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I Il mago

-"Quali sono i suoi ordini, messere?" chiese Fagotto al volto mascherato. "Ebbene," il mago rispose pensierosamente, "sono uomini come tutti gli altri uomini. Amano il denaro, ma è sempre stato così... L'umanità ama il denaro, di qualunque cosa sia fatto, di pelle, di carta, di bronzo o d'oro. Sì, gli esseri umani hanno pensieri irresponsabili... Che fare? ... Del resto, anche la misericordia qualche volta bussa al loro cuore... Persone comuni... Ricordano quelli di prima..." e, con voce sonora, ordinò:"Rimettete la testa".-
-Micail Bulgakov-
"Il Maestro e Margherita"

Da quella strana conversazione così particolare, erano passati un paio di giorni. Andrea aveva pensato alle parole di sua nonna, senza darsi un solo attimo di pausa; era addirittura arrivato a crollare sulla scrivania della sua stanza pur di riuscire a collegare per bene ogni singolo strano concetto che gli era stato spiegato. Ciò che il ragazzo non riusciva minimamente a comprendere, era la scenicità di quelle spiegazioni completamente fuori contesto. Sua nonna sembrava avesse programmato ogni singolo dettaglio; pareva avesse organizzato TUTTO, dall'assenza di gente per strada, alle domande che proprio lui le aveva posto, alla presentazione di Siddhartha. Più le ore passavano, più Andrea s'immergeva nei suoi pensieri, e riempiva di dubbi e teorie le sue giornate vuote da sedicenne in vacanza. Non che avesse altro da fare, ogni sua singola compagnia era partita verso nuovi orizzonti. Abbandonando il caldo ed immobile lido tirrenico, per avventurarsi verso gli inesplorati e misteriosi Appennini, tra i torrenti, alla ricerca di fantomatici lucci argentati; oppure per crogiolarsi al sole, immergendosi in un mare dorato di spighe di grano, e di mille papaveri rossi, che oramai però dovevano essere appassiti, visto il caldo opprimente dell'entroterra, che cadeva pesante su ogni anima, e che rendeva l'esposizione ai raggi solari quasi un tabù. Ergo, i giovani ragazzi ne erano inevitabilmente attratti; e per chi ogni estate sin dall'infanzia affrontava l'epopea della campagna, la magia continentale riservava una marea di avventure, in un deserto di spighe tagliate.

Ma per Andrea non poteva essere così; i genitori gestivano uno stabilimento balneare, l'allontanarsi dal grande mare era un'opzione nemmeno lontanamente considerabile; ma a lui stava bene. Sapere di poter sempre tener sott'occhio quella sorta di divinità incorruttibile ed imprevedibile, lo faceva sentire speciale, una spanna al di sopra di tutti gli altri suoi amici traditori.

-Andare sempre avanti... ma da dove?- continuava a sussurrare il ragazzo. Come poteva andare sempre dritto senza un azimut, un punto di riferimento, un luogo di partenza? Era più che sicuro di dover adempiere ad un qualche tipo di missione speciale, una caccia al tesoro, un frivolo passatempo ideato da sua nonna, per convincerlo a fare qualcosa, invece che restare immobile in stato vegetativo sul divano.

Dopo aver dunque passato tutta la mattinata a dannarsi l'anima, il giovane avventuriero decise di scendere in strada, per iniziare finalmente la sua ricerca. Tra la palazzina in cui viveva ed il mare, c'erano solo una strada asfaltata, una pista ciclabile ai cui lati spiccavano piante d'ogni genere, e trenta metri di pura sabbia incandescente, con tanto di inestimabili conchiglie, mozziconi di sigarette quà e là, e centinaia di ombrelloni aperti, schierati contro il sole come una gigantesca testuggine romana azzurra. Uno spettacolo quasi inquietante, se visto durante un mezzogiorno afoso, con la cittadina deserta, ed il silenzio a regnare sotto gli ombrelloni; ove donne bruciate sulle spalle, bambini iperattivi, uomini provvisti di pancia da birra, ed adolescenti annoiati; consumavano un veloce pasto in silenzio religioso, oppure dormivano, o ancora leggevano; sempre e comunque senza fiatare. Il massimo poteva essere qualche sussurrio, che veniva poi trascinato via dalla brezza marina, e che si perdeva nell'aria senza lasciare alcuna traccia.

Guardando avanti a sé dunque, Andrea capì di non poter semplicemente andare avanti, o dopo un centinaio di metri o poco più, avrebbe raggiunto una delle boe in acqua; la corrente l'avrebbe trascinato via, ed avrebbe fatto la fine di Robinson Crusoe. Il ragazzo sorrise a quella buffa (ma possibilissima) concatenazione di eventi, e decise finalmente di muoversi. Prese così la sua bicicletta, attraversò la strada ed incominciò a pedalare sulla pista ciclabile; accompagnato dal vento bollente che gli sferzava il volto, e dalle imponenti piante che lo tenevano all'ombra.

Egli cercava un segno particolare, un qualcosa di insolito, che non aveva mai visto, per cominciare la sua personale avventura. I suoi occhi nerissimi scrutavano ad una velocità impressionante ogni angolo della loro visuale; qualsiasi movimento, anche il più impercettibile, riceveva un'occhiata da invasato per un attimo; attimo in cui TUTTO si fermava, la bicicletta rallentava, ed Andrea aveva il tempo di metabolizzare per bene il suo bersaglio, e decidere se reputarlo degno di altre attenzioni o meno. I soggetti variavano in continuazione, si trattava esseri viventi e non. Erano per esempio entrati nella sua visuale: un passerotto; un pallone spostato dal vento; una foglia di palma poco più bassa delle altre; un ciclista che andava nella direzione opposta alla sua; un torsolo di mela sul ciglio della strada; una bolla di pura tensione creata da lui stesso; due amanti che pomiciavano indisturbati sulla spiaggia, ed un piccolo cespuglio a poco più di cinquanta metri da lui, che veniva smosso da chissà quali forze mistiche... un piccolo cespuglio a poco più di venticinque metri da lui, che veniva smosso da chissà quali forze mistiche... un piccolo cespuglio a poco più di dieci metri da lui, che veniva smosso da chissà quali forze mistiche... Un gatto nero, grosso (non grasso) come mai ne aveva visto uno, che usciva ad una velocità impensabile per un animale della sua stazza, dal piccolo cespuglio a poco più di mezzo metro da Andrea.

Il ragazzo per poco non gridò; tentò di evitare lo scontro virando d'improvviso col manubrio della bici. Il gatto dal canto suo si fermò, guardò il veicolo che veniva dritto verso di lui, e con occhi intrisi di terrore, fece un salto di almeno un metro, emise un miagolio acutissimo, quasi lacerante, e rizzò ogni singolo pelo che aveva sulla schiena.
I due finirono entrambi a terra; solo che l'animale atterò comodamente sulle zampe, mentre il ragazzo si rotolò di lato insieme alla bici, ostruendo la corsia opposta alla sua; per fortuna a quell'ora, vuota.

Gli sguardi dei due s'incrociarono per qualche istante.

-Tu... piccolo demonio...-
Disse il ragazzo ancora col fiatone. L'animale rimase fermo, a guardarlo coi suoi occhi abnormi, gialli.
Occhi che tirarono fuori l'umanità di Andrea, impedendogli così di squartare l'attraversatore abusivo.

-Contento di non averci uccisi- esordì dunque il ragazzo sospirando, mentre abbandonava la posizione "sagoma di cadavere" e si sedeva a terra come un comune essere umano. Poi, come per incanto, tra i due cadde un silenzio stranamente imbarazzante. Andrea sentiva qualcosa di strano, percepiva come una sorta di intesa con l'animale; come se questo avesse potuto capire ogni sua singola parola, come se avesse anche potuto... rispondere, intavolare una conversazione, diventare il trampolino di lancio verso la sua ricerca.

-Allora? Cosa ci fa un bellimbusto come te già sveglio a mezzogiorno?-
Disse dunque il giovane sottovoce, allungando una mano verso l'animale, per carezzarlo.
Questo, vedendo l'imponente arto avvicinarglisi dall'alto, ostruendo la sua visuale, ed impedendogli di avere un confronto paritario; non poté fare a meno di spalancare gli occhi gialli, abbassarsi ed indietreggiare.

Di nuovo, entrambi si fermarono, in silenzio. Come fossero in un quadro.

-Ti consiglio di piantarla-
Disse ciò una voce fuori campo, qualche passo a sinistra dei due.
Andrea girò lo sguardo di colpo, ritrovandosi a fissare con aria interrogativa gli occhi scuri e socchiusi di un ragazzo, seduto ad una specie di banchetto.

-Se continui a tenere così quella mano- continuò l'estraneo -Il gatto la prenderà come una sfida, e ti martorierà il braccio-.

-Cosa?-
Chiese Andrea, un po' spaesato. Non tolse gli occhi di dosso dal suo interlocutore; temeva infatti che questo sarebbe sparito come magicamente era apparso, (anche se era il giovane dai capelli neri quello ad essersi schiantato al suolo all'improvviso).

L'estraneo seduto al banchetto, buttò per qualche attimo l'occhio al gatto, poi lo indicò dicendo -Guardalo, due secondi e salterà; ormai accontentalo, lascialo attaccare. Ma ritira il braccio in tempo-

Subito Andrea tornò a guardare il gatto. Il corpo dell'animale si era come steso: la testa era a terra, quasi poggiata sulle zampe anteriori; mentre quelle posteriori sorreggevano il didietro, facendolo ondeggiare ad una certa velocità. Gli occhi del felino poi, iniziarono a risplendere di una strana luce, e le pupille passarono magicamente da microscopiche fessure, ad enormi cerchi neri. Ed ecco che, in meno di un secondo, il gatto dagli occhi spiritati balzò in avanti, spalancando le fauci, ed estraendo gli artigli; con l'unico obbiettivo di sfidare in battaglia il braccio di Andrea. Il giovane ebbe i riflessi abbastanza pronti da arretrare in tempo, ma la sua poca esperienza lo rese impreparato ad un secondo attacco dell'animale, che oramai ci aveva preso gusto.

All'estraneo dietro al banchetto venne da sorridere; anzi! Si sforzò per non scoppiare in una fragorosa risata. Ma quel quadretto doveva finire, o in breve, qualcun altro si sarebbe presto rotolato per terra.

-Behemot- disse dunque battendo più volte la mano sul tavolo -veni qui!-. Il gatto subito rispose alla chiamata con un miagolio, e prontamente andò a sedersi dove il ragazzo aveva battuto.
Lo sguardo di quest'ultimo poi, si rivolse ad Andrea.
-Coraggio domatore di gatti, unisciti a noi!-

Andrea apparve leggermente confuso, ma dopo un secondo invito, si alzò in piedi, prese la sua bici e camminò verso quel banchetto, a due passi dalla pista ciclabile, posto alle spalle della spiaggia. Al lato del tavolo, svettava una siepe piuttosto alta, che l'aveva nascosto agli occhi del giovane, durante la sua pedalata.

-L'hai chiamato Behemot?- chiese il ragazzo, incuriosito.

-È questo il nome a cui risponde; tuttavia il suo nome di nascita è un altro-. Rispose l'estraneo, mentre posizionava una sedia di plastica dall'altra parte del banco, per far accomodare il suo ospite.

-E se posso, quale sarebbe?-
Andrea si sedette.

-L'umanità lo avrebbe chiamato gatto o gattino, ma dubito che gli animali usino il nostro linguaggio. Sua madre probabilmente lo chiamava con un miagolio speciale, che né io né te possiamo riprodurre-

Andrea rimase sorpreso. Non aveva mai intavolato una discussione del genere, con una persona del genere; ma l'idea di certo non gli dispiaceva.

-Chissà, forse quel miagolio non era poi un granché; magari era l'equivalente umano di Alarico, Vercingetorige, o Asdrubale- ironizzò Andrea.

-Ma cosa dici! Nomi come questi, un gatto di buona cultura come Behemot li avrebbe di certo apprezzati, ne avrebbe fatto un vanto- rispose il giovane dagli occhi scuri. -I gatti che hanno sempre avuto nomi basilari, si accontentano di farsi chiamare Zampa o Batuffolo- Poi continuò, dando uno sguardo all'animale.
-Il suo è un appellativo... da violento, ma rispettabile-

Andrea rise, anche se probabilmente il suo interlocutore stava parlando seriamente.

-E tu?- chiese all'estraneo -Come ti chiami?-

L'interrogato fece un sorrisetto beffardo, tirò fuori da sotto il tavolo un mazzo di carte napoletane, e dall'alto della sua sedia biancastra rispose.
-Io sono il Mago; togli l'articolo se ti fa piacere, mio giovane domatore di gatti-
Occhi scuri socchiusi per il sole di mezzogiorno, pelle abbronzata e boccoli biondastri; quello era Mago: un giovane pensatore accompagnato da un grosso gatto, e da un sorriso contagioso. Ecco ciò che Andrea era arrivato a pensare in pochi minuti di conversazione.

-Mago?- Fece eco il giovane dagli occhi neri -Che genere di magie fai?-

-Bah- il ragazzo fece spallucce -Magie semplici o complesse, dipende. Rendo servizio a chiunque è degno di riceverlo-

-E chi di preciso ne è degno?-

Mago iniziò a mischiare le carte, alzò un sopracciglio e parlò.
-Chiunque sia così folle da passare sulla ciclabile a mezzogiorno, mio giovane domatore di gatti-.

-Giuro di essere sano al centoventi percento!- rispose Andrea alzando le mani. L'altro ragazzo semplicemente sorrise; dispose le carte coperte sul tavolo, e parlò.
-Dimmi domatore, tu invece come ti fai chiamare?-

Andrea sapeva che il ragazzo non stava riferendosi al nome di battesimo, ma d'altra parte, non si faceva chiamare in altri modi... più o meno.

-Mi chiamo Andrea-. Una risposta veloce, un nome semplice, di un normale ragazzo... fattostà che il Mago si fermò dal distribuire le carte, fece un sorriso euforico, rimanendo quasi senza fiato, e guardando l'altro ragazzo dritto negli occhi.

-Andrea... allora sei un tipo impavido, coraggioso e potente; l'elite dell'umanità, il più forte tra i forti!-

Il giovane dagli occhi neri divenne sempre più confuso; evidentemente il Mago dava molta importanza al significato dei nomi.

-Be' no- disse secco Andrea, -Non sono un attaccabrighe, sono nella media in quanto a coraggio, e sì, faccio  parte dell'elite degli uomini, ma in quanto a bellezza- continuò in tono ironico.

Il mago allora sospirò, scocciato.
-Non hai capito allora... per farti un esempio, il mio nome è Filippo, ma non sono affatto un'amante dei cavalli, in. nessun. senso. Non fare quella faccia da pervertito. Qui mi chiamo il Mago, perché è quello che sono; ma tu? Qual'è il nome che grida a gran voce chi sei?-

In quel momento, un lampo balenò nella mente di Andrea; egli sapeva cosa rispondere, anche se il biondino non avesse capito, anche se non avesse dato alcun senso al nome, anche se non fosse saltato di gioia come aveva fatto per il suo nome di battesimo, Andrea l'avrebbe comunque portato con onore.

-Siddhartha- disse tutto d'un fiato. -È così che mi chiamo-.

Contro ogni aspettativa, gli occhi del giovane Mago s'illuminarono, sul suo volto comparve un sorriso spontaneo e semplice.

-Siddharta... eh?- ripetè lui. -Dunque sei un tipo che cerca-.

Ci aveva preso in pieno. Andrea acconsentì.

-E dimmi, cos'è che cerchi?-

-Mi è stata affidata una missione: devo scoprire il mondo, e liberare gli uomini-.

-È una missione importante, e difficile...- disse il Mago, senza sorprendersi, né scomporsi.

-Puoi aiutarmi?- chiese Siddharta, fidandosi del tono serio dell'altro.

-Sì- fu la risposta -ma ad un prezzo-.

-Quanto vuoi?-

Il ragazzo dagli occhi scuri rise.
-Soldi, soldi, possibile che nessuno sappia pensare ad altro? Raggiungere questo posto sotto il sole di mezzogiorno non ti sembra un prezzo già abbastanza salato? No, no... non voglio soldi; ma devi fare una cosa per me-.

-Cosa?- chiese Siddharta.

-Allora- riprese Mago -Mettiamo conto che io sia il Maestro; quello che ho accanto a me, come ben sai è Behemot. Puoi portarci una Margherita?-

Andrea corrugò la fronte. Una margherita? Intesa come pizza o come fiore? E perché propio una margherita? Perché non una capricciosa, o un tulipano?
Nel dubbio, il ragazzo si alzò in piedi, ed iniziò a cercare la più bella delle margherite sul ciglio della pista; sotto lo sguardo incredulo degli altri due.

Quando ebbe trovato il fiore a suo dire più grande, e meno rovinato, lo riportò trionfante al banchetto. Behemot nel vedere lo stelo sottile ed ondeggiante della margherita, riacquistò i suoi occhi da invasato; il Mago dal canto suo, scoppiò in una fragorosa risata.

-Io e te non leggiamo esattamente gli stessi libri-

-Ehm...- Siddharta non disse altro.

-E va bene Siddharta, ti aiuterò. Siediti-.

....

-"Come dice? Che cosa?" Fagotto rispose subito alla mostruosa proposta. "Strappargli la testa? dal collo? Buona idea! Behemot!" gridò al gatto:"Esegui!".
Fu una cosa mai vista prima: i peli del gatto nero si alzarono dritti come tronchi e il gatto si lasciò sfuggire un miagolio lacerante. Poi si raggomitolò a forma di palla e si lanciò come una pantera dritto sul petto di Bengal'skij, e da lì gli saltò sulla testa. Soffiando, si avvinghiò con le zampe paffute alla rada capigliatura del conférencier e, in due tensioni, gli strappò la testa dal collo.
[...]
"E adesso dimmi: andrai avanti anche in futuro a macinare e rimacinare le tue idiozie?" Domandò minaccioso Fagotto alla testa piangente.
"No, non lo farò più," rispose in un solo rantolo la testa.
"Per amor di Dio, non lo torturate!"-...
(Continua di sopra)

-Michail Bulgakov-
"Il Maestro e Margherita".

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