𝖷𝖷𝖷𝖵𝖨𝖨
𝟹𝟷
«Gomen nasai...», mi strinsi nelle spalle piccole, fin troppo per sopportare quel grado di urla. Era infuriato. L'avevo rifatto.
«Smettila di scusarti, mi hai capito? Smettila!» gridò. «Sei uguale a lei. Irritante come lei. La tua voce mi irrita», accusò. «Tu... sei... Oh mio Dio! Non ce la faccio più» mormorò affranto, prendendosi la testa nelle mani. Nonostante non stesse più gridando, sentivo ancora l'eco asfissiante della sua voce rude trafiggermi le orecchie.
Papà non lo sapeva, o forse ignorò di saperlo, ma quel giorno avrei compiuto gli anni. Desideravo solo che uscisse dalla sua stanza per festeggiare assieme il mio compleanno. Ma non l'aveva apprezzato. Quando aveva aperto la porta, il suo sguardo cupo incontrò il mio: schifato, disgustato, ferito... era tutto fuorché entusiasta di vedermi. Strinsi le gambe al petto e appoggiai il mento su un ginocchio, osservando l'uomo tirarsi le ciocche di capelli corvine per la frustrazione.
«Gomen nasai...», sussurrai senza voce. «Otousan.»
Improvvisamente, la porta della stanza si spalancò e la figura adolescenziale di Keishin comparì sotto ai nostri occhi. Aveva la fronte sudata, il respiro affannato e le gote arrossate per lo sforzo, segno che avesse corso per arrivare in tempo a salvarmi. Ma io non avevo bisogno di essere salvata. O forse, sì?
«Kudasai!» gridò con voce graffiata contro nostro padre, girando poi la testa verso di me e respirare in modo irregolare. «Ori...», sussurrò lui, addolcendo i tratti tesi del suo viso e raggiungere l'angolo della stanza in cui mi trovavo rannicchiata contro me stessa. «Vieni! Il nonno ha detto che ha un bel regalo da darti», tese una mano in avanti e curvò le labbra in un sorriso triste, malinconico, il quale non riuscì a controbattere e dirgli di no; afferrai la sua mano e mi aiutò a tirarmi all'impiedi. «Non toccarla più», ringhiò e senza aspettarsi alcuna risposta in merito, abbandonammo la stanza definitivamente.
Fu l'ultimo volta che vidi il suo viso incavato e le lacrime che gli rigarono le guance pizzicanti di barba. Da allora, me ne feci una ragione. Papà non voleva averci niente a che fare con me.
«Ehi, Kaori!» il bussare della porta mi fece sobbalzare dalla sedia, assordendomi dai miei pensieri. Sbuffai un imprecazione, appoggiando il pennino dell'eye-liner sul fazzoletto di carta.
«Che c'è?» chiesi, alzando il tono appositamente per farmi sentire.
«Le tue amiche sono appena arrivate», ribatté dall'altra parte. Mi mordicchiai il labbro e annuì a me stessa, cercando di sistemare la postazione trucco. «Ehi, ci sei? Hai capito cosa ho appena detto? Le tue amiche –»
«Ti ho sentito, Keishin!», sbuffai. «Puoi dire a loro di salire? Credo che mi ci vorrà ancora un po'», aggiunsi, osservando il disordine sulla scrivania rassegnata.
Lo sentì sbuffare sonoramente. «Voi donne siete le solite ritardatarie...»
«Oh, ma stai zitto! Non parlare di donne quando non ne hai nemmeno una», lo ammonì con un pizzico di divertimento nella voce.
«Ho te. Mi basta e avanza per la vita», anche se poteva considerarsi un'affermazione dolce, io conoscevo mio fratello e immaginai con quanto astio l'avesse detto con gli occhi rivolti al cielo. «...Dico a loro di salire. Ah, quasi dimenticavo! Tra poco esco con i ragazzi, quindi, cercate di non mettere la casa a soqquadro in questi cinque minuti», diede un colpetto alla porta, facendomi intendere se avessi capito la sua raccomandazione. «E non combinare guai stasera, mi hai sentito? Kaori –»
«Oh per l'amore del cielo! Va' via!» gridai esasperata. «Ho capito: niente casini o stronzate varie. Me lo hai ripetuto cento volte. Sta' tranquillo e fidati di me per una volta!»
«È quello il mio problema: fidarmi», ribatté. «Ricordi l'ultima volta che mi sono fidato di te? Mi ero raccomandato di farti il discorsetto sull'ape e il fiore...», portai una mano alla fronte esasperata. Non potevo crederci che mi stava ricordando la spiegazione infantile di come un uomo e una donna si accoppiavano. Credeva davvero che, anche a quell'età, avrei creduto a quella bizzarra storia? Non ero così stupida. «...E non sei più vergine. La tua purezza è sparita come un forte e cazzo "boom"», e quando specificò il "boom" lo aveva accuratamente enfatizzato come una forte esplosione. Avevo deciso di ignorare metà del suo discorso per la mia sanità mentale. Era peggio di un genitore iperprotettivo. Una fastidiosa e pungente spina nel fianco.
Però, era anche vero che quel suo lato, per quanto mi costasse ammetterlo, lo apprezzavo. Non avrei mai trovato nessun altro ragazzo come mio fratello, né del suo istinto di protezione nei miei riguardi al punto di irritarlo e farlo arrabbiare poiché la donna della sua vita -come lui sottolineava- aveva perso la verginità con uno stupido qualunque.
Perciò, dato che non avremmo passato assieme neanche quel Capodanno, raggiunsi la porta della stanza e la aprì, trovandovi Keishin appoggiato con l'avambraccio allo stipite della porta che, appositamente, stava aspettando che gli aprissi. Lui sollevò le sopracciglia ed io inarcai un sopracciglio, portando le braccia al petto e appoggiarmi contro la porta.
«Un'altra raccomandazione?», mi beffai giocosamente di lui, sapendo quanto gli facessero irritare le mie prese in giro, ma lui, tuttavia, sorrise.
«Sei bella», commentò squadrandomi dalla testa ai piedi. «...Forse un po' troppo. Devi per forza indossare questo vestito corto? Ti si vedono le gambe e sicuramente quando ti siederai, –»
«Grazie», lo interruppi, sorridendogli dolcemente. Lui in tutta risposta alzò gli occhi al cielo e annuì; mi sporsi in avanti e gli lasciai un bacio delicato sulla guancia, non volendo sbavare il rossetto rosso che avevo applicato minuti prima.
«Mi piace lo spirito natalizio che ha su di te», disse divertito, ripulendosi del timbro della mia bocca sulla guancia, storcendo le labbra in una smorfia di disgusto.
Sbuffai. «Divertiti! Ciao!» e prima che potesse aggiungere altro e rubarmi altro tempo nel prepararmi, gli diedi un leggero spintone, intimandolo di andarsene. «Potete salire», gridai dal piano superiore, riferendomi al mio gruppo minimo di amiche che avrebbero partecipato alla serata. Alcune non potevano venire così, quelle che potettero liberarsi dai loro impegni familiari, non se lo fecero ripetere due volte prima di parteciparvi.
༄
Avete presente quando più persone vi chiedono di fare una cosa ma voi, imputate sulla vostra idea, cercate di non dargliela per vinta? Beh, non era stato il mio caso.
Ci trovammo in un locale poco più lontano dalla solita movida del centro di Miyagi; i ragazzi della Karasuno avevano, appunto, prenotato un tavolo una settimana prima. A quanto pareva quel locale era molto gettonato dai ragazzi della nostra età.
Con noi, inaspettatamente, ci trovammo persino i ragazzi della Fukurodani; restai di sasso quando incontrai Akaashi e Bokuto, – a parte che quest'ultimo si era scolato già tre bicchieri di non so cosa ed era leggermente su di giri – giustificandosi che il capitano della Karasuno, voleva trascorrere l'ultimo dell'anno con coloro che li avevano aiutati durante il ritiro estivo. In quel momento pensai che anche Daichi fosse su di giri, sbronzo marcio, per dire una cosa simile.
Si era accorto che Bokuto faceva gli occhioni dolci alla sorella, oppure no? E oltretutto, ero anche furiosa nei confronti di Akaashi; non mi aveva chiesto neanche di passare l'ultimo dell'anno assieme e mi sentivo osservata ovunque andassi pur di sbollire il nervoso.
Lui sembrò averlo notato che c'era qualcosa che non andasse o cosa mi turbasse, dato che, l'avevo ignorato tutto il tempo. Quando mi salutò, pronto a baciarmi la guancia dove normalmente si faceva con un'amica, alle sue spalle comparì una ragazza dai lunghi capelli biondi e gli occhi di un azzurro penetrante. Non era delle nostre parti, lo si capiva, e si presentò calorosamente, con il suo accento – fastidiosamente – britannico, di chiamarsi Camille e che si era trasferita da qualche mese in Giappone, frequentando il liceo Fukorodani.
Volevo girare i tacchi e scappare a gambe levate, ma la parte razionale e matura di me, fece capolinea e rispose: «Ukai Kaori, piacere», quando in realtà avrei voluto davvero scappare a gambe levate. D'altro canto, Camille spostò la lunga chioma di capelli biondi dietro alle spalle e sorrise cristallina, commentando il vestito che indossavo trovandolo molto carino.
Mi limitai ad ringraziarla e dire ai diretti interessanti che mi sarei accomodata al tavolo prenotato, non prima di aver lanciato un'occhiata ad Akaashi che in tutta risposta, deglutì.
Quando raggiunsi il tavolo, mi infilai in mezzo a Kageyama e Nishinoya i quali stavano chiacchierando tra di loro prima che li disturbassi. Le mie amiche invece, erano così prese dalla figura di Camille che restarono a chiacchierare con lei, anziché capire quanto fossi di cattivo umore in quel momento.
«Non ti piace stare in mezzo alle ragazze?» Kageyama allungò il collo, il giusto per poter sporre le labbra vicino al mio orecchio. Alzai e abbassai le spalle, tenendo gli occhi puntati sulla chioma bionda di Camille. Dio, come faceva ad averli così lucenti? Usava qualche prodotto particolare?
«Mi piace stare di più in mezzo a voi», risposi tranquillamente e girai il viso per guardarlo. Kageyama arrossì per la vicinanza dei nostri visi e distolse lo sguardo, afferrando il bicchiere contenente d'alcool per via dell'odore forte. Repressi un sorriso.
Nell'esatto momento in cui smisi di parlare con il ragazzo al mio fianco, incontrai gli occhi blu di Akaashi che, era rimasto in disparte dalla conversazione accesa e sbellicata con gli altri ragazzi, tenendo gli occhi puntati su di me e presumibilmente su Kageyama.
«Chi era quell'uomo?» domandò Bokuto, varcando la soglia di casa mia. Per tutto il tragitto in treno fino alla porta di casa, non aveva detto una parola, così come Akaashi.
«Non lo so», risposi e Akaashi, improvvisamente, indurì i tratti del viso. «Mi credi, ora?», chiesi di punto in bianco, guardando il ragazzo al mio fianco. Lui non disse una parola. «Mi hai preso per una sciocca quando te l'ho detto...»
«Wooh Wooh! Di cosa state parlando? – Bokuto gesticolò le mani davanti per frenarmi – Akaashi, lo sapevi?» chiese con un'espressione confusa rivolgendosi al corvino.
«Era una supposizione, non che fossi sicuro...», rispose lui, alzando debolmente le spalle. «Mi dispiace Kaori –»
«Dovreste andare. Grazie per avermi accompagnato e... – sospirai – di essere intervenuti prima...»
«Terra chiama Kaori», due dita schioccarono sotto al mio naso e storsi le labbra per lo spavento, guardando Daichi mettermi davanti un bicchiere d'acqua. Sbattei le palpebre e alzai un sopracciglio. «So che non bevi, quindi, ti ho preso dell'acqua», aggiunse gentile, mostrandomi la dentatura perfetta ben allineata del suo sorriso.
«Grazie», risposi un po' imbarazzata per l'episodio accaduto dell'altra volta e un po' perché, beh, ero l'unica con un bicchiere d'acqua –sicuramente del rubinetto– tra le mani.
༄
«Quindi, è lui il tizio con cui ti frequenti?», domandò Fraya, portandosi la cannuccia alle labbra. Corrucciai la fronte e guardai nella sua direzione, trovandomi un Akaashi imbronciato che parlava tranquillamente con Tsukishima.
«Da che cosa lo hai dedotto?», ci mancava solo l'amica veggente. Di certo non avevo aperto bocca della mia vita sentimentale con loro, un po' come il restante. Fraya fece spallucce, mordicchiando la cannuccia nera della sua bibita.
«È evidente... – disse con ovvietà – Per tutta la serata non ha spostato un secondo lo sguardo da te», mi morsi il labbro inferiore e abbassai lo sguardo sul mio bicchiere: se avessero saputo che avevamo iniziato a frequentarci solo dopo aver...
«Non mi importa», risposi con un cipiglio sulla fronte. «Si starà divertendo con... quella... Camille», la mia gelosia poteva superare certi limiti, ma non i limiti di sopportazione di vedere una ragazza bionda, per lo più straniera con una chioma da far invidia alla criniera di un cavallo. Perché era risaputo che i cavalli avessero una bella criniera.
«Gelosa, Ukai-kun?», suonò più come una minaccia maliziosa anziché la solita domanda che voleva ricevere una risposta tranquilla e pacata; le mie guance si colarono di un rosso acceso e dovetti ringraziare la luce soppiatta del locale per non mostrare il mio imbarazzo davanti alla mia amica.
«No», sibilai. «Cioè... no», replicai con più convinzione. «Ci stiamo solo frequentando e lui può fare quello che vuole», in realtà non era la stessa cosa che pensai, quella volta a casa, quando lessi il messaggio di Camille sul suo cellulare. Quanto potevo essere contraddittoria?
«Kaori ti conosco bene da capire cosa ti frulla in quella testolina... – e nel dirlo, premette un dito sulla mia fronte – Se sei innamorata di lui, dovresti dirglielo e magari... – piegò il collo di lato e sorrise divertita – Dovresti intervenire prima che qualcun altro possa portartelo via», e capì subito a chi si riferisse.
«Farei solo la parte della fidanzatina gelosa...», sussurrai e guardai di sottecchi Camille avvicinarsi a Tsukishima e Akaashi per ondeggiare la sua chioma luccicante e ridere a crepapelle per qualcosa che avevano detto i due. «E non stiamo neanche assieme», proseguì e distolsi lo sguardo. «Potrebbe allontanarsi e non voglio che –»
«Oh, no! Non azzardarti a dire 'ste cose», sbuffò Fraya sotto al mio sguardo allibito. «Non hai niente da invidiarle, okay? Sei una giocatrice professionista»
«...quasi professionista», precisai e Fraya alzò gli occhi al cielo borbottando un: «Sì, come ti pare...»
«...Ma il succo del discorso è che tu, sei centomila volta meglio di lei; Akaashi non ha smesso di guardarti per tutta la serata e... fattetelo dire, questo vestito rosso ti fa un culo da paura. È vintage?»
Alzai un sopracciglio. «Moderno, Fraya. Moderno», commentai esasperata.
Gesticolò con una mano come se volesse scacciar via una mosca. «Fa lo stesso...», sorrise mingherlina. «Sono una ragazza»
«Ma davvero?» chiesi sarcastica, però Fraya si accigliò per la mia millesima interruzione.
«...E da ragazza – ignorò il mio commento – conosco lo sguardo di quella biondina; se lo sta mangiando con gli occhi», e annuì alle sue stesse parole, facendo sentire il macigno invisibile sul petto più pesante. «E soprattutto, conosco il tuo, – indicò la mia faccia – ed è quello di una ragazza gelosa fino al midollo e disperata.»
«Non sono disperata – sbuffai, scacciandole via il dito dalla mia faccia – e...» gelosa sì, lo sono. «Che... che dovrei fare?» domandai rassegnata. Ormai, l'avevo ammesso, anche se non apertamente... ma faceva lo stesso.
Una luce abbagliante le passò davanti agli occhi. «Semplice: va da lui e irrompi la loro conversazione, prima che scatti la mezzanotte», alzò le spalle. «È più romantico di Cenerentola, non trovi?»
Non aveva tutti torti. Dopotutto, ero pur sempre Ukai Kaori, no?
Alzai gli occhi al cielo e ridacchiai. «Decisamente.»
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