmo dal mezzo velocemente con le nostre borse. I due ragazzi, prima di arrivare a destinazione, avevano avuto il tempo di cambiarsi e indossare le tute per allenarsi, mentre io restai ancora con la divisa scolastica. Mi sarei cambiata una volta addentrata negli spogliatoi, non potevo di certo farlo davanti a quei due maniaci che sequestravano le persone.

«Aspettatemi!» Strillai affannata, cercando di stare al loro passo inutilmente. «Stupidi, idioti!» Borbottai, vedendoli fermarsi poco più lontano da dove mi trovavo. Ormai erano andati, completamente fusi e focalizzati di entrare in palestra e allenarsi.

La porta principale della palestra si aprì grazie a Saeko che era arrivata prima: era stata la più veloce di tutti e tre messi assieme. Ma c'era da precisare che ero fuori allenamento da due mesi e avevo bisogno di carboidrati. Una buona quantità di carboidrati.

Mi fermai a metà strada, piegandomi sulle mie ginocchia per riprendere fiato. Non avevo altra scelta di correre e farla pagare a quei due. Ero finita di sabato mattina al corso di recupero per colpa loro e non avevano neanche avuto la decenza di aspettarmi.

«Hinata, Kageyama! Siete due insolenti, stupidi, idioti, cretini...», strillai esausta, riprendendo a correre. «È colpa vostra se mi ritrovo in queste condizioni pessime. Dovreste essere felici che non vi abbia torto un capello per tutto quello che mi avete fatto passare!»

Se qualcuno fosse passato da quelle parti, mi avrebbe preso per una squilibrata mentale. Accidenti, stavo gridando da sola ai quattro venti.

Arrivai a destinazione, vedendo i due ragazzi fermi al solco della porta. Grugnì di disappunto, nel scorgerli così tranquilli a riprendere fiato.

Com'era possibile essere così indifferenti a qualunque cosa li circondasse?

All'improvviso, non vidi lo scalino sottile e mi ritrovai a mezz'aria, pronta a cadere e a subire l'impatto del cemento. Chiusi gli occhi, quando ad un tratto mi ritrovai distesa su qualcosa di morbido e per niente duro.

Sbattei ripetutamente le palpebre, guardando sotto di me e vedere Hinata e Kageyama distesi doloranti tra il metà cemento del marciapiede e il pavimento di legno della palestra.

Alzai lentamente il capo, trovandomi la sorellona ridere divertita dalla vicenda e un silenzio tombale, assurdo, da parte dei ragazzi delle squadre.

Mi misi a sedere di scatto, ricordandomi in quel preciso momento di indossare ancora la gonna e cercare di abbassarmela più che potevo, cercando di non far intravedere niente.

Che imbarazzo! Ma come diamine ci ero finita in quella situazione del cavolo?

«Menomale, siete arrivati sani e salvi.» Sospirò sollevato Tanaka che stava in mezzo al campo, sudaticcio, sorridendoci.

Non capì a cosa si stesse realmente riferendo. Sperai che si stesse rivolgendo alla guida spericolata della sorella.

Sorrisi di rimando, ma poi pensai che forse avrei potuto fargliela pagare ora a quei due. La mia espressione da imbarazzata divenne indemoniata, al che afferrai i colletti delle loro magliette bianche e sollevarli di poco dal pavimento.

«La prossima volta mi aspetterete, maledetti sequestratori di persone!» Non lo avrei mai ammesso ad alta voce, però stava iniziando a piacermi etichettarli in quel modo.

I due mugolarono ancora addolorati per l'impatto della caduta e mollai la presa dai loro colletti, facendoli sbattere con il mento contro il pavimento di legno, fregandomene.

Mi alzai dalle loro schiene, ripulendomi la gonna dallo sporco di polvere, spolverandomi poi le mani.

«Ori?» Quella voce... mi fece drizzare i peli come un gatto. Sperai in tutta la mia vita di non sentirla più e di non vedere più il mittente di essa.

Girai lentamente il corpo a trecentosessanta gradi, puntando i miei occhi ambrati in quelli gialli e spigolosi del ragazzo che mi guardava con un enorme sorriso sulle labbra.

Spalancai gli occhi, quando me lo ritrovai addosso, stritolandomi in un abbraccio fin troppo stretto e da dar mancare il respiro nei polmoni.

«Ori! Ori! Ori!» Cinguettò come un bambino alla vista del suo giocattolo preferito, senza allentare la presa intorno al busto, anzi, ne approfittò per alzarmi da terra, facendomi mancare il terreno sotto ai piedi.

«Kotaro... stringi... troppo», bofonchiai in cerca d'aria, strizzando gli occhi. Bokuto allarmato dalle mie parole, mi mise velocemente con i piedi a terra, senza però staccarsi dal mio corpo.

«Non sai quanto sono felice di vederti!» Affermò senza smettere un secondo di sorridermi, appoggiando le mani sulle mie spalle. Lanciai un'occhiata veloce al restante dei presenti che erano rimasti a fissarci curiosi.

Sicuramente si stavano chiedendo come mai, io e Bokuto Kotaro eravamo così intimi da permettergli di chiamarmi con l'abbreviato del mio nome. Poche persone potevano permettersi di farlo e Bokuto era uno di quelle.

Conobbi Bokuto grazie alla classifica del quinto schiacciatore più forte. Ogni anno, gli allenatori delle squadri più nominate, organizzavano due mesi di allenamento in una delle palestre più grandi di Tokyo, permettendo a persone forti con del potenziale da vendere, come me e Bokuto, di allenarsi tra di loro.

Ero l'unica ragazza in quella valanga di torsi nudi e sudaticci che per un paio di giorni mi sentì in imbarazzo ad allenarmi con loro. Persino con Ushijima che lo odiavo a morte, sbavavo nel vedere il suo fisico imperlato di goccioline di sudore e pompato, facendo vergognare le divinità greche.

La cosa che mi piaceva esteticamente di Bokuto era che, ogni volta che si piegava con le ginocchia, evidenziava il suo sedere tondo e formoso, rendendomi la ragazza più fortunata del mondo, che poteva prelibarsi di quello spettacolo.

Purtroppo però, potevo viaggiare soltanto con la mente, visto che quell'anno ero fidanzata con Oikawa.

Alla fine, Bokuto era il tipo di ragazzo che stuzzicava e gli piaceva venir stuzzicato dalla sottoscritta. Non perdeva mai occasione di domandarmi se poteva intrufolarsi nel mio letto se "per puro caso" qualche incubo gli rubava il sonno.

Oppure, quando gli ribadivo più volte categorica che fossi fidanzata, lui rispondeva: «Ma io non sono geloso, mia dolce Ori.» Oppure ancora quando me lo trovavo dietro, seguendomi persino in bagno con la scusa: «Faccio di guardia, qualche ragazzo potrebbe approfittarsene.» Come se lui non fosse stato quel tipo di ragazzo.

Tuttavia, oltre a queste congruenze, era la prima persona che riusciva ad incoraggiarmi a dare sempre il meglio di me. Ci allenavamo molto assieme, il quale mi spiegava delle tecniche per una schiacciata diagonale perfetta ed io gli rivelavo le mie tecniche speciali di una schiacciata parallela perfetta.

Mi faceva ridere e per quanto poteva essere banale come cosa, Bokuto per me era il migliore.

Il nostro tempo disponibile lo occupavamo facendo dei video stupidi dove ballavamo, cantavamo, battute inventate dal ragazzo che mi facevano mancare il respiro per quanto ridevo. Ma non eravamo quei amici che si sentivano sempre o si organizzavano per incontrarsi, anzi.

La nostra amicizia si basava sul non andarsene mai anziché esserci sempre. Era come: «Cosa? Anche tu? Credevo di essere l'unica

«Sono anche io felice di vederti, ma adesso mollami.» Sorrisi innocentemente, indicando con gli indici le sue braccia attorcigliate intorno ai miei fianchi possessivamente come una piovra.

Sì, avevamo anche quel tipo rapporto da: «Uh, posso toccarti le tette?», «Provaci e sarà l'ultima cosa che farai nella vita.»

«Ehi, tu! Leva le tue mani di addosso alla nostra senpai.» Nishinoya e Tanaka vennero in mio soccorso, anche se non sapevo se fosse stato meglio o peggio.

Bokuto su imbronciò, curvando le sue folti ciglia grigie verso il basso. «No!», «Conosco Ori prima di voi.» Ribadì fiero, al che mi fece arrossire sentendo gli occhi di tutti addosso. Quando una persona si dimostra egocentrica, vi do un consiglio, scappate a gambe levate.

Mentre i tre discutevano a chi appartenessi, mi sentì afferrare da dietro, liberandomi dalla piovra alias Bokuto. Feci per ringraziarlo, ma quando capì chi fosse, i miei occhi dorati si illuminarono.

«Akaashi-san!» Esclamai con una voce sottile, quasi infantile, abbracciandolo di slancio. Il ragazzo ricambiò, ridacchiando leggermente, accarezzandomi la schiena.

«È bello vederti anche per me, Kaori», disse. «Scusami se non ti ho liberata subito da Bokuto, ma credevo che ad una certa si arrendesse», commentò, alzando gli occhi al cielo.

Mi allontanai di poco per guardarlo meglio e inclinai il capo, sorridendogli ad occhi chiusi. «Figurati, ancora oggi devo farci l'abitudine.»

Akaashi era il migliore amico di Bokuto e il gufo non aveva perso occasione per presentarmi uno dei suoi amici più importanti ai soliti incontri dei due mesi di convivenza. Anche perché, Akaashi era nato e vissuto a Tokyo, quindi non c'erano mai stati problemi a vederci.

«Voi tre, quattro, cinque... togliete le vostre grinfie da mia sorella!» Ruggì una voce pesante, seguita successivamente da passi pesanti calpestati come una furia sul pavimento di legno.

Dimenticavo un'altra rottura che mi portavo dietro da ben sedici anni: mio fratello.

Benvenuta al ritiro, Kaori, commentò la vocina nella mia testa.

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