𝖷𝖷𝖨𝖵
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La mattina del mio prezioso allenamento solitario, feci un'ora di corsa, visto che non riuscivo più ad riacquisire il mio vecchio ritmo. Di solito centravo le tre ore senza affaticamento, ma da quando avevo stoppato nei lunghi mesi riguardo all'incidente, sembrava di essere ritornata ai primi passi in cui un bambino impara per la prima volta a camminare.
Allungai la gamba in avanti, stendendola e fare un rigoroso stretching; alzai le braccia in cielo, facendo la stessa cosa con esse, tirando un sospiro di sollievo. Mi accasciai a peso morto sulla panchina e sfilai dalla mia felpa zuppa di sudore, la bottiglietta d'acqua, bevendo lunghi sorsi nel dissetarmi.
Spostai la frangia lunga impepata di sudore dalla fronte e chiusi un secondo gli occhi, cercando di stare ferma e percepire il leggero venticello autunnale.
Pensai che in quei giorni passati assieme ai ragazzi erano stati davvero e un proprio delirio. Kageyama e Hinata per una spiegazione a me illogica, la sera in cui tutti tornarono nelle loro rispettive abitazioni, erano arrivati addirittura alle mani per gli errori commessi da entrambi durante la schiacciata veloce e nel bel mezzo della loro lite furiosa, si ritrovò ad assistere proprio Hitoka, la nuova manager.
La ragazza ovviamente spaventata dai loro atteggiamenti animaleschi, aveva chiamato Tanaka -che per fortuna doveva ancora tornare a casa- per farli smettere, visto che se si sarebbe messa in mezzo, le avrebbe prese di santa ragione.
Massaggiai il ponte del naso, appoggiando la nuca sul bordo della panchina e aprire un solo occhio. Gli allenamenti mi stavano uccidendo, prendendosi una buona parte della mia presenza nella Karasuno. Non ne avevo ancora parlato ai diretti interessanti riguardo alle Olimpiadi, ma lo avrei fatto una volta che il contesto e l'atmosfera lo avrebbero permesso.
Sembrava strano, ma ero una persona che guardava molto questi particolari che un'essere umano normale avrebbe detto francamente la verità a faccia a faccia senza preoccuparsi delle conseguenze.
Ma io non ero così e non credo che sarei mai stata così. Per quanto il mio atteggiamento e comportamento lo permettesse, ci tenevo a quei bizzarri ragazzi e la loro opinione valeva molto per me.
Mentre riflettevo ad occhi aperti con le nuvole spostarsi invisibilmente nel cielo azzurro, udì un vociare di bambini, il che attirò la mia attenzione. Drizzai la schiena, scorgendo in lontananza la palestra di pallavolo per i ragazzini dai sei anni fino ai tredici, aumentando la mia curiosità.
Di solito, nelle palestre della prefettura, scovavo sempre un allievo del vecchio. Mio nonno allenava i ragazzini, visto che era stato un grande allenatore ai tempi forti della Karasuno. Conoscevo ogni bambino che vi partecipasse, i quali li trovavo uno più carino dell'altro. E soprattutto erano forti, nonostante non conoscessero ancora la differenza tra una diagonale e una parallela, ma erano giustificati. Alla loro età non ero granché come schiacciatrice.
Mi alzai dalla panchina e afferrai la bottiglietta d'acqua ormai vuota, camminando fuori dal parco e gettare il contenuto di plastica nell'apposito contenitore dell'indifferenziata. Attraversai la strada, guardando prima a destra e poi a sinistra, saltellando leggermente per aumentare il passo e togliermi dalla strada.
I peggiori incidenti succedevano quando il pedone era distratto oppure attraversava in perfetta tranquillità, fin quando non veniva il guidatore ubriaco vedendo doppio. Non lo dicevo io, ma i giornali e le statistiche riportate.
Quando mi avvicinai alla struttura, vidi un ragazzo fermo davanti al cartellone della palestra, vestito con una camicia bianca, dei semplici pantaloni neri e la cartella scolastica messa a tracolla. Continuai a ripetermi che lo conoscessi, così optai per la figura di merda in tal caso non fosse stato così e mi avvicinai alle sue spalle, picchiettandogli il centro della schiena, in mezzo alle scapole.
Il ragazzo sussultò e si girò come spaventato, guardandomi con le sue pozze blu tendenti al nero, cerotti sulle guance e mise su un'espressione imbarazzata di uno che era stato appena colto in flagrante.
«Kageyama?» Corrucciai la fronte curiosa, non capendo perché si trovasse di fronte ad una palestra di pallavolo infantile. «Che ci fai qui?»
«Dovrei farti la stessa domanda dato che ci sei anche tu», ribatté sulla difensiva, indicandomi.
«Ero dentro a quel parco ad allenarmi», indicai alla mia destra il parco invaso da alberi e piante. «Comunque, te l'ho chiesto prima io», mi imputai e sollevai un sopracciglio. «Che ci fai qui?»
Buttò fuori l'aria dai polmoni e aprì bocca per parlare, ma il suo occhio cadde su qualcosa o qualcuno, il che mi prese dalla curiosità e guardai nella sua direzione, irrigidendo persino le dita dei piedi.
Oikawa camminava tranquillamente accanto a suo nipote, Takeru, il quale sorrise ad una domanda fatta dal bambino. Inghiottì la palla di saliva in gola, quando quest'ultimo alzò lo sguardo davanti a sé e puntò gli occhi prima su Kageyama e poi su di me.
Non lo vedevo dall'ultima volta che lo lasciai, anche se aveva provato più volte a messaggiarmi e chiamarmi, finendo nella lista nera dei numeri indesiderati.
Ero convinta che se l'avessi rivisto di nuovo, le farfalle nello stomaco avrebbero smesso di tormentarmi, anzi, d'esistere. Ma non fu così. Quel ragazzo, nonostante mi avesse tradito, sbattendomi in faccia quanto potessi essere manipolabile, continuava a farmi lo stesso effetto.
«O... Oikawa-san!» Balbettò Kageyama, strabuzzando leggermente gli occhi sorpreso nel vederlo davanti a sé. Il ragazzo lo squadrò di malo modo, notando il piccolo spazio di distanza che separava da me al corvino, serrando la mascella così duramente.
È ancora geloso, commentò la vocina nella mia testa, la quale decisi beatamente di ignorare per la mia sanità mentale. Lui non era geloso. Almeno, non di me.
«Oikawa-san, perché sei qui?» Guardai Kageyama ancora incerto e balbuziente, non capendo perché gli avesse fatto una domanda del genere. L'avevo capito persino io che quella era la palestra in cui si allenava il nipote, come aveva fatto lui a non arrivarci?
Allora, per quale assurdo motivo si trovasse lì?
«Kaori-chan!» Takeru mi corse contro, abbracciandomi per il busto, il che sorrisi lievemente e ricambiai accarezzandogli la nuca rasata. Oikawa aveva un debole per suo nipote, nonostante fosse figlio di sua cugina, e durante i nostri primi appuntamenti, decise di presentarmelo e presentò me come la sua ragazza.
«Ciao Takeru...», mi piegai sulle mie ginocchia per arrivare all'altezza del bambino, prendendo le sue mani e stringerle nelle mie. Con la coda dell'occhio vidi i muscoli facciali di Oikawa rilassarsi per un attimo, fin quando non riposò gli occhi su Kageyama e ritornò ad essere il duro della situazione.
Qualunque cosa stesse per succedere, non erano affari miei, dato che Kageyama non aveva avuto alcuna intenzione di parlarmene.
«Allora, com'è andato l'allenamento?» Chiesi a Takeru in un tono dolce e affievolito, il solito che usavo quando mi trovavo a parlare con un bambino o un animale. Il bambino alzò e abbassò le spalle, guardandosi le punta delle scarpe.
«Così e così», rispose tristemente. «Oggi non sono riuscito a fare una buona alzata e ho chiesto a Tooru di insegnarmi ad essere un buon palleggiatore», l'innocenza dei bambini a volte, era un'arma a doppio taglio, specialmente se quest'ultimo aveva un debole per la sottoscritta.
«Se ti svelo un segreto...», bisbigliai. «mi prometti che non lo dirai a nessuno?»
Takeru mi guardò con due brillanti al posto degli occhi e annuì velocemente, tanto da aver il presentimento che si staccasse la testa dal collo.
«Alla tua età non ero per niente brava a schiacciare», raccontai e scossi il capo lentamente, toccandogli giocosamente la punta del naso, il quale si fece scappare un sorriso e arrossì. «Il mio allenatore mi faceva fare gli esercizi per ultima, visto che interrompevo la fila per i miei capricci», il bambino ridacchiò e io mimai di fare silenzio, guardandomi attorno da finta sospettosa. «Non dirlo a nessuno, d'accordo? È un nostro segreto.» Affermai, alzando su il mignolo. «Promettimelo.»
Takeru intrecciò i nostri mignoli, sigillando la promessa e baciammo entrambi le nostre dita, scoppiando poi a ridere. «Promesso!»
All'improvviso, un'ombra oscurò i raggi solari che accarezzavano delicatamente il mio viso pallido, e alzai gli occhi titubante di sapere chi fosse, trovandomi quelli dal cioccolato fuso di Oikawa fissarmi già da un po'. Mi bagnai le labbra divenute improvvisamente secche e disidratate e mi alzai, spolverandomi le ginocchia per acquisire tempo.
«Possiamo parlare?» Chiese calmo, sentendo il suo sguardo trapassarmi fino e dentro alle ossa. Mi guardai attorno alla ricerca di Kageyama, ma non lo vidi da nessuna parte. Possibile che mi avesse abbandonata nella gabbia del leone? «Se cerchi il tuo ragazzo è andato via.» Aggiunse seccato, come se mi avesse letto nella mente.
Mi voltai a guardarlo e la mia chioma corvina ondeggiò nella stessa traiettoria, stringendo le braccia conserte sotto al seno. «Non è il mio ragazzo», risposi dura. «Ma è il mio kohai.»
Oikawa non riuscì a trattenere quel sorriso da sbruffone, il quale tirava su nei momenti in cui si prendeva gioco di qualcuno. «Giusto, il tuo kohai», canzonò sarcastico e alzò un sopracciglio.
Per la seconda volta in una giornata, restai nuovamente delusa. Credevo che dopo averlo lasciato, avesse migliorato il suo atteggiamento e comportamento, ma mi sbagliavo.
D'altronde, mi ero sempre sbagliata sulla nostra relazione, nonostante le persone a me care continuavano a farmi aprire gli occhi e farmi capire che la persona con cui condividevo tutto, era solo un lupo travestito da agnello.
Abbassai lo sguardo su Takeru e gli feci un mezzo sorriso di scuse. «Scusami Takeru, ma adesso devo proprio andare», dichiarai dispiaciuta per lui e sollevata per Tooru.
«Come, di già?» Ribatté tristemente, sporgendo fuori il labbro inferiore come un cucciolo indifeso. Sorrisi di cuore e alzai le spalle.
«Purtroppo sì», storsi le labbra in una smorfia. «Alcune persone non capiscono quando è il momento di crescere», alternai lo sguardo su Oikawa rifilandogli un sorriso doppiamente falso.
«Kaori», fece un passo in avanti nel tentativo di prendermi, ma mi scostai velocemente prima che potesse farlo. «Aspetta, aspetta!» Ripetette d'un fiato, riuscendo infine ad afferrarmi per il polso.
La sua stretta. Le sue dita. Perché sentì improvvisamente la mancanza? Perché ero così... io?
Te l'ho detto che è ancora geloso, commentò di nuovo la mia coscienza. Che fastidio.
«Che vuoi? Mollami!» Sibilai a denti stretti, guardandomi attorno per vedere se qualcuno ci stesse guardando. Oikawa si morse il labbro inferiore e allentò la presa attorno al mio polso, senza mollarlo, prendendo un grosso respiro.
«Possiamo parlare?» Feci per aprire bocca e rispondergli con un categorico no, ma continuò: «Giuro, non farò l'idiota e non dirò nulla che potrà farti incazzare», dichiarò. «Ti prego», sussurrò fievole.
Oscillai con gli occhi su Tooru e su Takeru che mimò con le labbra un "ti prego, ti prego", congiungendo le mani a mo' di preghiera. Alzai gli occhi al cielo e sbuffai, scostando il polso dalla sua presa e accarezzarmelo con i polpastrelli, specialmente i punti dove le sue dita lunghe ed esili avevano toccato quello strato di pelle, causandomi dei fottuti brividi.
Perché mi fai ancora questo effetto?
«D'accordo...», risposi arresa, ma smorzai subito il loro entusiasmo: «Un'ora e non oltre.» Mimai il numero uno con l'indice e i due annuirono automaticamente comprensivi, trattenendo un sorriso.
L'ora si trasformò in intero pomeriggio con Oikawa e Takeru in una giornata piacevole e senza ricorrere alla relazione con quest'ultimo. Avevamo passato la giornata in gelateria, poi al parco dove mi allenai quella mattina e infine, Takeru propose di andare a casa e fare dei biscotti fatti in casa, prima che la sua mamma venisse a prenderlo.
Così, ci trovammo a casa di Oikawa. La solita casa dove regnava il silenzio e non c'erano i suoi genitori ad aspettarlo con un piatto fumante a tavola. Mi dispiacque che Tooru non potesse contare sulla presenza della sua famiglia, anche perché essendo figlio unico, occupava quello spazio invisibile di malinconia con suo nipote, trattandolo come un fratello più piccolo.
Tuttavia, non era male occuparsi di due bambini, perché sì, Tooru era un bambino troppo cresciuto con il fisico di un adulto.
Misi l'impasto fatto in casa nelle formine da orsacchiotto, aiutandomi con la spatola e sistemai accuratamente la carta da forno sulla teiera, infornandola e controllare l'orario sull'orologio da polso.
«Io vado di sopra a giocare, chiamatemi quando sono pronti i biscotti!» Comunicò Takeru, mollandoci su due piedi a sistemare il casino in cucina, sporco di farina e lievito per dolci. Scossi il capo divertita e decisi di ignorare il fatto che io e Oikawa ci trovassimo da soli, mettendo le scodelle e i recipienti nel lavello per ripulire.
«Passami la roba che si deve asciugare», disse e mi affiancò, tenendo uno straccio in una mano e gli occhi puntati sul profilo del mio viso. Annuì, senza spicciare parola e afferrai la spugnetta, riempiendola di sapone per i piatti e iniziare a lavare.
Per cinque minuti, restammo buoni e in silenzio: io che lavavo e Tooru che asciugava. Una volta che finimmo, passai lo straccio sul ripiano dell'isola per togliere via i residui di farina e mi piegai sul bancone, non riuscendo ad arrivare più affondo dell'angolo, trovando Oikawa ridere per la mia posizione.
«Ti fai male se stai così», mi avvisò ma lo ignorai rispondendogli: «Ce la faccio».
Ma in realtà non ce la facevo, neanche se mi fossi allungata con la forza del pensiero. Alzai su i piedi e dovetti trattenere una smorfia di dolore quando percepì il pizzo del bancone pungermi al fianco. Sbuffai, troppo pigra per fare il giro e troppo orgogliosa nel dire ad Oikawa che avesse ragione.
«Sei così testarda», affermò e sentì che si piegò nella mia stessa posizione, circondandomi i fianchi con il suo braccio e togliermi lo straccio da mano. Inghiottì a vuoto quando sentì la scarica di brividi che emanò il mio corpo e ritornai con i piedi per terra, allontanandomi da lui e sistemarmi la maglietta sgualcita.
Oikawa sembrò non averci fatto caso della reazione che mi suscitò e pulì il punto in cui non arrivavo, spolverandosi le mani e mettere su un sorriso soddisfatto che ricambiai con uno timido.
Restammo a fissarci per un po', così decisi di smorzare quella tensione e silenzio. «Ho passato una bella giornata con te e Takeru», commentai sincera, spostandomi una ciocca di capelli dietro all'orecchio.
«Anche io.... cioè, anche noi», si corresse prontamente, grattandosi il retro del collo. «Senti, so che è inutile parlarne, ma io volevo spiegarti del perché l'ho fatto», non c'era bisogno che specificasse il motivo, anche perché avevo capito a cosa si riferisse e il senso di vuoto iniziò di nuovo a tormentarmi.
Era così contraddittorio pensare che, Oikawa non mi avesse più fatto del male e non mi avrebbe più fatta sentire così vuota, cercando di trovare l'affetto di qualcun altro, innamorarmi di qualcun altro e realizzare i miei sogni con qualcun altro. Ma quando ce l'avevo davanti, quando lui mi guardava come se fossi la persona su cui poter contare e amare per il resto della sua vita, allora l'emozione che provavo stando in sua compagnia, in balia delle sue carezze e di tutte le volte che facevamo l'amore, quelle ritornavano a tormentarmi, facendomi sentire così piccola e vulnerabile.
Perché Oikawa era stato il mio primo e grande amore, e raramente a quel grande amore riesci a chiudere definitivamente la porta.
«Quella ragazza che hai visto... lei non conta niente per me», raccontò. «Fa parte della mia scuola e molte volte aveva cercato di approcciare una conversazione, chiedendomi di uscire, ma l'ho rifiutata», avevo la sensazione che la stanza stesse diventando man mano sempre più piccola. «Poi, una sera, andai con l'intera squadra in questo locale tranquillo e ordinammo da bere: io bevvi tre bicchieri di non so cosa, ma dicevano che mi avrebbero rilassato e così feci», vedevo la sua agitazione negli occhi, nonostante da fuori cercasse di restare calmo. Trattenni il respiro. «Dopo i drink, mi accorsi che c'era questa ragazza nel locale e iniziammo a chiacchierare, fino a fine serata. Dopodiché, andai a casa sua e...», si fermò e alzò gli occhi inglobandoli nei miei, annuì, incalzandolo a continuare. «Poi basta, il giorno dopo mi sentì un verme nei tuoi confronti e decisi di tenere questo segreto per me. Non l'ho detto neanche ad Iwaizumi.» A quel nome, sussultai. Iwaizumi. «Quando mi hai visto nel contesto di effusioni con lei, prima della partita di quella mattina, ero... su di giri, volevo sfogarmi e l'avrei fatto con lei, solo che quando ti ho vista in lacrime», lo sentì inghiottire a vuoto e guardò un punto fisso indecifrabile. «Ho perso la testa in queste settimane. Faccio schifo, lo so, e non c'è bisogno che tu me lo dica»
«Tooru...», sospirai ad occhi chiusi. Non ce la facevo più a sentire la sua voce incrinata.
«No!», mi interruppe e fece un passo in avanti, annullando le distanze tra i nostri corpi. «Ti prego, ti prego...», supplicò, appoggiando la fronte contro la mia. Non lo allontanai, nonostante mi avesse raccontato del tradimento. Non avevo la forza di agire. «Mi manchi, tu non hai idea di quanto tu mi manchi.» Sussurrò, stringendo l'attaccatura dei miei capelli nelle sue dita.
Si era dichiarato. Aveva dichiarato il tradimento. Ed io? Dovevo dirglielo che ero andata a letto con il suo migliore amico?
Chiusi gli occhi e appoggiai le mani sul suo petto, stringendo il tessuto della maglietta sportiva tra le dita. Avevo paura. «Sono andata a letto con Iwaizumi.» Rivelai d'un fiato e strinsi gli occhi, pronta a sentirmi dire le peggiori offese.
Oikawa non respirava più. Non fiatava nemmeno.
Riaprì gli occhi e ciò che vidi fu il sangue iniettare le sue pupille. Tremai a quella vista e allentai la presa dalla sua maglietta, mentre lui strinse la presa ai miei capelli. «Cosa?» La sua voce dava i brividi, letteralmente, e inghiottì il magone in gola.
«È successo perché», ma non conclusi la frase che Oikawa si allontanò da me di scatto, infilandosi le mani nei suoi capelli e scompigliarseli.
«Ora, taci!» Sputò rabbioso, facendomi retrocedere di un passo spaventata. Appoggiai le mani sul bancone per prevenire che le mie gambe vacillassero al suolo. «Come hai potuto andare a letto con Iwaizumi? Come?!»
«Ero ferita», dichiarai. «Tu mi hai ferito», lo additai, sottolineando il pronome. «Era stato gentile ed io mi sono fatto abbindolare... non sapevo cosa fare», mi sentì accaldata, le guance bruciare come fuoco ardente e me le toccai per alleggiare quella sensazione.
Oikawa camminava avanti e indietro come un pazzo, imprecando sottovoce. «Con tante persone con cui avresti potuto, sei finita a letto proprio con Iwaizumi? Ti rendi conto di che cazzo hai appena combinato, Kaori?» Gridò.
Indurì i muscoli facciali e strinsi le mani in due pugni. Avevo sbagliato, ma non poteva far ricadere la colpa soltanto su di me. Era stato lui a tradirmi, non io. «Non mi sarei mai permessa di farlo se stavamo assieme», diedi voce ai miei pensieri. «Non lo avrei mai fatto, Tooru, perché io ti amavo. Mi bastavi tu. Tu! E nessun altro.» Alzai il tono di voce: Oikawa mi guardò rabbioso ma si zittì. «Mi hai umiliata», mi avvicinai a lui e lo fronteggiai, anche se i miei occhi ero sicura che mi stessero tradendo. «Mi hai fatto sentire come se valessi zero, scopandoti la prima ragazza che ti ha fatto gli occhi dolci», ringhiai ad un palmo dal suo viso. «Io ho sbagliato, mi sono sentita in colpa subito dopo e l'ho cacciato, ma tu?» sorrisi amaramente. «Tu hai continuato a vederla...», mi morsi il labbro nervosamente. «In mia insaputa.»
Oikawa mi guardò attentamente, oscillando con gli occhi sulle mie labbra, il naso e ritornare poi nelle mie pozze ambrate. «Com'è stato?» Chiese all'improvviso, avvicinando il viso al mio. Deglutì.
«Cosa?»
«Ti ho chiesto...», potei sentire le sue labbra carnose sfiorare le mie. «Com'è stato scoparsi il migliore amico del tuo ex», ribadì più concettuale. «Mh?»
Alzai il mento, cercando di non farmi intimidire. «Fan-ta-sti-co», scandì con la lingua che curvava ad ogni lettera, guardandolo duramente. Oikawa osservò la mia lingua compiere quel movimento, e si passò la sua sulle labbra, bagnandole e rendendole umide.
Feci per allontanarmi, volendo andarmene da quella casa e specialmente da Oikawa, ma lui afferrò il mio polso e bruscamente mi attirò a sé, schiacciando il mio seno contro il suo petto, tenendomi ferma con l'altra mano sull'osso sacro.
«È stato più bravo di me?» Chiese, ignorando beatamente la mia provocazione, incollando gli occhi sulle mie labbra. Sembrava tanto un gioco malato in cui i più deboli non sopravvivevano. Ma se Tooru voleva giocare, lo avrebbe fatto secondo le mie regole.
«Se te lo dicessi, cosa faresti?» Lo provocai e inclinai il capo di lato.
Lui restò impassibile, serio e intoccabile. «Rispondimi.»
Passai la lingua sui denti e risposi: «Sì», sorrisi. «È stato decisamente più bravo di te», mi morsi il labbro inferiore. «Vuoi sapere anche quanto ce l'aveva grosso?» La presa attorno al mio polso divenne maggiormente più stretta e soffocai un gemito di dolore, stampandomi in viso un'espressione indifferente. «Geloso, Tooru?»
«Sei solo una troia», commentò serio ed io sorrisi.
«E tu un figlio di puttana. Vedi?», ridacchiai amaramente. «Ci completiamo a vicenda», ringhiai.
Non l'avevo mai visto così. Era sempre calmo e pacato, anche nelle litigate che affrontavamo quando stavamo insieme. Davanti a me avevo una belva che difficilmente si sarebbe calmata. Ma doveva. Di sopra, c'era suo nipote che aspettava impaziente i biscotti fatti in casa.
La mano che teneva posata sul mio osso sacro, scese lentamente fino ad arrivare alla spaccatura delle natiche, stringendo in una sola mano la quantità di pelle con violenza, facendomi sussultare.
«Se ti scopassi ora, cosa faresti, Ori?» Un ghigno malizioso incurvò le sue labbra, e deglutì nuovamente, sentendo le mie gambe vacillare alle sue strizzate. «Scommetto che ti piacerebbe così tanto...», sussurrò provocatorio, avvicinando la bocca al mio orecchio.
«Mollami», ringhiai, irrigidendomi.
Mi ignorò.
«Ho una voglia matta di scoparti, giusto per farmi passare lo sfizio di marchiare ciò che è mio», lasciò un bacio umido sotto all'orecchio e fece un passo in avanti, mentre io ne feci uno all'indietro, trovandomi con il basso della schiena contro il bordo del ripiano dell'isola. Oikawa ne approfittò di incollare il suo corpo al mio, strusciandosi con il cavallo dei pantaloni contro il mio ventre. «E a pensare che eri solo una verginella del cazzo prima», affermò crudo, il che gli sferrai uno schiaffo in pieno volto, lasciandogli il mio di marchio: cinque dita.
Oikawa tenne il capo girato e alzò un angolo della bocca. «Piccola ma potente», sorrise lascivo, massaggiandosi il punto colpito. Tornò a guardarmi e gli riservai uno sguardo di disprezzo. Dov'era il ragazzo di cui mi ero innamorata? «Credi che non abbia il coraggio di infilarti il mio cazzo in gola e zittirti una volta e per sempre, Ori?» Chiese con un ghigno indecifrabile. «Ti lasci scopare facilmente dagli altri e non vuoi che ti scopi io?»
«Lasciami», ringhiai, cercando di scostarmelo di dosso ma con scarsi risultati. Era il doppio di me.
«No», rispose.
«Tooru...», chiusi gli occhi. «Ti prego, smettila, ora.»
«Non azzardarti a piagnucolare ora!» Ringhiò. «Quando pensavi di dirmelo? Quando? Ho continuato a scusarmi con quel bastardo fino a una settimana fa per quello che ti avevo fatto», stava schiumando di rabbia.
«Tooru..»
Mi afferrò per le braccia, scuotendomi violentemente. «Tooru? Tooru il cazzo, Kaori! Ti rendi conto di cosa mi hai fatto? Potevi scoparti chiunque, chiunque per farmi sentire un verme e del fatto che non ti meritassi, ma non dovevi farmi una cosa del genere con Iwaizumi», una lacrima rigò la sua guancia, ma non se ne accorse. «Non dovevi... farlo.»
Per quanto volessi trovare giustificazioni al mio comportamento, aveva ragione dopotutto. Abbassai lo sguardo e tacqui. Era giusto così. Giusto che si incazzasse. Giusto che provasse dolore. Eravamo entrambi distrutti. Uno per le colpe dell'altro.
«Mi fai uscire pazzo... pazzo, maledizione!» Affondò con il viso nell'incavo del mio collo e pianse. Tooru pianse, stringendomi nelle sue braccia in un abbraccio bisognoso, il che mi ritrovai a stringerlo con gli occhi colmi di lacrime.
All'improvviso, dei passi piccoli e vivaci, sbucarono all'interno della cucina, esclamando: «Sono pronti i biscotti?» E ci gelammo sul posto come statue.
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