𝖵𝖨
«Ripeto: dov'eri l'altro ieri?» Mi guardò dall'altra parte del tavolo, stringendo le braccia al petto. Keishin era ritornato dal suo -nuovo- secondo lavoro da aiutante in un'azienda agricola con un diavolo per capello e tanta voglia di discutere alle otto del mattino.
Addirittura mi aveva svegliata appositamente, quindi per quanto volessi rispondergli senza sembrare una ritardata mentale, tenni lo sguardo fisso sul suo, sbattendo più volte gli occhi e stropicciarli, cercando di scacciare via la sua sagoma opaca.
Mai più maratona di film. Mai più. Piagnucolai mentalmente, anche se sapevo per certo che il giorno dopo avrei ricominciato con il solito loop.
«Dov'ero cosa? Te l'ho detto: ero dal vecchio», risposi scocciata dal suo interrogatorio, spostandomi i ciuffi ribelli, improntati dalla sagoma del cuscino, dietro alle orecchie. «Ora, posso ritornare a dormire?» Sbuffai ad occhi chiusi, tentata di appisolarmi sulla sedia.
«Prima hai detto che avevi passato la notte fuori con i tuoi amici», mi ricordò puntiglioso, indicandomi con aria minacciosa. «Cosa improbabile, visto che gli unici amici che avevi, erano la Toda. E comunque no, non tornerai nel tuo letto.»
Mi lamentai più all'affermazione negativa di non tornare a letto che di avergli mentito spudoratamente in faccia. Gettai il capo all'indietro e brontolai frasi sconnesse.
Alle volte, era così scocciante. Le mie intenzioni di chiarire con lui erano intenzionali, ma non alle otto del mattino con un'ora di sonno addosso. Il mio cervello aveva bisogno di connettersi, così come escogitare bugie strategiche.
Keishin nonostante eseguisse due lavori, come commesso del negozio di famiglia e aiutante in un'azienda agricola, riusciva a trovare il tempo anche di fare l'allenatore e il papà alias fratello maggiore premuroso. Mentre io, non ero neanche riuscita a mettere su un teatrino come si deve.
Sadico. Decisamente sadico. Ed io, decisamente stupida.
Ero così leggibile come un libro aperto?
Mi arresi all'idea che ogni scusa potessi trovare non avrebbe funzionato, almeno non con mio fratello. Perciò, mi massaggiai le tempie e lo guardai di sfuggita. «Ero da Oikawa... il mio ragazzo.» Ammisi in un sussurro l'ultima frase, mettendo su una smorfia di disappunto, sapendo che avrebbe iniziato a sbraitarmi contro da un momento all'altro.
«Oikawa?» ripetette, incredulo. «Oikawa Tooru dell'Aoba Johsai è il tuo ragazzo?» Replicò sbigottito e inarcò il sopracciglio folto, al quale annuì meccanicamente.
«Sì, Keishin!»
Keishin restò a fissarmi inespressivo, al quale non riuscì a captare il suono delle rotelle del suo cervello a cosa stessero elaborando. Per un attimo, mi guardai intorno per riflettere su quale fosse stata l'uscita di sicurezza migliore da prendere in caso di mayday, ma poi mi ricordai del ginocchio e di non poter correre come avrei potuto.
Così mi gettai sconfitta fino all'ultimo; avrei lasciato una lettera al nonno dicendogli che era stato un'ottima figura paterna e se voleva vendicarmi, di uccidere suo nipote maggiore. Oppure sarei ritornata, in veste fantasma, a vendicarmi.
Distolse lo sguardo dal mio e afferrò il pacchetto di sigarette che aveva in tasca, sfilandole una e posarsela equilibrata sulle labbra. Afferrò l'accendino e con tutta la noncuranza del mondo, se la accese. Una nuvola di fumo si propagò al centro della zona distanziata tra noi, arrivandomi dritta in faccia.
Non mi diede fastidio, anche perché ero abituata a sentire l'odore della sigaretta e la puzza della nicotina. Anche il vecchio fumava, tenendosi però continuamente in forma.
Il mio vecchio era un gran fico.
Strizzai di poco gli occhi lucidi dalla stanchezza e dal fumo, bagnandomi poi le labbra secche.
«Perché non ero a conoscenza che avessi un ragazzo?» Chiese ad un tratto, facendomi trattenere il fiato.
All'improvviso tutto il sonno che avevo accumulato era svanito, tranne la voglia di scappare dalla cucina e rintanarmi sotto al letto – letteralmente.
Keishin non sapeva che fossi fidanzata per ovvi motivi: era geloso, molto geloso, essendo l'unica donna della sua vita; il pensiero che la sua sorellina non potesse essere più vergine, lo fece rabbuiare, fino a farlo impallidire; tenni la nostra relazione segreta fino al secondo mese, poi dopo tutti vennero a sapere che io e Tooru stavamo insieme.
A parte Keishin e il vecchio. Tuttavia, le oche che gli starnazzavano -ancora oggi- intorno, non la presero bene.
«Perché avresti reagito in malo modo», risposi semplicemente. «La tua espressione di ora, infatti, me lo conferma.»
Mio fratello sospirò e socchiuse le labbra, prendendo un altro tiro e soffiarlo in uno sbuffo. «Quindi, tu e lui...» Non c'era bisogno che continuasse, visto che capì subito a cosa si stesse riferendo.
Le mie gote si colorarono di un rosso acceso e gli occhi si allargarono di poco, sapendo che, se avessi risposto con una bugia, avrebbe capito subito. Restai in silenzio, come risposta alla sua ipotesi, torturandomi le dita.
«Oh Gesù Cristo...» Sussurrò, massaggiandosi il mento nervosamente con il palmo. Lo faceva spesso quando i suoi nervi scattavano e cercava di darsi una regolata. Se la situazione non fosse stata così seria, sarei scoppiata a ridere. «Avete usato le precauzioni, vero? Mica sei incinta e non vuoi dirmelo? Perché se è così, giuro che lo pesterò così tanto che cambierò i connotati della sua carta d'identità e la sua famiglia dovrà»
«Shin, ti prego, non posso essere incinta per tutte le volte che lo facciamo!», lo interruppi con un lamento, ma me ne pentì amaramente subito dopo.
Gli occhi di mio fratello divennero così grandi che la nonnina di Cappuccetto Rosso, a differenza sua, era dolce e gentile. «Come scusa?»
«Non siamo così idioti da non usare le precauzioni, oltretutto prendo la pillola per prevenire un incidente del genere.» Mi corressi tutto d'un fiato, schiarendomi la voce.
«La... pillola? Anche la... pi-pillola?» Balbettò e sbatté le palpebre lentamente, sperando di non aver captato bene le mie parole fin troppo difficili da assimilare per uno che mi trattava -ancora-come una bambina.
«Sì, la pillola», ribadì concisa, annuendo. «Stiamo insieme da un anno; Yagami-san è stato gentile a contattare un suo collega ginecologo per farmele prescrivere. Ho fatto tutti i controlli necessari per essere sicura di non subire danni collaterali in futuro.»
Keishin prese un grosso tiro dalla sigaretta, massaggiandosi la fronte con l'indice e il pollice. «Giuro, farò fuori Yagami...», borbottò sottovoce. «Non volevo sapere tutti i particolari, Kaori. È già difficile accettare che sei andata a letto con un ragazzo», sibilò. «Per lo più, quel strapazzo di Oikawa», «Ma scherzi?»
«È il mio ragazzo, non un ragazzo qualunque, Shin. Per chi mi hai preso?» Sbottai, correggendolo imbronciata. «Oikawa è una brava persona, non è vero quello che dicono gli altri sul suo conto.»
«È molto peggio di quello che dicono gli altri sul suo conto, Kaori», storse la bocca in una smorfia disgustata. «È un donnaiolo.»
«È una brava persona, mi fa stare bene.» Risposi prontamente, tenendo in alto la mia difesa. Keishin mi fulminò con gli occhi, spegnendo la cicca finita all'interno del posacenere, senza rinunciare al nostro contatto visivo.
Idiota.
«Ti farà soffrire...» Riprovò a farmi ragionare, ma lo interruppi, di nuovo, rispondendogli a tono: «Lo amo, Keishin.»
Keishin mi guardò attentamente come un felino, volendo capire se la mia dichiarazione impulsiva coincidesse con la verità. Lo affrontai a testa alta, non muovendomi dalla mia posizione, anche se le parole di Iwaizumi mi balenarono in testa per un secondo: «Sei troppo per una come lui, Ori.»
Ero ancora stordita da ieri sera. Per tutta la notte, avevo solo pensato al momento delle sue labbra che stavano per appoggiarsi sulle mie.
Davvero stava per baciarmi? E cosa significava quello che aveva detto?
Mio fratello si alzò dalla sedia, sistemando lo schienale al tavolo. Mi guardò un'ultima volta e bagnandosi le labbra secche, disse: «Vado a dormire. Sono stanco.» E uscì dalla cucina, lasciandomi senza parole.
I cinque giorni passarono come un battito di ciglia e gli inizi degli interscolastici erano alle porte. Dalla piccola discussione tra me e Keishin, le cose tra noi divennero più fredde e distaccate.
Mio fratello non accettava che stessi con Oikawa, il capitano dell'Aoba Johsai alias il donnaiolo -a detta sua- ma nonostante ciò cercai di non pensarci e focalizzai la maggior parte della mia attenzione sugli allenamenti della Kurasano, soprattutto su Hinata e le sue ricezioni schifose.
«Se non lo farai, quella possibilità che hai sprecato potrebbe costarci la partita!» Sbottò Keishin, schiacciando la palla, alla quale Hinata non difese e si trovò con le ginocchia cementate sul pavimento.
Osservai il ragazzo respirare affannosamente per lo sforzo. Era passata più di un'ora che si stava allenando sulla ricezione. Guardò negli occhi mio fratello che prontamente afferrò un'altra palla, ringraziando con un sorriso la manager che lo stava aiutando in quel compito.
«I preliminari degli interscolastici inizieranno quanto meno te lo aspetti. A Miyagi non ci sono quelli di distretto, quindi sono direttamente i prefetturali. Ci sono sessanta squadre, ma solo una potrà andare ai nazionali.» Parlò cauto. «Una sola sconfitta e non si va più avanti, Hinata. Desideri questo?»
«No!» Rispose il ragazzo, alzandosi da terra con uno sguardo più tagliente e determinato di riprovarci. «Un'altra! Un'altra ancora!» Incalzò mettendosi in posizione con le gambe divaricate e piegò le ginocchia sotto al suo peso, allargando poi le braccia.
Davanti a tanta determinazione, alla quale rispecchiò la vecchia Kaori prima di una partita, il mio cuore fece una, due, tre capriole ripetute all'infinito. E Sorrisi.
Sorrisi per davvero.
Il venerdì mattina, l'ultimo giorno a disposizione che avevamo per ricapitolare il tutto, arrivai leggermente in ritardo. La sveglia non era suonata e Keishin era uscito in fretta e furia, andando prima al negozio e poi a scuola.
Con un leggero affanno, aprì la porta scorrevole della palestra, fiondandomi dentro e annunciare un acuto: «Ci sono! La sveglia non è suonata, anzi credo di aver fatto finta di non sentirla e poi averla spenta, perdonate- Ah?» Cercai di giustificarmi e di riprendere fiato, ma quando alzai gli occhi dai miei piedi, vidi Azumane, Kageyama e Hinata seduti a terra con Keishin che stava spiegando le probabili tattiche e lo schema delle rotatorie, affiancato alla lavagnetta bianca.
Dove sono tutti? Pensai, alternando lo sguardo da loro all'intera palestra.
«Ohayo, Kaori-chan!» Mi salutarono Hinata e Azumane con un sorrisone, mentre Kageyama si limitò a sventolare semplicemente la mano. Sorrisi curiosa da quella situazione, ricambiando il loro saluto, e appoggiai il borsone del cambio ai miei piedi.
«Dove sono tutti?» Domandai curiosa, aprendo il borsone e scavare al suo interno.
«Stanno per arrivare, nel frattempo stavamo ricapitolando cosa è possibile e cosa non. Tu hai idee?» Keishin mi venne incontro, mentre io afferrai il bendo della colazione, porgendoglielo. Lo afferrò senza troppe spiegazioni; sapeva che gli avrei portato la colazione, visto che la mattina non aveva mai il tempo di farla.
Se non è Maometto che va alla montagna, la montagna va da Maometto.
Nel frattempo, pensai a cosa era possibile e cosa non, alla quale un'idea geniale mi balenerò in testa. Saettai gli occhi di scatto su Azumane. «Azumane?» Lo chiamai, vedendolo sussultare dallo spavento.
Era un ragazzo dall'apparenza tremendamente inquietante: alto, massiccio, i capelli castani e lunghi fino alla mascella, sempre legati con l'elastico. Poteva incutere timore, infatti i pettegolezzi su di lui ne dicevano di cotte e di crude, quando in realtà era un bravo ragazzo che aveva paura persino della sua stessa ombra.
Azumane scattò all'impiedi, mormorando un flebile: «Sì?» impacciato, sorridendomi nervosamente.
Lanciai un'occhiata furtiva a Keishin che aveva già il muso nella scodella della colazione. Congiunsi le mani, posando le dita sotto al mento. «Come te la cavi con gli attacchi dalla seconda linea?»
Azumane mi guardò tra il confuso e il sorpreso, non sapendo cosa rispondere, così richiamai Hinata e Kageyama, mettendo su la mia ipotetica idea.
«Ho capito, prendete la palla e cominciamo. Voglio mostrarvi una cosa.» Avevo capito perfettamente cosa fare in quel momento.
༄
Il giorno dopo arrivammo davanti alla Sendai City Gymnasium. Scendemmo dall'autobus e afferrammo i nostri borsoni. Camminai per il breve tragitto, accanto ad Hinata e Nishinoya che ogni due per tre, quest'ultimo ironizzava la situazione con delle battute divertenti, facendomi sorridere, mentre il ragazzo dai capelli arancioni di tanto in tanto si spiaccicava una mano davanti alla bocca, trattenendo dei coniati di vomito per l'agitazione.
«Hinata sta' calmo!» Appoggiai una mano dietro alle scapole della sua schiena, accarezzandolo lievemente. «Se continui ad agitarti in questo modo, non uscirai dal bagno per le prossime tre ore.» Ed io ne so qualcosa, avrei voluto aggiungere.
Hinata dal mio gesto amichevole, le guance gli si colarono di un rosso acceso e annuì piano come per ringraziarmi. Nishinoya sorrise in direzione dell'amico, mollandogli uno schiaffo dietro alla nuca: «Coraggio Shoyo, riprenditi! Andrà bene e vinceremo.»
«Mhmh.» Mugugnò quest'ultimo, attenendo il colpo. Sospirai affranta e avanzai il passo, affiancando Daichi, Sugawara e Azumane.
Davanti all'ingresso della struttura, udì due ragazzi chiacchierare tra loro indossando delle magliette di un giallo ocra con su scritto: Ou. Corrucciai la fronte, allentando man mano i passi da quelli dei miei compagni, quando li sentì per puro caso parlare dell'Aoba Johsai.
«Quest'anno l'Aoba Johsai è sulla crescita dell'onda. Da quando è al terzo anno, Oikawa mangia in testa agli altri. Inoltre, ho sentito che la Seijo ha dei primini che saltano parecchio.» Commentò il ragazzo dai capelli corvini e leggermente più alto dell'altro.
«Sì, ma faranno comunque fatica contro il muro della Dateko che resta imbattile. Sono felice di non essere nel blocco A.» Rispose l'altro, evidentemente nervoso al sol pensiero. Guardò il tabellone e tracciò con il dito una linea. «Qui c'è anche Tori...Torino?»
«Non è Karasuno?» Chiese il corvino, confuso. «Se non sbaglio, fino a poco tempo fa era forte.»
L'amico rise. «Sì, ma adesso non più. Mi pare che vengono chiamati "campioni decaduti" o "corvi che non volano", una cosa del genere.» Sorrise.
A quel commento, strinsi le mani in due pugni, pronta ad alzarmi le maniche e ad intervenire. «Ma sentili», dissi e attirai l'attenzione di Daichi che mi guardò con la coda dell'occhio. «Ogni anno diventano sempre più critici d'arte.» Commentai da finta sarcastica.
Il capitano sorrise in modo rassicurante nella mia direzione, al che ci trovammo dietro alle spalle dei due ragazzi, ignari degli sguardi inquietanti che li riservammo.
Specialmente Tanaka che assunse la sua espressione da delinquente cerca-rogne. Non mi feci troppi problemi neanche io, fulminando le loro nuche e desiderare che prendessero fuoco davanti ai miei occhi.
Tutti i ragazzi, guardarono in malo modo i due critici, persino Daichi che un secondo prima mi stava rassicurando con un sorriso. Non capivo perché mi stessi comportando come se la cosa mi toccava in prima persona, ma dentro di me provavo un fastidio incerto, quasi ingestibile, e volevo colmarlo a suon di schiaffi sulle loro facce.
Il corvino notò la nostra presenza, sicuramente anche l'aura oscura che stavamo emanando. Voltò lo sguardo nella nostra direzione e lo alternò all'amico che invece, se la rise di gusto, suggerendogli di ammutolirsi in panicato.
Tanaka si fece avanti, ma la cosa non mi stupì più di tanto. Quella che invece destò il punto di domanda, fui proprio io. Affiancai istintivamente il ragazzo dai capelli rasati, alternando lo sguardo uno all'altro con due spilli al posto degli occhi.
«Illuminatemi: cosa non volano?» Ringhiai, cercando di smascherare il mio fastidio con un sorriso grande e -dalle loro facce pallide- inquietante.
«Rispondete alla signorina, ragazzi.» Incalzò con un ghigno malefico il mio complice, avvicinando il viso al ragazzo dai capelli castani, il quale inghiottì a vuoto e una goccia di sudore solcò la sua fronte.
Ad un tratto, mi sentì afferrare per il colletto della maglietta e venir trascinata all'indietro, notando che anche Tanaka era nelle mie stesse condizioni. «Dai, adesso basta, andiamo», disse Daichi. «Scusatemi per questi due.» Chinò il capo in avanti in segno di scuse, stringendo la presa dei nostri colletti.
Ora ci strangola. Me lo sento.
«Ah, niente... non preoccuparti!» Ribatté il ragazzo, -colui minacciato da Tanaka- grattandosi il retro della nuca a disagio.
Grugnì come un cavernicolo, cacciando la lingua di fuori in una linguaccia dispettosa verso i due ragazzi che strabuzzarono gli occhi sorpresi, imbronciandomi subito dopo.
In quell'istante meritavano ben altro che un semplice gesto infantile.
«Non iniziare già ad attaccare briga», rimproverò Daichi a Tanaka che si scusò per paura di un cambio d'umore del capitano. «E tu, non compiacere questo idiota.» Aggiunse, indicandolo con un cenno di mento, rivolgendosi alla sottoscritta, mentre ci trascinò fino e dentro all'edificio con facilità.
Sbuffai e portai le braccia conserte sotto al seno. «Non è giusto!» Borbottai sottovoce, imputandomi, e raggiungemmo la squadra.
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