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[𝖤𝗑𝗍𝗋𝖺] 𝖨𝗅 𝗋𝗂𝗍𝗂𝗋𝗈 𝖾𝗌𝗍𝗂𝗏𝗈.

Ho deciso di scrivere questo capitolo extra come "aggiunta" o "continuo" della storia. Non so quanti capitoli saranno, dato che la storia è terminata già da molti mesi.

Sentivo la mancanza della protagonista, della mia dolce Kaori, perciò non ho resistito a voler trascrivere qualche altro pezzetto per completare il puzzle.

Poi, volevo anche chiedervi se c'è una scena in Haikyuu o nella mia Fan Fiction che vi ha toccato molto, così da poter approfondire quel specifico scenario in questi capitoli extra.

Ovviamente, volevo anche ricreare qualche capitolo extra sul figlio di Kaori e Akaashi, e se appunto fossero tornati definitivamente insieme.

Infine, a nessuno di voi è sorto il dubbio su Oikawa e Iwaizumi? 🤨

Aspetto i vostri commenti.

Daichi urlò l'ultimo giro di corsa sulla collina e gli altri, affannati e distrutti per le fatidiche sconfitte di quel giorno, seguirono il loro capitano fuori dalla palestra. Sorrisi inconsciamente di quanta energia custodissero Hinata e Nishinoya in quei piccoli corpi per proseguire l'ultima penalità, nonostante avessero perso molte partite contro il Nekoma e la Fukurodani.

Di solito, le persone normali, avrebbero preso sul personale ogni singola sconfitta. E invece, erano così entusiasti del giro di penalità che involsero tutta la squadra a prenderla sulla leggera.

Si trovavano al ritiro estivo per riempire i buchi delle loro debolezze e lacune, il giro delle penalità era altroché un buon allenamento – sia fisico che mentale – da non abbatterli. Ed io, li apprezzavo.

Alla prima batosta, mi ero data per sconfitta. Al primo dolore, alla prima caduta e vergogna, mi ero sentita una perdente. Odiavo perdere, ma odiavo a prescindere non poter più giocare a pallavolo. Avrei preferito tagliarmi un braccio anziché rinunciare al mio sogno... Eppure, stavo facendo esattamente l'opposto dei miei ideali: rinunciare.

Apprezzavo il fatto che i ragazzi del Karasuno non si arrendessero. Sapevano a prescindere che ovviamente, non tutto poteva andare rose e fiori. A differenza del primo giorno che li conobbi, non sembravano più dei piccoli cuccioli di corvo, anzi.

Stavano lasciando che la loro maturità emergesse, così come un cucciolo di corvo – sotto alle direttive del loro genitore – imparassero la prima volta a volare. 

E loro stavano prendendo la rincorsa per spiccare definitivamente il volo.

«Stanca?» Mitsuki, la manager della Nekoma nonché la sorella minora di Daichi, si materializzò al mio fianco con una cartellina stretta al petto –  sulla quale scriveva le annotazioni della squadra – e  gli occhi rivolti verso i ragazzi della Karasuno che correvano su per la collina.

«Non quanto loro» risposi divertita, rivolgendo la mia attenzione ai corvi che, una volta in cima, presero la rincorsa verso il punto di partenza. Guardai Mitsuki, sorridendole sinceramente. «Dev'essere difficile tenere d'occhio una squadra come la Nekoma...»

Anche se il Karasuno non è di certo diverso su questo punto di vista, avrei voluto aggiungere.

Ma di ciò avrei trovato molta più complicità con Shimizu e Hitoka. Sapevano perfettamente di cosa stessi parlando.

«Già» sorrise. «Non mi dispiace fare la manager di un colosso, anche se all'inizio non volevo prenderne parte.» confidò. «Sai, non sono il tipo di persona a cui affidare una responsabilità del genere...» scrollò le spalle.

Mi appoggiai con le spalle al portone della palestra e incrociai le braccia al petto, ascoltandola attentamente. Se c'era una cosa che mi colpì a primo impatto di Mitsuki era la sua semplicità; lo ero anche io, ma ovviamente in un ambito diverso, più sportivo e confidenziale. Lei, a differenza mia, si apriva tranquillamente anche con chi aveva conosciuto da poco. Io invece, ci mettevo tempo; dovevo capire e analizzare chi avevo davanti, ed essere sicura che la medesima non mi ferisse.

La mia mancanza di sfiducia nel genere umano era frustante. L'unico ad averne colpa era il carnefice del mio cuore: Oikawa.

«Chi ti ha convinto?» mi uscì spontaneo domandarglielo.

Mitsuki mi guardò all'inizio sorpresa e poi sorrise come se le avessi raccontato una barzelletta divertente. Mi affiancò, prendendomi a braccetto. Sbattei ripetutamente le palpebre. «Indovina...» mi sussurrò divertita, facendomi un cenno con gli occhi verso i giocatori del Nekoma, i quali stavano parlando tranquillamente tra loro.

«Ma io...»

«Andiamo! È facile» Certo, per te lo è, sbuffai mentalmente. Le lanciai un'occhiata. «Ti do un consiglio: è una persona tranquilla, amante dei videogiochi e preferirebbe trovarsi da tutt'altra parte anziché in questa gabbia di matti che lodano la pallavolo come se fosse aria.»

Videogiochi, tranquilla, apatica... mi arresi davanti all'insistenza di Mitsuki. Sembrava che ci tenesse davvero tanto, perciò decisi di accontentare il suo gioco di indovina chi e lasciai scorrere i miei occhi sulle sagome dei giocatori del Nekoma.

Uno su tre, non sembravano molto svegli, eppure avevano una difesa sulla ricezione impeccabile. Il capitano Kuroo lo scartai in partenza, dato che non sembrava il tipo di chiedere ad una ragazza qualunque di diventare manager della squadra. Piuttosto, si sarebbe fatto prete. Percepivo l'aura del suo orgoglio da dove mi trovavo.

Dopodiché, passati alcuni minuti, una testa giallastra catturò la mia attenzione: Kenma, palleggiatore e cervello strategico della squadra, il quale durante gli allenamenti e le amichevoli, l'avevo visto più volte far emergere la sua pigrizia e voglia di far meno lavoro degli altri. Odiava sudare, soprattutto affaticarsi e rimanere senza fiato.

È lui, suggerì il mio cervello. Senza alcun dubbio.

Sorrisi soddisfatta. «Kenma» dissi senza rimuginarci troppo sulla mia scelta. «Ha la faccia di chi vorrebbe fuggire seduta stante.» In effetti, la sua espressione sofferente mi faceva ridere. Mitsuki ridacchiò come per confermarmi di averci visto lungo. «Mi fa pena. Perché non lo lasciano andare al dormitorio?»

«Kuroo dice che Kenma non deve giocare prima di andare a letto» ribatté. «...è un modo per tenerlo d'occhio e non perderlo di vista. Alla prima occasione, senza la supervisione di Kuroo, sarebbe capace di darsela a gambe o restare sui videogiochi tutta la notte.»

Risi. «Davvero?»

Mitsuki annuì divertita. «Certo, dovresti vederli anche a scuola...»

C'è qualcosa di strano nel suo sguardo, fu la prima cosa che pensai. Gli occhi di lei erano lucenti, al solo nominare il nome del capitano, qualcosa in lei si era acceso. Nominarlo, era stata come una boccata d'aria fresca.

Dubbiosa e curiosa di volerne sapere di più di tutta quella storia, alzai gli occhi al cielo. «È carino, però...» feci la vaga.

Mitsuki con gli occhi rivolti avanti, annuì in una sorte di trance. «Già, lo è, mol–» La bruna voltò la testa di scatto e mi guardò paonazza. Sollevai un sopracciglio. «...P-Parliamo della stessa persona, sì?»

«Ah, non so... – arricciai il naso soddisfatta – tu pensi di sì?» C'era davvero qualcosa tra quei due allora. Il mio sesto senso funzionava ancora.

«K-Kaori-chan–»

«Akaashi!! Chiedi a Tsukki se vuole murare le mie schiacciate!»

«Perché non glielo chiedi tu, Bokuto-san?»

«Giusto» sghignazzò compiaciuto. «Tsukki! Ehy Tsukki!» sventolò le braccia all'aria, in direzione di Tsukishima che sicuramente, stava prendendo fiato per la penalità svolta in cima alla collina e non aveva assolutamente voglia di immischiarsi nelle idee stravaganti di Bokuto.

Ad interromperci sul più bello, fu proprio lui, l'unico e solo: Bokuto Kotaro; i miei occhi schizzarono sulle due figure massicce della Fukurodani, specialmente sul palleggiatore che, sudato dagli allenamenti e stressato dal gufo, risultava più selvaggio del solito.

E ciò, mi portò ai pensieri della serata precedente; per poco non mi venne un mancamento alle gambe quando gli occhi di una tonalità blu opaca si indirizzarono sulla sottoscritta: Akaashi mi stava fissando, squadrando più che altro e mi rivolse un leggero cenno di mento, prima di prendere la palla al volo e girarsela tra le mani.

Ero diventata tutt'uno con il colore bordeaux della mia felpa.

«Mh, è carino» affermò una vocina delicata al mio fianco, come una sorta di grillo parlante.

«Mhm» mugugnai, non trovando le parole giuste per rispondere. Mitsuki ridacchiò e sussultai: «Perché stai... Oh!» Solo in quel momento mi accorsi che ero caduta nella mia stessa trappola. Divenni rossa. Rossissima.

«Qualcuno è diventato rosso...» mi agitò un dito davanti al viso. Gonfiai le guance imbarazzata.

«Ferma, ferma!» ridacchiai nervosamente, cercando di scacciarle via quel dito. Ma non lo toglieva via, così come la vergogna.




L'ultimo giorno del ritiro estivo, i coach avevano organizzato una sorpresa per le squadre, che consisteva una mangiata di carne alla griglia per ringraziarli del duro allenamento svolto prima del torneo primaverile.

I ragazzi del Karasuno e delle altre squadra erano entusiasti. Finalmente potevano guastarsi una giornata tranquilla tra spiedini di pollo, una quantità indecifrabile di carne e bibite gassate in quantità. Avevano dato un ultimo strappo alla regola. Dovevano acquisire forza e resistenza per il torneo.

Mentre gironzolavo tra i barbecue, i quali vennero dati uno per ogni scuola, mi accorsi che una figura minuta stava aspettando il suo turno per prendere qualche pezzetto di carne, ma le figure possenti di alcuni giocatori, stavano mettendo a dura prova il suo stato d'ansia.

«Hitoka...» la ragazza in questione tremò come un felino e si voltò verso di me colma di imbarazzo. «Ogenki desu ka?» le chiesi se stesse bene, dato che la sua carnagione era più chiara del previsto, peggio del latte. Pareva che avesse visto un fantasma.

«H-Hai...» sbattei ripetutamente le palpebre e inclinai la testa di lato, vedendo i tre bestioni in fila.

Tornai a guardarla e sorrisi dolcemente. «Dovresti chiedere a loro di lasciarti qualche pezzetto, prima di non trovare più niente» le sporsi il problema su un piatto d'argento, ma sembrava che lei non volesse saperne ragioni: il nervosismo era più forte di lei.

«Ecco...» deglutì. «Aspetto, che sarà mai...» ridacchiò nervosamente, grattandosi la nuca.

Feci per aprire bocca ma il trambusto alle mie spalle mi fece sussultare. «Teme, non mangiarti la carne degli altri. Brutto gufo bastardo!» Kuroo del Nekoma stava tenendo Bokuto per il colletto della maglia, mentre quest'ultimo, masticava golosamente la carne che aveva in bocca. Sorrisi nervosamente, ricordandomi di quante volte l'avesse fatto con me e di quante volte gliel'avevo suonate di santa ragione.

È sempre il solito, pensai afflitta.

«Hitoka non mangiare quella–È bruciata...» Ne stavano succedendo di cotte e di crude. Non potevo girarmi e osservare la situazione da tutt'altra parte che al mio fianco ne succedeva una più tragica; Hitoka per il nervoso forte si lasciò trarre inganno dalla carne, giusto per togliersi le attenzioni premurose dei giocatori davanti a lei. Quest'ultimi volevano essere gentili, ma la loro aura omicida faceva rizzare i peli anche di un gatto; purtroppo, contava la prima impressione, no?


Mi sedetti sull'erba, allungando le gambe in avanti e mi lasciai cadere di schiena con un braccio sugli occhi. Il sole spiccava ancora tra le nuvole, ma non era cuocente come quella mattina; presto o tardi, sarebbe intervenuta la notte.

Decisi di restare un po' da sola. A volte capitava che volessi starmene per conto mio, non mi piaceva la moina né conversare con qualcuno fino a perderci la voce. La tranquillità mi piaceva, così come il divertimento. Ma proprio in quei attimi, dove regnava il silenzio totale e i mormorii delle persone si udivano a malapena, era il mio benessere salutare.

«Posso?» Una voce mascolina giunse ai miei timpani. Spostai di poco il braccio per guardare chi fosse, trovandomi nientepopodimeno che Akaashi. Non aspettò la mia risposta e occupò il posto libero al mio fianco. Mandai giù il groppo in gola per l'agitazione e pressai il braccio sugli occhi.

Per alcuni minuti, ci fu silenzio da parte di entrambi. Io ero troppo imbarazzata per parlare, ma non ero una fifona che al primo problema se la dava a gambe. Perciò, dovetti auto lesionarmi un pezzo di carne della coscia scoperta per darmi una calmata.

Forse, dovevo chiedergli scusa per la mia impulsività avventata.

Spostai il braccio davanti agli occhi e mi tirai su con il busto, portando le gambe al petto. Guardai avanti. Lui continuò a guardare avanti. Era un buon momento per dirgli...

«Senti...»
«Kaori...»

Ci guardammo sorpresi entrambi e scoppiammo a riderci in faccia.

«Prima tu...» mi suggerì galante.

Scossi il capo. «No, dimmi...» farfugliai. Non volevo essere la prima a parlare di quello che era successo tra noi. Era... troppo. Persino per una aperta come me.

Akaashi mi guardò lungo, schiarendosi poi la gola. «Ecco, è un po' imbarazzante» sbuffò una risatina nervosa. Sorrisi di rimando. «Però, vedi, quello che è successo ieri... tra noi... Tu–»

«Oi, Akaashi! Kaori!» Un Bokuto arzillo e felice ci corse incontro, scivolando di petto sull'erba e posizionarsi nel mezzo. Lo guardai sbigottita.

Akaashi aveva l'espressione della pazienza stampata in viso, ma la sua aura... era diventata tutt'uno con la voglia di strozzare l'uomo gufo ai nostri piedi. «Che state facendo voi due qui tutti soli? Perché non siete di là con gli altri e me? Stiamo per iniziare il gioco della bottiglia!»

«Kotaro...» sospirai innanzi alle sue manie di protagonismo.

«...Stavamo giusto venendo» aggiunse Akaashi al posto mio, prima di lanciarmi un'occhiata complice. Gli sorrisi di sfuggita. Bokuto alzò un sopracciglio, mentre il corvino si alzò dall'erba e si spolverò i pantaloncini sportivi con diffidenza. Ci guardò dall'alto verso il basso e allargò le braccia: «Allora, andiamo?» domandò paziente.

Annuì, alzandomi lentamente e fare lo stesso procedimento con i miei pantaloncini. Bokuto disse delle cose ad Akaashi, prendendolo per il collo e incamminarsi verso il cuore del campo. Io, nel mentre, li seguì a passo silenzioso.

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