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«Avete capito?» chiesi, rimettendo il tappo al pennarello nero.

Alzai lo sguardo verso il gruppo accerchiato dai ragazzi, al quale mi osservarono perplessi. Rivoli di sudore solcarono le loro fronti, invertendo lo sguardo da me alla lavagna bianca alle mie spalle. «Non è un'interrogazione, maledizione! Ditemi se qualcuno ha capito quello che ho spiegato, vi prego.» Supplicai con gli occhi ognuno di loro, soffermandomi più su Sugawara che sembrava il più ragionevole di quella combriccola, ma nulla.

Neanche un sospiro.

Sembravano mummie imbalsamate.

Hinata alzò la mano e la cosa mi prese così tanto alla sprovvista al punto di strillare con fin troppa enfasi: «Hinata! -lo indicai- Parla!»

«Ecco... se ho capito bene», «Ognuno di noi deve svolgere allenamenti diversi? Quindi, non potrò allenarmi con Kageyama sul nostro attacco veloce?» Domandò agitato, grattandosi il retro del collo. Il corvino al suo fianco gli lanciò un'occhiata furtiva, portando poi l'attenzione su di me.

Neanche lui deve averci capito un bel niente oppure l'avrebbe già privato della vita.

Il pennarello che tenni stretto nel palmo destro, man mano iniziai a stringerlo sempre di più, contenendo la mia irritazione. Si poteva essere più stupidi e disattenti di così?

«Hinata...» sibilai a denti stretti, scorgendo le facce di Tanaka, Daichi e Nishinoya impallidire. «Hai capito soltanto di come si svolgeranno i tuoi allenamenti, non è così?»

Il ragazzo dai capelli arancioni inghiottì a vuoto e sussurrò con tono flebile un: «Sì...?» interrogativo, mentre un'aura oscura, proveniente dalla sottoscritta, si propagò nell'intera palestra.

«Sei per caso idiota?» sbottai a tono alto.

Hinata rabbrividì, così come Tanaka, Daichi e Nishinoya, rimasti paralizzati davanti al mio sguardo di fuoco.

Devo calmarmi o qui ci casca il morto.

Sbuffai, sfilandomi gli occhi da vista che usavo per la stanchezza e socchiusi gli occhi, massaggiandomi il ponte del naso. «Nessuno di voi dovrà fare allenamenti diversi», dichiarai per la millesima volta, udendo dei sospiri di sollievo.

Agli interscolastici mancava davvero poco, non era possibile cambiare il loro modo di attaccare e ricevere la palla, ma potevo far in modo che migliorassero, oppure sarebbe scoppiato il panico.

«Ma l'unico che dovrà svolgere esercizi diversi, sei proprio tu, Hinata.» Sottolineai, facendo morire il sorriso sulle sue labbra. «Sei bravo a schiacciare, a fare i punti, soprattutto saltando a un'altezza elevata da mettere in soggezione gli schiacciatori più alti di venti o trenta centimetri più di te, ma fatti dire una cosa...» Mi bagnai velocemente le labbra secche e portai le braccia conserte sotto al seno.

Non c'era un modo più carino o diretto nel dirlo, così aggiunsi incuorante che il ragazzo potesse delirare da un momento all'altro: «I tuoi attacchi di difesa sono scarsi: fai schifo nel ricevere la palla, oltretutto dovremo perfezionare il tuo bagher, ma di quello ti farai aiutare dal libero», «Ti mancano le basi principali per una buona ricezione e ripeto, riesci a farti valere grazie alle alzate di Kageyama.»

Il ragazzo era sbiancato. Letteralmente. Il corvino al suo fianco ghignò divertito, facendo nascere un battibecco tra i due. «Kageyama - baka, non ridere!» Piagnucolò rabbioso, alzandosi di scatto dal suo posto a sedere, stringendo i pugni all'altezza dei fianchi.

Kageyama smise di sghignazzare, ma continuò a tenere stampato quel ghigno sulle labbra.

Inquietante, pensai.

«Hai sentito la senpai, Hinata - boke? Sei oltre alle tue possibilità, senza di me.»

Immaginai piccole frecce, alle quali erano etichettate con offese gratuite, trafiggere il corpo mingherlino del ragazzo che cadde all'indietro, sbattendo la schiena sul pavimento di legno.

Tsukkiyama, l'occhialuto biondo, portò una mano davanti alla bocca, ridacchiando perfidamente. «Tsukkiyama! Maledetto, che hai da ridere in quel modo?» ringhiò, accorgendosi che non solo uno ma bensì due, della sua squadra, lo stavano deridendo.

«Tsukkiyama ha un modo tutto suo per incoraggiare gli altri...» ridacchiò a disagio, Sugawara.

«Mh! Mh!» Mugugnò nervosamente Azumane, mangiucchiandosi le unghie. Daichi invece, aveva assunto un'espressione pacifica, come se non avesse voluto perdere la pazienza da un momento all'altro.

Ma dal tic all'occhio destro, non ero così tanto sicura che si sarebbe trattenuto ancora per molto.

Da come avevo capito, era inquietante quando perdeva la pazienza. Persino Tanaka n'era intimorito.

Spero di non vederlo mai incazzato nei miei riguardi, inghiottì a vuoto a quel pensiero e sbattei le palpebre più volte, riportando l'attenzione su quei tre.

«Mi sa proprio che non hai speranza, Hinata.» Ribatté Tsukkiyama divertito da tutta quella situazione, incurvando le labbra in un ghigno. Hinata tremò come un cane rabbioso, pronto a sbranarlo. «Il Re del Campo non si lascerà perdere l'occasione di vincere. Mettiti l'anima in pace!», «Non è così, nostro Re egoista?» Alla domanda retorica e provocatoria, guardò il corvino che di risposta, cambiò espressione e strinse le mani in due pugni sulle cosce.

Hinata fece per rispondergli a tono, ma interruppi quella discussione sul nascere, prima che si fosse propagata in qualcosa di più ingestibile. Tipo far perdere l'ultimo briciolo di pazienza a Daichi.

«Ehi! Ehi! Ehi! Non ho mai detto che Hinata non ha alcuna possibilità», guardai male Kageyama. «oppure che non avesse alcuna speranza», alternai lo sguardo su Tsukkiyama, fissandolo in malo modo. Quest'ultimo fece schioccare la lingua sotto al palato e distolse lo sguardo dal mio con fare annoiato.

Finalmente ottenni il silenzio che sperai di ottemperare dall'inizio. Hinata mi stava guardando con due lucciole al posto degli occhi e le guance arrossate da un colorito acceso, intonando in un stridulo acuto: «Kaori-chan!» intento a saltarmi di nuovo addosso per averlo difeso dai suoi acerrimi nemici.

Sembrava proprio che riusciva a cambiare il suo umore in base al soggetto in cui si imbatteva. Nascosi un sorriso e alzai una mano, bloccando il movimento delle sue gambe che correvano nella mia direttiva a braccia spalancate, arzillo e pronto ad abbracciarmi. Hinata si bloccò a mezz'aria e grugnì confuso, quando la mia mano venne spiaccicata sulla sua faccia, facendolo cadere di sedere.

«Visto che la teoria non è il vostro forte, possiamo passare direttamente alla pratica: vi risulterà più facile.» Proposi, arresa all'idea di aver parlato a vuoto per un'ora e ignorai Hinata ai miei piedi che si massaggiò il fondoschiena energicamente.

Appoggiai le mani sui fianchi, ricevendo un coro di approvazioni, il che balzarono all'impiedi come gazzelle arzille. Addirittura Tanaka alzò Nishinoya di schiena esultando.

«Riscaldatevi e cominciamo!» Suggerì tranquillamente, piegando le stanghette degli occhiali e appenderli al lembo della scollatura della canottiera leggera che indossai per restare più sbracciata, al che non pensai minimamente, con pura ingenuità, alle conseguenze che avrei suscitato un secondo dopo.

«HAI!» Gridarono determinati, iniziando a fare riscaldamento. Sospirai ad occhi chiusi e quando li riaprì, notai Shimizu seduta sulla panchina stringere il quadernone al petto e alzò il pollice in mia direzione, al quale sorrisi di rimando.

«Non trovi che Kaori-chan sia una vera e propria Dea come la nostra Kyoko-san?» Sentì dire da Tanaka ammiccando verso Nishinoya che aveva assunto l'aria di un Buddha pacifico.

«Ah! Ah!» Annuì con il capo velocemente quest'ultimo, immerso chissà in quali pensieri curiosi e poco casti della sua mente, facendomi avvampare di scatto.

«Ta-Tanaka! Ni-Nishinoya!» Li ripresi balbettante a pugni stretti, ottenendo sghignazzi e occhiate mingherline, dove un'aura nera si propagò sulla loro intera figura.

Voltai il capo per smascherare il mio imbarazzo e calpestai pesantemente il pavimento di legno sotto al mio peso.

Stupidi molestatori! E con questo pensiero ripetuto in modo stizzito nella mia mente come un mantra, mi sedetti accanto a Kyoko a braccia conserte, imbronciata.

Maschi.

Successivamente, il pomeriggio passò velocemente tra allenamenti e strategie, al quale ne parlai tranquillamente con Kyoko. La ragazza si era resa molto disponibile e legammo abbastanza da mostrarmi i suoi appunti trascritti sul quadernone che si portava sempre appresso.

Kyoko era chiara in ciò che scriveva, senza trascrivere parole inutili, frasi sconnesse o incomprensioni tra una parola e l'altra. La mia calligrafia non era così bella quanto la sua. Ne divenni gelosa.

Così potetti assimilare il tutto e confrontarmi tranquillamente sulle mie conoscenze e situazioni di attacco e difesa che usavo antecedentemente nella Toda.

A sera inoltrata, i ragazzi finirono gli allenamenti e andarono a prendere dallo sgabuzzino della palestra gli attrezzi per pulire, mettendo in ordine la quantità di palle nella grossa cesta. Quella giornata, non vidi né Keishin né Takeda-sensei e la cosa mi allarmò parecchio, visto che volevo confrontarmi con loro e capire cosa ne pensassero.

Ero un'esperta del campo, ma mettere su delle strategie di vittoria senza sentire le opinioni altrui, mi metteva sotto ad uno stato di agitazione, quasi come se stessi subendo un interrogatorio con la luce fastidiosa della lampada accecante puntata in faccia.

Non volevo perdere il mio tempo, spingendo le meningi fino a farle funzionare, e creare uno schema mentale che poi veniva rimodellato: o perché qualcosa non quadrava o perché diveniva un gioco sporco e aggressivo.

«Kyoko-san hai per caso sentito o visto Keishin e Takeda-sensei? Credevo che oggi venissero a vedere gli allenamenti.» Chiesi alla ragazza al mio fianco, aiutandole a sistemare i tappi alle borracce d'acqua.

Kyoko alzò le spalle teneramente come una bambina e scosse il capo, dicendo: «No, mi dispiace Kaori-san.»

«Chiamami solamente Kaori, senza aggiungere il -san.» Sorrisi amichevolmente, alla quale ricambiò timidamente.

«Vale anche per te.» Ribatté con un leggero rossore alle gote facendola risultare più bella di com'era.




Camminai lungo la strada scura, illuminata da due o tre lampioni posti ai lati della strada. Mi strinsi nelle spalle, quando una soffio di vento gelido mi fece sbattere i denti. Guardai i miei piedi, uno che passava accanto all'altro e viceversa, scalciando con la punta della scarpa qualche pietrina posta solitaria sul marciapiede.

Dopo aver salutato gli altri e aver preso strade diverse per ritornare alle nostre rispettive abitazioni, presi il percorso più lungo che mi avrebbe portato a casa sana e salva. Sarei passata davanti al negozio di alimentari di mio fratello, così avrei scorto l'opportunità di vederlo, visto che erano più di ventiquattr'ore che non sapevo sue notizie.

Immaginai che fosse arrabbiato, forse addirittura infuriato, ma non mi impaurì più di tanto. Avrei dovuto avvisarlo, vero, ma sperai che con una giustificazione sensata mi avrebbe ascoltato.

Notai la luce giallastra del negozio ancora accesa e sospirai mentalmente sollevata. Almeno, non avrei dovuto percorrere un altro tratto di strada da sola. Per quanto mi piacesse passeggiare in solitudine, quella sera però, avvertì uno strano presentimento che non mi lasciava pensare tranquillamente.

Arrivai davanti al negozio e inghiottì la palla di saliva bloccata in gola. Misi il piede in avanti, pronta ad affrontare una, doppia, triplica ramanzina, ma all'improvviso mi sentì afferrare per il polso e venir trascinata all'indietro. Feci per urlare ma una mano mi tappò la bocca e sgranai gli occhi, pensando al peggio.

Jack lo squartatore è venuto a prendermi. Sto per morire. No, non posso morire per mano di uno stupratore seriale. Sono troppo giovane per morire di una morte così atroce.
Maledetti film dell'orrore!

La mia schiena andò a scontrarsi contro il petto del mio stupratore. Percepì il calore del suo corpo riscaldare il mio, vestito solo da indumenti leggeri non adatti per stare fuori a sera tarda. La sua bocca si avvicinò al mio orecchio, spostando alcune ciocche di capelli con la punta del naso e sfiorò il lobo con le sue labbra che sembrarono carnose al tocco, mormorando un:

«Buh

Sobbalzai quando venni liberata e mi voltai verso il mio carnefice, pronta ad attaccare se solo avesse preso in considerazione di uccidermi o peggio... stuprarmi. Però, quando i miei occhi ambrati incontrarono quelli taglienti dal color verde oliva di quest'ultimo, i battiti del mio cuore cessarono man mano e respirai a pieni polmoni.

«Iw-Iwaizumi?» Balbettai per un attimo incerta, sperando di non aver preso un abbaglio di aver davanti il migliore amico del mio ragazzo e sbattei più volte le palpebre. Il ragazzo si lasciò andare ad una grossa grassa risata, infilando le mani nelle tasche del suo giubbotto verde militare.

Spalancai la bocca concertata e gli mollai più di uno schiaffo sul bicipite e sul petto. «Ma sei impazzito?! Mi hai spaventato a morte, razza di imbecille! Credevo che fosse un maledetto stupratore!» Sbottai a pieni polmoni, continuando a colpirlo.

«Scusami Kaori...», disse, continuando a ridere e lasciarsi colpire dalle mie manate che per lui erano soltanto carezze. «Ma non ho resistito», «Dovevi vedere la tua faccia.» Mi rabbuiai ancora di più a quell'affermazione, dandogli un spintone che, per mia sfortuna, non lo spostò neanche di un millimetro.

«Stronzo! Sei un cazzo di stronzo, Iwaizumi!» Ringhiai, rinunciando a colpirlo e fare un passo indietro. Il ragazzo smise di ridere ma non di sorridere e la cosa mi irritò ancora di più, cercando di mostrarglielo dal broncio che misi su. «Mi spieghi che ci fai qui?»

Iwaizumi alzò le spalle e le riabbassò, rispondendo con tutta la sincerità del mondo: «Nulla, facevo un giro da queste parti e ho pensato di venirti a trovare.»

Sollevai un sopracciglio perplessa, portando le braccia conserte sotto al seno. «Un giro?» Ripetetti, confusa. «A un'ora e mezza da casa tua?»

«Si vede che volevo camminare, così ne ho approfittato», dichiarò soave. «Ti dispiace?» Aggiunse, guardandomi profondamente.

Aprì bocca per rispondergli, ma uscirono solo versi confusi. «To-Tooru è... con te?» Farfugliai, sentendo la mia faccia andare a fuoco con tutti i capelli.

«No!» Rispose. «Gli ho chiesto di farmi compagnia, ma ha detto che passava da suo nipote Takeru.»

«Mhmh.» Mugugnai come risposta, guardandomi poi attorno. Per qualche strana ragione, mi sentì in imbarazzo a stare da sola con Iwaizumi. La maggior parte delle volte, anzi quasi sempre, uscivamo sempre in tre: io, Tooru e lui. Non rimanevo mai da sola con lui. Di solito era Iwaizumi ad abbondare le redini e lasciarci trascorrere la serata in santa pace, tornando a casa.

Non mi accorsi che, immersa nei miei pensieri, stavo iniziando a tremare dal freddo. Più restavo su un punto fermo, più il freddo si faceva sentire fino e dentro alle ossa. Questo particolare però, non sfuggì sotto agli occhi attenti di Iwaizumi che si sfilò il giubbotto e me lo appoggiò sulle spalle, sotto al mio sguardo indagatore.

«Perché...» Feci per chiedergli il motivo, ma lui mi interruppe, dicendo prontamente: «Stavi congelando. A quest'ora le temperature sono più basse, visto che siamo in procinto dell'inverno», «E poi, il tuo naso aveva iniziato ad arrossarsi.»

Restai a fissarlo per un po' tra il curioso e l'ammirazione. Notai il suo abbigliamento che consisteva in una felpa nera larga, pantaloni della tuta che gli fasciavano le gambe muscolose e delle semplici sneaker bianche al piede.

Sorrisi dolcemente e mi strinsi nella sua giacca, indossandola per bene, tirando su la zip fino alle labbra. «Grazie, Iwaizumi.» Sussurrai imbarazzata, affondando il naso all'interno dell'indumento, dove un forte profumo di lavanda inebriò le mie narici.

Che profumo, pensai.

«Puoi ringraziarmi una volta che ti avrò accompagnata a casa», sorrise di rimando e indicò la strada deserta. «Non abiti lontano dal negozio della tua famiglia, ricordo bene?» Ridusse gli occhi in due fessure, sperando di non aver sbagliato il ricordo vago della mia casa

Scossi il capo e risposi affermativa: «Ricordi bene.»

«Allora andiamo, oppure ti prenderai un malanno vestita in quel modo.» Indicò le mie gambe nude e le pieghe della gonna svolazzante uscire dal giubbotto. Istintivamente sfregai le gambe una contro all'altra, cercando di acquisire calore con scarsi risultati.

Sospirai, lanciando un'occhiata al negozio. Parlerò con Keishin una volta tornata a casa, pensai.

«Sì, hai ragione!» Esclamai e lo affiancai subito dopo, camminando poi verso casa.

Durante il tragitto, nessuno dei due disse una parola. Ci scambiammo occhiate, giusto per controllare che nessuno dei due si perdesse nel buio della notte o venisse, appunto, rapito da un'aspirante Jack lo squartatore.

Anche se il presunto serial killer, secondo la leggenda, dava la caccia alle prostitute per poi torturarle e ucciderle.
Quindi avevo i miei dubbi che prendesse Iwaizumi al posto mio.

«Come vanno le cose con Oikawa?» Spezzò il silenzio creatosi con quella domanda, alla quale risposi tranquillamente con un sorriso.

«Vanno bene, anche se ultimamente ci vediamo poco per via degli allenamenti», «Come mai me lo chiedi?» Lo guardai per un secondo, ritornando poi a fissare la strada davanti a me. «Credevo che tu e lui parlavate di tutto, nonostante sembriate cane e gatto.» Sorrisi.

Sfiorai la sua spalla con la mia e lo sentì irrigidirsi. «Sì, parliamo, ma... non nel dettaglio. Alcune cose, preferisce tenersele per sé.» Ribatté, grattandosi una guancia a testa bassa.

Annuì comprensiva. «Tooru alle volte è un mistero: difficilmente si riesce a leggergli tra le righe.»

«Sarà.» Sospirò. «Ma non è così furbo o misterioso come volle far credere.»

Corrucciai la fronte confusa, guardando il suo profilo: la punta del naso all'insù e il labbro superiore leggermente più sporgente di quello inferiore. «Che intendi?»

Iwaizumi mi guardò, fermandosi sul posto. Lo seguì a ruota, fermandomi di fronte a lui. Si bagnò le labbra, inumidendole, facendole risaltare lucide sotto alla luce lunare e del lampione notturno. «Nulla.» Sorrise. «Comunque, siamo arrivati.» Annunciò, indicando alle mie spalle.

Voltai il capo verso casa mia, guardandola. «Già, non ci abbiamo messo», non conclusi la frase che quando girai il capo verso Iwaizumi, me lo ritrovai ad un palmo dal viso.

Il suo respiro caldo mischiato al sapore di mentina alla menta, sbatté sulle mie labbra. «Che... che stai facendo?», balbettai titubante, saettando gli occhi sulle sue labbra fin troppo vicine alle mie. Se mi fossi mossa, le avrei sfiorate senza volerlo.

Iwaizumi passò la punta della lingua in mezzo alle sue labbra, facendo schiudere le mie involontariamente. Trovai la situazione eccitante, ma al contempo inadeguata.

Ma cosa cazzo sta succedendo?

«Sei troppo per una come lui, Ori.» Sussurrò malinconicamente, appoggiando la mano sulla mia guancia e posare il pollice sul mio labbro superiore.

Sussultai a quel gesto inaspettato, il quale andò a ricalcare il contorno del labbro fino a scendere a quello inferiore, sporgendolo in avanti e pressarlo leggermente. «Devo andare ora, prima che commetta qualcosa di cui possa pentirmene.»

Restai ammutolita, perdendomi a fissarlo negli occhi. Iwaizumi ricambiò il mio sguardo e stirò un sorriso forzato. Avvicinò per quanto era più possibile il suo viso al mio, e credendo che volesse realmente baciarmi, quest'ultimo mi schiocca un leggero bacio sulla fronte, prima di allontanarsi e indietreggiare di due passi.

Mi salutò un'ultima volta con un cenno. «Buonanotte, Ori.» E infilò le mani in tasca, camminando nella stessa direzione da cui eravamo venuti, perdendosi nell'oscurità della periferia.

Sbattei ritmicamente le palpebre, uscendo dalla trance in cui stavo e appoggiai una mano sul petto, all'altezza del cuore. Il tessuto del giubbotto di Iwaizumi e del suo profumo, mi scaturirono una scarica di brividi che cercai di giustificarli per essere stata troppo tempo al gelo.

Ha dimenticato il giubbotto, fu l'unica cosa che pensai in mezzo a tutto quel trambusto.

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