Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

𝖷𝖷𝖷

𓆸


Caldo. Togli. Freddo. Metti. Tiepido. Piede fuori.
Ma perché faceva così caldo e freddo allo stesso tempo? Scostai le coperte infastidita e sbattei lentamente le palpebre, focalizzandomi sul soffitto. Stropicciai gli occhi e mi sedetti, appoggiando la schiena contro la tastiera del letto e gettai il capo all'indietro, sospirando profondamente.

Era la terza sera consecutiva che non dormivo più di due ore a notte. Stavo iniziando a soffrire di insonnia, o forse l'agitazione di una chiamata inaspettata che mi comunicava che il nonno non ce l'aveva fatta, mi stava facendo storcere le budella. Raramente riuscivo a stare quieta, anche se il mattino dopo a malapena riuscivo a reggermi all'impiedi. Sembravo proprio essere uscita dal film Zombie del 1978; credetemi il trucco faceva pena e i morti viventi uscivano ancora dalle loro tombe.

Girai la testa e notai sul comodino un bicchiere d'acqua pieno. A mali estremi, estremi rimedi. Afferrai il bicchiere d'acqua, bevendone una buona quantità. Improvvisamente, sentì qualcosa sotto alle lenzuola muoversi e corrucciai la fronte confusa.

Optai per diverse opzioni che erano le seguenti: A) Non avevo un cane; B) Keishin non poteva essere, visto che ad Halloween mancava ancora un mese; C) Un pazzo maniaco nel cuore della notte si era introdotto nel mio letto.

Istintivamente mi guardai il petto e indossavo ancora la canotta. Alzai le lenzuola e indossavo ancora le mutande con i miei calzini rosa. Guardai confusa il vuoto e alzai un sopracciglio. Possibile che un fantasma poteva intrufolarsi sotto alle coperte?

Allungai la mano verso il comodino e testai più volte il mobile, cercando l'interruttore dell'abatjour. Una volta trovato, riappoggiai il bicchiere sul comò e accesi di scatto la luce, trovandovi un Keiji mezzo dormiente con il viso rivolto nella mia direzione.

D'accordo. Ero ufficialmente diventata stupida.

«Uhm... che fai?» mormorò con la voce impastata dal sonno, aprendo un solo occhio. Aprì bocca per rispondergli, ma uscirono solo suoni imbarazzanti da farmi diventare rossa come un pomodoro.

Volevo essere inghiottita dal mio letto e sperai tanto che Freddy Krueger mi accontentasse.

Keiji si sollevò suoi gomiti e notai che non indossasse la maglietta, prelibandomi di ammirarlo a petto nudo. Le mie labbra si schiusero involontariamente innanzi a tale visione e dovetti distogliere lo sguardo per la situazione imbarazzante. Ero sicura che mi avrebbe presa per scema se gliel'avessi raccontato.

«Non riesci a dormire?» Chiese dopo un breve silenzio e scossi il capo lentamente.

Già, avrei dovuto arrivarci subito che dopo il nostro primo appuntamento, mi aveva letteralmente trascinata in casa mia. Non c'eravamo spinti oltre anzi, eravamo rimasti a baciarci e coccolarci tutta la serata, fino ad addormentarci. «Vieni qui», sussurrò cauto e girai la testa verso di lui, mentre mi incalzò con le braccia larghe e una mano che picchiettava sul suo petto di marmo di avvicinarmi.

Sorrisi timidamente e tolsi le coperte dal mio lato, gettandole infondo al letto, perché stranamente sentivo più caldo del solito, e mi avvicinai a Keiji, appoggiando la testa sul suo petto e una mano sui suoi addominali ben evidenti.

«Sei caldo», sussurrai sulla sua pelle, tracciando con un dito dei cerchi immaginari sulla sua pancia. Keiji prese ad accarezzarmi la nuca, giocherellando di tanto in tanto con alcune ciocche dei miei capelli.

«E tu hai davvero delle belle mutandine», ridacchiò, scendendo con la mano sul mio fianco, prendendo l'elastico degli slip e giocarci, arrotolandolo attorno al medio. «È un coniglietto quello che vedo?» Picchiettò un dito sul piccolo pezzo del perizoma, facendomi intendere che il disegno di un coniglietto era disegnato proprio lì.

Mi alzai sui miei gomiti di scatto. «Stai scherzando?» Chiesi allarmata, cercando di guardarmi dietro ma con scarsi risultati. Non ero di un certo un gufo che potevo girare la testa a trecentosessanta gradi.

Akaashi rise. «È carina. Mi piace», sorrise e alzai gli occhi al cielo, beccandomi un buffetto scherzoso sul naso. «Dico davvero, mi piace. Caratterizza molto la tua personalità.»

«Vorresti dire che sono un coniglio?» Sbottai offesa, rimettendomi seduta con le braccia intrecciate al petto.

«Un coniglio travestito da tigre...?» Chiese titubante con una note di panico nella voce. Inarcai un sopracciglio e scoppiai a ridere davanti alla sua faccia perplessa. Cavolo! Ma che ore erano?

Mi affacciai quel poco per afferrare un cellulare qualsiasi e controllare l'orario. «Sono solo le sei di mattina...», mormorai pensierosa, ma involontariamente il mio occhio cadde su una notifica di messaggio e corrucciai la fronte leggendo il nome Camille. «Camille?» Keiji mi guardò confuso ed io voltai il telefono nella sua direzione per farglielo leggere. «Chi è Camille?»

«È una ragazza straniera. Viene dall'Inghilterra e si è trasferita una settimana fa a Tokyo: viene nella mia scuola», spiegò brevemente con tranquillità, alzando le spalle. «Le ho fatte fare il giro dell'istituto quando è arrivata. Però, Bokuto era con me e non ha perso tempo a darle il mio numero, alludendo che tra me e lei "c'era del feeling"», mimò due virgolette e roteò gli occhi.

Ma io non ero affatto tranquilla e i palmi iniziarono a sudarmi come la chiappe di un lottatore di Sumo. Riportai l'occhio sul display e potei leggere il breve messaggio che gli aveva mandato, ovviamente serviva il codice per sbloccare il telefono e visto che non ce l'avevo, mi limitai a leggere le prime tre righe.

Non volevo fare la parte della fidanzatina gelosa, anche perché non stavamo neanche insieme, ci stavamo solo frequentando e se lui voleva vedere altre ragazze oltre me, poteva certamente scordarselo. Di certo, c'ero già passata a fare la ruota di scorta in passato e non mi sarei buttata in mezzo ad una battaglia senza un'arma a disposizione per difendermi o contrattaccare.

Quando ti scotti una volta, non sei così sciocco a rimettere la mano sul fuoco per una seconda volta.

«E ti piace?», farfugliai abbastanza preoccupata di sentire una qualunque risposta, mentre Keiji si mise a sedere e mi sfilò il telefono dalle mani.

«Dormiamo?» Domandò con un sorriso leggero, ignorando la mia domanda.

Dormire? Dopo che avevo letto un messaggio di una ragazza sul suo telefono che gli chiedeva di uscire in settimana per un caffè e aveva esplicitamente scritto che sarebbe stato carino se lei fosse la manager della loro squadra di pallavolo? Certo, arrivare a conclusioni affrettate era troppo esagerato, ma quando il senso di preoccupazione ti annientava dentro, difficilmente si poteva riempirlo con un semplice e banalissimo cambio di domanda.

«Ti ho chiesto se ti piace...», ribadì con un'affermazione più dura anziché con una domanda. Keiji mi guardò perplesso, sicuramente dovuto dal mio cambiamento d'umore improvviso e lo guardai seria.

«È carina», rispose con tutta l'ovvietà del mondo. «Ma no, Kaori; Camille non mi piace in quel senso», sembrò essersi offeso dal tono di voce che aveva usato, ma non ce la facevo a restare indifferente.

Se si aspettava che ci fossi passata sopra come tutte le ragazze che aveva avuto, era un categorico vai al diavolo e restaci. Io ero totalmente diversa e lo dimostravo ogni qualvolta che cacciavo gli artigli.

La curiosità mi mangiava viva, il senso di frustrazione e preoccupazione mi alimentavano, quindi... se Keiji credeva di aver a che fare con una stupida ragazzina della mia età, era meglio se alzava il suo culo sodo dal mio letto e tornasse a casa.

«Mio fratello torna tra un'ora», ribattei secca. «Sarà meglio che tu ne vada», aggiunsi e mi alzai dal letto con una velocità mai vista. Di solito ci mettevo un'ora ad assimilare dove mi trovassi e chi fossi, ma in quel momento avevo bisogno solo di allontanarmi da lui e fare una doccia fredda. Decisamente fredda.

«Kaori!» mi richiamò, mentre aprì il cassetto della biancheria e rovistai al suo interno. «Kaori, andiamo... possiamo parlare normalmente? Ti ho detto che è solo una conoscente –»

«Certo, una conoscente...», canzonai sarcastica le sue parole, mettendo a soqquadro il cassetto. Avrei dovuto sistemarlo dopo la mia sfuriata e la cosa mi fece più rabbia del previsto, visto che odiavo ordinare.

«Senti...», con la coda dell'occhio lo vidi massaggiarsi il ponte del naso con frustrazione. «Neanche sei ore fa, ho ammesso che mi piacevi, come puoi pensare che possa vedermi con altre?»

«Non l'ho mai detto», ribattei, afferrando con veemenza delle mutandine e sbatterle nel cassetto. Stavo perdendo tempo.

«Non lo avrai detto, ma lo stai facendo intendere...», mi indicò con una mano e sospirò profondamente, prima di continuare. «Camille è solo una ragazza a cui ho fatto fare il giro della scuola. Mi scrive perché sono stato molto gentile con lei e vuole sdebitarsi in un certo senso», spiegò. «Ma credimi se ti dico che tra me e quella ragazza non c'è nulla e se lei ha capito qualcos'altro come un secondo fine, posso far cadere questa sua idea sul nascere...», sentì la rete del materasso scricchiolare, segno che si fosse alzato. Le sue mani si posarono sui miei fianchi e congiunse il mio corpo al suo, posando il mento sulla mia spalla. «Ti sto dicendo la verità. L'ultima cosa che vorrei è distruggere quello che c'è tra noi...», la sua mano salì sul mio stomaco, giocherellando con il tessuto della canotta tra le dita.

Stavo esagerando? Ero esagerata? Poteva darsi, ma non ero così sciocca. Insomma, io mi fidavo di lui -in un certo senso- ma cosa avrebbe fatto qualcun'altra al posto mio? Avrebbe dato tutta la sua fiducia nelle mani di qualcun altro, dopo che aveva pianto per settimane intere a commiserarsi del perché fosse così sbagliata?

Mi doleva ammetterlo, ma Tooru mi aveva segnato. Aveva scatenato un tornado di emozioni contrastanti dentro di me e mancanza di fiducia nel popolo maschile, mettendomi a rischio ogni qualvolta che provavo ad andare avanti con la mia vita.

Ero una persona che non portava rancore né rimorso sulle decisioni che prendevo, ma perché allora ci restavo così male e volevo solamente strangolare qualunque essere vivente mi si presentasse davanti?

Secondo me, avevo un disturbo multiplo della personalità oppure ero solamente paranoica. Insomma, come avevo fatto a non capire che Tooru mi tradisse? Come avevo fatto ad essere così ingenua da capire che per lui ero e sarò sempre la prima porta dove si sarebbe barricato? E perché con Keiji non poteva essere diverso, donandogli la mia fiducia?

In realtà la risposta la conoscevo, e anche molto bene, ma avevo una gran paura, quella paura che ti inghiottiva negli abissi più profondi dell'essere umano che, se mi fossi scottata nuovamente, avrei perso completamente me stessa.

Lo so, nessuno dovrebbe dare tutto se stesso, perché poi dopo resti fottuto dalla persona e dalla vita, ma Keiji era così sincero e il mio cuore palpitava ogni qualvolta che pronunciava una parola che sprizzava sincerità da tutti i pori. Possibile che fossi gelosa? No, cioè, sì, forse lo ero... ma non significava che quello che avevo subito in passato, l'avrei fatta franca così facilmente.

Ero così stanca di psicanalizzarmi. Sembravo essere uscita da un manicomio infestato... beh, dovevo anche smettere di ironizzare sulle mie negatività basandomi sui film dell'orrore. Stavo diventando pazza.

«Keiji», sussurrai e mi girai con il corpo nella sua stretta per poterlo guardare in viso. «È meglio che tu vada, mio fratello tornerà tra poco e non sarà affatto felice di vedere un ragazzo in camera mia», e avevo decisamente bisogno di affogare i miei sentimenti nell'acqua fredda della doccia.

«Kaori...», chiuse gli occhi e sospirò affranto.

«Ha un fucile di caccia nello sgabuzzino dell'ingresso», e non stavo affatto scherzando. Quel miserabile ce l'aveva davvero il fucile.

Ma che cazzo! Abitavamo a Tokyo. Le persone non rubavano neanche le caramelle di pochi centesimi, come potevano intrufolarsi in una casa di prefettura? Nemmeno se ci trovassimo nel Massachusetts... no, scusatemi, lì bisognava averlo un fucile da caccia.

Gli occhi del ragazzo si sbarrarono e aprì bocca per dire qualcosa, ma l'unica cosa che uscì furono solo dei versi increduli. «Un... fucile?» Balbettò, sperando di aver capito bene.

«Non fare domande», scossi il capo e un sorriso divertito incurvò le mie labbra, il quale fece alleviare la tensione di prima.

«Posso dirti che siete davvero una famiglia strana», marcò e mi morsi il labbro inferiore pur di non scoppiare a ridere. Non aveva tutti i torti.

«Va bene, vado via, prima che tuo fratello mi proponga di giocare a cacciatore e preda», roteò gli occhi divertito e sorrisi, mentre lui ne approfittò di depositarmi un bacio sulla fronte. «È tutto sistemato per prima...?», chiese titubante, riferendosi alla nostra discussione.

Sospirai e annuì con un sorrisetto tirato. Decisamente non era tutto sistemato, avrei dovuto capire altre cose prima di confermare la sua domanda senza esitazione. «Sì, credo», risposi con un cipiglio sulla fronte.

Keiji sorrise come un bambino e mi stampò un bacio frettoloso sulle labbra, sussurrando nel mio orecchio: «Ti farò cambiare idea. Prometto», e in un certo senso, mi fidai della sua promessa.


«Hinata muovi di più quelle gambine che ti ritrovi, se non vuoi che te le spezzi come due stuzzicadenti!» Strillò Keishin e la palla rimbalzò sul pavimento due volte, per colpa della difesa scarsa del piccoletto.

«Sissignore sì, mi scusi, signore», farfugliò e si rimise in fila, dietro alla linea, aspettando il suo prossimo turno.

Alzai un sopracciglio e intrecciai le braccia al petto. Mio fratello si sedette nuovamente sulla panchina e appoggiò i gomiti sulle ginocchia, curvando il busto in avanti.

«Dovresti essere più gentile», lo ammonì seria.

«Gentile?» ridacchiò, guardandomi. «Parli proprio tu di gentilezza?»

Lo fulminai con lo sguardo. Perfido. «Se non vuoi che ti rompa il naso, dimmelo», sibilai e accavallai le gambe, guardando i ragazzi allenarsi.

«Ti sei svegliata con il piede sbagliato stamattina?» Chiese beffardo.

«Mi sveglio sempre con il piede sbagliato la mattina e vuoi sapere il perché?» Alzai le sopracciglia sarcastica. «Perché mi sveglio», proseguì seria.

Keishin ridacchiò sotto ai baffi e scosse il capo, prestando attenzione alle difese degli altri ragazzi. «La dottoressa ha detto che dimetteranno il vecchio. Gli esami sono usciti positivi», confidò e sospirai mentalmente sollevata.

Finalmente una buona notizia, pensai.

«È una buona notizia...», dissi con un sorriso. «Così riuscirà a vedere il prossimo torneo della Karasuno», proseguì e Keishin annuì. «A proposito, chi sarà la gatta da pelare 'sta volta?»

«La Shiratorizawa», rispose.

Rabbrividì come un gatto e non per paura, ma per puro fastidio. L'ultima persona che avrei voluto incontrare era proprio Ushijima e il suo faccino da schiaffi.

Dio, perché mi odi così tanto?, piagnucolai mentalmente.

«Per forza? Non possono saltare quel turno?» Chiesi stupidamente, ridacchiando nervosamente. Le dita iniziarono a formicolarmi dalla voglia di rompere qualcosa.

«Kaori», sbuffò Keishin, alzando gli occhi al cielo.

«Che c'è?», sbottai. «Non lo sopporto», borbottai.

«Credi che io sia felice? Ovviamente la Shiratorizawa ha un muro formidabile e imbattibile, e Ushijima è un asso temibile di cui preoccuparsi», si pasticciò il viso nervosamente con le mani. «Se riusciremo a vincere le qualifiche, saremo nelle prime classifiche del torneo primaverile.»

«Se vuoi, posso investirlo con una macchina e far passare la situazione come un piccolo e innocente incidente», cinguettai e sorrisi innocentemente. Keishin mi guardò storto e anche un po' preoccupato.

«Vuoi davvero finire in galera? Perché sai, mi dai proprio l'aria di una che commetterà una gran cazzata alla partita», mi ammonì severo. Feci spallucce. «Kaori», ringhiò e mi puntò il dito contro. «Niente cazzate oppure è la volta buona che ti barrico in casa.»

«Ara, ara, ara!», liquidai le sue parole e sventolai una mano sotto ai suoi occhi. «Non metterei mai in difficoltà i ragazzi, soprattutto se possono fare il culo ad Ushijima», sorrisi. «E poi, te l'ho raccontato che quell'idiota mi aveva letteralmente spiaccicato la palla in faccia?» Proseguì con una nota stizzita nella voce, indicando la mia faccia. «Me la pagherà. Certe cose non le dimentico», borbottai imbronciata.

Keishin scoppiò a ridermi letteralmente in faccia come se avessi raccontato la barzelletta dell'anno e mi diede due pacche pesanti dietro alla schiena, tentando di ammazzarmi. Anche lui aveva istinti omicidi, per caso? «A volte, sei davvero un spasso, sorellina» canzonò divertito ed io lo guardai male.

«Certo, sarò uno spasso anche quando commetterò il tuo di omicidio», sottolineai a denti stretti.

«Ricorda, ho un fucile», alzò e abbassò le sopracciglia ripetutamente. Grugnì.

«Stronzo», mugugnai e tornai a prestare attenzione agli allenamenti.

Diceva il gran filosofo Emil Cioran: «Se tutti coloro che abbiamo ucciso col pensiero scomparissero davvero, la terra non avrebbe più abitanti.» E non mi trovai così d'accordo con le sue parole.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro