Capitolo ventinove - Logan
Non con chi
ti porta il sole,
ma con chi ti ricorda
che sei tu il sole
I muscoli delle braccia e delle gambe mi implorano pietà, ma io finisco comunque l'ennesimo giro lungo il percorso roccioso del Runyon Canyon Park senza quasi riprendere fiato.
Sto cercando di mandare all'estremo il mio corpo? Forse sì. Me ne importa qualcosa? Decisamente no.
Giro la testa per guardarmi alle spalle; Thor mi è alle calcagna, il viso imperlato di sudore così come la fronte e gli indomabili ricci che gli si appiccano un po' ovunque. Trattengo un sorriso alla vista del suo volto paonazzo; è così a corto di fiato che potrebbe stramazzare al suolo da un momento all'altro. Effettivamente, è più di un ora e mezza che stiamo correndo e non ci siamo mai fermati se non a buttare giù un sorso d'acqua. Credo sia vero che il coach A. ci allena fino allo sfinimento, questo è il motivo per cui solo adesso inizio a sentire la stanchezza. Per sua fortuna, intravedo una panchina poco più avanti e, quando ci arrivo di fronte, mi ci siedo sopra prendendo un enorme respiro. Thomas mi imita accasciandosi sul legno duro, una mano sul petto che si alza e abbassa velocemente, e gli occhi chiusi per la fatica.
Sogghigno, mi porto la borraccia alla bocca e ne finisco tutto il contenuto con un'unica sorsata.
«Ti sei rammollito, Jefferson» biascico.
Thor apre un solo occhio che poi richiude di scatto come se gli desse fastidio la luce, prova a rifilarmi il dito medio ma senza ottenere l'effetto desiderato.
«Per caso il vostro coach vi sta allenando per entrare a far parte dell'Esercito Americano? Perché non riesco a capacitarmi di come tu e Mason riusciate a percorrere tutti questi chilometri e risultare rilassati come se vi foste appena svegliati» borbotta con il fiato corto.
«Non ne hai idea» rispondo, dandogli una pacca affettuosa sullo sterno. «Due ore ogni mattina e, un giorno sì e l'altro no, ci rifila un'amichevole la sera dopo i corsi. Sono così stanco quando torno in stanza che a volte mi sono addormentato in piedi.»
«E che mi dici della boxe? Ti alleni ancora?»
Mi stringo nelle spalle. «Di recente lo faccio spesso, soprattutto quando non devo correre in campo. È come se il mio corpo non fosse più abituato a stare fermo. Allenarmi mi aiuta a non pensare e a scaricare la tensione accumulata.»
«Ti aiuta davvero? Voglio dire, ti dà una mano a essere meno...»
«Stronzo?» Gli sorrido a mezza bocca.
Thomas fa una smorfia. «Avventato, io avrei detto. Ma stronzo ti si addice comunque.»
Gli spintono una spalla in modo giocoso. «In ogni caso, sembra di sì. Ultimamente mi sento meglio, non ho più quei pensieri cupi in testa a cui finivo per dare ascolto.»
Thomas mi osserva in silenzio per un po', poi annuisce. «Sì, ti vedo più tranquillo in effetti, e Mason non mi chiama più in preda a una crisi isterica per colpa di una delle tue stronzate, per cui mi sembra di vedere un miglioramento.»
Sventolo pigramente una mano come se stessi scacciando una mosca intanto che Thomas si sistema seduto al mio fianco, allunga entrambe le gambe per stiracchiarle e beve un sorso dalla sua borraccia.
«Mason esagera. Ti ha detto che ormai sono più le notti che passa nella stanza della sua nuova conquista che quelle nel suo letto?»
Lui ridacchia. «Eccome, però mi ha anche specificato che lo fa perché tu e Liv ci date dentro come conigli» mi sbeffeggia divertito.
«Ma se è già tanto che riesco a vederla nei fine settimana! Che gran bastardo» borbotto. «Non vuole ammettere a se stesso che ha perso la testa per quella ragazza.»
«E non lo ammetterà mai, è impossibile.»
Lo guardo di sottecchi. «Tu dici?»
Annuisce. «Per forza, Mason è ancora innamorato di Ellie. Stare lontano dal posto in cui vi trovate tu e Liv equivale a non cedere alla tentazione di chiederle di lei. Meno ne sa meglio sta, più scopa con un'altra, meno si sofferma a pensare a Ellie.»
Sgrano gli occhi ruotando il busto per averlo ben di fronte, lascio passare una coppia di ragazze che ci sorpassa correndo prima di rispondergli.
«Se fosse così me ne sarei accorto...»
Thomas mi guarda con un luccichio divertito negli occhi e un sorriso a mezza bocca. Mi appoggia una mano sulla spalla dandomi un paio di colpetti affettuosi.
«Sei talmente perso nel tuo mondo e innamorato che non ti accorgeresti nemmeno se la tua stanza prendesse fuoco, amico.»
Alzo gli occhi al cielo. «Me ne accorgerei se il mio migliore amico avesse problemi d'amore.»
«Ehi!» Thomas mi spintona, lo sguardo serio e un cipiglio sulla fronte. «Sono io il tuo migliore amico, l'hai dimenticato?»
«Che c'è? Tu e Mason giocate a chi ce l'ha più grosso?»
«Se così fosse vincerei io, ovviamente.»
Ridacchio. «Ovviamente.» Con un enorme sorriso gli regalo uno scappellotto dietro la nuca che lo fa imprecare. «Lo sei, Thor, senza il bisogno di marcare il territorio.»
Socchiude gli occhi. «Bene, perché sono io quello che c'era fin da quando hai emesso il tuo primo vagito.» Si punta un dito sul petto. «Non dimenticartelo.»
Ora, il mio sorriso si addolcisce. «Mai» rispondo.
Sarebbe strano se mi sporgessi ad abbracciarlo, noi non siamo così, solo Mason allunga un po' troppo le mani dandomi affetto, per cui distolgo lo sguardo puntandolo altrove. Osserviamo in silenzio per un po' il tramonto carico di colori autunnali scendere sulla bellissima Los Angeles, ognuno perso nei propri pensieri, fino a quando la spensieratezza che fino a qualche minuto fa aleggiava tra di noi, non si carica di tensione. Lo guardo di sottecchi. Thomas ha lo sguardo perso e gli occhi lucidi, si sta torturando le dita delle mani, e lo conosco abbastanza bene da sapere che c'è qualcosa che lo turba. Mi ero accorto che qualcosa non andava fin da prima del giorno del Ringraziamento, tuttavia non era pronto a parlarne. Mi aveva liquidato con un gesto della mano, come se non fosse importante, eppure lo era. La rigidità del suo corpo e la mente sempre altrove mi avevano fatto capire che gli era successo qualcosa di cui però non era ancora pronto a parlare, ragion per cui non avevo insistito più di tanto. Thomas sapeva che ero lì, certo con tutti i miei problemi e la testa perennemente sulle nuvole, ma ero lì per lui fin dal principio. E adesso, forse era arrivato il momento di vuotare il sacco.
Mi metto più comodo sulla panchina, ruotando il busto nella sua direzione e accavallando le gambe posando il piede sul ginocchio, poi inclino di poco la testa.
«Siamo soli, Thor, puoi parlarmi di cosa vuoi adesso.» Prima che abbia il tempo di aprire bocca per ribattere, lo anticipo. «Non dirmi che va tutto bene, so che non è così. Ti ho lasciato il tempo di cui avevi bisogno, ma è giunto il momento di dirmi cosa sta succedendo. Non sei sereno, stai male, non serve un genio per capirlo.» Incrocio le braccia al petto, in attesa.
Thomas si rabbuia all'istante, alza lo sguardo nel mio per incontrare i miei occhi. I suoi sono lucidi, come se stesse trattenendo un dolore immenso dentro, e a me un po' manca il respiro. Lui è sempre stato quell'amico dalla risata facile e dalla battuta pronta, il sorriso sempre a incorniciargli le labbra e la spensieratezza a distendergli le linee del viso, mentre ero io quello dal muso lungo, dalla lacrima facile e con la rabbia sempre sul punto di esplodere. Trovarmi adesso, dalla parte opposta della medaglia, mi spiazza. Lo osservo portarsi le mani nei capelli, tirarsi qualche ciocca riccia come se non sapesse da dove iniziare il suo racconto. Gli si afflosciano le spalle, la schiena s'incurva in avanti, e a me fremono le mani per la voglia che ho di abbracciarlo stretto. Tuttavia, so che non è ancora il momento; prima deve esplodere.
Thor boccheggia, stringe tra le mani la maglia a maniche lunghe che indossa sempre per correre e chiude gli occhi per una frazione di secondo prima di parlare. Nel frattempo, non posso fare a meno di deglutire sempre più agitato. Sono così in ansia che non riesco a fare a meno di muovere le gambe come se avessi un tic nervoso.
«Parlarne ad alta voce è dura, Logan. Se lo facessi, mi aprirei a emozioni che mi sono ripromesso di nascondere per proteggerla...»
«Proteggere chi?»
«Zoe.»
Mi acciglio, allarmandomi. «Lei sta bene?»
Thomas fa una smorfia, poi sospira. «In alcuni momenti sì, mentre altri...» Sospira ancora, sfregandosi le mani sul viso.
«Sono qui, Thor. Credo che parlarne ti farà bene.»
Dopo un po', annuisce. Prende un respiro profondo, poi lo esala lentamente.
«Un paio di mesi fa, Zoe ha perso un bambino... Il nostro bambino.» Gli si incrina la voce, e io sciolgo immediatamente le braccia per andargli più vicino. Gli poso una mano tremante sulla spalla, scioccato da questa novità perché non ne avevo idea, triste quando mi balena in testa l'idea di come si possono essere sentiti quando siamo stati io e Liv a dare ai nostri amici la notizia che presto la nostra famiglia si sarebbe allargata. Solo adesso, capisco perché quel giorno il sorriso non gli è mai arrivato agli occhi.
«Thor io...»
Scuote la testa. «C'è poco da dire, in realtà. Abbiamo scoperto che era incinta a fine estate, era di quasi tre mesi quando ha avuto un aborto spontaneo, una mattina come le altre un paio di mesi fa. Credimi, Logan, ero così felice quando ha fatto il test e quelle due lineette sono comparse che quella notte non sono riuscito a chiudere occhio.» Sorride, ma è il sorriso più triste che gli ho mai visto fare. «Diventare padre a soli diciotto anni sarebbe stata una follia, lo so, ma... Cavolo, è di Zoe che parliamo. Lei è l'amore della mia vita! E so che abbiamo avuto molti alti e bassi in tutti questi anni, che le cose tra noi non sono mai state semplici e che ci è voluto molto prima che mettessimo l'orgoglio da parte, ma sapevo anche che un giorno l'avrei sposata e che con lei avrei voluto costruire una famiglia.» Gli si incrina la voce, una lacrima gli sfugge dall'occhio e subito si premura di cancellarne il segno sfregandosi con forza le palpebre.
«Forse quel sogno ci si è presentato un po' troppo presto, ma eravamo felici. Progettavamo come dirvelo, come annunciarlo alle nostre famiglie. Zoe non faceva altro che sorridere anche se ci trovavamo in due posti diversi, e io ero su di giri... Poi quel desiderio di famiglia ci è stato strappato via come un sogno alle prime luci del mattino, e non eravamo pronti. Io non ero pronto. Non ero pronto a un dolore così intenso e distruttivo che sembrava mi avessero strappato il cuore dal petto. Non ero pronto a dover sorreggere Zoe per evitare che cadesse e si facesse male. Non ero pronto a lasciare andare quello che ormai avevo iniziato a immaginare come mio figlio. Nulla ti prepara a quel dolore, Logan, e credimi se ti dico che per un po' io e Zoe non avevamo idea di come proseguire con le nostre vite. Ci è voluto tanto per superare quel lutto, e non ne siamo ancora fuori del tutto, ma piano piano le cose sembrano andare meglio.»
Quando finisce di parlare, sento il cuore martellarmi in gola in un suono assordante. Sono senza fiato, a corto di parole. Nella testa non riesco a formulare nulla di sensato che possa anche solo alleviare il dolore che deve provare, perché dev'essere tanto. Così, con la testa piena, semplicemente gli cingo il collo con il braccio e lo attiro verso di me in un abbraccio. Thomas si lascia abbracciare, non protesta nemmeno un po'. Per noi è come se fosse la prima volta, ed è un incastro così giusto che il cuore torna al suo posto. Solo quando nasconde la testa contro il mio petto, si lascia andare in un pianto liberatorio che fa piangere anche a me, in silenzio però. Provo con tutto me stesso a essere la sua forza, nascondendogli quello che il suo racconto mi ha provocato. Ho lo stomaco scombussolato quando si aggrappa al mio corpo con tutte le sue forze, e a me non resta altro da fare che stringerlo più forte.
«Va tutto bene, Thor, tutto bene. Sono qui» mormoro vicino al suo orecchio.
Non gli dirò mai che questo dolore passerà, perché so per certo che è una cicatrice che si porterà per sempre sulla pelle. Lascio che si sfoghi, finalmente, con qualcuno con cui può farlo. Lui ha dovuto essere la roccia di Zoe, e lei ha tratto forza da lui per riuscire a cavarsela e, adesso, io farò la medesima cosa per lui. Il mio migliore amico non ha idea di quante volte sia stato la mia salvezza, di quante volte ha impedito che ponessi fine alla mia vita, di come un suo semplice sguardo o abbraccio mi sono serviti per capire che forse, in fin dei conti, io volevo vivere. Volevo essere felice anche io. Volevo poter vivere la gioventù senza tutti i problemi a cui la vita mi aveva messo di fronte. E io sapevo, cazzo se lo sapevo, che insieme a lui ci sarei potuto riuscire. Per cui adesso è il mio di turno di dimostrargli che tutto quell'amore con cui mi ha accudito posso restituirlo senza problemi.
Può prendersi tutto da me, purché torni a sorridere come solo lui sa fare.
«Ti voglio bene» gli sussurro dopo un po', quando il tramonto ci saluta per l'ultima volta quel giorno e il cielo inizia a scurirsi proiettando una distesa infinita di stelle.
Thomas ha smesso di piangere, adesso. Ancora abbracciati, guardiamo un cielo che, via via, si fa più scuro abbandonando sfumature di colori incredibili. Attorno a noi regna un silenzio assordante, e il rumore dei nostri cuori che battono all'unisono è l'unica cosa che mi ricorda che va tutto bene, che entrambi staremo bene prima o poi, l'importante è essere qui insieme.
«Anche io» mi risponde con la voce tirata dal troppo pianto. Dopo un momento, si stacca da me per darsi una sistemata e bere un sorso d'acqua. «Penso che Zoe voglia raccontarlo a Liv in questi giorni, per cui tienila d'occhio. Non vorrei che entrambe crollassero mentre non ci siamo...»
Annuisco schiarendomi la voce. «Lo farò, Thor. I ragazzi lo sanno?»
Esita per un momento, poi scuote la testa. «Non ancora. Ci sono stati momenti in cui avrei voluto parlarne almeno con Jason e Kevin, entrambi preoccupati per il mio strano comportamento, ma sapevo che la prima persona con cui avrei voluto parlarne eri tu. Per cui ho aspettato e mi sono tenuto dentro tutto.» Volta la testa per posare gli occhi nei miei, e accenna un debole sorriso.
«Avresti potuto chiamarmi, lo sai.»
«Lo so, ma forse non era il momento giusto.»
«E i tuoi genitori...»
«Non sanno nulla, e a me sta bene così. È già stato difficile parlarne oggi, non credo di poter affrontare questo dolore un'altra volta.»
Allungo una mano per accarezzargli la schiena, poi annuisco. «Ci saranno giornate migliori, Thor. La vita toglie e dà in continuazione, da vera bastarda, ma questo non ci ha mai impedito di andare avanti. Vedrai che con il tempo riuscirai a convivere con questo dolore.»
«Immagino di sì» risponde, dopodiché sospira e si alza in piedi, e io lo guardo gettare un'ultima volta lo sguardo al cielo prima di voltarsi verso di me. La sua espressione, dapprima triste e malinconica, lascia il posto a una maschera di finto entusiasmo. «Papà fa gli hamburger stasera, ti va di fermarti a cena da noi?»
Mi alzo anche io andandogli di fronte e recuperando la borraccia. «Mi piacerebbe, ma mi hanno già incastrato con una cena in famiglia a cui non posso mancare. Però resto per una birra se vuoi.»
Thomas ridacchia, fa passare un braccio attorno alle mie spalle e, insieme, ci incamminiamo sul sentiero percorrendolo in senso opposto. «Vada per la birra. E per la cena vorrà dire che sarà per un'altra volta, anche perché mia madre potrebbe offendersi se le dessi buca ancora.»
Ridacchio insieme a lui. «Sono il figlio preferito di tua mamma, lo sanno anche i muri.»
Lui scuote la testa con evidente divertimento. «Se fosse per lei abbandonerebbe me per adottare te, Miller. Un po' ti odio, sai?»
Scoppio a ridere assestandogli un colpetto dietro la nuca che lo fa imprecare. «Questo non è vero.»
La sua risata mi riempie il cuore di gioia. Appoggia per un momento la testa contro la mia spalla, e io mi sento nuovamente completo. «No, infatti, non è vero. E, per la cronaca, ti voglio bene anche io. Da sempre e per sempre, amico mio.»
«Da sempre e per sempre.»
Quando rientro a casa sono le otto di sera e so per certo di essere in ritardissimo. Sono un po' brillo, non troppo, ma abbastanza da avere la risata facile. Sento alcune voci provenire dalla sala da pranzo, per cui mi muovo con zerodiscrezione proprio in quel punto. Non appena oltrepasso l'enorme arco che mi dà la visuale sulla vasta tavola già apparecchiata e ricca di cibo squisito, mi fermo e faccio scorrere lo sguardo tra tutti i presenti, soffermandomi per poco su ognuno di loro.
Seduto a capotavola, con il solito completo da almeno mille dollari, mio padre si sta pulendo la bocca con un tovagliolo dopo aver posato il calice di vino sul tavolo. Al suo fianco, Amanda sembra brillare di luce propria. Il ventre, ormai grande abbastanza da pesarle, fa capolino oltre il bordo del tavolo facendola sembrare addirittura più bella del solito. Ha una mano poggiata sulla pancia, si accarezza il ventre in modo distratto, mentre l'altra mano giocherella con un pezzo di pane. Sta ridendo insieme a mio padre, i capelli acconciati in uno chignon improvvisato e un abito nero attillato. Dall'altra parte del tavolo, alla sinistra di mio padre, Liv sta seguendo la conversazione con attenzione. Non ride, anzi sembra fin troppo seria, e la cosa mi preoccupa. Mi accorgo che ha lasciato asciugare i capelli all'aria visto le ciocche sono più mosse del solito, indossa una maglia a maniche lunghe che le lasciano una striscia di ventre piatto scoperto e un paio di jeans sbiaditi che, anche se non posso vederlo, so che le fasciano il sedere in modo perfetto.
Deglutisco quando mi rendo conto che l'immagine del suo culo nudo mi è appena entrato con prepotenza nella testa facendomelo venire duro all'istante. Devo ricordare a me stesso che non sono del tutto lucido e che quindi le mie emozioni sono amplificate e che il sangue defluisce in un solo posto. Ma chi voglio prendere in giro? Quando guardo Liv sono sempre eccitato, sempre, senza nessuna scusa del cazzo. Devo aver fatto rumore in qualche modo, perché tre teste si voltano nella mia direzione - quattro se contiamo anche Gricelda che ora mi osserva con un sopracciglio inarcato e la faccia di chi sa che ne ho combinata una delle mie. -
Sventolo una mano in aria, con faccia colpevole.
«Ehilà, gente. So di essere un pochino in ritardo, ma...»
«Un pochino?» È mio padre a interrompere l'inizio del monologo che mi ero preparato nel tragitto per provare a scusarmi di averli fatti aspettare. Chiudo gli occhi per una frazione di secondo, aspettandomi una sua sfuriata che so arriverà a breve. «Avevo detto che la cena sarebbe stata servita alle sette, Logan» continua, con il tono meno duro che gli ho mai sentito fare. Riapro gli occhi di scatto, scrutandolo. Sembra fin troppo tranquillo...
«Mi dispiace?» Sospiro, provando a sorridere ai presenti, vedendo Amanda che ricambia scuotendo appena la testa e Gricelda che ridacchia prima di tornare in cucina. Eppure, quando cerco un paio di occhi capaci di mandarmi in fibrillazione il cuore, li trovo invece intenti a inviarmi fulmini e saette come se fossi sotto un cielo in tempesta. Liv mi sta trucidando con lo sguardo, e non so nemmeno il perché. Corrugo la fronte in una domanda silenziosa, ma lei si affretta a distogliere lo sguardo per posarlo in quello di sua madre.
«Posso andarmene? A forza di aspettare mi è passata la fame» sbotta, togliendosi il tovagliolo che aveva appoggiato sulle gambe e posandolo sul tavolo.
Sua madre distoglie gli occhi dai miei per portarli in quelli di sua figlia, si appoggia allo schienale della sedia massaggiandosi la pancia. «No, se ti è passata fattela tornare. Questa è una serata speciale, e io e James vorremmo passarla con voi.» Si allunga a prendere una mano di mio padre, che ricambia il gesto sorridendole con affetto, prima di annuire.
Liv sbuffa contrariata, torna ad appoggiarsi alla sedia e incrocia le braccia al petto. «D'accordo.»
Amanda la osserva con interesse, poi sposta lo sguardo su di me e sospira.
«Cosa è successo tra di voi? Avete di nuovo litigato?»
Faccio per aprire bocca, perché non ne ho la minima idea, ma Liv mi precede.
«Lascia perdere, mamma.»
Cerco un contatto con i suoi occhi per cercare di capire il perché è arrabbiata con me, ma non ci riesco. Mi evita in tutti i modi, giocherella perfino con le briciole di pane pur di non darmi la soddisfazione di guardare nella mia direzione. Ma che cavolo...
La guardo fino a quando non è mio padre a riportarmi al presente.
«Logan vai a farti una doccia, per favore. E non impiegarci un secolo, la cena si raffredda davvero» mi riscuote dai pensieri.
«Liv, possiamo parlare?» provo a chiederle.
«Non è il momento.»
«Ma...»
«Ho detto no.» Questa volta si permette di guardarmi per una frazione di secondo, prima di riportare lo sguardo sul tavolo, e a me viene voglia di spaccare qualcosa quando si comporta così.
Mio padre e Amanda sospirano, ed è quest'ultima a intervenire prima che si scaldino gli animi.
«Vai, Logan. Ti aspettiamo.»
«D'accordo» borbotto anche io, prima di darmi una spintarella dal muro su cui mi ero appoggiato senza nemmeno rendermene conto. Punto un'ultima volta lo sguardo su Liv, ma niente, per cui quasi corro nella mia stanza in modo da riuscire a scoprire quanto prima il motivo della sua rabbia.
Nonostante la sua decisione di ignorare ogni mio tentativo di approccio per tutta la sera, la cena prosegue bene. Mio padre e Amanda non fanno che ridere e scherzare e fare battute davvero esilaranti che mi lasciano senza fiato per quanto riescono a farmi ridere. Devo ammetterlo, per non essere più dei giovincelli sanno ancora come divertirsi. Riescono perfino a strappare più di un sorriso a quella musona della mia ragazza, e la cosa fa sorridere anche me. Non so dopo quanti antipasti, primi e secondi il mio stomaco decide di cedere, per cui a un certo punto mi ritrovo accasciato sulla sedia a sventolare una mano per aria chiedendo pietà a Gricelda e implorandola di non mettere più altro cibo sotto il mio naso, perché potrei davvero dare di stomaco. Liv deve pensarla come me, visto che a un certo punto si sbottona i jeans prendendo un respiro profondo con le guance arrossate e gli occhi lucidi per la stanchezza. Approfitto del momento in cui mio padre sta raccontando un aneddoto ad Amanda, così assorta da non essersi nemmeno resa conto che tiene il bicchiere ricolmo d'acqua inclinato, facendo così fuoriuscire il contenuto, per avvicinarmi alla mia ragazza e sfiorarle l'orecchio con la bocca.
«Che ti prende?» le chiedo in un sussurro. «Non mi hai considerato per tutta la sera.»
Al mio gesto non si ritrae, ma non è nemmeno entusiasta. Mi guarda di sbieco con un leggero cipiglio sulla fronte.
«Davvero non lo sai?» mormora a denti stretti, prima di afferrare il suo calice di vino e di sorseggiarlo lentamente. Non ho obiettato riguardo all'alcol per tre semplici motivi: primo, sono qui accanto a lei e, anche se mi ha promesso che non ci sarebbe più ricascata, voglio comunque farle capire che ha il mio supporto in qualunque occasione; secondo, è una serata importante per i nostri genitori e non mi andava di interferire impedendole di divertirsi; e terzo, per colpa di Thomas mi sono fatto un paio di birre di troppo, e sarebbe davvero incoerente da parte mia negarle l'alcol.
Anche se ho la testa annebbiata, provo comunque a fare mente locale in cerca di una spiegazione più che valida al suo comportamento visto che sono solito a fare cazzate, ma a parte che forse l'alito che sa di birra mi ha fregato, non mi viene in mente nulla. Per cui scuoto la testa.
«No. Perché non me lo dici così risolviamo la questione?»
Fa per aprire bocca, ma mio padre s'intromette richiamandoci all'attenzione.
«Vi va un gioco da tavola, ragazzi? È una vita che non ne faccio uno!» esclama entusiasta, e solo quando batte le mani per aria mi rendo conto che forse ha esagerato con il vino. Tale padre, tale figlio.
«Ti prego, James, giochiamo a Monopoly!» Lo incita Amanda, alzandosi dal tavolo facendo stridere la sedia e sgomitando come una tenera balena nell'intento di seguire mio padre nel salone adiacente.
«Monopoly? È da quando ho vent'anni che non ci gioco. Chissà se ancora me la cavo!»
Amanda incespica, poi scoppia a ridere.
«Non puoi battermi, amore! Sono una forza della natura con i soldi.»
«Vedremo, amore mio, vedremo.»
Mio padre la cinge per il fianco aiutandola a stare in piedi, ridacchiando insieme a lei e chiedendo a Gricelda di servire i dolci nell'altro salone più grande. Poi torna a rivolgersi a noi, che stavamo fissando la scena in assoluto silenzio.
«Dai ragazzi, forza! Non ditemi che siete stanchi, è ancora presto e vi prometto che non ci vorrà molto.» Ci incita a seguirli con una mano, e io mi trattengo dallo alzare gli occhi al soffitto.
Liv, ancora al mio fianco, ricambia il sorriso. «Arriviamo, James.» E, quando i nostri genitori lasciano la sala da pranzo, si volta verso di me. «Ne parliamo dopo, va bene?»
Le afferro una mano fermandola prima che si alzi da tavola.
«Al diavolo i giochi da tavola, Liv! Hai passato la serata a ignorarmi e ad essere arrabbiata e ora non vuoi nemmeno darmi una spiegazione?»
Liv appoggia i palmi sul tavolo voltandosi poi come una furia verso di me. I suoi occhi mi trafiggono come tante lame affilate, facendomi deglutire vistosamente. Le sue mani si sollevano poi ad afferrarmi il mento quasi come se volesse staccarlo, inducendomi ad avvicinarmi al suo viso.
«Credi che non sappia che sei ubriaco? Ne ho sentito l'odore non appena hai messo piede in questa sala!»
Sospiro debolmente. «Non lo sono, Liv. O meglio: non lo ero quando sono arrivato. È stata colpa di Thomas; sua madre voleva a tutti i costi che mi fermassi almeno per un aperitivo fatto in casa, mentre suo padre continuava a chiedermi del football e, intanto, mi passava le birre. Mezz'ora dopo ero brillo e nemmeno me ne sono accorto.»
I suoi occhi studiano la mia espressione valutando la veridicità delle mie parole.
«Spero per te che tu non abbia guidato, Logan.»
Le regalo un timido sorriso rilassandomi appena. «Ho chiamato un taxi, domani dovrò tornare a recuperare l'auto.»
Adesso tocca a me studiare la sua espressione, che si rilassa giusto un pochino, ma non del tutto e questo perché la mia poca lucidità non era l'unica cosa per cui è arrabbiata.
«Vuoi dirmi di che si tratta quindi?» chiedo, posandole i polpastrelli sulla guancia e accarezzandole la pelle liscia. Liv chiude appena gli occhi a quel contatto, ma rimane con lo sguardo severo fisso nel mio, allentando di poco la mano dal mio mento. So che mi ha lasciato un bel livido in quel punto, per cui trattengo un sorriso.
«Ragazzi? Che state facendo? Forza, venite qui!» La voce strillante e troppo allegra di mio padre che arriva dall'altra sala mi fa sbuffare come un bambino, e questo perché mi ha tolto la possibilità di chiarire con Liv visto che si sta scostando da me per rimettersi in piedi, lasciandomi per la seconda volta senza una spiegazione.
«Ne parliamo più tardi. Andiamo di là, se non partecipiamo a questo stupido gioco non ci lasceranno andare.»
Chiudo gli occhi pinzandomi con le dita il ponte del naso, poi annuisco e, anche se controvoglia, mi alzo. Insieme, raggiungiamo i nostri genitori che hanno già disposto il divano e le poltrone in modo che formino un semicerchio. Liv raggiunge sua madre sul divano, che l'accoglie braccia aperte, e io vado a buttarmi su una delle poltrone vicino al camino.
«Non dovevamo giocare a Monopoly?» domando, osservando una scatola diversa riposta sul tavolino, insieme a nuovi bicchieri ricolmi di champagne e a piatti pieni di torta al cioccolato. Non resisto e alzo lo sguardo su Liv, che sta osservando famelica quel dolce squisito, e questa volta mi abbandono a un vero sorriso.
Mio padre tiene per lo stelo il calice di vino rosso e, sedendosi sul bracciolo della poltrona in cui mi sono accomodato io, mi regala l'occhiolino.
«Abbiamo deciso che Indomimando fosse più divertente e tu, figliolo, sei capitato in squadra col tuo vecchio.» Mi scompiglia i capelli come se fossi un bambino, e Amanda scoppia a ridere a quel gesto. Trattengo uno sbuffo contrariato, sapendo benissimo che, visto com'è messo stasera, la mia squadra sarà quella perdente.
Infatti, quasi due ore più tardi, le donne di casa vincono il gioco alzandosi con uno scatto dal divano e abbracciandosi come se avessero vinto i Mondiali. Lo ammetto, era da un po' che non ridevo e mi divertivo così tanto. Perfino Liv ha abbandonato il muso nei miei confronti per ridere di gusto fino ad avere le lacrime agli occhi quando sua mamma o mio padre provavano inutilmente a mimare qualcosa. È stata la serata in famiglia più bella che abbiamo mai passato, e la cosa mi ha lasciato piacevolmente sorpreso. Due piatti di torta e quattro bicchieri di Champagne dopo, posso dire di essere ufficialmente ubriaco. Riesco comunque a tenermi dritto quando papà annuncia di avere una sorpresa per tutti noi, conducendoci così lungo il corridoio che sbuca sull'ingresso principale e poi imboccando le scale per il primo piano.
Liv mi afferra sottobraccio e mi aiuta a non inciampare, osservandomi di sottecchi quando il mio naso si fionda in mezzo ai suoi capelli per annusarla come un vero maniaco. Trattiene un sorriso, incapace di passare troppo tempo arrabbiata con me, tuttavia non ricambia il gesto. Mi viene da protestare come un bambino, di buttarmi a terra e fare i capricci pur di attirare la sua attenzione, ma non lo faccio. Mi prometto che entro massimo un quarto d'ora farò finire questa lunghissima serata e la trascinerò in camera per estorcerle tutto quanto a suon di solletico. Ho bisogno che torniamo a essere quelli di sempre, che lei torni a baciarmi e a volermi come al solito. Non sopporto questa freddezza e la distanza che ha voluto creare tra di noi. Mi fa sentire incompleto e solo. Un perfetto imbecille.
Davanti a una delle mille porte del corridoio, mio padre ci fa fermare dietro a una di essere chiusa a chiave. Si volta a guardarci con un sorriso.
«Dietro questa porta scopriremo tutti e quattro insieme il sesso del bambino. L'ho fatta sistemare in questo ultimo mese, amore mio» dice ad Amanda, che ora sta piangendo abbracciata a sua figlia. «Ma volevo che fosse una sorpresa, per questo non ti ho detto niente. Non so bene cosa ci sia al di là della porta se non una cameretta di un colore specifico... Per cui spero che vi piaccia.» Si schiarisce la voce emozionato, e a me non resta che appoggiargli la mano sulla spalla dandogli il mio supporto. Mio padre ricambia il gesto con un sorriso che gli arriva agli occhi, prima che Amanda si sporga a baciarlo senza riuscire a contenere l'euforia. Dopo questo breve momento di effusioni, girano la chiave insieme e aprono la porta rivelando una spaziosissima cameretta interamente sistemata con un mobilio per bambini di un mix di colori tra il bianco, il beige, e... il rosa pastello. Avrò una sorellina.
Amanda e mio padre si abbracciano con forza, piangendo insieme per l'intensità delle emozioni provate nel conoscere finalmente il sesso del nascituro. Liv si aggrappa a me, una mano sulla bocca e gli occhi umidi che a stento trattengono le lacrime. E il mio cuore... Be', lui mi si è appena fermato in gola. Il mio sguardo scorre su ogni dettaglio della stanza, mentre tutti insieme avanziamo, quasi timorosi da quella ventata di consapevolezza e novità allo stesso tempo. Mi soffermo sulla grande culla con tenda a baldacchino bianca al centro della stanza e sul tappeto morbido sulla quale è appoggiata. Attorno ci sono giochi che per un po' non verranno usati, un bellissimo cavallino a dondolo di fianco a una cassettiera utilizzata anche come fasciatoio, un gigantesco armadio a parete bianco e una comodissima poltrona con diversi cuscini sopra. Sulle pareti sono state incastonate farfalle e palloncini, mentre il soffitto è interamente ricoperto da stelle e finte nuvole che, al buio, si illuminano rendendo la stanza soffusa. Sorrido gioioso camminando quasi smarrito per la stanza, finché non mi fermo in un punto preciso e il cuore prende a martellarmi all'impazzata nel petto. Ora è reale. Al centro del muro, in lettere cubitali, si legge il nome della bambina: Abigail.
Abigail Miller, la prossima donna per cui perderò la testa.
«A cosa stai pensando?» mi chiede Liv una volta tornati in stanza, quasi mezz'ora dopo.
Abbiamo deciso di dare spazio ai nostri genitori, lasciando che si godessero quel momento di gioia senza la nostra presenza. Ritirarci nelle nostre stanze è sembrata la cosa più facile in quel momento, anche se la mia testa non ha più voluto spegnersi da quel momento. Sdraiato sul suo letto a pancia in su, con un braccio appoggiato dietro la testa, la osservo spogliarsi rimanendo in silenzio per un po'. Mi soffermo sui diversi nuovi nei che sono comparsi sul suo ventre e che non avevo mai visto, e io sono un super osservatore quando si parla del suo corpo, poi guardo con sfacciataggine il seno leggermente più grande del solito e il rosa dei capezzoli che mi fa venire sì l'acquolina in bocca, ma anche un erezione grande e fastidiosa nelle mutande. Chiudo gli occhi con un gemito prima di passarmi una mano sul viso.
«In questo momento? Che vorrei tanto ti avvicinassi al letto e ti lasciassi scopare come si deve» ammetto ad alta voce prima di riaprire gli occhi e di puntarli nei suoi.
Liv finisce di infilarsi la mia maglia che usa come pigiama, senza sconvolgersi minimamente dalle mie parole. Inarca appena un sopracciglio prima di sparire in bagno e di rispuntare poco dopo con una crema tra le mani che prima si spalma in viso e poi sul collo. Sento l'odore di cocco fin qui.
«Intendevo riguardo alla bambina» mormora avvicinandosi e andando a sedersi ai piedi del letto. Troppo distante. Soffoco un'imprecazione e non mi premuro di nascondere l'erezione.
«Ah. Be', riguardo a quello penso che sono del tutto fottuto» commento con una smorfia.
«E perché?» Si stende accavallando le gambe e appoggiando la testa su una mano. Osservo i suoi movimenti famelico, con la testa ancora in una nube di fumo per colpa dell'alcol e con una presenza ormai di marmo e ingombrante nelle mutande.
«Che ne dici di venire a sederti sulle mie gambe? Credo che staresti molto più comoda» dico, sollevando le labbra in un sorriso malizioso e facendole segno di raggiungermi con la mano.
Liv mi guarda senza alcuna emozione, senza scomporsi, con la fronte aggrottata come se le dessi fastidio. Sbuffo e colpisco il cuscino con la testa quando capisco che non mi darà quello che voglio.
«Che ne dici di rispondere alla mia domanda?» mi rimbecca stizzita.
«Ti odio quando fai cosi.»
«Pensa io.»
Incrocio le braccia al petto con stizza. «Sono fottuto perché mia sorella ancora non è nata e mi ha già rubato il cuore. Sono fottuto perché sto immaginando i mille scenari futuri in cui non le permetterò di fare nulla conoscendo la mia gelosia malsana. Sono fottuto perché sarà di una bellezza disarmante e dovrò spaccare la faccia a tutti i ragazzi che le ronzeranno intorno. Sono fottuto perché ne sono già innamorato e non so nemmeno quale sarà il colore dei suoi occhi. Hai concorrenza, Liv.»
Sollevo di poco la testa per guardarla, e quando noto i suoi occhi umidi e le labbra incurvate in un accenno di sorriso, mi trema il cuore.
«Ho provato le stesse sensazioni quando eravamo in quella cameretta, e non me ne vergogno. So che sarai un fratello meraviglioso, difetti a parte, Logan. Ti si addice tutto questo amore per una persona che ancora non è venuta al mondo.»
Il sorriso che le regalo è più simile a una smorfia.
«Tu credi? Il mio cervello sta per esplodere al pensiero di quello che mi riserverà la vita non appena nascerà.»
Liv si sforza di non ridere sotto le mie inutili lamentele. A un certo punto, però, il suo umore rilassato vacilla. La vedo alzarsi dal letto e incamminarsi verso il suo armadio. Nell'aprirlo, la maglia le si solleva quel che basta da farmi intravedere il suo sedere tonico avvolto da un paio di mutandine nere in pizzo. Deglutisco. Tremo. Chiudo gli occhi sforzandomi di tenere a bada l'erezione. Provo a concentrarmi su altro, scavo nella memoria alla ricerca di qualsiasi cosa possa distrarmi momentaneamente, ma è tutto inutile. Riapro gli occhi solo quando sento il tonfo delle ante chiudersi, e mi ritrovo a fissarla intenta a svuotare a terra l'intero contenuto dello scatolone. Questa volta mi alzo mettendomi seduto e allungo il collo per vedere meglio. Liv si pizza le mani sui fianchi gettando di lato la scatola, poi con la mano fa un gesto plateale verso il pavimento.
«Volevi sapere perché ero arrabbiata? Eccoti accontentato» dice con astio nella voce.
Sbalordito, scendo dal letto e la raggiungo nello stesso istante in cui afferra una lettera bianca, da cui proviene un profumo da donna nauseabondo, e dopo averla aperta inizia a leggerla.
"Caro Logan, forse non ti ricorderai di me perché è passato un po' di tempo, ma io non sono mai riuscita a dimenticarti. Abbiamo passato poco tempo insieme, oserei dire che è stata quasi come un'avventura di sguardi." Liv si blocca un istante per lanciarmi l'occhiata più truce che le ho mai visto fare, costringendomi a deglutire vistosamente. Poi prende un respiro profondo e torna a leggere.
"Mi sei piaciuto fin dal primo sorriso che mi hai regalato, e ancora di più quando abbiamo fatto l'amore..."
«Aspetta. Ma sono lettere d'amore queste?» Sgrano gli occhi confuso.
Questa volta sono io a interromperla compiendo un passo nella sua direzione e provando a sbirciare nella lettera in cerca di un nome, ma Liv mi respinge allungando una mano per tenermi a debita distanza. Con l'indice mi indica il letto. Il suo corpo è talmente rigido che le basterebbe sfiorarmi per farmi a pezzi.
«Mettiti seduto e ascolta, la parte più bella deve ancora arrivare.»
Scioccato, continuo a guardare le lettere riverse a terra. Mi piego sulle ginocchia per afferrarle e leggere il mittente. «Samantha, Chloe, Taylor, Melinda, Ariana, Paris... Ma chi diavolo sono?»
«Sul serio, mettiti seduto, Logan.»
Alzo lo sguardo su di lei. «Dove hai preso queste lettere, Liv? Quando sono arrivate?»
«Ah, perché non lo sai? Se le hai fatti ricapitare qui un motivo ci sarà!»
«Non so nemmeno chi siano queste ragazze, Liv! È quello che sto cercando di dirti!»
Ma il suo sguardo si fa solo più di ghiaccio, e prima di tornare a posare gli occhi su quell'inutile pezzo di carta, mi indica nuovamente il letto. Così sospiro pesantemente facendo come dice, e una volta sul letto incrocio le braccia al petto.
"... e ancora di più quando abbiamo fatto l'amore sulla spiaggia al chiaro di luna. Te lo ricordi, non è vero? È stata la notte più bella della mia vita, soprattutto quando mi hai regalato quell'anello a forma di cuore vinto alle bancarelle e mi hai promesso che in un futuro non troppo lontano ci saremmo sposati proprio su quella spiaggia, proprio in una notte illuminata dalle stelle come quella. Conservo ancora quell'anello. Volevo anche dirti che seguo le tue partite di football ogni volta che vengono trasmesse, sono la tua fan più accanita! Ho tue foto e poster appesi nella mia stanza al dormitorio, ma adesso che so che studi a Yale stavo pensando di cambiare indirizzo e di trasferirmi lì. Che ne pensi?"
«Aspetta» la interrompo nuovamente, pizzicandomi con forza il ponte del naso per non farmi venire l'emicrania. «Ma di che diavolo sta parlando? Chi è? Non ho mai fatto l'amore con nessuna al chiarore di luna, che cosa ridicola!»
Liv sbuffa una risata che è tutto fuorché divertita. Il suo astio nei miei confronti e palpabile e, gettando un'occhiata al pavimento, non oso immaginare cosa ci sia scritto in tutte le altre lettere. Porca troia che situazione del cazzo! La vedo serrare con forza la mandibola e lanciarmi un'occhiata sprezzante.
"Se risponderai alla lettera, significherà che mi hai detto di sì e potremo iniziare il nostro futuro insieme. Per sempre tua e solamente tua, Trisha Campbell."
Liv finisce di leggere con la bocca impastata, come se stesse trattenendo a forza un conato di vomito. Appallottola la lettera e me la lancia in fronte, poi incrocia le braccia al petto e aspetta una mia reazione. Inclino la testa di lato facendo scorrere lo sguardo su tutto il suo corpo, partendo dalle gambe lisce e perfette fino ad arrivare agli occhi, così gelidi da farmi venire la pelle d'oca. Sospiro e mi porto una mano sul mento, accarezzandomelo, poi mi alzo e questa volta la raggiungo davvero, fregandomene di star calpestando altre buste contenenti nuove stronzate.
«Ti prego, dimmi che non hai creduto a una sola parola scritta lì sopra. Sono tutte stronzate, Liv! Non ho idea di chi sia questa Trisha, e tantomeno non ho mai avuto una storiella di quel tipo con lei.» Anche sotto il suo sguardo di ghiaccio e attento, le poso delicatamente le mani sulle guance e me l'attiro vicina, odiando quanto un pezzo di carta sia stato in grado di mettere questa distanza tra di noi. Le faccio scorrere i pollici sulla pelle, gustandomi la loro morbidezza e provando a rilassarla più che posso. Per tutto il tempo, i miei occhi rimangono incollati nei suoi come una segreta promessa. E così, dopo qualche istante di sguardi silenziosi, Liv scioglie le braccia facendole ricadere molli lungo i fianchi. Mi sfiora appena la maglia, indecisa se cedere del tutto, ma poi decide di lasciarle dove già sono. Trattengo un sospiro.
«Non lo so, Logan. Perché avrebbe dovuto mentire? Mi sembrava una lettera molto accurata, e in ogni caso hai avuto un passato anche tu e non ci sarebbe nulla di male in questo» commenta con voce tirata. «Non è questo ad avermi dato fastidio.»
«No è vero, non ci sarebbe nulla di male e non avrei problemi ad ammetterlo ad alta voce. Ma nulla, nulla di quello che ha detto è vero. Sono pronto a giurartelo.»
«E che mi dici della folle idea di trasferirsi a Yale solo per stare con te?»
«A questo non so come rispondere, anche perché non la conosco. Ma ti posso garantire che se una cosa del genere succedesse e una ragazza si presentasse alla mia porta con pretese simili a quella di doverla sposare, puoi stare tranquilla che sarò molto chiaro in merito.»
Ora le sue mani si soffermano davvero sui miei fianchi, e riesco a sentirne il tremore anche con la stoffa a dividerle dalla mia pelle. Le faccio scorrere una mano dietro la nuca e l'altra gliela appoggio sul mento, attirando la sua bocca verso la mia. Le sfioro le labbra calde e umide, inalando per la milionesima volta il suo profumo e prendendo un lungo respiro profondo insieme a lei.
«Me lo giuri?» chiede, senza staccare gli occhi dai miei.
«Te lo giuro. Non c'è nessuna donna che vorrei al mio fianco che non sia tu, Liv, nessuna.»
«Sì, ma potresti scoprire che questa Trisha ti piace tanto quando si presenterà a Yale con quello stupido anello a forma di cuore» borbotta contrariata.
Serro le labbra per non sorridere.
«No, Liv, tu mi piaci da morire, tu. E sai perché? Mi piaci perché leggi nei miei occhi tutto quello che a parole mi viene difficile esprimere. Io resto in silenzio e tu mi capisci, basta uno sguardo, un'intesa che solo i nostri occhi possono avere. Mi piaci perché sai fare del mio disastro un capolavoro, mi piaci perché sei tu, Liv, tu e nessun'altra.»
Liv espira debolmente, sbatte le palpebre diverse volte per non cedere al pianto, e facendo così inondare gli occhi di lacrime represse. Mi affretto a baciarla prima che accada, posando le labbra sulle sue in un bacio famelico, sensuale, carico d'amore. La stringo a me mentre le nostre bocche si reclamano e le nostre lingue si cercano per stuzzicarsi a vicenda, ingoiando il gemito che le scappa dalle labbra e reprimendo il mio. La bacio così tanto che a un certo punto mi manca il fiato e, anche se per un attimo sono tentato di ignorare la sensazione di bruciore, mi ritrovo a cedere e a staccarmi da lei solo per riprendere fiato. Liv ha smesso di tremare, ora si appoggia a me come se sentisse finalmente un peso scivolarle via dalla schiena. Rimaniamo stretti l'uno nelle braccia dell'altro per molto tempo, finché non mi balena per la testa un'idea. Con un ultimo bacio sulla sua fronte, mi allontano da lei per andare ad afferrare il cellulare.
«Cosa vuoi farne di tutte queste lettere? Perché ho anche un altro scatolone carico di peluche e biancheria intima che ero indecisa se farti vedere» mormora con una smorfia, andando a sedersi a gambe incrociate sul letto.
Sgrano gli occhi al pensiero, poi scuoto la testa e collego il telefono alle casse Bluetooth. «Puoi anche gettarli nell'immondizia per quanto mi riguarda. Fanne cosa vuoi, ma promettimi che non ti farai ancora del male andando a leggerne il contenuto. Qualunque cosa ci sia scritto dentro, sono solo stronzate.»
«Va bene. E comunque, hai dato il tuo indirizzo di casa a qualcuno? Perché sono praticamente arrivate tutte insieme stamattina, stando a quello che mi ha detto Gricelda.»
Ci rifletto su un attimo. «L'indirizzo l'ho dato solo al coach e l'ho trascritto nei documenti per l'Università durante l'iscrizione. Non ho rilasciato interviste a nessuna testata giornalistica durante le partite, per cui no. Non so come si sia sparsa la voce, ma è un problema.»
«Un enorme casino» concorda con un sospiro. «Faresti meglio a informare tuo padre e anche... Che stai facendo?» mi chiede ad un certo punto, quando Polygraph, Right Now degli Spill Canvas risuona nella stanza e io mi avvicino per afferrarle le mani.
«Sto disinnescando.»
La trascino giù dal letto riuscendo finalmente a strapparle un sorriso. Le poso le mani sui fianchi inducendola a muoversi a ritmo della canzone e girandole attorno improvvisandomi ballerino. Liv scoppia a ridere di gusto quando prendo a ondeggiare la testa da una parte all'altra, muovendo i fianchi e strusciandomi addosso a lei senza seguire il ritmo della canzone. Quando mi rialzo, fingo di suonare una chitarra invisibile piegandomi a terra come farebbe una rockstar, cantando a squarciagola solo per sentirla ridere ancora. A un certo punto finalmente si lascia andare. Inizia a ondeggiare insieme a me, saltellando per la stanza e buttando le mani verso il soffitto per muoversi meglio. I nostri corpi si intrecciano, girano attorno insieme, mentre i nostri occhi si cercano e le nostre risate si perdono nelle note e nelle parole cantate a squarciagola.
Canzone dopo canzone, il brutto momento sembra scivolare sempre più lontano, mentre la mia voglia di lei cresce a dismisura.
E mentre la guardo gettare la testa all'indietro e ridere fino ad avere il mal di pancia, mi sembra che non esista persona più bella di lei.
E fermandomi a osservarla in mezzo ai cuscini gettati a terra, a piume che volano per aria, a lettere ormai stracciate, ai vestiti sparpagliati un po' ovunque, io capisco che continuerò a sceglierla ogni giorno, perché nessuna è paragonabile a lei, perché solo lei è in grado di capirmi senza bisogno di inutili parole, perché lei è l'unica persona che io abbia mai amato davvero.
«Promettimi una cosa» le dico a un certo punto, afferrandola per i fianchi e attirandomela più vicino. «Promettimi che ci guarderemo continuamente in questo modo anche se il cielo dovesse venire giù. Perché io senza te non voglio e non so stare, Liv.»
Liv sorride, la sua mano trova la mia e la stringe in una presa salda.
«Te lo prometto. E ti prometto che guarderemo sempre insieme nella stessa direzione, perché io con te ci voglio invecchiare, Logan.»
Con il cuore che trema e un nodo nello stomaco, mi porto le nostre mani alla bocca.
«Adesso non puoi più scappare, amore mio.»
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