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𝖵𝖨𝖨𝖨

かおり

«Che ci fai seduta lì per terra?»

Sobbalzai dallo spavento, trattenendomi nell'urlare quando vidi la figura di Iwaizumi guardarmi dall'alto verso il basso con un'espressione confusa, il quale si sistemò il manico del borsone in spalla.

Ma da dove è sbucato?

Lo fulminai con lo sguardo, alzandomi goffamente da terra. «Ma dico...», sibilai a denti stretti. «Ti è dato di volta il cervello?!» sbottai a gran voce, spolverandomi il retro dei pantaloncini e l'incavo delle gambe, stizzita.

Il ragazzo corrucciò la fronte, non capendo a cosa mi stessi riferendo, perciò continuai: «È la seconda volta che compari come un fantasma», «non puoi, che ne so, annunciarti con trombe e tamburi quando arrivi? Maledizione! Se vado avanti così, perderò dieci anni di vita ogni volta.» Sbuffai, portando una mano sul petto, sentendo i battiti irregolari del mio cuore.

Iwaizumi allargò la bocca in un sorriso, accompagnandosi con una leggera risata melodiosa. «Scusami, questa volta non avevo intenzione di spaventarti», si difese passandosi una mano nei capelli appuntiti, rendendoli leggermente più spettinati e selvaggi. «E poi, quanti anni credi di voler vivere se perdi ogni volta dieci anni di vita?»

Si stava beffando di me, lo potevo notare dal fatto che si stesse trattenendo dal ridermi in faccia, al che misi su un broncio offeso con le braccia conserte sotto al seno.

«Centotrenta.» risposi, senza pensarci troppo.

Il ragazzo emise un verso da finto stupore, sollevando un angolo della bocca che prese la forma di un ghigno sarcastico. «Mi piace la tua impulsività: rispondi senza pensarci troppo», commentò. «Forse è anche per questo che tu mi piaccia come persona.» Bisbigliò tra sé e sé, grattandosi una guancia.

Ma lo sentì benissimo.

Non si udivano rumori di sottofondo, né delle scarpe stridulare sul pavimento di legno o il vociare degli spettatori. C'eravamo solo noi in mezzo a tutto quel silenzio. La sua confessione mi fece colorare involontariamente le guance di un rosso acceso.

Ma ero lì per un motivo ed ero curiosa di sapere di cosa avesse voluto parlarmi.

Mi schiarii la gola, ritornando all'improvviso seria, chiedendogli: «Di cosa volevi parlarmi?»

Iwaizumi sembrò rifletterci su. Era assorto dai suoi pensieri, come se quello che stesse per dirmi fosse di vitale importanza.

«Volevo... ecco... parlarti di quello che è successo l'altra volta», aprì bocca per interromperlo subito e tranquillizzarlo, poiché non era successo nulla tra noi.

Eppure, la vocina nella mia testa continuava a suggerirmi che entrambi avevamo mantenuto il controllo per non farlo accadere.

Ma Iwaizumi non sembrò del mio stesso pensiero e mi bloccò con una mano. «No, Kaori, fammi parlare... ne ho bisogno.» Il tono era supplichevole e apparì davanti ai miei occhi come un sofferente frustrato.

Chissà da quanto tempo si stava tenendo dentro quel macigno. L'unica cosa che potevo fare, per lui, era ascoltare il suo sfogo.

«Io ho sbagliato. Non dovevo spingermi così oltre né a dire quelle cose...», sospirò. «Oikawa ed io siamo amici d'infanzia da molto tempo e mi sono sentito uno stronzo nei suoi confronti.» Intravidi il suo pomo d'Adamo inghiottire, al che risucchiai la mia saliva eccessiva dalla bocca. «Lui è un pezzo di merda, ma è innamorato di te, Kaori. Lo riconosco dal suo sguardo ogni volta che in una conversazione esce fuori il tuo nome.»

Chiusi gli occhi e dissi in un sospiro: «Iwaizumi...» ma continuò, ignorando il mio richiamo.

«Dovrei sentirmi male, una merda, per averci provato spudoratamente con la ragazza del mio migliore amico, facendomi trascinare in questa cosa più grande di me...», si scompigliò nervosamente i capelli, distogliendo lo sguardo dal mio e puntarlo sulle sue scarpe sportive. «Eppure provo questa sensazione», portò il palmo aperto sul cuore, facendomi capire che la sensazione di oppressione si trovasse proprio lì, «che non me ne fa pentire per niente.»

C'era un vecchio saggio che diceva che la vita senza amore ci rendeva schiavi del lavoro; la ricchezza senza amore, ci rendeva aridi; il successo senza amore, ci rendeva dei spocchiosi arroganti; la povertà senza provare quella meravigliosa scintilla, ci rendeva orgogliosi, perdendo ciò che avevamo.

Ma ci voleva l'arte del coraggio di essere la sola persona che sapeva di essere spaventato a morte. Un eroe non poteva essere più coraggioso di una persona comune, ma lo poteva diventare cinque minuti più a lungo. E qualsiasi pazzo con delle mani veloci poteva prendere un trigre per le palle, ma ci voleva comunque un eroe per continuare a strizzarle.

E Iwaizumi era incredibilmente quell'eroe ai miei occhi.

Allungai la mano verso di lui, inghiottendo a vuoto. «Se doveva succedere qualcosa è perché entrambi lo volevamo. Nessuno ha il cento per cento della colpa, ma si divide», dissi cristallina. «Ma sono contenta che tu me ne abbia parlato», abbozzai un sorriso sincero al che i muscoli facciali del suo viso si rilassarono. «Restiamo comunque amici, giusto?» Avevo ancora il braccio teso in avanti e la mano iniziò a tremare dal timore di ricevere un suo rifiuto.

Ci sarei rimasta male se avessi perso una persona come Iwaizumi nella mia vita. Anche se mi aveva esplicitamente rivelato che non se n'era pentito, ci forvolai sopra, desiderando solo che accettasse nuovamente la mia amicizia.

Il ragazzo inaspettatamente mi strinse la mano e una scarica elettrica, a quel contatto, mi fece arricciare le dita dei piedi. Si mordicchiò il labbro inferiore, reprimendo un sorriso felice. «Amici.» Accettò e il mio cuore sussultò sollevato.

Restemmo ancora impalati a fissarci negli occhi con le mani strette l'un all'altra. Potei percepire il palmo della sua mano calloso a differenza del mio che era liscio e morbido.

Era uno schiacciatore e l'asso della sua squadra, proprio come lo ero io. Condividevamo entrambi la stessa adrenalina di quando la palla restava in mezz'aria, aspettando solamente che il suo destinatario, la schiacciasse.

Le sue dita lunghe e tonde accarezzarono il dorso della mia mano, ingenuamente e senza secondi fini. Iwaizumi non avrebbe mandato a frantumi, una seconda volta, quello che tra noi era solamente amicizia.

«Devo... andare, ora.» Mi schiarii di nuovo la voce imbarazzata, spezzando quel silenzio, ritraendo la mano e farla cadere all'altezza del fianco.

«Già, devo andare anche io...», ammise, annuendo con il capo su e giù. «Ma prima devo trovare Oikawa: a quanto pare è scomparso di nuovo.»

«Quel ragazzo è impossibile.» Ribattei sarcastica, roteandolo gli occhi al cielo. Iwaizumi rise, dandomi ragione.

Ad un tratto, il portone alle mie spalle, stridulò sul cemento e delle risate maschili accompagnate da quelle femminili, archeggiarono nello spazio mio e di Iwaizumi, interrompendo la nostra chiacchierata.

Ero girata di spalle alla porta, pronta a voltarmi per vedere chi fossero, ma il viso del ragazzo davanti a me, divenne pallido e un goccia di sudore scese a solcargli la fronte, continuando a fissare interdetto oltre alle mie spalle.

Trattenni un sorriso e corrucciai la fronte curiosa di sapere chi stesse guardando in quel modo, così mi girai a trecentosessanta gradi, «Che cosa stai», ma era meglio che non l'avessi mai fatto.

Le parole si bloccarono in gola. Il sorriso mi morì lentamente sulle labbra e il cuore iniziò a palpitare il sangue più velocemente possibile, facendomi tremare le gambe dalla frettolosità e agitazione. I miei occhi, senza volerlo, divennero lucidi e le labbra si schiusero in un risucchio rumoroso, avvilendomi.

Oikawa cingeva i fianchi ad una ragazza dai lunghi capelli biondi, gambe slanciate e un fisico snello e asciutto, facendo invidia persino alle modelle professioniste.

Il mio ragazzo aveva il viso intrappolato nell'incavo del suo collo, il quale lo baciava con foga e la ragazza ansimò senza pudore, ignorando di stare in un luogo pubblico e chiunque poteva sentire i suoi lamenti o vederli in quelle condizioni oscene.

Non si erano accorti che oltre a loro due, dando spettacolo all'aperto, ci fossimo anche io e Iwaizumi a pochi passi da loro.

«Oh, Tooru! C'è già un'altra coppia che ci ha preceduto...», cinguettò la bionda, sorridendo maliziosa nella nostra direzione.

Il mio ragazzo spostò il viso dal suo collo e sollevò il capo, allargando le labbra in un sorriso che riservava solo ed esclusivamente a me ogni volta e invece, non ero l'unica. «Chi sono» ma si bloccò nell'esatto momento che i miei occhi ambrati e lucidi incontrarono i suoi dal color del cioccolato, grandi e spaventati.

«Kaori» Non gli diedi il tempo di sentire le sue inutili giustificazioni che la mia mano prudente incontrò la sua guancia destra con tutta la forza, la velocità e la rabbia accumulata in pochi secondi.

Restò con il capo girato e la guancia pulsante dalle cinque dita che gli avevo stampato in faccia. La biondina allarmata, iniziò a starnazzare: «Oh mio dio! Tooru, tesoro, stai bene?»

Tesoro. L'aveva chiamato tesoro.

«Sì, sto bene...», rispose con un filo di voce ad occhi chiusi per il colpo incassato e la figura da stronzo -qual era- che aveva fatto.

Feci un passo indietro con le gambe che mi tremavano ad ogni movimento che facevo. Credetti di perdere l'equilibrio e cedere con le ginocchia sul cemento, ma due mani si posarono sulle mie spalle, reggendomi.

«Andiamocene.» Sibilò Iwaizumi nel mio orecchio, percependo il fuoco del suo sguardo bruciare sul mio ormai, ex ragazzo.

Oikawa girò lentamente il capo, toccandosi la guancia arrossata e deglutì. «Io posso spiegare», ma neanche in quel momento ebbe l'occasione di giustificarsi che Iwaizumi si slanciò su di lui, afferrandolo per il colletto della divisa bianca e verde acqua della squadra e sbatterlo bruscamente contro il muro.

La biondina terrorizzata dal gesto violento del corvino, girò i tacchi e scappò via, spaventata. Lasciando il grande Oikawa Tooru nelle mani del suo carnefice alias migliore amico.

«Sei un coglione, hai capito?» gli sbraitò in faccia, Iwaizumi. «Non azzardarti a giustificarti Oikawa, perché giuro che è la volta buona che ti ammazzo!» Sputò inviperito, spingendolo di nuovo violentemente contro il muro.

Ebbi il presentimento che gli avrebbe spezzato la spina dorsale se avesse continuando a smuoverlo e sbatterlo in quella maniera. Ma non me ne fregò un accidente.

Tooru restò in silenzio, fissando il suo migliore amico negli occhi, senza emettere neanche un suono. Era stato colto in flagrante dalle persone -che lui stesso- considerava le più importanti della sua vita.

Io non riuscivo a muovermi. Il mio corpo non percepiva i segnali del mio cervello che gli ordinava di correre e scappare a gambe levate. Non ci riuscivo, mi sentivo bloccata da una forza più grande di me.

Ero così arrabbiata, delusa e amareggiata che mi balenò in testa il pensiero di non essere stata abbastanza neanche per Tooru. Non ero mai stata abbastanza per nessuno.

Che cos'avevo che non andava?

Non udì neanche più le urla di Iwaizumi e quelle di Tooru che la mia vista si offuscò. Continuai a ripetermi di non piangere, di non dargli alcuna soddisfazione nel farmi vedere distrutta. Per colpa sua.

Perché cavolo mi meritavo una cosa del genere? Perché non ero mai abbastanza per le persone a cui tenevo? Perché quella a soffrire dovevo essere esclusivamente solo io? Mille domande, mille pensieri e neanche una risposta in merito.

«Kaori, ti porto via.» Il tono ruggente di Iwaizumi mi destò dai miei pensieri, al quale non ebbi neanche il tempo di annuire che il ragazzo mi afferrò violentemente il polso e mi trascinò verso la seconda entrata della struttura.

«Ka-Kaori», la voce di Tooru era debole, supplichevole nel chiamarmi, e lo guardai per un attimo, mentre Iwaizumi mi allontanò sempre di più via dal mio carnefice, al quale notai che il suo labbro inferiore era spaccato e il rossore del mio schiaffo sulla sua guancia, si era ampliato maggiormente.

Iwaizumi l'aveva colpito.

Tooru era un ragazzo distrutto fisicamente: Iwaizumi non aveva avuto alcuna pietà per lui 'sta volta. Perché non c'era nessuno che poteva arrestare la sua ira nel fargli davvero male.

Ed io lo vedevo negli occhi lucidi del ragazzo che amavo, prima che la porta venisse chiusa definitivamente, che si era autodistrutto da solo. Il tradimento, la mancanza di fiducia, il mancare di rispetto, erano tutte armi a doppio taglio: ferivano più gravemente chi le usava, di chi soffriva. E Tooru si era inflitto da solo la lama nel cuore per ben due volte.

Mentre io mi sentì umiliata.

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