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«Moduli per il trasferimento?» domandò confuso il vicepreside, alternando lo sguardo dal foglio a me.
«È solo per quest'anno...», mi grattai una guancia. «Ho voluto consegnarli dopo le vacanze invernali perché ero ancora indecisa sul mio trasferimento. Spero che non sia un problema.»
«No, affatto. Solo che... – sospirò e posò il foglio sulla scrivania, intrecciando le dita sotto al mento – credevo che restassi per il torneo primaverile della Karasuno. Ti sei data molto da fare da quando hai messo piede qui, e i ragazzi contano molto sul tuo aiuto...»
«Io...» lo so. «È solo una cosa momentanea, – gesticolai nervosamente con le mani – ma ritornerò a frequentare la Karasuno una volta che le Olimpiadi saranno concluse.»
Il vicepreside mi guardò con un cipiglio sulla fronte. Non ero molto convinta sull'idea di trasferirmi nuovamente, specialmente sapendo le condizioni instabili in cui si trovava il nonno; i ragazzi contavano sul mio aiuto, mio fratello altrettanto. E poi, c'era di mezzo anche Keiji... «Tuo fratello è d'accordo? Ne avete parlato?»
«Appoggia la mia decisione. Se è questo che vuole sapere.»
«Va bene, Ukai-san... Terrò in considerazione il suo trasferimento, ma le consiglio di pensarci bene. Magari, troveremo un'altra soluzione dato che ci saranno gli ultimi esami», annuì titubante. «Per i ragazzi del terzo, sarà il loro ultimo anno. Ci tengono a togliere la cattiva reputazione della Karasuno, perciò... – afferrò il foglio e me lo consegnò – ci pensi.»
Il vicepreside era davvero una brava persona. Non mi stupì il suo atteggiamento premuroso e la voglia di portare la Karasuno alle Nazionali per il proprio orgoglio personale, però...
Mi alzai dalla sedia, sistemandomi il retro sgualcito della gonna e osservai il foglio tra le mani. «Vicepreside!»
L'uomo alzò gli occhi dai plichi posti ordinatamente sulla sua scrivania. «Sì, Ukai-san?»
«Posso?» indicai un cofanetto di caramelle alla fragola e l'uomo sollevò un sopracciglio con perplessità, annuendo. «Grazie!» sorrisi e ne afferrai quattro, senza troppi complimenti e uscì dall'ufficio.
Quale miglior rimedio per combattere lo stress con il dolce e lo zucchero?
Mi appoggiai con le spalle al muro e piegai il foglio in quattro parti, infilandolo nella tasca interna della giacchetta; scartai la carta attorno alla caramella, portandomela alla bocca. Mi guardai attorno, sia a destra che a sinistra, notando che il corridoio fosse vuoto e sicuramente erano tutti in classe a seguire le lezioni. Sospirai profondamente e portai il capo all'indietro, guardando il soffitto.
Che cosa avrei dovuto fare? Non ne avevo ancora parlato a nessuno dei ragazzi e mi sentivo così in colpa e frustrata dover partire da un giorno all'altro senza sentire cosa avevano da dirmi. Magari l'avrebbero presa anche bene, spronandomi ad andarci senza alcun rimorso. Ma dall'altra parte, ero sicura che avrei ferito qualcuno: tutti aspettavano il meglio da me. Da Ukai Kaori. Tranne me.
«Oh, ma quello non è uno studente della Fukurodani? Che ci fa qui?» Dall'altra parte del corridoio, credendo che fossi sola, notai due ragazze affacciate alla finestra; curiosa di sapere di chi stessero parlando, mi avvicinai a loro. «Certo che è davvero carino...», commentò quest'ultima. «Credi che abbia la ragazza?»
«Certo che ha la ragazza! Secondo te perché è qui?» Inveì l'amica, guardandola male. Aggrottai le sopracciglia e picchiettai la spalla di colei che aveva la bava alla bocca. Entrambe si voltarono verso di me con un'espressione confusa. «Ukai-san?»
«Di chi state parlando? Non dovreste stare in classe a quest'ora?» Ero piuttosto tremenda con le ragazze del mio liceo, ma semplicemente perché più volte mi ero scontrata con loro durante le pause pranzo e del gabinetto. Non mi erano mai piaciute. Si costruivano dei gruppi e dai loro gruppi spettegolavano crudelmente, credendo di essere le migliori.
«Potrei farti la stessa domanda...», ribatté Fukishima, sollevando un sopracciglio. Feci schioccare la lingua al palato.
«Non avete altro da fare invece di stare qui?» replicai duramente. La ragazza che avevo chiamato un attimo prima, esordì dicendo di darci una calmata e che avrebbero raggiunto la loro rispettiva classe senza creare questioni inutili.
Quando le due andarono via, prima di ricevere un'occhiata truce da parte di Fukishima che ricambiai, appoggiai le mani sul bordo della finestra e guardai fuori, cercando di capire dove avessero visto lo studente della Fukurodani; intravidi il soggetto in questione il che era appoggiato al muretto della scuola. La sua capigliatura corvina spiccava ed era girato di spalle con indosso la tuta di pallavolo della squadra che sembrava molto concentrato a digitare qualcosa sul cellulare.
Curiosa e intenzionata ad andargli a parlare, – anche se l'istinto mi urlava esattamente chi fosse – decisi di allontanarmi dalla finestra e scendere velocemente le scale, raggiungendo l'uscita. Dopodiché, una volta fuori, mi avvicinai a passi veloci verso il muretto. Come avevo immaginato, Akaashi era proprio lì con il suo cellulare tra le mani, e prima che potesse alzare lo sguardo, gli sfilai velocemente l'aggeggio e gli puntai un dito ad un palmo dal viso.
«Tu!» sibilai con gli occhi ridotti in due fessure, inghiottendo a vuoto quando le sue pagliuzze blu entrarono in contatto con le mie. «Che diavolo ci fai qui?»
«Bel modo di salutare le persone. Fai sempre così?» allargò le labbra in un sorriso pigro e nervoso, sollevando un sopracciglio e puntare gli occhi sul suo cellulare stretto nella mia mano. «Posso riaverlo?»
Ad un tratto mi sentì avvampare. Avevo reagito d'impulso nel togliergli il telefono dalle mani, ma ne andava di mezzo il mio orgoglio. Avrei deciso io quando consegnarglielo. «No... – risposi titubante e alzai il mento con superiorità – Rispondi prima alla mia domanda: che ci fai tu qui?»
Akaashi fece spallucce. «Mi sono perso.»
Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva per la risata di gola e poco femminile che uscì dalle mie labbra. «Come puoi perderti nella prefettura di Miyagi se sei di Tokyo, -baka?» Akaashi mi guardò con la sua solita espressione inespressiva, aspettando che continuassi il mio sfogo delirante. «Non sei il benvenuto qui... – lo guardai male e tesi la mano in avanti per consegnargli il cellulare – e non ti voglio vedere fino alla fine dei miei giorni.»
Ero pronta a tutto, dico davvero. Anche a farmi guardare in quel modo freddo e cruciale per tutto il tempo. Ma non ero pronta minimamente a sentir- «Chi ti ha detto che sono qui per te?» Il mio cuore sussultò, o si crepò, e per la prima volta provai un senso di... angoscia. «Sono passato qui per salutare una persona...»
Cercai di smascherare la mia delusione in una smorfia divertita, stringendo le braccia al petto. «Chi... Chi sarebbe questa persona?» farfugliai nervosamente, facendo peso su una gamba e poi sull'altra, scorgendo i suoi occhi brillare di luce propria.
«Gelosa?» mormorò soave, piegando pigramente il capo di lato.
«N...No, baka!» sbottai sentendo le mie guance andare completamente a fuoco; Akaashi mi sorrise ed io distolsi lo sguardo dal suo.
«Perché non rispondi ai miei messaggi?» domandò di punto in bianco, diventando improvvisamente serio.
«Perché dovrei?»
Udì il suo respiro farsi più irregolare e inghiottì a vuoto. «Non rispondere ad una domanda con un'altra domanda, Kaori. Sono serio.»
Non gli avrei mai confessato di aver perso la mia borsa con il telefono e tutte le cazzate varie che si portavano dietro le ragazze della mia età. Era già imbarazzante così.
Ritornai con gli occhi su di lui e pressai le labbra in una linea dura, facendo un passo in avanti. Akaashi sollevò il capo e inarcò un sopracciglio. «Oppure?» lo sfidai, in un certo senso. Non sopportavo di essere presa per i fondelli e Keiji sapeva quanto fossi prevedibile nel farmi condizionare al punto di poterlo mandare a quel paese. Ma lui, restò lì fermo a fissarmi con un sorrisetto smielato sulle labbra.
«Sei davvero carina con la divisa scolastica. Te l'ho mai detto?» Eppure, riusciva sempre a farmi un brutto effetto di tachicardia. Arrossì visibilmente e strinsi i denti infastidita per il potere che aveva su di me; un secondo prima diceva una cosa e l'altro pure, cambiando le regole del gioco. Che problemi aveva?
«Piantala, brutto idiota!» sbottai nuovamente e mi voltai di scatto tanto da far ondeggiare i miei capelli nella stessa direzione con veemenza. «Non so perché tu sia qui, ma ti conviene di andartene prima che qualcuno possa scriverti e pregarti di stare con lei...»
Ero diventata così prevedibile che la mia allusione fosse chiara a chilometri di distanza: Camille. Quella maledetta di Camille con la sua suadente pelle liscia come il culo di un bambino e senza un capello fuori posto. C'entrava sempre.
Akaashi però, rise. La sua risata mi scaldò il cuore, visto che era raro vederlo o sentirlo così spensierato. «Vuoi davvero aprire questo discorso?»
«Beh, sei qui per questo motivo, no?» sibilai, guardandomi attorno. No, non l'avrei degnato di uno sguardo, oppure l'avrei strangolato.
«Te l'ho detto perché sono qui...», percepì la sua presenza farsi più vicino a me, fino a quando le sue mani non si spostarono velocemente sui miei fianchi e con la stessa grazia, mi girò verso di lui, imprigionandomi. Strabuzzai gli occhi sorpresa e gridai un forte "stupido pervertito", mentre cercai di svincolarmi dalla sua stretta inutilmente. «Hai idea di quello che mi hai fatto passare? Ti sei comportata come una bambina...»
«Smettila! Non è vero! Sei tu che sei uno stupido», ribattei a tono, guardandolo in modo truce. «Tu e quella Camille... La stupidità è uomo. Spero che vi siete divertiti senza di me!» proseguì sarcastica.
«Gli altri, sicuro... – sorrise amaramente – Ma io sono rimasto fuori tutta la notte a cercarti. – lo guardai sorpresa e lui mi afferrò il volto nella sua mano, stringendomi, senza farmi male, le guance – Sono passato anche per casa tua, e dalla finestra ti ho vista dormire sul divano, per fortuna. Ho preferito non disturbarti, anche perché era stata uno schifo di serata. – mi sentì ulteriormente in colpa; Akaashi allentò la presa dalle mie guance e aprì la mano per accarezzarmene una – Sei andata via senza che riuscissimo a chiarire...»
«Non avevamo niente da chiarire», abbassai gli occhi sulle mie scarpe. «Specialmente se Camille ti stava appiccicata come una pulce ovunque andassi...»
Sospirò. «Kaori.»
«È... È vero», sussurrai con la voce rotta. Possibile che fossi così vulnerabile in sua presenza? «Non ti sei neanche posto il problema se volevo passare l'ultimo dell'anno con te. Non me lo hai chiesto. Io credevo che volessi restare da solo perché ti do troppi problemi..»
«Tu non mi dai problemi, Kaori», mi interruppe, serio. «L'unica persona della mia vita che mi causa problemi, ventiquattr'ore su ventiquattro, è solamente Bokuto», alzò gli occhi al cielo e si bagnò velocemente le labbra prima di continuare a parlare: «Io... Io volevo chiedertelo. Volevo chiederti di passare l'ultimo dell'anno insieme... Solo che...»
«Ti vergogni di me?» domandai con un timbro di voce sottile, sentendo gli occhi pungermi.
Akaashi sbarrò di colpo gli occhi e appoggiò le mani sulle mie spalle, allontanandomi, permettendo così di guardarmi in faccia. «Vergognarmi di te? Dove hai tirato fuori questa cazzata?» Non risposi. Akaashi sospirò. «Io... non sono abituato a queste cose. Non le ho mai fatte prime. Le mie relazioni si sono sempre basate da una notte e via e... – mi lanciò un'occhiata per capire dalla mia reazione se poteva andare avanti – non ho mai intrapreso questa strada con una ragazza. E tu, Kaori... sei come un treno in picchiata e credimi se ti dico che alle volte non riesco proprio a capirti. So di aver sbagliato, o almeno credo di aver sbagliato, ma... io...», afferrò nuovamente il mio viso e avvicinò la punta del naso alla mia, sfiorandola. «Mi piaci un sacco. Anche quando ti comporti come una bambina testarda», lo guardai profondamente negli occhi e sentì il cuore salirmi in gola per le forte emozioni. «E non mi dispiace neanche questo tuo lato... Beh, alle volte sei davvero ingestibile. Però ha i suoi vantaggi», ridacchiò.
Mi morsi il labbro per reprimere un sorriso e abbassai lo sguardo sulle mie scarpe. «...Anche tu, mi piaci davvero tanto, Keiji», mormorai timidamente. «E forse è questo che mi spaventa...», le dita lunghe ed esili di Keiji sollevarono il mio mento e le sue labbra si appoggiarono frettolose sulle mie, come se non aspettavano altro da tutto il tempo che stavamo parlando. All'inizio m'irrigidì dalla sorpresa, ma dopo non riuscì a controllare l il bisogno che avevo di lui.
Le sue labbra esperte, calde, seguivano necessariamente le mie e istintivamente avvinghiai le braccia attorno al suo collo, mentre lui ne approfittò di far scivolare una mano fino alla base della mia schiena e spingermi contro il suo corpo.
Ero felice di vedere quell'atteggiamento di Keiji in pubblico, senza porsi alcun problema se qualcuno ci avesse visto oppure no. Non era solito fare queste cose, dato il suo comportamento di riservatezza, ma soprattutto, era la seconda volta che mi rassicurava che gli piacessi.
Ad un certo punto, sentì un tossicchio alle mie spalle; evidentemente dovette attirare l'attenzione anche di Akaashi che, aprendo gli occhi, lo vidi fare lo stesso. Si staccò velocemente da me con un leggero affanno controllato e lo guardai confusa ma allo stesso tempo "sono nella merda", dato che non era un comportamento consono all'interno di un contesto scolastico.
Girai solamente la testa, pronta a scusarmi con un professore che passava da quelle parti oppure con il vicepreside, ma ciò che mi presentò davanti fu peggiore di quel che pensassi; come una secchiata d'acqua gelida. «Keishin!»
Mio fratello alternò lo sguardo di fuoco su di me e Akaashi, Akaashi e me, mentre quest'ultimo tenne ancora le mani dietro alla base della mia schiena. «Potresti... – indicò nervosamente con un dito le sue mani e Keiji strabuzzò leggermente gli occhi accorgendosi solo ora di non essersi staccato completamente e alzò le mani – Ora va meglio.»
«Uhm... Keishin lui è Akaashi Keiji, l'alzatore della –»
«Fukurodani, lo so», concluse per me e chiusi gli occhi dall'imbarazzo. «Io sono il fratello maggiore di Kaori, penso che tu lo sappia già. Ci siamo incontrati al ritiro estivo.»
«Sì. È davvero un piacere rivederla, Ukai-san», sorrise imbarazzato il ragazzo al mio fianco, tendendogli la mano in segno di cortesia. Però, Keishin, era tutto fuorché cortese. «Okay...» borbottò tra sé e sé, ritraendola.
«Posso chiederti perché sei qui fuori invece di stare in classe?» domandò mio fratello, portando l'attenzione su di me.
«Chotto...», ridacchiai a disagio, grattandomi una tempia. Com'ero finita in quella situazione?
«È colpa mia, Ukai-san. – si intromise Akaashi, indicandosi con un dito sul petto – Volevo vederla e sono venuto qui senza preavviso... Gomenasai.»
Keishin inarcò un sopracciglio e strinse le braccia al petto. «Mhm», mugugnò con gli occhi ridotti in due spille di fuoco. Fremetti come un gatto. «Volevi vederla o scusarti per qualcosa di sbagliato che hai fatto?»
Akaashi aprì bocca per rispondergli ma la chiuse nello stesso momento in cui non sapeva cosa esattamente dire. Lo stava mettendo alla prova, dato che con Oikawa non aveva avuto tale fortuna visto che non gliel'avevo mai presentato sotto veste di fidanzato. Non che Akaashi lo fosse però... o forse sì?
Ero confusa.
«In realtà è colpa mia...», lo difesi prontamente, alzando le spalle. «Keiji voleva solo vedermi perché... perché...»
«Perché?» incalzò, accigliato.
Non mettermi addosso tutta questa pressione, idiota.
«...Perché non rispondeva ai messaggi ed ero preoccupato. Oltretutto, Ukai-san, volevo chiederle se potevamo organizzare un amichevole con la Karasuno domani.»
Bel modo di girare la frittata, pensai lanciandogli un'occhiata complice. Ottimo lavoro.
«Domani?» ripetette soprappensiero, accarezzandosi il mento.
Akaashi annuì. «Sì, ne abbiamo parlato anche con il coach ed è d'accordo.» Aspetta, quindi non è una messinscena? «È possibile?» Lo guardai con un cipiglio confuso stampato in fronte e lui mi sfiorò la base della schiena con i polpastrelli, tranquillizzandomi. Rabbrividì.
«Per me va più che bene...», sorrise genuinamente cambiando completamente atteggiamento. Ma quanto poteva essere stronzo? «Chiamerò il tuo coach e mi metterò d'accordo con lui per la partita.»
«Sarà un vero piacere, Ukai-san.» Certo, un vero piacere, scimmiottai mentalmente torturandomi la lingua. «Verrai anche tu?» mi sussurrò piano, guardandomi con i suoi grandi e puntigliosi occhi blu.
Non guardarmi così... Non è giusto!
«Mhm!» annuì con il sangue che mi pizzicava brutalmente le guance.
Che caldo.
Che fuoco.
Eppure le temperature di Gennaio erano disumane.
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