𝖤𝗉𝗂𝗅𝗈𝗀𝗈
☾
5 anni dopo.
Difesa della palla. Gambe divaricate e ginocchia piegate. Mani tese in avanti e colpire. La palla andò dritta nel campo avversario e segnammo l'ultimo punto. Cacciai un gridolino e i miei compagni di squadra esultarono, mentre l'arbitro fischiò e diede fine alla partita amichevole.
«Okay, ragazzi. Per oggi basta così. Siete liberi.» Comunicò il coach, sbattendo le mani una contro l'altra.
Sospirai sollevata e alzai le braccia al cielo, stiracchiandomi. Improvvisamente mi sentì spintonare leggermente e guardai il colpevole, trovandomi il ghigno divertito di Atsumu al mio fianco. Roteai gli occhi divertita.
«Gran bella difesa. Chi ti ha insegnato a difendere così bene?» Ammiccò, alzando e abbassando ripetutamente le sopracciglia, replicando da parte mia lo stesso spintone che mi aveva dato.
«Spiritoso. Sei sempre il solito.» Ridacchiai, scuotendo il capo, e mi avvicinai alla panca di legno dove vi era l'asciugamano e il borsone con dentro i miei effetti personali. Presi l'asciugamano, tamponandomi la fronte e aprì la zip della tasca laterale del borsone, sfilando all'interno il cellulare.
Controllai le notifiche dei social, ignorando alcuni messaggi e rispondere ad altri. Poi, notai delle videochiamate perse da parte di Keiji e un messaggio con su scritto: "Richiamami appena puoi. Yuki sta dando di matto, vuole sentirti."
Sorrisi e voltai la testa verso la mia squadra, la Black Jackals. «Hey ragazzi, mi assento un attimo. Ho una chiamata importante da fare.» Annunciai ad alta voce in modo che mi sentissero, mostrando a loro il cellulare. Ricevetti degli 'okay' veloci e delle raccomandazioni da parte di Sakusa di disinfettarmi dopo le mani, mentre Bokuto e Hinata zampettarono come due conigli, annuendo.
Soltanto lo sguardo di Atsumu divenne profondamente insistente, come se avesse voluto capire chi era il destinatario della chiamata. Anche se, in fin dei conti, doveva capire il mio status di madre.
Ignorai quello sguardo e corsi fuori dalla palestra. L'aria calda e afosa del Brasile mi infiammò le guance e riuscì a trovare un posto appartato per avviare la videochiamata. Mi sedetti su un marciapiede, portandomi le ginocchia al petto, mentre aspettai paziente che mi venisse accettata.
Dopodiché, il faccione adorabile di un bambino dagli occhi ambrati e i capelli corvini sbarazzini, comparì davanti ai miei occhi, facendomi sorridere come un ebete. «Mamma! Sei tu? Perché sei qui dentro?» La sua espressione adorabile e confusa mi fecero ridere. Gli occhioni dolci tirati in una smorfia seria come a voler capire del perché mi trovassi in quella specie di "aggeggio", fu la miglior cosa che mi era successa a fine giornata.
«Ciao anche te piccolo», lo salutai senza far svanire in alcun modo il mio sorriso. Ogni volta che lo vedevo, le emozioni erano sempre le stesse. Anche se mi trovavo in un altro paese, a chilometri di distanza, a Yuki la cosa non gli pesava più di tanto. Era felice che sua madre fosse una giocatrice famosa e brava, tanto da permettersi di giocare in una squadra pallavolo completamente maschile. «Sta' tranquillo, la mamma tornerà prestissimo. – lo rassicurai dolcemente – Allora, come stai? C'è papà vicino a te?»
«Sì, mamma sto bene. Papà è qui, sta preparando la cena.» Nonostante avesse quattro anni, aveva una parlantina inaudita. Era incredibilmente come non sbagliasse a pronunciare una parola come tutti i bambini della sua età, ma Keishin replicava dicendo: «Ha preso da sua madre. Non c'è dubbio. Kaori da piccola non stava un secondo zitta.» La cosa mi lusingava, dopotutto.
«Ti va di passarmelo? Devo parlargli di una cosa e poi, ti prometto, che dopo parlerò tutto il tempo con te.»
«Okay! Papà la mamma ti vuole! » Strillò così forte che ero sicura di essere diventata sorda. Sospirai esasperatamente divertita e vidi Yuki salire goffamente su uno sgabello, emettendo dei versi di affaticamento per arrivare alla stessa altezza di Keiji. «Papà...», lo richiamò e sentì la voce di Keiji che gli domandò distrattamente cosa volesse. «La mamma vuole parlare con te.» E nel dirlo, gli mise velocemente il telefono tra le mani che, il diretto interessato, dovette mollare il mestolo, prima che il telefono diventasse una patatina fritta.
Un'espressione perplessa comparì sul volto maturo di Keiji e scoppiai a ridere quando portò l'attenzione su di me. «Non so più che pesci prendere con quel bambino», commentò esasperato, scuotendo il capo.
Alzai gli occhi al cielo. «Te l'ho detto che non devi dargli il tuo cellulare. La prossima volta potrebbe rispondere alla chiamata del tuo capo o chiamare la polizia.» Ribattei sarcastica.
«Perché, nostro figlio conosce il numero dell'emergenze?» Mi guardò sbigottito e feci spallucce.
«Può essere», sorrisi innocentemente e appoggiai il mento sul palmo della mano. «Allora, come vanno le cose? Il lavoro?»
Le sue labbra si curvarono finalmente in un sorriso. «Va tutto a gonfie vele. Mi hanno appena promosso come dirigente del mio reparto.»
Spalancai la bocca incredula. «Dici sul serio?»
«Mhm!» Mugolò, portandosi una cucchiaiata di salsa alle labbra. «Già, questo però mi toglierà abbastanza tempo per Yuki. Sai, fare il dirigente mi raddoppierà le ore d'ufficio...»
Annuì, comprensiva. «Lo so, lo capisco», feci un mezzo sorriso. Keiji mi guardò profondamente e smise di fare quello che stava facendo, portandosi il telefono più vicino al viso.
«Hai il viso molto stanco...», commentò accigliato. «Dovresti riposarti e mangiare come si deve.»
Ridacchiai. «Da quando hai imparato a cucinare, riesci a riconoscere le persone mal nutrite?» Mi beffeggiai di lui, facendolo grugnire.
«Simpatica.»
«Sto scherzando!» Sbuffai, divertita. «E comunque mangio. Anche molto. Sono gli allenamenti fino a tardi che mi riducono allo sfinimento.» Lo rassicurai, portandomi una ciocca di capelli dietro all'orecchio.
Vedere il viso dolce di Keiji, mi metteva sempre in subbuglio lo stomaco. Però, purtroppo, le cose tra noi non erano funzionate. Il giorno dopo della festa del diploma, scoprì di essere in dolce attesa. Tutti erano entusiasti, persino mio padre che non vedeva l'ora di adempiere al ruolo di nonno. Ricordo che mio fratello pianse addirittura, mormorando frasi sconnesse come: «L'ha messa incinta. Lo sapevo. Sto per diventare vecchio.»
Quel periodo era stato uno dei più belli della mia vita. Avevo ricevuto anche il contratto con la Black Jackals, dandomi un anno di tempo per riprendermi dalla gravidanza. Ne ero entusiasta. Soprattutto perché ero l'unica femmina a giocare in una squadra maschile.
Per mia fortuna, avevo Bokuto e Hinata con me.
Tuttavia però, quando nacque Yuki, le cose tra me e Keiji si complicarono. I medici dissero che era stato il disturbo post traumatico e le mie emozioni positive erano in contrasto con quelle negative. In quel periodo, Keiji ce l'aveva messa tutta per starmi accanto ed io anziché andargli incontro, mi allontanavo sempre di più. Mi chiese addirittura di sposarlo, dandomi l'ultimatum, ma gli risposi che non me la sentivo di fare quel grande passo.
Mitsuki, la mia migliore amica, mi restò accanto per tutto il tempo. Anche quando Keiji fece le valigie e andò via. Piansi un sacco. Non riuscivo ad accudire Yuki e prendermi cura della mia salute mentale, perciò Mitsuki decise di trasferirsi nel mio stesso appartamento per aiutarmi.
Non la ringraziai mai abbastanza. Dopotutto, era il mio dovere di madre prendermi cura del mio bambino, ma lei non me lo aveva mai fatto pesare, anzi. Mi diceva che era un buon motivo per tenersi in movimento.
Dopodiché, l'anno passò e mi ripresi dal mio stato depressivo. Keiji, per tutto quel tempo, non c'era stato un solo giorno che non si assentasse dai doveri di padre. Era davvero una figura paterna eccezionale. La stessa che avrei voluto avere io da bambina. E poi, ero certa che sarebbe stato anche un ottimo marito.
Al giorno d'oggi, il rapporto mio e di Keiji balzava ad essere amici a genitori di Yuki. Lui si preoccupava per me, ed io di lui. Alle volte, con il cuore in gola, gli chiedevo se si vedesse con qualcuna, ma rispondeva sempre che non aveva tempo per via del lavoro e di badare a Yuki. Anche se, non gli credevo.
L'ultimo uomo con cui ero andata a letto era stato Atsumu. E no, non gliel'avevo detto a Keiji. Eppure mi sentivo davvero in colpa nei suoi confronti; anziché provare a far funzionare il nostro rapporto, c'era qualcosa che mi frenava. Me ne pentì amaramente la mattina seguente, dopo la notte con Atsumu, dato che avrebbe potuto causare problemi alla squadra e ai ragazzi. Non mi piaceva la gelosia ingiustificata né dipendere da qualcuno che si provava soltanto affetto, anziché amore.
Keiji continuò a guardarmi a lungo e notai le sue guance tingersi di rosso, grattandosi il retro della nuca. «Puoi venire qui, sai...», mormorò. «Prenderti una vacanza e passare del tempo con Yuki.»
L'idea era quella. In effetti, volevo fare una sorpresa al piccolo di casa. Sarei partita quella sera stessa. «Chiederò al coach.» Risposi, guardandomi i piedi.
«Capito.» Sorrise. «Spero che lo farai, perché ho imparato a fare il curry. A Yuki piace molto.»
«Non è vero!» Gridò una vocina stridula in risposta. Alzai un sopracciglio divertita e Keiji guardò male nella direzione in cui si sentì la voce lontana.
«Cosa? Ma se hai detto che ti piace-»
«Papà mi passi la mamma? Ha detto che avrebbe parlato tutto il tempo con me!» Proclamò, interrompendolo. Scoppiai a ridere, coprendomi la bocca.
Keiji sospirò affranto. «Scusami...»
«Tranquillo. – alzai e abbassai le spalle – Ha ragione, gliel'avevo promesso. Scusami tu.»
Mi sorrise per l'ultima volta, prima che consegnasse definitivamente il telefono a Yuki. Il suo faccione felice comparì sotto ai miei occhi luminosi. «Ehi mamma, vuoi vedere i disegni che ho fatto a scuola?»
«Certo che sì.»
༄
Erano le 04:55 del mattino quando riuscì a trasportare la valigia pesante davanti alla porta di casa di Keiji. Come avevo ribadito, volevo fare una sorpresa a Yuki e a... lui. Avevo passato tutta la giornata e la nottata in aereo: ero sfinita. Non avevo chiuso occhio per tutta la durata del volo e sicuramente mi sarebbe bastato anche sedermi per crollare.
Varcai la soglia della porta, posando il mazzo di chiavi in tasca. Avevo le chiavi di casa del mio ex ragazzo soltanto per precauzione riguardo a Yuki, non per altro. Cercai di far meno rumore possibile e posai la valigia in un angolino all'ingresso, sfilandomi poi le scarpe.
Camminai per il corridoio, andando poi nel salotto. Mi guardai attorno alla ricerca delle camere. Era la seconda volta che mi presentavo lì, perciò avevo uno scarso orientamento dell'abitazione. Notai più in la del salotto e della cucina, varie porte, soprattutto una in fondo a tutto.
Decisi di partire dalla prima che mi capitava, trovandovi il bagno. La chiusi e proseguì verso le altre, fino a quando non mi bloccai con la mano stretta sulla maniglia: un corpo nudo avvolto dalle coperte, era avvinghiato a quello di Keiji, mentre una chioma lunga e rossa scendeva a cascata sul cuscino.
Dormivano beati con dell'espressioni appagate e serene. Menomale che aveva troppo lavoro, meditai infastidita soltanto perché mi aveva mentito e non perché l'avessi trovato a letto con una qualunque. Chiusi la porta velocemente, prima che potessi svegliarli con la mia presenza, camminando in fondo all'ultima camera: quella di Yuki.
Notai il mio bambino sotto alle coperte che stringeva il suo peluche e sorrisi dolcemente a quella scena, dimenticandomi persino a cosa avevo visto prima. Mi sfilai il maglione, restando in canotta leggera, facendo la stessa cosa i pantaloni e calzini, rimanendo con una culotte nera. Scostai le coperte e mi infilai nel letto, stringendo il corpo piccolo e delicato del mio bambino.
Infilai il naso nell'incavo del suo collo, annusando l'odore che tanto mi era mancato e chiusi gli occhi, stringendolo al mio corpo il più possibile.
Senza che me ne rendessi conto, Morfeo mi cullò nelle sue braccia.
༄
Il rumore di padelle che sbattevano una contro l'altra, neanche se avessero messo su un concerto di musicisti stonati, mi svegliarono dal mio sonno tranquillo. Aprì un occhio e poi l'altro, guardando il soffitto.
Ripensai subito a ciò che avevo visto ieri sera e sicuramente la risatina irritante a gallina era dovuta alla rossa che avevo visto nel suo letto. Ma che ci faccio qui? Cosa speravo di ottenere? Sbuffai affranta e sbattei delicatamente le palpebre, portando poi l'attenzione sulla chioma corvina che mi solleticò la guancia con le punte dei capelli.
Yuki mugolò e si voltò poi con il corpicino dalla mia parte, notando quanto fosse buffo e dolce con quel peluche. Gli accarezzai con il dito le guance piene, poi gli zigomi e infine il nasino. Arricciò il naso e grugnì come un cavernicolo, prima di aprire i suoi occhioni color ambra.
«Vuoi dormire tutto il giorno?» Mormorai con un tono basso, accarezzandogli i capelli.
Yuki corrugò la fronte confuso e sbatté le palpebre mettendo la vista a fuoco. Gli sorrisi a trentadue denti e lui spalancò gli occhi di scatto. «Mamma?» Si sollevò su con il busto.
Ridacchiai. «Sorpresa!» Esclamai, gesticolando le mani goffamente. Yuki cacciò un gridolino fin troppo acuto per le mie povere orecchie e mi si buttò completamente addosso, affogandomi nella sua stretta. Risi di cuore, ricambiando quell'abbraccio e baciarlo ripetutamente la guancia.
«Papà! Papà!» Yuki mi aveva tirato giù dal letto, trascinandomi con la sua manina stretta alla mia fino alla cucina, sotto ai miei continui rimproveri, poiché ero impresentabile e dovevo finire di vestirmi. «Papà guarda chi c'è!» Strillò euforico, facendo voltare sia Keiji che la ragazza, intenti a preparare la colazione.
Gli occhi del mio ex si posarono sulla mia figura svestita, perdendo il sorriso che aveva un secondo prima sul volto. Yuki si avvinghiò alle mie gambe e la ragazza del padre di mio figlio mi squadrò dalla testa ai piedi con un'espressione disgustata sul volto.
Alzai una mano in segno di saluto, pressando le labbra in un'espressione da "non so assolutamente cosa dire".
«Kaori che ci fai tu qui?» Ma Keiji non sembrava affatto arrabbiato o turbato di essere piombata dalla sera alla mattina in casa sua senza avvisarlo. O almeno così pensai. Mi sorrise sorpreso e anche un po' confuso, mentre io feci spallucce.
«Volevo fare una sorpresa a Yuki», e a te. A quanto sembrava però, quella sorpresa ero io. «È una tua amica?» Indicai la ragazza al suo fianco: la rossa sorrise tirata e allungò la mano verso di me, presentandosi: «Linda, una collega di lavoro di Keiji.»
Esitante o meno, accettai la sua stretta senza far scenate. «Kaori, la madre di Yuki.»
«Oh, sei la madre? Sei piuttosto giovane...» Commentò, squadrandomi per bene.
«Già, ho avuto Yuki molto giovane. – mi grattai una guancia imbarazzata – Oh beh, io credo di... Meglio che tolga il disturbo.»
«No, mamma! Sei appena arrivata.» Proclamò offeso
Yuki, guardandomi imbronciato. Sospirai e mi abbassai sulle mie ginocchia.
«Tesoro, ti prometto che ci vedremo oggi. Ora la mamma deve andare...»
«No! Non voglio. – ribatté capriccioso – Papà, la mamma può restare qui?» Guardò Keiji.
«Io, in realtà, dovrei...» Keiji mi guardò impacciato, bagnandosi poi le labbra.
«Piccoletto, – esordì Linda con un tono fintamente dolce – io e il tuo papà dobbiamo andare a lavoro. Non credo che la tua mamma può restare–»
«E invece sì. Può restare!» La interruppe, guardandola male. «Mamma è vero che resti?» Mi domandò con una vocina dolce da strappalacrime.
Mi morsi il labbro e guardai un'ultima volta Keiji che annuì arreso. «Okay... resterò qui. Ma prima, andrai a scuola e oggi giocheremo insieme.»
«Che cosa?»
«Senza storie.» Aggiunsi severa, alzando un sopracciglio. Yuki sbuffò: «Vado a prepararmi allora.»
Sorrisi soddisfatta, vedendolo correre verso la stanza. Mi alzai sulle mie ginocchia e guardai i due. «Se non è un problema, posso accompagnarlo io a scuola, sennò farete tardi a lavoro.»
Keiji annuì. «Ti ringrazio.»
«Già, grazie.» Cinguettò quest'ultima.
༄
Dopo aver accompagnato Yuki a scuola, andai a trovare il nonno e mio fratello. Parlammo del più e del meno, ricordando il momento di quando vinsi insieme alla Tora le Olimpiadi. Fu una giornata completamente diversa e solare dal mio risveglio. Ne avevo assolutamente bisogno per staccare dalla realtà.
Successivamente, feci anche un giro in città, comprando qualche giocattolo per Yuki e passai a trovare Mitsuki in ospedale, dato che aveva conseguito gli studi di medicina per diventare medico. Le raccontai della situazione di quella mattina e della sera precedente. Mi aveva invogliato più volte a riprovarci con Keiji, visto che il mio sentimento di gelosia diveniva sempre più grande al solo pensarlo o vederlo con qualcuna che non ero io.
Le dissi che ci avrei pensato, poiché non era il momento di buttarsi a capofitto senza sapere se fosse stata una cosa fattibile o meno. Avrai dato al tempo il giusto percorso.
La mattinata passò velocemente, nonostante le poche ore di sonno addosso, mi precipitai ad andare a prendere Yuki a scuola. Quando tornammo a casa, Keiji doveva ancora rientrare, così giocammo e disegnammo quasi per tutto il pomeriggio; gli preparai la merenda, gli raccontai alcuni episodi divertenti durante gli allenamenti di pallavolo e infine, gli consegnai i regali che gli avevo comprato.
A fine serata, Yuki crollò sul divano mentre guardava i cartoni. Lo presi e lo portai nel suo letto. Ne approfittai di togliere un po' di casino da mezzo, lasciando la casa in ordine e pulita, godendomi poi un bicchiere di vino davanti ad un film.
Diciamo che con l'alcool, da giovane, non avevo mai avuto un buon rapporto. Mi ubriacavo molto facilmente e bastava un bicchiere per mandarmi a K.O. Però, ad oggi, forse era per l'età che avanzava, berne uno di tanto in tanto, mi rilassava.
La serratura della porta mi fece sussultare e mi svegliai di soprassalto, puntando gli occhi sulla porta che venne chiusa da Keiji. Mi stropicciai le palpebre e guardai il film bloccato agli ultimi minuti dal finale, così afferrai il telecomando e la spensi.
Raggiunsi Keiji in cucina, il quale aveva appoggiato delle buste della spesa sul bancone e mi precipitai a dargli una mano per sistemare gli appositi cibi nelle loro postazioni. Lui mi notò, ma non disse nulla. Non si era neanche preoccupato di salutarmi.
Sembrava... arrabbiato.
In silenzio, misi i pacchi di biscotti nel mobile e improvvisamente, sentì un barattolo sbattere contro il bancone. Mi voltai di scatto verso di lui, guardandolo confusa.
«Keiji...» feci, provando ad avvicinarmi. «Tutto ok-»
«No. No, non è per niente okay», ribatté secco, trucidandomi attraverso gli occhiali da vista con le sue pozze blu. «Perché non mi hai detto che saresti arrivata?»
È questo il problema? «Te l'ho detto: volevo fare una sorpresa a Yuki.» Strinsi le braccia al petto.
«Dovevi dirmelo comunque...», replicò. «Insomma, è casa mia. Non puoi venire qui quando ti fa più comodo.» Aggiunse, alzando di poco il tono.
«Abbassa la voce: Yuki dorme», lo ripresi malamente. «E comunque, lo so. Avrei dovuto avvisarti, ma credevo che non avessi ospiti.»
Keiji ridacchiò amaramente. «Sono un uomo, Kaori. Ogni tanto ho bisogno di distrazioni anche io...», si giustificò infastidito, afferrando la confezione di farina.
«Con mio figlio in casa?» Sottolineai, irritata.
«E allora?» Fece spallucce. «Nostro figlio sa che non stiamo più insieme!»
«Non è una giustificazione!» Mi impuntai, facendo un passo verso di lui. Che diamine voleva significare quella discussione? «È un bambino. L'ultima cosa che dovrebbe vedere è guardare suo padre fottersi una collega di lavoro!»
«Ho chiuso la porta a chiave.» Mi diede le spalle, mettendo in ordine il restante della spesa. Spalancai gli occhi.
«No, affatto! La porta era aperta-» Keiji mi guardò di scatto, avanzando con i passi e arrivare ad un palmo dal mio viso.
«Sei entrata in camera mia?»
Deglutì. «È-È stato uno sbaglio. Cercavo la stanza di Yuki...», farfugliai paonazza, distogliendo lo sguardo. «Era l'ultima cosa che avrei voluto vedere.»
Lo sentì ridacchiare. «Immagino», lo guardai male. «Ma ciò non cambia che puoi piombare qui come ti pare.»
Iniziai ad arrabbiarmi. «Sai che c'è, Keiji? Vai a fanculo. Me ne vado!» Sbottai, superandolo con una spallata. Chi si credeva di essere?
Arrivai all'ingresso e afferrai con fretta e furia il mio cappotto, infilandomelo, sentendomi poi afferrare il braccio. «Dove credi di andare a quest'ora?»
Mi scostai infastidita. «Ovunque. Basta che sto lontana da te e dalle tue cazzo di raccomandazioni», sputai inviperita. «Dio! Non ti sopporto.» Scesi il pianerottolo e afferrai le scarpe.
«Non ti faccio uscire a quest'ora, Kaori», mi sentì afferrare nuovamente e sbattere contro al muro; lo guardai con la bocca spalancata.
«Levati o giuro che mi metto ad urlare!» Lo minacciai, puntandogli il dito sul petto.
«Fallo», mi sfidò con un ghigno. «In questo condominio, ci sono più anziani qui che in una casa di cura. E poi, Yuki, ha il sonno pesante.»
Ma che cazzo...
«Spostati», replicai dura, dandogli un leggero pugno sul petto.
«Oppure?» Senza che ce ne rendessimo conto, ci trovammo con i visi così vicini che sentì il suo respiro caldo battermi sul viso. Sussultai e distolsi lo sguardo di scatto. «...Che fai, Kaori?» Le sue labbra entrarono in contatto con il mio orecchio, scatenandomi una serie di brividi indescrivibili e serrai gli occhi.
«S-Spostati...»
Le mani di Keiji si posarono, all'interno del cappotto, sui i miei fianchi, i quali li accarezzò delicatamente. «Metti tutta la tua forza di volontà per spostarmi e giuro che mi fermerò.»
Avevo il cervello impappinato. Di quale forza di volontà parlava? Non si era affatto reso conto che l'avevo persa nell'esatto momento in cui le sue mani erano entrate a contatto con il mio corpo. Non risposi e lasciai che mi sfilasse il cappotto, facendolo cadere per terra.
«Guardami.» Ordinò, afferrandomi le guance e voltarmi il capo verso di lui. Lo guardai profondamente con una sensazione che non provavo da tempo e notai, a soddisfazione propria, che anche lui era lo stesso.
Nessuno dei due fiatò, di nuovo. Il suo sguardo mi penetrò fino e dentro alle ossa; avvicinò le sue labbra alle mie, senza toccarle. «Che... vuoi... fare?» Asserì in un sospiro spezzato.
Keiji mi sorrise e strofinò la punta del naso contro la mia. «Anziché parlare, ti va se te lo mostro?»
«Non sono la tua amichetta Linda, Keiji», ribattei secca e al contempo delusa. Lui scosse il capo.
«Lo so», rispose. «Sei la madre di mio figlio; non c'è donna più importante di te.»
Ormai, non potevo continuare a fingere che non avessi la voglia matta di baciarlo.
Afferrai di scatto le sue guance e appoggiai focosamente le mie labbra sulle sue. Keiji senza farselo ripetere due volte, ricambiò e infilò la lingua nella mia bocca, alla quale intrecciai vogliosamente con la mia, attorcigliando le braccia attorno al suo collo e sollevarmi di poco con le punte. Nonostante gli anni, continuava ad essere più alto di me.
Il ragazzo, o meglio, l'uomo e il padre di mio figlio, notò la differenza di altezza e ridacchiò sulle mie labbra, il quale afferrò le mie cosce e mi sollevò da terra, portandomi in salotto. Mi fece cadere di schiena sul divano e mi divaricò le gambe per mettersi nel mezzo, senza interrompere le nostre lingue danzanti con una voglia matta di esplorare la bocca dell'altro.
Le sue mani si posizionarono sui miei fianchi, alzando di poco l'orlo della maglietta per infilarle all'interno e strinse la mia carne nei suoi palmi callosi. Morsi il suo labbro inferiore e si lasciò scappare un ansimo di approvazione per il mio gesto, ricambiando con una pressione di dita nei fianchi.
«Ho una specie di déjà-vu», sussurrò tra un bacio e un altro. Ridacchiai e alzai la maglietta fino al seno per scoprirlo, rivelando il reggiseno rosso che indossavo. Il formicolio nel basso ventre divenne insostenibile e gettai la testa all'indietro, lasciando che le labbra di Keiji leccassero e mordessero la parte morbida dei miei seni, tirando giù le coppe e continuare la tortura sui capezzoli, succhiandoli avidamente.
Gemetti acutamente, infilando una mano nei suoi capelli spettinati e l'altra per reggermi al bordo del divano, prevedendo un possibile mancamento. Adoravo come la sua bocca combaciasse bene con ogni pezzo della mia pelle. Sembrava fatta appositamente per baciarmi e mangiarmi fin quando non fosse sazio.
Mi era mancata quella sensazione.
Scese con le labbra fino ad arrivare all'ombelico e depositarci un bacio umido, continuando la discesa fino al basso ventre e scontrarsi con il tessuto dei pantaloni. Alzò gli occhi puntandoli nei miei, i quali mi chiesero silenziosamente il permesso di continuare e annuì con l'eccitazione stampata in faccia.
Sbottonò i pantaloni e li tirò giù fino ai miei piedi, gettandoli in un angolino della stanza. Le mie mutandine erano fradice dei miei umori e divaricai di più le gambe, inarcando la schiena, il che evidenziò maggiormente la rotondità dei miei seni.
Posò le mani sulle mie cosce e si inginocchiò, alzandomi una gamba e portarsela in spalla, mentre l'altra la allargò semplicemente, avendo tutta la mia virilità sotto ai suoi occhi lussuriosi e peccaminosi.
Lo sguardo di Keiji era così maledettamente penetrante che sarei venuta anche solo a guardarlo. Mi venne in mente quando da ragazzi lo stavamo per fare sul ripiano della sua cucina. Quel ragazzo cambiava le proprie espressioni in un modo così impressionante che non ero convinta della sua esistenza umana.
Avvicinò la sua bocca umida al centro del mio sesso, ricoperto ancora dal tessuto striminzito delle mutandine, baciandolo al di sopra. Mi morsi il labbro, reprimendo sospiri di piacere ogni qualvolta che le sue labbra sfioravano il clitoride pulsante e infiammato. Stava facendo un gioco pericoloso ed era quello di sdoppiare la mia pazienza. Gli era sempre piaciuto giocare sporco e farmi penare.
«Stronzo.» Ringhiai, agitandomi come un anguilla.
Lui mi guardò con quel ghigno stampato sulle labbra umide, abbassandosi e inspirare dal naso contro la mia intimità, causandomi un tremolio.
Le sue labbra sfiorarono il mio clitoride gonfio e la sua bocca affondò nel mio sesso che richiedeva la totale attenzione dalla sua bocca esperta, facendomi trattenere un gridolino. Mi tappò di scatto la bocca, continuando a lavorare con la lingua in mezzo alle mie gambe.
Mossi il bacino contro alla sua bocca, chiedendo più frizione. La barba mi punzecchiò la pelle dell'interno coscia e mi morsi il labbro violentemente, affondando le mani nei suoi capelli e stringergli le ciocche corvine.
Vederlo lì, in quella posizione con gli occhiali da vista e i capelli spettinati, mi causò fitte fastidiose nel basso ventre da provocarmi un forte orgasmo.
Venni senza battere ciglio sulla sua lingua che leccò e ingoiò tutto, ritornando poi sul mio corpo ancora tremante. Si sfilò degli indumenti, lasciandomi baci umidi su tutto il corpo, gettando i vestiti sul pavimento.
Continuammo a baciarci con foga, sentendo il mio sapore sulla sua lingua. Keiji scontrò la punta della sua erezione contro la mia fessura, bagnandola del mio orgasmo. Gli mordicchiai il labbro e appoggiai le mani sulle sue spalle, incalzandolo a sedersi con le spalle allo schienale.
«Kaori...» ansimò, mentre mi sistemai sopra di lui. Portai le mie labbra sul suo collo, baciandolo e mordendo pezzi della sua pelle.
«Lasciami fare.» Sussurrai implorante contro la sua pelle umida.
Afferrai il suo membro e sollevai il bacino, posizionando la punta contro la mia entrata e penetrarmi, scendendo lentamente fino alla sua lunghezza da farci scappare in sincronia un ansimo.
Iniziai a muovermi prima piano per adattarci entrambi e dopo aumentai il ritmo dei movimenti, gemendo sonoramente ad alta voce. Keiji portò le mani sulle guance del mio sedere, schiaffeggiandolo di tanto in tanto, ordinandomi con lo sguardo di non smettere.
Gli occhi di Keiji erano come indemoniati. E quanto poteva sembrare vergognoso, mi eccitai ancora di più.
«Più veloce...», mi comunicò, gettando la testa all'indietro.
Velocizzai il ritmo, sentendo le mie pareti stringersi intorno al suo cazzo, emettendo un sonoro ansimo acuto. Sentì nuovamente quella fitta nel basso ventre, dovuto anche alla sensibilità dell'orgasmo avuto pochi attimi prima. Arrivai dopo pochi secondi ed emisi un gemito di sollievo, mordicchiandomi il labbro inferiore nel trattenermi ad urlare.
Non mi accorsi neanche di aver chiuso gli occhi per quanto l'orgasmo fosse stato potente che mi ritrovai a posizioni invertite: Keiji senza uscire da me, aveva invertito la posizione, e aveva preso lui le redini del gioco. Ad ogni spinta era un duro colpo di reni e affondò il viso nell'incavo del mio collo, mordendomi un pezzo di pelle e succhiarlo.
«K-Keiji...» Mugolai senza fiato, roteando gli occhi all'indietro. Affondò fino in fondo dentro di me, tanto che sentì la punta del suo cazzo sfiorarmi l'utero e sospirai profondamente.
Un'ultima spinta e si riverserò tra le mie pareti, trattenendo un gemito grottesco contro la pelle del mio collo.
Affondai le dita nei suoi capelli scombinati, accarezzandolo e stringerlo al mio corpo tremante. Per una strana ragione ignota, avevo paura che sparisse come foglie al vento. Continuammo a restare così, uniti e nudi, ad abbracciarci.
Keiji allontanò il volto dall'incavo del mio collo, il quale si presentò con guance rosse e gli occhi lucidi. Sorrisi a quella scena, cercando di scattare una foto mentale per quanto sembrasse un bambino nel corpo di un uomo ben dotato.
Il mio uomo.
Appoggiò la fronte sulla mia e si bagnò le labbra evidentemente secche. «E, ora?»
Sorrisi. «Pancake?»
Scoppiammo a ridere insieme.
The End.
- - -
✨Non sto piangendo. Tu stai piangendo✨
Volevo ringraziare a tutte le persone che hanno letto, messo mi piace, seguito anche due o un solo capitolo di questa storia. Finalmente anche Ace è giunta a termine con un finale super pazzo. Spero tanto che vi abbia suscitato forte emozioni proprio come alla sottoscritta che l'ha scritta.
Vi adoro.
Non smettete di seguirmi e leggere le altre storie in corso:
- Fly Down [Eren Jaeger]
- Bloody Eyes. [Naruto]
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