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[𝖤𝗑𝗍𝗋𝖺] 𝖴𝗌𝗁𝗂𝗃𝗂𝗆𝖺.


Da bambina il nonno diceva sempre che esistevano due tipi persone al mondo: quelle che non avevano personalità, e quelle che ne avevano più di una. Il suo sguardo era serio ogni qualvolta che me lo diceva; gli occhi diventano più assottigliati e la sua bocca rugata e piccola si trasformava in una linea sottile.

Più menzionava la differenza di persone, più mi rendevo conto che al mondo non tutti eravamo uguali. Per niente. Le persone erano buone, altre furbe, altre invece ingenue. Erano così diverse, eppure si scorgeva tanta similarità.

Il nonno, a quelle parole, si avvicinava e mi accarezzava una guancia per tranquillizzarmi. Restavo a fissarlo, sperando che quell'espressione seriosa scomparisse sul suo viso rigato dagli anni. C'erano le bambine della mia età che preferivano trovare il proprio principe azzurro con le stesse somiglianze dei loro papà, e poi c'ero io che desideravo trovare qualcuno delicato e rassicurante come il nonno.

Lui sapeva prendermi. Sapeva capirmi.

E forse, era l'unico a rendermi consenziente ai miei obblighi, dato che quell'oggi dovetti trattenermi da non sbraitare contro alla coach.

«Le ho detto che non ci vado al ritiro» proclamai infastidita innanzi alla sua insistenza.

«Ed io ti dico che invece ci andrai. È un'occasione unica che rara Kaori, non comportarti come se avessi cinque anni» ribatté scocciata dalla mia testardaggine, bevendo un sorso d'acqua.

«Si dà il caso che a cinque anni ero la bambina più intelligente dei miei coetanei. Voleva per caso farmi un complimento oppure era un'offesa la sua, coach?» la stuzzicai, sapendo quanto le infastidisse essere provocata. In effetti, mi rifilò un'occhiataccia che avrebbe zittito persino il più stronzo degli stronzi.

Avevamo un rapporto strano noi due, per niente formale tra un maestro e un allievo. Lei mi trattava come una figlia, io la trattavo come una madre che non avevo mai avuto. Almeno, ero convinta che fosse così un rapporto tra un genitore e un figlio.

Ci trovavamo in un ristorante situato al centro di Tokyo. Mi aveva invitato a pranzo fuori per dirmi del ritiro delle matricole che si sarebbe tenuto – appunto – all'Accademia Shiratorizawa. Il coach della squadra aveva scelto quelli più adatti per seguire il ritiro dei cinque giorni – come accadeva ogni anno. L'accademia era molto grande, il vecchio demone si compiaceva molto della nomina positiva che patisse l'intera scuola, grazie alla sua squadra di pallavolo maschile.

Fin qui, tutto stava proseguendo bene. La coach Tamiako aveva tutte le buone intenzioni del mondo, lo sapevo, ma era anche vero che non sopportavo quando mi metteva in mezzo a situazioni ingestibili e più grandi di me.

Il coach dello Shiratorizawa, Tanji Washijo, era un grande stronzo. Letteralmente. Sceglieva i giocatori in base al proprio fisico e altezza, e non sopportava i tappi. Per lui, le persone basse, potevano solo giocare come liberi, ma come giocatori principali della squadra nonché assi, dovevano essere promettenti e fisicamente robusti come Ushijima.

Se non gli andava bene che un giocatore basso giocasse nel ruolo di asso, immaginate quanto rosicasse nel vedere una ragazza mingherlina come la sottoscritta ad essere una delle tre migliori del paese, nella categoria maschile e femminile, nel ruolo di asso.

Non capitava tutti i giorni che una ragazza giocasse in una squadra formidabile, dove la maggioranza erano composte da atlete universitarie e non, e avesse partecipato alle Olimpiadi.

Quell'uomo non mi sopportava ed io non sopportavo lui. Lo faceva apposta nel fare richiesta alla coach. Lei non sapeva rifiutare, diceva che ogni situazione ci presentasse davanti doveva venire colta al volo, bella o brutta che era, ma ogni volta che succedeva ci andavo sempre di mezzo io e mai qualcun altro.

A quei ritiri, si doveva partecipare da soli, senza nessun coach, ma soltanto quel demone bastardo che si trovava lo Shiratorizawa. Perciò ero scoperta. L'ultima volta mi aveva obbligato a svolgere le stesse mansioni che faceva una manager, pur di non farmi partecipare agli allenamenti.

«Prendila come una lezione di vita, anche se Washijo è un vero stronzo, dovresti comunque imparare qualcosa. Sarai la migliore, vero, ma questo è un sport dove non si smette mai di imparare né di allenarsi per dare sempre il meglio di sé...» sospirò, massaggiandosi una tempia. «Sono solo cinque giorni. Cinque giorni. Puoi farmi questo favore?»

Mi trattenni dallo sbuffare.

«...Kaori?» la guardai scettica. La detestavo quando riusciva a convincermi, nonostante il mio orgoglio.

Ma per fortuna, arrivò il cameriere con le nostre ordinazioni. «Buon appetito» ci augurò cordiale, lasciandoci poi alla nostra conversazione. Gli avrei stretto la mano pur di non farlo allontanare dal nostro tavolo, ma volevo evitare una denuncia. In Giappone sapevano essere troppo suscettibili, forse perché stavo iniziando ad abituarmi allo stile stravagante e rock'n'roll americano.

«Perché non mi hanno chiamato per gli Under 19? Partecipare a un ritiro per matricole è... scontato» ero disposta ad aprire qualunque discorso pur di non darle conferma.

In primis, sapevo del motivo per cui non mi avessero scelto: A) Ero già una giovane promessa di una squadra professionista dopo il diploma. B) Il grave infortunio alla gamba mi aveva demoralizzato e avevo bisogno di riposo. Gli allenamenti degli Under 19 erano senza alcun freno. Non potevo abusarne, ne andava sulla mia salute fisica.

La coach sospirò. «Ho preferito rinunciare alla loro offerta. Non voglio che rischi un altro infortunio più grave del precedente. Parteciperai il prossimo anno» disse. «...c'è tempo, sei giovane» sorrise, afferrando le bacchette. «Ora, mangia l'insalata. Devi tenerti informa ma anche eseguire la dieta equilibrata che ti ha consigliato Yagami-san.»

Guardai il piatto che la coach aveva ordinato per me. Deglutì. Odiavo l'insalata. In quel momento volevo solo un pezzo di torta al cioccolato, mi avrebbe calmato i nervi. «Devo per forza?» Sospirai disperata, impugnando la forchetta.

«Devi» borbottò con la bocca piena del suo squisito onigiri fritto, lasciandomi con la bocca asciutta.

C'è troppo verde... «Se accetto di andare al ritiro dello Shiratorizawa, posso evitare di mangiare l'insalata?»

«Avresti comunque accettato» ribatté, scrollando le spalle. Mi imbronciai. Aveva ragione; avrei accetto, purtroppo. «E comunque no, mangia il tuo piatto. Ti farà bene.»

Già, a meno che non sei una capra, sbuffai e infilzai controvoglia la foglia d'insalata nel piatto.



«...E infine mi ha obbligato a mangiare l'insalata» conclusi, camminando avanti e indietro per il negozio, mentre Keishin leggeva una rivista di modelle in bikini con una sigaretta accesa sulle labbra. Aggrottai le sopracciglia e appoggiai le mani sul banco. «Ehi, hai capito cos'ho detto? Ma mi stai ascoltando almeno?»

«Sì...?» girò la pagina, emettendo un verso stupito. «Wow!» lo guardai disgustata. Maschi.

«Okay, basta. Ora dammela!» asserì seria, stracciandogli la rivista dalle mani. Ottenni prontamente la sua attenzione e anche la sua irritazione.

«Brutta... Ridammela!» si frenò nell'offendermi e ghignai divertita, mentre cercò di riprendersela con scarsi risultati dalle mie mani; «Kaori!» tuonò rosso in viso.

«Invece di ascoltarmi, ti metti a leggere questa...» persi le parole quando l'occhio mi cadde sulla pagina che Keishin stava guardando con gli occhi a cuoricino. Sentì le mie orecchie accaldarsi per l'imbarazzo. «Sei un porco!» sbottai in uno stridulo, lanciandogli la rivista in faccia. La afferrò al volo, anche se in modo impacciato e buffo.

«Sei ancora piccola per queste cose...» sbuffò lui, ciccando la cenere. Lo guardai male, incrociando le braccia al petto.

«E tu un pervertito. Quelle ragazze potrebbero avere la mia stessa età!» Ero esagerata, sì, ma la femminista in me prese possesso del mio corpo.

Keishin alzò un sopracciglio. «Non credo proprio, sono maggiorenni... – girò la rivista, spiaccicandomi in faccia la foto di una modella in bikini; anche se quel coso striminzito, fosse tutt'altro che un bikini – Vedi? Non hai di certo le tette come le loro. – mi additò – E poi, hanno le forme più accentuate a differenza–»

«Okay, piantala!» lo bloccai prima che aggiungesse altro. E le mie tette erano piuttosto grosse per la mia età. Mi sporsi in avanti, appoggiando i gomiti sul banco e la testa tra le mani; ero esausta.

Fu in quel momento che ricevetti l'attenzione di mio fratello, il quale si preoccupò di chiudere la rivista, posarla in uno dei suoi cassetti dietro alla cassa e chiedermi: «Che c'è? Stai bene?» Mi morsi il labbro. Stavo bene, ma stranamente ero in ansia. «...Se è colpa di quello che hai visto, prometto di non leggere più niente di simile davanti a te mentre sono al negozio.»

Mi fece sorridere il fatto che si stesse preoccupando che una rivista del genere, avrebbe potuto scandalizzarmi, ma purtroppo non era quello il motivo anche se l'avrei preferito. «Se mi avessi ascoltato, capiresti del perché sono di malumore...» borbottai offesa. L'odore della sigaretta mi inebriò le narici.

«Ti ho ascoltata» disse. «Vuoi sapere la mia opinione?»

Annuì disperatamente. Perché lo ero. «Sì.»

Keishin mi sorrise, sfilando la mezza sigaretta dalle labbra e posarla nel posacenere, lontana da noi. «Mangiare l'insalata ti farà restare informa, sì, ma non ti renderà più forte. Dovrai ingozzarti di carne e carboidrati per quello...» mi avvertì sarcastico, facendomi mordicchiare il labbro inferiore per non ridere. «E poi, per quanto riguarda il ritiro, devi stare tranquilla. Sei la più brava. Tutti ti continueranno a tenere sott'occhio per questo. Lo avrei fatto anche io, se fossi stata una mia rivale»

«...cosa improbabile dato che fai schifo a giocare a pallavolo» ribattei, beccandomi un pizzicotto come penitenza. «Ahia!» mi lagnai, arricciando il naso.

«Bada a come parli, sono sempre un coach e tuo fratello maggiore» alzai gli occhi al cielo.

«Adesso sei solo un negoziante che vende prodotti per l'igie– Ahia! Di nuovo!» lo guardai male, massaggiandomi fastidiosamente la guancia. Ci andava giù pesante.

«È il negozio di famiglia, principessa. Se non andrai all'università o non giocherai in una nessuna squadra professionista, diventerai la nuova commessa e titolare di questo rottame» ghignò.

Sorrisi sarcastica. «Peccato perché ci andrò all'università e giocherò in una squadra forte; dovresti assumere qualcun altro»

«...aspetterò te per l'assunzione» ridacchiò.

«Ed io aspetterò le tue scuse quando mi vedrai in televisione a schiacciare, amicone».

Keishin alzò un angolo della bocca e appoggiò la guancia sul palmo. Mi piaceva la luce nei suoi occhi quando sorrideva. Lo rendeva calmo, portandomi a trovare la stessa tranquillità che cercavo. «Non succederà mai» sapevo che non dicesse sul serio; i suoi occhi gridavano di orgoglio per me e il mio cuore stava scoppiando di gioia.

«Vedremo» sorrisi, sigillando quelle parole in una promessa personale.




Entro oppure no? La fatidica domanda di chi si trovava sull'orlo del precipizio; morire oppure vivere?  Abbassai gli occhi sul borsone che avevo tra le mani – lo avevo riempito di tute, calzette, divise sportive, persino la palla di pallavolo c'era nel mezzo. Era come se avessi temuto che un'accademia come la Shiratorizawa non avesse palloni di scorta –

Sospirai e alzai gli occhi sulle insegne stradali; avevano persino dei cartelli stradali per non perdersi talmente che fosse enorme l'istituto. Incredibile.

«Okay, okay...» mormorai sfianca, gettandomi il borsone alle spalle. «Prima entro, prima finisco» e detto ciò, seguì la direzione della freccia dove mi avrebbe portata alla palestra di pallavolo. Dritta all'inferno, in poche parole.

Quando arrivai, per poco non inciampai sui gradini della palestra. Mi freddai e il cellulare vibrò nella tasca della mia felpa. Controvoglia, lo sfilai dalla tasca e guardai la notifica: un messaggio a caratteri cubitali da parte di mio fratello.

Keishin
HINATA SI È INTRUFOLATO AL RITIRO!
9:30 A.M.

Sbattei ripetutamente le palpebre incredula, sperando di aver letto bene o avessi avuto qualche abbaglio. Hinata si era davvero intrufolato al ritiro? Al solo pensiero, rabbrividì come un gatto. Le punte dei miei capelli si rizzarono per quanto fossi agitata per l'incolumità del tappo; il vecchio demone sarebbe andato in escandescenza. Non sopportava, appunto, le persone basse... e lui era basso. Molto basso. Avrebbe causato non pochi problemi.




«Bene, visto che avete terminato il riscaldamento tra poco cominceremo l'allenamento. Tenetevi caldi!» Era passata più di un'ora da quando avevo messo piede nella palestra dello Shiratorizawa. Il vecchio demone, in mia presenza, non mi aveva rivolto mezza parola se non qualche occhiataccia lunga per irritarmi maggiormente. L'unico a cui fece piacere di vedermi fu Saito, l'assistente di Washijo.

Avevo tartassato la mia coach per messaggi, chiedendole la cortesia di farmi tornare a casa, dato che lì a poco sarei diventata un vulcano pronto ad eruttare, ma non si era degnata di rispondere a nessuno dei miei messaggi né lontanamente le chiamate; c'erano anche Kunimi e Kindaichi dell'Aoba Johsai; li avevo saluti, ma non potevo negare che la loro presenza mi causasse una nostalgia assurda. Ero abituata a seguire gli allenamenti dell'Aoba ogni qualvolta che Oikawa me lo chiedeva ed io lo facevo con piacere. Volevo bene a quei ragazzi e non frequentarli come prima, mi rattristiva.

Tuttavia, la mia nostalgica vita passata durò ben poco nei miei pensieri, dato che Hinata aveva fatto i salti di gioia nel vedermi. A detta sua mi considerava un grande asso, degno di essere sfidato. Aveva guardato tutte le clip delle mie partite, gli shoot con l'intera squadra, le interviste a fine torneo... qualunque cosa. E mi colpiva sapere che, uno come lui, mi considerasse una degna rivale; Hinata non si faceva scrupoli a mostrare il proprio coraggio – anche se alle volte era l'adrenalina a parlare per lui – ed io lo stimavo, rispettavo il suo coraggio nell'affrontare avversari di un certo livello e sconfiggerli.

Guardai Washijo seduto sulla sedia mentre fissava scrupolosamente le matricole fare il giro delle schiacciate. Lui non apprezzava il coraggio di Hinata, forse perché un piccoletto come lui aveva sconfitto il grande asso Ushijima e la sua squadra. Quindi, aveva obbligato Hinata a non prendere parte all'allenamento e il ragazzo al mio fianco, il quale guardava ammirato le schiacciate degli avversari, non si era fatto scrupoli nell'accettare il ruolo di raccattapalle.

Ero sicura che, chiunque dei partecipanti, avesse rinunciato o perlomeno nessuno si sarebbe intrufolato in un ritiro privato senza invito, rischiando di lavare addirittura i cessi.

Ah, dimenticavo, c'era anche Tsukishima.



La sera stessa, terminati gli allenamenti, i quali non partecipai con insistenza perché a detta di Yagami-san dovevo procedere con calma, decisi di aiutare Hinata a passare lo spazzolone e a togliere le palle da mezzo.

«Non sei obbligata ad aiutarmi. Posso farcela da solo» non l'aveva detto con cattiveria né con rammarico, anzi, mi sorrise e lisciò il pavimento di legno con lo spazzolone.

«In due facciamo prima, e poi ci sono altri due che si stanno occupando dell'altra zona» indicai i due ragazzi del primo anno appartenenti allo Shiratorizawa, mentre le matricole si stavano asciugando il sudore dall'altra parte del campo.

«Sai, Hinata...» esordì dopo un breve silenzio. Il ragazzo dai capelli arancioni mi guardò attentamente, smettendo di passare lo spazzolone. «Non prendertela. Lui fa così... sempre. È un suo modo per vendicarsi per la partita – alzai e riabbassai le spalle – ...ne so qualcosa.»

Hinata abbassò lo sguardo. «Non me la sono presa, è giusto, non sono stato convocato per questo ritiro...»

«E allora perché sei venuto? Perché proprio qui?»

Puntò gli occhi nei miei. «Perché non voglio essere meno a Kageyama. Lui è stato convocato al ritiro per gli Under 19 e in quel momento... ecco» si grattò una guancia. «Mi sono sentito in dovere di fare qualcosa. Non voglio essere l'unico a rimanere indietro, mentre gli altri, beh... gli altri vanno avanti a differenza mia e migliorano giorno per giorno.»

Sorrisi a labbra strette. «So bene a cosa ti riferisci ed è per questo motivo che ti capisco. Non è facile, è una strada difficile da percorrere ed è tutta in salita. Ma...» posai una mano sulla sua testa, scompigliandogli i capelli arruffati. Ero sicura che infondo infondo soffrisse, perché tutti noi proviamo quella sensazione di inferiorità o bassa autostima, eppure lui era capace di trasformare la sua sofferenza in qualcosa di straordinario. «Un giorno voglio sfidarti. Nel frattempo, tieniti pronto...»

Gli occhi di Hinata si accesero di una luce diversa, la stessa di chi aveva totale fiducia nella speranza. «Dici sul serio?!» Strillò, attirando l'attenzione dei presenti. Sussultai dall'imbarazzo, diventando rossa.

«Sì, sì, baka, non urlare!» gli mollai uno scappellotto in testa. Si lagnò. Nel frattempo cercai di farmi passare l'imbarazzo con l'aggressività. «Adesso pensa a passare lo spazzolone, prima che ti caccino!»

«Hai!» Esclamò, mimando il saluto militare e correre avanti e indietro con il manico dello spazzolone stretto tra le mani. Sorrisi.



«Ci vediamo domani!» Salutai gli altri, i quali si incamminarono verso l'uscita del cancello. Mi sedetti sugli scalini della palestra, stretta nel mio giaccone sportivo per tenermi al caldo e le mani in tasca per riscaldarle. Volevo concedermi un paio di minuti prima di avviarmi verso casa.

«Quindi, le voci erano vere...» sussultai dallo spavento quando sentì una voce ruggente alle mie spalle, facendomi alzare di scatto; Ushijima era lì, davanti a me con la sua solita espressione da duro, guardandomi negli occhi. «Sei venuta.»

Aggrottai le sopracciglia. «Non per mia scelta» affermai chiara, puntandogli il dito contro. «E mi... mi hai spaventato, brutto idiota! Volevo starmene un po' in santa pace, – afferrai bruscamente il borsone da terra – ma a quanto pare, la mia pace è terminata» sottolinei scocciata.

«Ce l'hai sempre con me?» alzò un sopracciglio.

«Ce l'ho sempre con te» ribattei sicura, gettando il borsone dietro alle spalle. «Non ti sopporto. Tu non mi sopporti. Non ci sopportiamo e va bene così. Non voglio che sia diverso...»

Ushijima infilò le mani in tasca e sospirò, lasciando uscire una nuvoletta visibile dalle labbra per colpa dell'aria fredda della sera. «Pensi davvero che io ti odi, Kaori?»

Lo guardai sospettosa. «Perché, vorresti dire che non sia così? Siamo rivali, Wakatoshi, e tra rivali c'è competizione» alzai le spalle, incrociando le braccia al petto; iniziavo a sentire freddo.

Mi guardò a lungo, come se avesse voluto capire se stessi dicendo la verità. Ma poi, se ne uscì con: «Stai congelando. Casa tua è molto lontana da qui, dovresti fermarti a dormire.»

«Piantala!» strillai. «Io... non sento freddo» non ero affatto brava a mentire, poiché i denti mi battevano ad ogni parola che pronunciavo. «...Che sarà mai mezz'ora a piedi, un'ora di treno e mezz'ora di autobus?» mormorai più a me stessa che al diretto interessato.

«Beh, se non vuoi morire di ipotermia, ti conviene avvisare la tua famiglia che per stasera l'autobus non passerà. Trova una scusa.» Ridacchiai nervosamente. Ushijima mi guardò confuso e lo trovai assurdo dato che l'unica espressione che sapesse fare era... la solita: seria, inespressiva e priva di emozioni. «Ho detto qualcosa di strano?»

«Mh...» smisi di ridere, continuando a tenermi stampato un sorrisetto nervoso sulle labbra. «Stavo solo pensando che potresti intrufolarti nella stanza e uccidermi nel sonno...»

Il ragazzo strabuzzò gli occhi. «Ma per chi mi hai preso?»

Alzai le spalle. «Io ne sarei capace..» Affermai sincera. «perciò, tecnicamente, saresti capace anche tu.»

Scosse il capo sconsolato. «Sei pazza...»

«Può darsi» feci un sorrisetto storto.

Ushijima sbuffò. «Allora? Ti fermi oppure no?»

«Ci sto pensando.»

«A come morire di ipotermia?» ribatté sarcastico. Incredibile. Conosceva il sarcasmo.

Alzai gli occhi al cielo. «A come scappare in tal caso volessi uccidermi» ribadì con ovvietà. Ushijima nascose un sorrisetto, ma riuscì a vederlo molto bene sotto alla luce lunare.

«Mi dispiace per quello che è successo tra te e Oikawa» se ne uscì all'improvviso ed io persi completamente il sorriso. Lui dovette notarlo e odiai profondamente quel momento – mio – di debolezza. «...Le voci girano anche qui, ho sentito qualcosa ma non ho voluto sapere altro. Quello che ti ha fatto è stato meschino e privo di tatto» non l'avevo mai sentito parlare così tanto, soprattutto se in questione riguardasse qualcun altro e non se stesso.

Mi bagnai velocemente le labbra intorpidite dal freddo. «È passato. Lui è passato... Non mi importa.» Ushijima annuì.

Improvvisamente, ad interromperci, fu la sagoma di un ragazzo che stava venendo verso di noi. Sbucò con la testa fuori dal portone con un ghigno. «Ma chi abbiamo qui? Oh!» da finto sorpreso, sgranò gli occhi da pazzo e guardò Ushijima. «Wakatoshi adesso collaboriamo con il nemico?» sussurrò, ma per sua sfortuna lo sentì benissimo.

Maledetto Tendo. Alzai un sopracciglio, lanciandogli un'occhiataccia. Lui la colse al volo, rifilandomi un ghigno malizioso.

«Wakatoshi... vi ho per caso interrotti?»

«Cosa?! No!» esclamai.

«No, stavamo solo parlando» disse più calmo il ragazzo. Tendo annuí. «...le ho chiesto di fermarsi qui a dormire.» Il ragazzo dai capelli rossi lo guardò nuovamente sorpreso; preferì non interferire.

«Oh, capisco...» i muscoli del suo viso si rilassarono in una smorfia poco rassicurante. «Io ho un letto libero.»

«Ehi, tu!» lo chiamai, ricevendo l'attenzione dei due: «Scordati una cosa del genere» affermai prontamente.

Tendo mi squadrò, poi alzò le spalle. «Mhm, tranquilla, non sei il mio tipo...» sorrise allegramente. «Hai la lingua lunga.»

«D'accordo...» presi un grosso respiro e gettai il borsone a terra, andandogli incontro. Ushijima mi frenò con una mano sulla spalla, come se avesse compreso le mie intenzioni a volo, ovvero quelle di pestarlo.

«Evitiamo risse davanti alla palestra» disse, guardandomi negli occhi. «ci sono le telecamere e non mi sembra il caso, adesso.»

Mi lanciai un'occhiata intorno e sbuffai. «Okay..» allargai le braccia sconsolata. Però, mi sarebbe piaciuto fargli assaggiare un mio pugno. Ushijima ritrasse la mano e annuì. «Dove dormirò?»

«C'è una stanza libera, anzi ce ne sono molte» mi rassicurò. «Ti accompagno.»

Mi morsi il labbro. «Av... Avviso mio fratello» farfugliai, sentendomi improvvisamente imbarazzata. Non ero abituata alla sua gentilezza.

Mi allontanai quel poco da loro per far partire la chiamata, non prima di riuscire a sentire Tendo che diceva: «Scherzavo prima, è il mio tipo vista da dietro. Mi piacciono quelle con la lingua lunga; e il tuo, Wakatoshi? Siamo migliori amici, dovresti dirmelo.»

Stronzo, ringhiai mentalmente e pigiai violentemente i tasti sullo schermo, componendo il numero di mio fratello.



Alle prime luci dell'alba, sentì la necessità di aprire gli occhi e bere un'intera bottiglia d'acqua da un litro. Mi sollevai su con i gomiti, spettinandomi il ciuffo davanti agli occhi e sbadigliai. Controllai che ore fossero, poi mi sedetti con i piedi fuori dal letto e sgranchì le braccia intorpidite in alto.

Era la seconda volta che dormivo su un letto così comodo. Il primo era quello di camera mia. Sembrava proprio che ci tenessero che gli atleti avessero tutte le necessità per riposare bene, mangiare come si deve e svolgere le attività scolastiche e sportive in serenità. Al Karasuno, bastava sonnecchiare sui banchi e usare gli spiccioli per comprare merendine e latte nei distributori.

Nell'esatto momento in cui mi alzai dal letto, qualcuno bussò alla porta della mia stanza. Sospirai, stropicciandomi un'occhio; controllai che fossi presentabile e andai ad aprire, trovandomi nientepopodimeno Ushijima. Surprise!

«Buongiorno» gli feci un cenno con la mano, sbadigliandogli in un modo per niente femminile in faccia.

Ushijima mi guardò serio, per nulla colpito dalla mia mancanza di femminilità. «Sei in ritardo. Tra poco iniziate il riscaldamento e sei ancora in pigiama.»

«Conosci il detto:"Chi corre non piglia pesci?"» Non avevo voglia di discutere mentre ero mezz'addormentata e in pigiama; volevo solo ritornare con le chiappe su quel morbidissimo materasso.

Ushijima lasciò perdere le mie parole, anzi le ignorò completamente. «Stamattina farete un torneo a squadre.»

Avevo ancora gli occhi mezzi chiusi. Mi appoggiai con la spalla alla porta e aprì lentamente un'occhio. «Ovvero?»

«Con noi» disse con un sorrisetto furbo. «La Shiratorizawa.»

Non mi sarei mai abituata, né tra cent'anni, a quel suo nuovo atteggiamento.

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