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𝖨𝖷

«Ti accompagno dalla tua squadra», disse Iwaizumi, trascinandomi per i corridoi zeppi di persone da ogni dove, senza darmi alcuna tregua di riprendere fiato.

«Non posso crederci, cazzo! Me la pagherà quel bastardo: come ha potuto?» Imprecò sottovoce, emettendo su un monologo interiore con se stesso, al che rabbrividì nel sentire la sua voce graffiargli le corde vocali.

«Per favore, fermiamoci, ho bisogno di andare in bagno», confidai in un mormorio impercettibile, guardando le punte delle mie scarpe che trovai interessanti.

Non avevo alzato la testa da quando il ragazzo mi aveva trascinata dietro con lui. «Voglio darmi una sistemata: non voglio che qualcuno mi veda in questo stato. Mi passerà con una veloce rinfrescata.»

Il ragazzo si fermò, continuando a darmi le spalle e girò la testa verso destra, vedendo che ci eravamo fermati proprio davanti alla toilette delle donne.

Allentò la presa intorno al mio polso, al quale lo racchiusi attorno al mio palmo, massaggiandomelo lentamente.

Non mi aveva fatto male, neanche a strattonarmi per tutta la struttura come un carretto guasto. Solo che le sue dita a contatto con la mia pelle, era diventato puro fuoco ardente.

Iwaizumi mi guardò con la coda dell'occhio, serrando la mascella in un'espressione rigida da far male persino a me. «Scusami», mormorò sottile, inghiottendo a vuoto. «Non volevo trascinarti in quel modo, solo che», sembrava davvero dispiaciuto, ma gli sorrisi debolmente, non avendo forza di far altro.

«Va bene», lo bloccai con una mano, interrompendolo, avvicinandomi alla porta del bagno. Ma prima di entrare, volevo togliermi un dubbio che mi assaliva da quella famosa sera.

«Iwaizumi?», lo richiamai, osservando con sguardo fisso la maniglia della porta.

Non sentendo alcuna risposta da parte sua, continuai: «Tu... lo sapevi?» Chiesi titubante, sentendo il magone risalirmi in gola. «Sapevi che Tooru andava con altre in mia insaputa?» Riformulai la domanda con il labbro inferiore che mi tremava ad ogni lettera pronunciata, sperando di essere stata più dettagliata possibile.

Dimmi di no, ti prego, – meditai mentalmente.

Una lacrima solcò la mia guancia, quando udì solamente il suo respiro pesante come risposta. Mi ripulì la guancia bagnata con il dorso della mano, reprimendo il magone in gola e fare ammenda sulle mie forze di non crollare da un momento all'altro.

Ero distrutta.

«No, Kaori.» Sospirai grata dentro di me.

«Grazie per essere stato sincero.» Dichiarai d'un fiato, aprendo la porta del bagno e infilarmici dentro, sbattendola poi con un tonfo alle mie spalle.


Ori

Spesso le delusioni sono legate alle aspettative. Spesso le aspettative sono legate ai desideri. Se si riesce ad avere le aspettative adeguate alla realtà delle cose e il meno possibile legate ai nostri desideri, anche le delusioni saranno minori, sia come numero sia come intensità.

Quando tocchi la delusione, la risalita diventa dura e difficile. Però quando cominci a rinascere, quel sapore di incredibile libertà, quella sensazione di leggerezza e quel senso di "nuovo", diventando qualcosa di unico che vale la pena ascoltare fino in fondo.

La verità era che non puoi proteggere nessuno dalle delusioni. Neanche te stessa. Se lo si sottrarre a una, ne arriveranno subito delle altre, come ciascuno fosse destinato a viverne una quantità stabilita.

Mentre cresciamo ci insegnano tante cose: se un ragazzo ti dà un pugno gli piaci; non tagliarti i capelli da sola; un bel giorno incontrerai un uomo meraviglioso, e anche per te ci sarà il lieto fine. Ogni film che vediamo, ogni storia che ci viene raccontata, ci scongiura di aspettare questo: la svolta del terzo atto.

La dichiarazione d'amore inaspettata. L'eccezione che conferma la regola. Ma a volte siamo talmente concentrate sulla ricerca del lieto fine che non riusciamo ad interpretare i segnali di fumo, a riconoscere chi ci vuole da chi non ci vuole; chi resterà da chi andrà via.

E forse nel lieto fine non era compreso un uomo meraviglioso, forse lo si diventa, da sole, a rimettere insieme i pezzi e a ricominciare, per liberarti nell'attesa che arrivi qualcosa di meglio in futuro.

Forse il lieto fine era solo quello di andare avanti. O forse il lieto fine era sapere che nonostante le telefonate non ricevute e il cuore infranto, nonostante tutte le figuracce e l'umiliazione di non essere stata abbastanza per quella persona e i segnali male interpretati, nonostante i pianti e gli imbarazzi, non si deve mai perdere quel briciolo di speranza che ci riserva il destino. Mai.

Spesso dentro ogni cinico, vi è un idealista deluso.

Il fischio dell'arbitro mi portò alla realtà, sussultando sul posto a sedere, al che tirai il naso all'insù e mi ripulì il viso dalle lacrime che non pensai di cacciare. Ancora.

Ero seduta all'ultimo posto della tribuna meno affollata di persone, soprattutto dalla tifoseria della squadra avversaria. Quando uscì dal bagno, dopo essermi data una sistemata e rendermi presentabile agli occhi degli altri, mi sentivo come se il peso del mondo barcollava sulle mie spalle e ne avessi tutta la responsabilità, io.

Se avessi perso l'equilibrio, allora qualcuno si sarebbe accorto del grosso macigno che mi portavo dentro.

Iwaizumi insistette più di quanto immaginassi di volermi stare affianco, fin quando non mi sarebbe passata. Ma non mi sarebbe passata facilmente. Almeno che, non esistevano i miracoli.

Gli risposi di malo modo, al che scappai da lui, raggiungendo velocemente la palestra laddove la Karasuno aveva già cominciato la partita.

Mi sentì subito una merda nei confronti di Iwaizumi: aveva preso a pugni il suo migliore amico per me, ed io l'avevo trattato come una persona superficiale. Il nulla.

«La Karasuno vince il secondo match contro la Tokonami: passa ufficialmente al secondo torneo della giornata.»

I ragazzi della Karasuno avevano appena vinto il secondo match con la squadra di pallavolo Tokonami (25 – 14) e la partita si dichiarò conclusa.

Gridarono ed esultarono estasiati, facendomi scappare un piccolo sorriso da tutta l'oppressione che avevo accumulato. Persino Keishin teneva disegnato un sorriso soddisfatto, vittorioso e largo sulle labbra: si vedeva che fosse fiero di loro.

Non potei far altro che essere orgogliosa di mio fratello e dei ragazzi, avendo dato il meglio di sé ad ogni battuta, schiacciata e difesa.

Mi asciugai gli occhi con il manico del giacchetto, un'ultima volta, alzandomi dalla poltroncina divenuta scomoda delle tribune, per raggiungerli.

Volevo condividere con loro la felicità di aver sconfitto la prima squadra, anche se non sarebbe stato affatto facile con le altre.

Ognuna era forte e quasi imbattibile, e ognuna puntava al successo così come vincere. Ma le altre squadre avevano qualcosa che li mancava a differenza di quei strambi, pazzi e rozzi, ragazzi della Karasuno: lo spirito combattivo di non arrendersi davanti alle divergenze e difficoltà.

C'era molto da imparare da loro e lo capì solamente in quei sette giorni pieni di duro allenamento e lavoro.

Scesi gli scalini della tribuna e li raggiunsi velocemente, stringendomi nelle spalle per oscurare l'immensa tristezza che mi avvolgeva in quel climax di gioia.

Ero diventata debole come carta bagnata.

Inghiottì a vuoto, mettendo su un sorriso smascherato che avrebbe confuso gli altri. E ci sperai. In cuor mio ci sperai a tenere duro fino alla fine della giornata per poi rintanarmi in camera mia per dare nuovamente sfogo a quello che avevo accumulato.

Mio fratello stava parlando con Takeda-sensei e Kyoko, così raggiunsi il gruppo accerchiato dei ragazzi; chi saltava addosso all'altro e chi a debita distanza li urlava addosso per essere così rozzi, non volendo partecipare a quel contatto così stretto di un abbraccio.

«Bravi, ragazzi. Siete stati grandi!» Alle mie parole, l'intera squadra si voltò verso di me, sorridendomi come dei bambini alla vista del loro giocattolo preferito.

Portai le braccia conserte sotto al seno e saettai gli occhi sulle punte delle mie scarpe sportive, trovandole allettanti e interessanti, e continuai: «Io volevo dirvi che avete giocato davvero bene, anche se c'erano dei piccoli errori superflui», ridacchiai amaramente e intravidi le mie gambe nude, coperta solo quella destra dalla fasciatura, tremarmi. «Dovrete dare il meglio di voi anche nelle prossime partite, oppure»

«Kaori-chan perché stai piangendo?» Alzai il capo di scatto e i miei occhi strabuzzarono dalla sorpresa quando mi accorsi di star piangendo veramente, mentre cercavo -inutilmente- di spronarli a dare il meglio di loro.

Testai le guance bagnate con i polpastrelli, al che pensai fossero arrossate e gonfie, pressando le labbra in una linea stretta e minuta.

Incontrai gli occhi di Sugawara, i quali divennero tristi e preoccupati. Alternai lo sguardo sugli altri ragazzi che mi guardarono nello stesso identico modo, facendo svanire quel sorriso indescrivibile sulle loro labbra che avevano un attimo prima.

Non riesco a reggere tutto questo.

«Io...» Cercai di giustificarmi prontamente, ma le parole così pensate così mi morirono in gola. «Sc-Scusatemi...» Singhiozzai a fiato corto, portando la mano alla bocca per ripremere quei suoni e strizzai gli occhi per la vergogna. «Doveva essere un momento felice per voi... io... io ho rovinato tutto.»

Affondai il viso all'interno dei miei palmi tremanti, al che le mie spalle vibrarono ad ogni singhiozzo, ad ogni spasmo, ad ogni brivido di freddo che provai in quel momento.

A ridere c'era il rischio di apparire scirocchi, a piangere c'era il rischio di essere chiamati sentimentali. Ad esporre le nostre idee e i nostri sogni c'era il rischio d'essere chiamati ingenui. Ad amare c'era il rischio di non essere corrisposti. Ma bisognava correre i rischi, perché il rischio più grande nella vita era quello di non rischiare nulla.

Ed io stavo rischiando di mettermi completamente a nudo davanti a persone che non pensavo di potermi fidare come una seconda ombra – o più ombre.

Non riuscivo a crederci che il mondo mi stava letteralmente crollando addosso, che tutte le mie speranze e i miei sogni erano andati in pezzi.

No, no, non pensarci, mi ripetei. Non adesso, non ancora.

All'improvviso, mi sentì circondata e abbracciata da ammassi di muscoli e corpi sudaticci e fin troppo caldi, facendo battere il mio cuore ad una velocità incredibile ed elevata. Abbassai lentamente le mani dal mio viso, spaventata e curiosa di sapere il perché lo stessero facendo.

Perché? riuscì solo a pensare.

Gli occhi a cerbiatto di Nishinoya mi sorrisero, così come quelli di Hinata, di Sugawara, di Daichi, persino di Kageyama e Tsukkiyama -anche se continuarono ad avere quello sguardo serio e strafottente- li apprezzai comunque.

Dal primo all'ultimo.

«Perché...» sussurrai senza parole, guardando ammaliata i ragazzi, cercando di trovarvi una spiegazione a tutto questo.

«Perché sei un corvo anche tu, Kaori. E noi siamo qui per sollevarti su il morale, proprio come una squadra dovrebbe fare con un compagno», disse Sugawara sorridendomi ad occhi chiusi, evidenziando i suoi tratti orientali. «Ma in questo caso, una compagna...», rise. «Dico bene, Karasuno

Partì un coro di rimbombo da parte dei ragazzi, diventando un attimo sorda per il vociare e l'eco che si propagò nelle mie orecchie. «Ragazzi...», farfugliai dalla commozione. I ragazzi iniziarono a ridere di cuore; grosse e grasse risate, fino a tenersi la pancia per il dolore piacevole.

Nishinoya cadde all'indietro di schiena, seguito da Hinata che inciampò per colpa di quest'ultimo, trascinando con sé Tanaka dalla maglietta, attirando così l'attenzione dei pochi spettatori sulle tribune e di mio fratello, assieme al sensei e Kyoko.

Keishin puntò gli occhi su di me e vidi una luce di preoccupazione passargli davanti agli occhi. Gli sorrisi sincera, come: «Te ne parlerò, ma ora sto bene, davvero.»

«Mi hai fatto male, Hinata!» Brontolò a gran voce Tanaka, massaggiandosi la nuca rasata con una vena pulsante sulla fronte. Nishinoya continuò a sbellicarsi dalle risa, -'sta volta- per quei due.

«Gomenasai, Tanaka-sensei, gomenasai», si scusò Hinata, muovendo il capo su e giù meccanicamente da rompersi l'osso del collo.

«Ah! Sto bene, Hinata-kun», ridacchiò Tanaka con un pizzico di vanità, nell'aver sentito il -sensei di Hinata accanto al suo nome.

Non ero sicura al cento per cento, ma Tanaka aveva gli occhi lucidi e voluminosi come due sfere luccicanti. Credetti che la vista appannata per colpa delle lacrime, mi stesse giocando un brutto scherzo, ma in realtà si era commosso per davvero.

Risi di cuore innanzi a tanta solidarietà, dimenticandomi persino del motivo e del perché stessi piangendo.

Erano strambi, vero, ma erano loro: i miei strambi compagni.

Nessuno di noi è tanto in gamba quanto noi tutti messi insieme.

~

«Un altro punto, ragazzi! Soltanto un altro!» Gridai intenta a spronarli dalla tribuna, reggendomi alla ringhiera. Mancava soltanto un punto per vincere il secondo match contro la Dateko: le cose iniziarono a surriscaldarsi e i ragazzi ad affaticarsi.

La nominata che portava la Dateko era proprio del suo muro imbattile, però la Karasuno, nonostante avesse una difesa scarsa, contrattaccavano fino a quando non c'era più acido lattico nelle loro gambe.

«Per Dio! Muovi quelle gambe che ti ritrovi Hinata o giuro che vengo lì, in mezzo al campo, e ti faccio secco!» Schiaffeggia con irruenza la ringhiera, stringendo i denti, sentendo l'ansia salirmi alle stelle.

«Hai! Hai! Hai!» Rispose a gran voce come un burattino, diventando leggermente pallido, inscenando il saluto da militare.

Durante le ore di pausa, prima del secondo torneo, i ragazzi mi avevano aiutata a stare meglio. Non avevo raccontato tutto nei dettagli di quello che era successo, ma avevo detto a loro il minimo indispensabile per non focalizzare la mia mente all'episodio di quella mattina.

Avevano capito e mi avevano rassicurato con parole dolci e confortanti, dicendomi che meritavo di meglio e che gliel'avrebbero fatta pagare a Oikawa per: «Il coraggio avuto nell'aver tradito una ragazza bella e talentosa come te.» Parole di Tanaka, accompagnato dai cenni di assenso di Nishinoya.

Inutile dire che diventai rossa come un pomodoro ad ogni complimento che mi facevano: non ero abituata a tutte quelle attenzioni da più ragazzi messi assieme, ma il mio rossore intimarono i ragazzi ad andare più nei particolari, parlando esplicitamente delle 'due palle' che avevo al petto.

Per fortuna, Daichi li aveva storditi con degli scappellotti pesanti -stordendoli- prima che l'argomento avesse preso una piega più imbarazzante. Lo ringraziai mentalmente.

Tanaka e Nishinoya invece, erano su tutte le furie. Tanto da cacciare il fumo dal naso come dei tori imbizzarriti alla vista del nastro rosso.

Daichi e Sugawara dovettero mantenerli e legarli per non farli commettere una cazzata, cioè: andare da Oikawa e cambiargli i connotati, facendo in modo di compromettere il torneo.

Anche se era ancora un argomento fresco da trattare, non feci a meno di ridere ad ogni loro minaccia accompagnati da smorfie buffe.

Volevo che tutti loro restassero tranquilli, senza preoccuparsi di un altro mio crollo emotivo, così avevo promesso che avrei fatto il tifo per loro dalle tribune, minacciandoli se non avessero dato il meglio di loro sul campo.

Perché loro potevano. Loro potevano farcela.

«La Karasuno vince il secondo match contro la Dateko: passa ufficialmente al terzo torneo della giornata.»

La voce meccanica che diede l'annuncio conclusivo, mi scaturì lunghi brividi per tutto il corpo. I ragazzi avevano vinto ed io non potei controllare la mia felicità, saltellando in mezzo alle persone che mi guardarono in malo modo per averli urtati più volte.

Mi scusai imbarazzata con la faccia completamente paonazza facendo un figurino ai pomodori maturi. Così cercai di darmi una regolata, almeno fino a quando non sarei scesa in campo e avrei festeggiato con loro la seconda vittoria.

«Avete vinto, ragazzi! Siete stati grandissimi! Uh- Nishinoya-kun...», ero così euforica che non riuscivo a controllare le mie emozioni.

Nishinoya a sentire la mia voce, iniziò a saltellare come un cucciolo di cervo, chiamandomi a gran voce con l'appellativo -senpai alla fine, facendomi ridere.

«È stata fantastica la tua difesa con il piede: bella ricezione.» Alzai il pollice in su e strizzai un occhio, al che il ragazzo gli brillarono gli occhi e inscenò uno svenimento, il quale venne preso prontamente da dietro, da Chikara.

Ce l'avevano fatta.

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