Capitolo ventidue - Logan
Per me sarai sempre tu
L'altra metà del cielo
L'altra metà di me
Ciò che era accaduto nei giorni prima mi aveva immerso in una nuvola di pensieri e sentimenti contrastanti. Non solo mi ero trovato ad affrontare una Liv capace di mettersi nei guai alla stessa velocità con cui tira il primo respiro della giornata, non era bastato vedere il suo corpo sgretolarsi quando erano settimane che le urlava di fermarsi e darsi una calmata, ma non so come ero anche riuscito a darle il mio supporto sulla questione Matt.
Non dico di non essere d'accordo con lei sul fatto che lui farebbe qualsiasi cosa pur di darle giustizia e farle vincere la causa come merita, ma cazzo. Tra tutti gli Avvocati di fama che mio padre avrebbe potuto affidarle, doveva essere proprio quella testa di cazzo del suo ex? Potevo mica dirle: "Non sono d'accordo con questa scelta, amore mio"?, O: "Finirei volentieri in manette pur di togliergli il ghigno soddisfatto che avrà non appena scoprirà che hai bisogno di lui"?
A volte mi sembra di avere sempre i pianeti allineati contro.
L'altro problema, se così si può chiamare, e che durante i giorni in cui era a letto malata mi sono reso finalmente conto di quanto sono dipendente da quella ragazza.
A volte la cosa mi ha spaventato, altre l'ho trovata del tutto naturale. Non riesco a smettere di pensare a lei anche quando si trova a due metri da me, è come se sentissi il bisogno costante di stringerla, di assaporarla, di sapere che sta bene. Quando è con me, anche solo a pochi passi, mi sento come se tutto fosse come dev'essere, nella maniera in cui dev'essere, una perfetta sintonia. Mentre quando non c'è, mi si forma un buco grande quanto un cratere nello stomaco, la mente mi va in subbuglio e divento malinconico e triste.
Thomas dice che mi trasformo davvero nel Principe degli Inferi, concorda con Mason sul fatto che senza Liv divento uno stronzo arrogante con cui è difficile avere a che fare.
Non posso che essere d'accordo, ed è per questo che stasera l'ho trascinata in questo Diner nonostante non sia del tutto guarita. I ragazzi volevano mangiare qualcosa con me prima che tornassimo a New York, ma la mia ansia da separazione nei confronti di Liv ha avuto la meglio. Sono fortunato che anche lei non vedeva l'ora di passare del tempo con loro, perché penso che ad un suo rifiuto di uscire sarei andato completamente nel panico. Non ho mai dovuto scegliere tra i miei migliori amici e una ragazza, e ultimamente ho come la sensazione che messo di fronte ad un bivio la mia scelta cadrebbe su di lei, sempre.
Sono ingiusto, egoista, e innamorato. Non giudicatemi.
Seduti sui divanetti rossi in un tavolo all'angolo, la sto osservando ridere imbambolato da più di dieci minuti. È bella, santo cielo se è bella. E non lo dico solo perché sono l'arrogante bastardo che si infila nel suo letto quasi tutte le notti, lo dico perché sono l'unico fortunato a cui è permesso fare l'amore con lei e stringerla per tutta la notte, l'unico a cui rivolge quel meraviglioso sorriso come se fossi la persona più bella che abbia mai visto. È difficile staccarle gli occhi di dosso, soprattutto perché nonostante le temperature si aggirino sullo zero ha deciso di indossare un vestitino che, seppur a maniche lunghe e di lana, le lascia le gambe scoperte e alla mercé di chiunque. Sotto il tavolo, gliele sfioro con la mano libera, quella che non sta giocherellando con il collo della bottiglia di coca cola, e mi godo la meraviglia della sua pelle liscia sulle dita.
È così morbida e vellutata, sembra di toccare la pelle di un neonato.
La vedo sussultare appena, forse non se lo aspettava o forse è la sensazione dei calli sulle mie mani a farle quell'effetto. Volta di poco la testa, le sue labbra carnose si sollevano in un sorriso che mi mozza il fiato. Per cui aumento la presa sulle sue gambe, ricordandole che se non mi sto spingendo oltre è solo perché abbiamo compagnia. Mi sporgo verso di lei sfiorandole la guancia con il naso, inspirando il suo inconfondibile profumo di vaniglia e cocco che mi fa letteralmente impazzire. Liv mi tocca gentilmente la guancia, ed è un gesto così rapido che per un momento penso di essermelo immaginato. Quando mi tiro indietro per osservarla, mi sta sorridendo furba. Socchiudo gli occhi e lei scuote la testa con un ghigno malizioso, poi si volta dandomi la schiena e tornando a prestare tutta la sua attenzione a Kevin seduto dal lato opposto al mio. Sbuffo in maniera teatrale, perché l'idea che il mio amico abbia deciso di tenersela tutta per sé questa sera mi fa incazzare da morire. Nessuno dei due sembra far caso al mio cattivo umore, continuano la loro conversazione alternandosi tra risate ad alta voce e sussurri così silenziosi da essere appena udibili.
Torno ad appoggiarmi al divanetto con il cattivo umore che sento lentamente montare. Presto a malapena l'attenzione a Jay che sta raccontando qualcosa a Mason facendolo sbellicare dal ridere, e dall'entusiasmo non indifferente di quest'ultimo deduco si tratti di una ragazza conosciuta al campus. Thomas è stranamente silenzioso e, come me, osserva i ragazzi con un leggero sorriso. Quando si accorge che lo sto guardando, alza la bottiglietta nella mia direzione, dopodiché entrambi beviamo un sorso. Something to remember di Matt Hansen risuona nelle casse facendomi perdere nelle note della canzone e accorgere a malapena che la cameriera ci sta servendo ciò che abbiamo ordinato. Mangio concentrandomi sulle conversazioni, sforzandomi di partecipare e di ridere alle battute dei ragazzi, ma la mia mente a tratti vola altrove facendomi risultare il solito stronzo di turno.
Mi impongo, almeno per una sera, di non pensare a tutto quello che sta accadendo nelle nostre vite. Eppure, ogni stramaledetto minuto ripenso alla conversazione avuta con mio padre qualche giorno fa in cui gli ho comunicato la mia decisione nell'intervenire a favore di Liv se fosse stato necessario. È stata la prima volta che l'ho visto terrorizzato dalla paura di perdermi, e per quanto so che era pienamente d'accordo con la mia decisione, dall'altra pregava che non fosse necessario. Ho provato a rassicurarlo meglio che potevo, soprattutto perché so che ultimamente ha la testa altrove per via del bambino in arrivo, ma vederlo così a pezzi a causa mia mi ha fatto male al cuore. Mi ha fatto promettere che qualunque cosa decidessi di fare non sarei stato avventato, che d'ora in poi avrei preso il tutto con le pinze. Dopodiché l'ho abbracciato stretto, e sono rimasto ad inalare il profumo dell'uomo che mi ha cresciuto per molto tempo.
«Alla fine ti hanno dato una risposta per l'incontro di boxe?» È Thomas a riportarmi al presente inserendomi nella conversazione.
Cinque paia di teste si voltano in contemporanea nella mia direzione, la sua compresa, in attesa di una mia risposta. Liv mi scruta con interesse, e questo perché con la storia che non stava bene non ho avuto modo di raccontarglielo. Mi pulisco la bocca con il tovagliolo prima di alzare le spalle con finta indifferenza, la realtà è che dentro sento una scarica di adrenalina da giorni che non vedo l'ora di sfogare.
Annuisco. «Sì, mi hanno chiamato qualche giorno fa. Ho un incontro tra un paio di settimane e so che inviteranno qualche pezzo grosso a vedermi.»
Mason si allunga per darmi uno scappellotto sulla testa. «Congratulazioni, cazzone.»
Jason e Kevin esultano con un fischio di approvazione in grado di attirare l'attenzione di mezzo locale, mentre Liv mi da una spintarella giocosa con la spalla. Si sporge verso di me intrappolandomi le guance tra le sue mani prima di darmi un bacio delicato sulle labbra. Sorrido a quel gesto, perché so che qualsiasi cosa facesse mi farebbe sciogliere come neve sotto il sole.
«Sono fiera di te» mi mormora sulle labbra. «Tanto fiera di te.»
Inspiro... Accidenti se ha un buon odore.
«Ammetti che sei curiosa di vedermi tutto sudato e con gli addominali in bella vista.»
Sorride maliziosa incrociando le braccia dietro al mio collo. «Oh sì, vengo solo per vedere tutto il sex appeal che c'è in quella palestra.»
Le pizzico un fianco guardandola in cagnesco. «Ti divertirai, piccola stronzetta, ne sono sicuro.» Le do un altro bacio, questa volta lo prolungo un po' di più per potermi godere meglio la sensazione delle sue labbra morbide sulle mie. Inspiro di nuovo.
Dio... mi sento come se fossero giorni che non la vedo.
Sospira quando finalmente le permetto di staccarsi. «Non ne dubito.»
Una patatina mi arriva dritta in faccia. Sbuffo sviando di poco lo sguardo dagli occhi azzurri di Liv per portarli in quelli altrettanto chiari di Thomas. «Che c'è?» chiedo irritato. Liv nasconde il viso contro il mio collo trattenendo a forza un sorriso.
Thomas ride contagiando i ragazzi, poi me ne lancia un'altra. «C'è che ogni tanto vi dimenticate che non siete soli e che noi stiamo sentendo tutto.» Indica sé stesso e i presenti al tavolo.
Scuoto la testa senza capire quale sia il problema. «E quindi?» dico, anche se avrei voluto ribattere con: "E a me che cazzo me ne frega?"
«E quindi...» Thomas sta afferrando una nuova patatina pronta a lanciarla, quando mi stacco da Liv per sporgermi verso il suo piatto e toglierglielo da sotto il naso.
Lo fulmino, e lui alza gli occhi al cielo ridacchiando. «Se ci provi un'altra volta te le rovescio in testa» lo minaccio, con scarsi risultati direi visto che mi sembra più divertito che offeso.
Kevin mi afferra il piatto dalle mani e se lo posiziona sul tavolo davanti a sé, poi inizia a mangiucchiare le patatine divertito dalla situazione. Mason sta spalleggiando Thomas, come ovvio che sia, mentre Jason e Liv assistono divertiti al battibecco.
Quand'è che mi sono scelto degli amici così idioti? Penso, ma in verità sto provando con tutte le mie forze a non scoppiare a ridere, soprattutto perché ora Thomas e Mason mi stanno sbeffeggiando imitando la mia voce. Li mando entrambi a fare in culo prima di riacciuffare Liv e di riportarmela tra le braccia. È felice di accoccolarsi a me, lo sento da come si sistema comoda e si rilassa con la schiena premuta contro il mio petto. A me basta questo per stare bene, per riacquisire il controllo e lasciare scivolare via la leggera irritazione di poco fa.
«Ehi, Tommy, avete idea di quando riuscirete a passare a trovarci? Zoe mi manca così tanto» mormora dopo un po' Liv, con la voce leggermente incrinata.
La stringo un po' più forte, perché so quanto sente la mancanza della sua amica. È la stessa sensazione che provo io a stare così tanto tempo separato dai ragazzi. Anche se sono delle grandissime teste di cazzo, mi mancano. Abbiamo passato anni interi a frequentare le stesse scuole e di conseguenza eravamo sempre l'uno accanto all'altro, mentre ora ho solo Mason. Mi manca passare del tempo insieme a loro, vivere la loro quotidianità come un tempo, ridere insieme e viverci alla giornata.
Il mio amico beve un sorso della sua cola light prima di risponderle, e dal suo sguardo triste deduco che anche a lui manchi passare il tempo con Zoe. «Spero presto, Liv. Ne abbiamo parlato un paio di giorni fa, e forse per il fine settimana del giorno del Ringraziamento dovrei riuscire ad andare a trovarla. Magari potremmo organizzarci e venire fino a New York.»
«Ma hai solo due giorni di tempo per stare con lei, Tommy. Non è giusto chiederti di guidare tutte quelle ore.»
Thomas alza le spalle facendo un gesto liquidatorio con la mano. «So che anche tu le manchi, perciò non sarebbe un problema.»
Tamburello le dita sul tavolo pensando ad una soluzione valida.
«E se festeggiassimo il giorno del Ringraziamento tutti insieme?» chiedo, e le stesse cinque paia di teste di prima tornano a prestarmi attenzione. «Voglio dire, i nostri genitori hanno deciso per quest'anno di non raggiungerci visto la situazione di Amanda, e io e Liv non possiamo continuamente fare su e giù tra New York e Los Angeles» continuo.
«Giusto, il bambino in arrivo» interviene Jason battendosi una mano sulla fronte. «Congratulazione, ragazzi, sarete dei fratelli fantastici» dice, imitato dagli altri.
Liv sorride ringraziandoli, poi mi accoccolo contro di lei prima di continuare. «Potreste venire tutti quanti su da noi. Credo che per un anno le vostre famiglie possano fare uno sforzo e festeggiare senza di voi, no?»
I ragazzi sembrano pensarci su. Kevin si pulisce le mani unte di fritto sul tovagliolo, poi allunga un braccio sullo schienale e scrolla le spalle. «Per me non c'è problema, in ogni caso so che i miei volevano farsi un fine settimana da qualche parte quindi probabilmente mi sarei ritrovato a dover fare da baby sitter alla mia sorellina.» Fa una smorfia, come se quell'idea gli facesse venire il mal di testa. «Ci sto, voglio allontanarmi da quella serpe di dieci anni» borbotta.
Annuisco ridacchiando imitato da Liv, poi mi volto a guardare Jason che sta riflettendo sulla mia proposta osservando lo schermo del cellulare con la fronte aggrottata. Dopo un po' il telefono gli vibra tra le mani, e lui ci mostra lo schermo con un sorriso. «Mamma ha detto che va bene, ma pretende che ci sia un enorme tacchino ripieno ad aspettarci.»
A quelle parole Liv scoppia a ridere. «A quello penserà Jackson, cucina come un Re.»
Alzo gli occhi al cielo beccandomi una sua gomitata nello stomaco «Ehi! Dagli un po' di fiducia» dice guardandomi torva.
«Se avessi voluto morire avvelenato, avrei ingoiato direttamente veleno per topi, amore mio.»
«Sei proprio uno stupido» sbotta pizzicandomi il braccio. In risposta, riesco a darle un bacio sulla guancia ridacchiando prima che possa tirarmi un pugno nello stomaco.
Mason si schiarisce la gola attirando la nostra attenzione, poi fa una smorfia. «Non so, ragazzi. Io e Ellie ci siamo lasciati da poco, e le cose tra me e Allen non sono semplici. Non vorrei rovinare l'atmosfera.»
Liv lo guarda sporgendo leggermente il labbro inferiore, e io so che nonostante il loro ultimo battibecco entrambi tengono l'uno all'altro. Per cui Mason sospira e le regala un timido sorriso. «Ci penserò su.»
Poi tutti ci voltiamo verso Thomas, che questa volta sembra nervoso. Quando ci becca fissarlo in attesa, si passa una mano nei riccioli e poi intreccia entrambe le mani dietro alla testa. «Se a Zoe va bene per me è okay, ragazzi. Avrei comunque passato quella giornata con lei.»
Io e Liv ci scambiamo un'occhiata soddisfatta, e dopo averne discusso ancora un po' cercando di organizzare per bene il viaggio, ordiniamo il dolce sotto gli strilli estasiati della ragazza più bella del mondo. Un oretta più tardi decidiamo di uscire a fare due passi, e solo dopo esserci alzati da tavola Mason mi da un colpetto alla spalla facendomi voltare nella sua direzione.
«Guarda un po' chi c'è.»
Con un cenno mi indica un punto alle mie spalle, e quando mi giro per guardare noto Carol seduta da sola ad un tavolo intenta a mangiucchiare una tristissima insalata. Ha gli occhi puntati sul cibo, ma perfino da qui riesco a notare la tristezza stampata sul suo viso. La osservo masticare lentamente, avvolta da uno spesso maglione bianco che non riesce però a celare la magrezza del corpo e le rotondità che ha perso in questi mesi. I suoi capelli lunghi e corvini sono racchiusi in una semplice coda bassa e non ha un filo di trucco. Dettagli che quasi un anno fa mi sarebbero sembrati impossibili, ma che ora sembrano la sua quotidianità. A tratti mi ricorda Liv nel suo periodo peggiore, con la differenza che lei aveva amici e famiglia pronti ad aiutarla, mentre Carol è completamente sola. Sospiro amareggiato.
Due braccia mi avvolgono il corpo, e non ho bisogno di voltarmi per sapere a chi appartengono. Liv mi posa un bacio delicato sulla schiena, ed io mi volto verso di lei regalandolole un sorriso dolce. Il suo sguardo, però, è puntato sulla mia ex ragazza, e stranamente non è rabbia quello che le leggo sul viso, bensì dispiacere. Appoggia la testa contro il mio petto mentre entrambi lanciamo di tanto in tanto occhiate verso Carol. Invito i ragazzi ad iniziare a uscire dal locale mentre osservo Liv mangiucchiarsi un unghia indecisa su cosa fare.
Le tolgo la mano di bocca e i suoi occhioni si sollevano nei miei.
«Vuoi andare a parlarle?» le chiedo.
Si acciglia. «Io? In realtà stavo pensando che potresti farlo tu. Parla con lei, offrile un gelato, non lo so. D'altronde, chi la conosce meglio di te?»
Sbatto le palpebre confuso. «Mi stai invitando a passare del tempo insieme lei? Ti senti bene?»
Liv ridacchia dandomi un pizzicotto al fianco. «Be', non è che voglio proprio che torniate a frequentarvi, è che... mi sembra così sola, Logan. Non sta passando un bel periodo, sua madre non ce mai e da quanto vedo nemmeno le sue amiche si sono più fatte vive. Credo che non potrò mai capire fino in fondo quello che prova, ma so che ha bisogno di qualcuno che le stia vicino, e tu... tu l'hai amata e lei ha amato te, perciò...»
«Non ero innamorato di lei» la fermo guardandola dritta negli occhi. Quando le prendo le guance con le mani, la sento sollevarsi sulle punte per avvicinare il viso al mio.
«Tu, Liv, tu sei l'unica che io abbia mai amato. Da quando i miei occhi hanno incontrato i tuoi mi sono perdutamente innamorato di te, e dopo non ce più stata nessun'altra. Né prima, né dopo. Ti è chiaro questo?»
Liv deglutisce, prova a distogliere gli occhi ma la mia presa salda e lo sguardo determinato che ho glielo impediscono. «Sì» mi risponde, schiarendosi la voce. «Ma rimango convinta che tu sia la persona più vicina ad un amico che ha, e ti stai battendo per far si che lei abbia la giustizia che merita. Parla con lei, Logan, prometto che non darò di matto.» Mi accenna un sorriso di incoraggiamento.
Torno a posare lo sguardo su Carol, che ora ha smesso di mangiare e si sta passando una mano sotto gli occhi probabilmente per cancellare le lacrime che non è più riuscita a trattenere. Chiudo gli occhi per una frazione di secondo, indeciso sul da farsi, poi sospiro pesantemente.
«Sei sicura di questo? Voglio dire, non le devo nulla, Liv, e so che non si aspetta niente da me. Sono solo preoccupato che questo sia un problema per te e che cerchi di nascondermelo.»
Lei scuote appena la testa. «Forse è ora di maturare un po', non credi? Io ti amo, Logan, e so che tu ami me.» Scrolla le spalle incrociando le braccia dietro la mia nuca. «Non farò una scenata di gelosia perché mi fido di te, e tu dovresti fare la stessa cosa.»
Inarco le sopracciglia un po' indispettito. «E con questo cosa vorresti dire?»
«Voglio dire che devi permettermi di uscire con Matt senza dare di matto. Lo sai che è solo in modo professionale, ho chiarito tempo fa le cose con lui.»
Scuoto la testa. «Assolutamente no. Non mi fido di quel Donson o come si chiama.»
Liv alza gli occhi al cielo. «È Donovan il suo cognome, e non gli renderai le cose semplici se passerai la serata a fissarlo in cagnesco. Lascia che me la cavi da sola, e intanto tu vai ad occuparti della tua ex ragazza, che al mio ci penso io.»
Stringo i denti e un muscolo sulla mia mascella ha un guizzo. «Non mi piace per niente questa prospettiva. Preferivo quando detestavi Carol e io potevo odiare quell'uomo fatto di pasta frolla senza problemi.»
«Uhm, già. Anche io avrei preferito non trovarmi un ragazzo geloso e possessivo, ma non possiamo sempre avere ciò che vogliamo. Giusto?»
Mi lancia un sorrisetto impertinente, e le mi mani scivolano sul suo corpo premendolo contro il mio. Le poso le mani sui fianchi facendola arretrare sotto gli occhi di tutti e spingendola contro la porta dei bagni. Fanculo a chiunque ci veda, voglio solo baciarla e perdermi in lei, nella sua bellezza, nel suo profumo.
«Che stai facendo?» strilla ridendo quando la intrappolo tra il mio corpo e la porta alle sue spalle.
Le mie mani trovano il suo sedere tondo, lo strizzano forte portando di conseguenza il suo corpo a scontrarsi con il mio. Le sue piccole e bellissime mani s'infilano sotto la felpa del mio vecchio college e le sue unghie mi si conficcano nella pelle come artigli affilati di una tigre. Le sorriso malizioso, e lei si limita a scuotere la testa divertita. Avvicino la bocca alla sua senza però baciarla, e il suo respiro caldo mi fa rabbrividire. Sento il suo cuore martellare nel petto all'impazzata, costringendola a respirare con irregolarità.
«Ti sto solo ricordando che sei mia, che io sono tuo e che questa stupida decisione di riappacificarci con i nostri ex non mi impedirà di scoparti con la forza stasera proprio contro una porta simile.»
Liv arrossisce di colpo, ed io ne approfitto per baciarla con trasporto mozzandole così del tutto il respiro. La presa sulla mia schiena si fa più salda, e le mie mani le stringono con così tanta forza il sedere che riesco a sollevarla di qualche centimetro. Sento l'erezione pulsarmi violentemente contro i jeans, e al suo gemito strozzato dalle nostre labbra ancora incollate lo sento diventare di marmo. Mi stacco dalla sua bocca con riluttanza, le permetto di incamerare aria e appoggio la fronte contro la sua. Chiudo gli occhi tentando di riprendere il controllo, perché sono giorni che non abbiamo più avuto rapporti fisici e ho così bisogno di entrare dentro di lei che mi sembra di impazzire. Riapro gli occhi solo per vedere il suo petto che si alza e si abbassa in modo non ritmato. Liv solleva la testa e allunga il collo per riuscire a guardarmi negli occhi; a volte penso che è così piccola che potrei facilmente infilarmela nella tasca. La sua mano scende lungo la colonna vertebrale provocandomi un brivido e si aggancia alla curva del mio sedere. Le regalo un sorriso furbo al quale lei risponde nel medesimo modo.
«So per certo che sei uno che mantiene la parola data, perciò stasera mi aspetto davvero che adempi a questa promessa, Logan» mormora sfiorandomi le labbra con le sue.
Cazzo. Rabbrividisco. Questa donna bella e cazzuta è la cosa più vicina alla perfezione che conosco. Le sfioro il naso inspirando per la millesima volta questa sera il suo odore di buono. Le gambe sono così malferme che mi sembra di stare in bilico su una fune, e quando mi guarda con l'intensità con cui sta facendo in questo momento, mi sembra di perdere del il briciolo di lucidità che a stento mi appartiene.
«Fatti trovare pronta» le dico, dandole un bacio delicato all'angolo delle labbra. Dopodiché, mi allontano da lei lasciandola ancora ansimante e premuta contro la porta del bagno. «Ci vediamo più tardi, amore.»
«Logan?» mi richiama prima che mi sia allontanato troppo.
Mi volto, i suoi occhi si socchiudono appena e le braccia si incrociano sul petto. Il collo è tinto di diverse sfumature di rosso, i suoi bellissimi capelli corti sono scompigliati come se si fosse appena alzata dal letto, e le labbra invitati sono ancora più carnose e gonfie del solito. Sorrido nel sapere di essere io il colpevole di quell'aspetto "trasandato".
Accorgendosi di come la sto guardando, fatica a mantenere lo sguardo serio. Poi alza il mento con sfida. «Ricordati che sei mio, Logan, e che non ho intenzione di condividerti con nessuna. Perciò, stai attento a ciò che fai.» Le sue parole dovrebbero suonare come una velata minaccia, eppure mi provocano una risata che sgorga dal profondo, perché in questo momento la Liv incazzata assomiglia di più ad un chihuahua con la rabbia.
Mi lancia uno sguardo truce ed io indietreggio alzando le mani in segno di pace.
«Ti amo tanto anche io. Ci vediamo a casa.»
Carol sobbalza sul posto quando mi siedo sul divanetto di fronte a lei. Alza di scatto la testa nella mia direzione, e i suoi occhi si sgranano appena, confusi nel trovarmi lì.
Già, sono confuso quanto te. Eppure, le regalo un sorriso sincero e incrocio le mani sul tavolo.
«Ciao» le dico, scrutandola in viso. «Ti senti bene?»
Al suono della mia voce sembra tornare in sé, sbatte le palpebre contornate da ciglia estremamente lunghe, poi un po' a disagio afferra con le dita una ciocca di capelli color onice e se la infila maldestramente dietro l'orecchio. Dio, se avessi visto una scena del genere un anno fa non ci avrei creduto. Carol sembra più piccola di come ricordavo, come se fosse stata spezzata e poi sbattuta sul ciglio della strada come se non fosse nient'altro che spazzatura. Le evidenti occhiaie sotto gli occhi sembrano confermarlo, ed io mi ritrovo a chiedermi come può riuscire a tirarsi su dopo quello che ha passato.
Timida sotto il mio sguardo, si schiarisce la voce prima di infilarsi entrambe le mani sotto le gambe. «Ciao» gracchia con voce tirata, segno che ha pianto e anche molto. «Insomma, tiro avanti.» Fa una pausa, si guarda attorno circospetta facendo sguazzare gli occhi per tutto il locale, poi torna a fissare il piatto. Diamine, è irriconoscibile. «E... tu? Sei qui da solo?»
Scuoto la testa. «No, ero con i ragazzi fino a qualche minuto fa. Aspetti qualcuno o...?»
Anche lei scuote la testa con veemenza. «Non verrà nessuno immagino» borbotta.
«Che significa?»
Fa un respiro tremolante e, per la prima volta, si azzarda a guardarmi. Gli occhi sono lucidi e gonfi, mentre le sue guance sono leggermente arrossate. Voglio crede che sia il caldo e non la mia presenza a farle questo effetto. «Avevo invitato qui una persona, ma è un po' che lo aspetto e non si è fatto vedere.» Scuote le spalle come se non le importasse, ma in realtà si vede benissimo che ci è rimasta male. Poi, però, sul suo viso si apre un finto sorriso, uno di quelli che ormai ho imparato bene a riconoscere.
«Be', che mi importa? Al mondo ci sono così tanti ragazzi, e poi con tutto quello che sta succedendo nella mia vita non ho nemmeno il tempo di pensare a spassarmela, non trovi?»
Ricambio il sorriso anche se però non arriva agli occhi. «Se non si è presentato significa che è un coglione. Starai meglio senza.»
La sua testa s'inclina e, soppesandomi con lo sguardo, dice: «Chi sei tu, e che ne hai fatto del Logan arrogante e scorbutico che conosco?»
«Stasera è in letargo» le rispondo con una scrollata di spalle, e a lei scappa uno sbuffo nasale.
«Cazzate. Seriamente, che ci fai qui? Sono stupita di non avere ancora visto Olivia spuntarmi alle spalle per poi sgozzarmi davanti a tutti.»
Ridacchio, fermo la cameriera e ordino un caffè. Dopodiché torno a guardarla. «E se ti dicessi che questa» ci indico entrambi con l'indice, «è stata una sua idea?»
Aggrotta la fronte, ma poi il suo sguardo si fa guardigno. «Perché?»
«Oh dai, non esserne stupita. So che quest'estate vi siete sentite diverse volte e che vi siete state vicino nonostante tutto.»
«È vero» conferma. «Ma ci siamo sempre e solo parlate telefonicamente. Se ha mandato te a... non so ancora perché sei qui, in ogni caso trovo che ci sia dietro una valida motivazione.»
La cameriera arriva porgendomi una tazza di caffè e interrompendo momentaneamente la conversazione. La ringrazio gentilmente congedandola, ma lei sembra non avere alcuna fretta, per cui torno a guardarla. Il sorriso intrigante che mi sta riservando lascia poco spazio all'immaginazione. Mi guarda con... adorazione? Desiderio? Poco importa in realtà, però sono costretto a distogliere lo sguardo dal suo per non darle false speranze. Sento gli occhi divertiti di Carol puntati addosso, e solo quando alza la testa verso la cameriera e in tono brusco le dice: «Sciò!» Accompagnato da un clamoroso gesto con la mano, mi lascio sfuggire una vera risata.
«Grazie» le dico poi, sempre divertito. Bevo un sorso di caffè pensando che avrei voluto che Liv assistesse alla scena, l'avrebbe trovata molto esilarante.
Carol sta ancora fissando il punto in cui la cameriera si è dileguata sistemandosi la coda bassa come se si stesse preparando ad un incontro di wrestling, poi riporta l'attenzione su di me. «Dopo tutto questo tempo ancora non hai imparato a liberarti di queste sciocche ragazze?»
Sospiro. «Sono meno richiesto di quello che immagini.»
Inarca un sopracciglio scuro. «Ne dubito. In ogni caso: prego. Vuoi dirmi perché sei qui?»
«Il caffè in questo posto è squisito» le rispondo.
«Qui con me, Logan.» Alza appena gli occhi al cielo.
La osservo senza dire niente, poi poso la tazza sul tavolo e mi appoggio di schiena al divanetto. «Volevo sapere come stai, Carol. Gli ultimi giorni sono stati...» Mi passo una mano sul mento, sfregando la leggera peluria che mi punge la pelle. «... pesanti. Ho visto a malapena tua madre in questi giorni. Ti sta vicino?»
Si lascia scappare un sospiro dalle labbra, si passa una mano sul viso e poi imita la mia stessa posizione. «Più o meno, sai com'è fatta. Lei e il mio patrigno hanno deciso di vendere la casa, credono di riuscire a ereditare la fortuna di mio padre.» Sbuffa. «Quel coglione non è morto, anzi di tanto in tanto lo vedo aggirarsi fuori casa, ma fortunatamente l'ordine restrittivo nei miei confronti gli impedisce di avvicinarsi troppo.»
«Cazzo!» Sbatto un pugno sul tavolo. «Carol, vattene da quella casa! Prendi la tua roba e segui tua madre in qualunque posto abbia deciso di andare a vivere. Non puoi rischiare di trovartelo di fronte, sai che non finirebbe bene!»
«Lo so, Logan, è mio padre. Conosco ogni sua sfaccettatura, so come ragiona e ho diritto di credere che non farà alcuna mossa sbagliata che lo metta in una posizione rischiosa.»
«È un uomo pericoloso, non puoi sapere quando perderà di nuovo la testa. E se entrasse in casa mentre sei sola? Che cosa conti di fare?»
Chiudo le mani a pugno con così tanta forza da sentire le ossa scricchiolare. Ogni tanto vorrei che attraversasse la strada mentre sto guidando, credo che non ci penserei due volte a prenderlo sotto senza alcun rimorso. Lo odio quel grandissimo figlio di puttana. Merita di marcire in galera per il resto della sua vita, ma non prima di aver imparato la lezione. Se ancora non ho fatto nulla è solo perché l'ho promesso a mio padre, a Liv, a me stesso. Ho giurato che non sarei ricaduto in quel buco nero che grida vendetta da che ho memoria, devo lasciare che la giustizia faccia il suo corso. Sono solo un piccolo insetto che corre per scappare dalle grinfie di uno Stato che non ti lascia via di scampo.
«Se dovesse succedere... questa volta lo ucciderò» dichiara seriamente.
Scuoto la testa sporgendomi verso di lei. «Non parli sul serio, Carol. Non sei una cattiva persona, e il pensare in questo modo sarà la tua rovina.»
Una lacrima sfugge al suo controllo, e lei la scaccia come se le avesse bruciato una guancia. «Sono cambiate molte cose, Logan. Io sono cambiata, non sono più la ragazza di un tempo.»
Addolcisco lo sguardo. «Questo lo vedo. Credo che tu sia diventata una persona migliore, la versione migliore di te stessa. Sai, quando ti ho conosciuta eri una stronza narcisista» dico, e lei sbuffa accennando un sorriso.
«Lo sono ancora» mormora, con la voce tirata dal pianto.
«Però hai capito per che cosa vale la pena di lottare, e hai imparato a non impugnare sempre la spada dal lato del manico. Questa Carol, è quella che io preferisco.»
Le sorrido.
Il suo sguardo s'illumina per un secondo, dopodiché quel bagliore di luce si spegne con la stessa velocità. «Eppure, hai scelto di andartene.»
Affloscio le spalle, perché sapevo che prima o poi ci saremmo trovati nuovamente di fronte a questa conversazione. «Non ero quello giusto per te, Carol, e se anche lo fossi stato non ero in grado di amare nessuno come merita. Ho dovuto prima fare i conti con il mio passato e con tutta l'oscurità che minacciava di risucchiarmi continuamente. Solo a quel punto ho capito di essere pronto ad amare qualcun altro. E quel qualcuno è Olivia, è sempre stata lei.»
Carol annuisce sovrappensiero, gli occhi ancora lucidi e lo sguardo triste. «Credo di averlo sempre saputo, o meglio speravo che un giorno potessi accorgerti che non ero poi così male. Forse nemmeno io ero pronta ad impegnarmi seriamente.»
«Credo che tu ti sia aggrappata a me perché ti sentivi sola.»
«È vero. Avevo un padre violento, una madre assente, una sorella che si era trasferita dall'altra parte del mondo e con cui avevo un rapporto difficile, amiche che non lo sono mai state fino in fondo. Tu eri l'unica persona che stava con me perché voleva starci e non perché era obbligato, per cui mi sono appigliata a te come se fossi il mio salvagente. Forse non è mai stato vero amore.»
«Qualunque cosa sia stato, ci siamo voluti bene, Carol. Non sono pentito di nulla, benché meno di averti salvata più volte da quell'uomo di merda.»
Le sue labbra si sollevano timidamente in un sorriso, allunga poi un braccio sul tavolo porgendomi la mano. Ricambio la stretta senza pensarci due volte, e sentendo di essermi liberato di po' di quel peso che mi opprimeva la schiena quasi da schiantarmi al suolo. «Non smetterò mai di ringraziarti, Logan, e un grazie lo devo anche ad Olivia. Non è poi così male, ma non dirle che ti ho detto una cosa simile.»
Rido stringendo la sua mano. «Non lo farò» le prometto, anche perché so che Liv gongolerebbe per giorni se lo sapesse. «Ci sarò sempre per te, Carol.» La guardo dritta negli occhi, consolidando così questa promessa.
Ricambia la stretta. «Vinceremo la causa, Logan. Io e Liv avremo la giustizia che meritiamo, e questo anche grazie a te.»
Annuisco deciso, poi stacco le nostre mani e faccio per alzarmi. «Ti va un gelato al volo? Conosco un posto che fa le coppe migliori del mondo.»
Carol si asciuga gli occhi con entrambe le mani, prende un respiro profondo e poi alza gli occhi nei miei in un tacito ringraziamento. «Molto volentieri.»
È passata una settimana da quando siamo tornati a New York e io sono già incazzato nero. Le urla esaltante dei miei compagni di squadra mi perforano i timpani e mi fanno venire voglia di strangolarli uno ad uno. Abbiamo vinto l'amichevole contro i Bears della Brown, ed ora quei cazzoni stanno festeggiando nello spogliatoio tra schiamazzi e grida di gioia, mentre io sono rintanato in un angolo a fissare lo schermo del cellulare da cinque minuti. Il messaggio di Liv dice solo:
Liv: In bocca al lupo, amore! Avrei tanto voluto essere lì, ma ci rifaremo alla prossima partita. Ho sentito Matt, stasera era finalmente libero, perciò mangiamo qualcosa al volo e intanto parliamo del caso. Per favore, non stare in pensiero per me. Andrà tutto bene. Ti amo. Ps: FORZA BULLDOGS!
La partita si è svolta nell'Università della Brown, che dista quasi due ore da Yale, quindi per lei sarebbe stato complicato venire a vedermi, ed io non ho avuto la possibilità di portarla con me perché la nostra squadra viaggia sui pulmini durante le trasferte. L'entusiasmo post vittoria scema lentamente quando rileggo quel messaggio per la ventesima volta, e mi sento un perfetto cretino per questo. So che sta bene, che è al sicuro e che si trova insieme a lui solo per una questione professionale. Tuttavia, l'idea che lui sia con lei in questo momento mi fa ribollire il sangue nelle vene.
Fottuta gelosia. Odio sentirmi in questo modo, e odio ancora di più non riuscire a controllare la sensazione sgradevole che sento partirmi dallo stomaco e farmi a pezzi le budella.
Reed entra nello spogliatoio con un grido di battaglia che mi fa alzare gli occhi dallo schermo per scrutarlo con un sopracciglio inarcato. Pagliaccio vanitoso ed egocentrico. Glielo direi senza problemi in faccia se non fosse che in fin dei conti è un ottimo capitano ed è riuscito a guidare l'intera squadra alla vittoria con una bravura estrema che io non ho mai posseduto. Sono convinto che farà carriera nel football, e dall'enorme sorriso del coach - suo padre - deduco che anche lui sia molto fiero del figlio. Reed stappa una bottiglia di champagne sotto le grida dei nostri compagni, mentre Avery e Mason si premurano di passare a tutti i quanti un bicchiere rosso da riempire. Quando Reed beve la schiuma direttamente dal collo della bottiglia, suo padre gli da uno scappellotto sulla testa che mi fa finalmente sghignazzare.
Dopo che mi viene riempito il bicchiere, beviamo tutti insieme un sorso sotto l'inno ridicolo dei Bulldogs cantato direttamente dal nostro capitano e poi, come da tradizione, intonato dall'intera squadra. Mi ritrovo trascinato in mezzo allo spogliatoio dai miei compagni, ancora sudato e con una spalla dolorante per via della scivolata sul prato bagnato, a cantare a fianco di Mason che ora mi ha fatto passare un braccio dietro al collo e ride di gusto. Alzo gli occhi al cielo canticchiando, Avery e Connor mi si affiancano dal lato opposto a Mason e Reed mi viene di fronte alzandomi un braccio al cielo.
Fa la medesima cosa con la bottiglia di champagne e grida: «Al nostro Wide Receivers, che grazie al suo ultimo e più importante Touchdown ci siamo portati la vittoria a casa!» L'intera squadra esulta. Pugni e manate mi colpiscono giocosamente petto e spalla, quella buona fortunatamente, e il mio accenno di sorriso fa ridere tutti quanti. Già, non sono uno che ama essere lodato davanti a tutti.
Faccio abbassare il tono di voce a tutti con diversi cenni della mano, e quando l'intera squadra ammutolisce, alzo il bicchiere in direzione di Reed. «Un grazie anche al nostro capitano per... be', per un Field Goal da urlo che però non è stato efficace e spettacolare come il mio Touchdown.»
Allargo il sorriso con strafottenza, l'intera squadra scoppia a ridere e Reed, con mia grande sorpresa, mi placca contro gli armadietti e finge di assestarmi pugni che si rivelano solo deboli cazzotti. Sta ridendo di gusto anche lui, ed è questo la cosa che più mi piace di questo ragazzo. Non è uno schifoso snob figlio di papà che va in giro a vantarsi solo perché è il Quarterback di una delle squadre più importanti della Ivy League. No, lui è un vero e proprio capitano in grado di salvare l'intera squadra quando ce n'è bisogno, e allo stesso tempo è disposto ad affondare insieme ad essa quando le cose vanno male. Reed mi piace.
Dopo aver bevuto e gioito ancora un po', il nostro coach ci rimette tutti all'ordine e tiene un monologo di dieci minuti sia per complimentarsi con l'intera squadra e dicendosi fiero di noi, e sia per sottolineare gli sbagli che ci sono stati. Nonostante ciò, non riesce comunque a buttare giù l'entusiasmo dei ragazzi che non vedono l'ora di fare ritorno a Yale per uscire a festeggiare. Una doccia calda e qualche barretta proteica dopo, siamo sul pulmino in direzione dell'Università. La spalla stretta in una fascia tutore mi fa un male cane e mi procura mal di testa per quanto pulsa. Ho già preso un antidolorifico, ma questi sembra non avere fatto nessun effetto.
Dio, spero non sia lussata. Mason, seduto al mio fianco, sonnecchia con la testa spiaccicata contro il vetro, mentre il resto dei miei compagni è sparso qua e là sui sedili. C'è chi ancora canta l'inno ad alta voce, chi come Mason dorme e chi chiacchera tra risate varie.
Prendo un respiro profondo e tiro fuori il telefono dalla tasca, rileggo per la milionesima volta il messaggio di Liv, dopodiché decido di telefonarle. Le ho già lasciato almeno due ore di spazio, ma adesso sento proprio il bisogno di parlare con lei in modo che mi rassicuri sul fatto che va tutto bene. Quando parte la segreteria, una gocciolina di sudore mi scivola lungo il collo e arriva alla base inferiore della schiena. Alla terza volta in cui la sua splendida voce mi dice che al momento non può rispondere, sono tentato di mettermi ad urlare. Lancio il telefono nel borsone ai miei piedi e provo a chiudere gli occhi per evitare di fare qualcosa di cui poi sicuramente mi pentirei. La tentazione di telefonare a Ellie è molta, ma ho promesso a Liv che avrei cercato di controllarmi e di non fare scenate, per cui regolarizzo il respiro e il battito eccessivo del cuore e provo a dormire.
Due ore dopo siamo nuovamente nei dormitori di Yale, cammino dritto e spedito nella mia stanza senza salutare nessuno seguito da Mason. Declino ogni invito ad uscire a divertirmi, perché voglio solo buttarmi sul letto e aspettare la chiamata della mia ragazza. Prima o poi tornerà a casa, giusto? Mi chiamerà per raccontarmi com'è andata, no? Butto il borsone sul letto e apro l'armadio per appendere la giacca alla gruccia e riporre le scarpe nel mobiletto adibito. Mason segue i miei movimenti in assoluto silenzio, imita i miei gesti e poi va a sedersi sul suo letto aspettando che io faccia la medesima cosa. Sono tentato di lasciarmi ricadere a faccia in giù sul materasso, ma la spalla dolorante mi ricorda che sarebbe un errore madornale, per cui mi appoggio alla testata del letto con una smorfia.
«Sei sicuro di non volere fare un giro in ospedale? Potrebbe essere lussata.»
Scuoto la testa chiudendo gli occhi e provando a rilassarmi. «Sto bene. Sono sicuro che domani mattina starò meglio» gli rispondo con non troppa convinzione.
«Sì, come no. Fino a che punto devi arrivare prima di decidere in autonomia di farti aiutare?» mi chiede con una nota di rimprovero nella voce.
«Prendo sempre botte simili, Mason. Purtroppo, è il rischio del mestiere.»
«Ma se nemmeno durante gli incontri di boxe, quando ti fai male sul serio, stai messo come adesso. Sei pallido, Logan. Non credo sia solo una "botta" da niente.»
Mi sforzo di sorridergli aprendo solo un occhio. «Sei come una mamma chioccia, lo sai?»
Mason fa una smorfia, poi con il piede mi da un leggero calcio alla gamba. «E tu sei una testa di cazzo, lo sai?» Poi si alza e si dirige al suo armadio. Lo spalanca studiandone il contenuto, dopodiché si libera di maglia e pantaloni rimanendo solo con i boxer grigi. «In ogni caso, fai come vuoi, ma prima di dormire prenditi un altro antidolorifico.»
«Stai uscendo?» gli chiedo, sistemando meglio il cuscino dietro la testa.
Mason si infila una maglietta nera e poi la felpa dei Bulldogs, i jeans neri e un paio di sneakers bianche ai piedi completano il look. Cammina fino alla scrivania e si spruzza una generosa quantità di profumo che mi fa tossire schifato.
«Sì, c'è una festa in una delle altre confraternite e ho proprio voglia di divertirmi.» Fa una pausa solo per infilarsi il giaccone spesso, poi torna a guardarmi con una smorfia. I capelli biondi e ribelli sono ancora umidi e gli ricadono molli sulla fronte coprendogli una parte degli occhi. «Mi chiami se qualcosa non va? Non ci metto niente a tornare indietro e ad accompagnarti in ospedale.»
Alzo il pollice nella sua direzione come risposta. «Mi darai anche un bacino sulla guancia prima di uscire?» Rido con un enorme sorriso.
Mason mi tira un cuscino addosso che a malapena riesco a schivare, poi alza il dito medio come saluto ed esce dalla stanza. Rimasto solo, mi limito a fissare il soffitto della stanza per minuti interminabili. Mi passo una mano sul viso stanco prima di ripescare dalla tasca il cellulare. Liv non ha ancora visualizzato la mia risposta al messaggio e nemmeno mi ha telefonato per rassicurarmi che va tutto bene. Sto lentamente cedendo al panico, lo sento montare e stringermi i polmoni in una morsa soffocante. Mi alzo dal letto con fatica, apro la finestra che da sull'esterno del cortile di Yale e inspiro la brezza fredda che filtra attraverso essa. Mi costringo a respirare, a non pensare al peggio. Lascio che la nebbia nella mia testa piano piano si disperga, non posso e non voglio cedere all'ennesimo attacco di panico che non farà altro che peggiorare la situazione.
Dopo essermi assicurato che il cuore sia tornato a battere ad una velocità normale, cammino a piedi nudi per la stanza e lentamente mi svesto. Prima la felpa, che con fatica riesco a far passare dalla testa, poi la maglietta e infine i pantaloni della tuta, che sono forse la cosa più semplice. Rimango con dei semplici boxer, e sono indeciso se buttarmi sul letto solo con quelli addosso o infilarmi un pigiama. Fa caldo, decisamente troppo caldo, per cui opto per la prima opzione. Il cellulare sul comodino vibra, ed io mi precipito letteralmente a controllare chi sia. Quando scorgo il nome di Liv che lampeggia sullo schermo, rispondo senza evitare trattenendo il respiro.
«Dannazione, quindi sei viva!»
«Scusami, scusami, scusami! Mi si era scaricato il cellulare e non ero a casa per caricarlo. Dove sei? Come stai? È andato tutto bene?»
La sua vocina spaventata e allo stesso tempo elettrizzata mi fa tirare un enorme sospiro di sollievo. «Sto bene» le dico, ancora con un nodo alla gola che fa fatica a sciogliersi. «E tu? Sei ancora con lui o...?»
La sento sorridere dall'altra parte della linea. «Mi ricordi qual è il codice per entrare nel tuo dormitorio? Tra cinque minuti sono da te.»
Il cuore prendere a battermi all'impazzata, e non riesco a fermare il mega sorriso che lentamente mi si apre sul viso. Sono così felice che potrei mettermi ad urlare nel corridoio e poi fiondarmi fuori nudo. Da quando siamo tornati a New York, io e Liv ci siamo visti a malapena. Entrambi siamo stati molto impegnati, e questa sarebbe la prima volta dopo molto tempo che abbiamo l'occasione di passare quel che resta della serata insieme.
«Dici sul serio?» le chiedo, cercando di mascherare l'entusiasmo.
Liv ridacchia. «Non vedo l'ora di baciarti, Logan.»
Se è possibile, amplio ancora di più il sorriso. «Non puoi capire che voglia ne ho io» le rispondo, poi le detto il codice e aspetto trepidante il suo arrivo camminando su e giù per la stanza.
Mi sento febbricitante ed euforico. Conto i minuti che passano sentendo uno sciame di farfalle volare indisturbate nel mio stomaco. Mentre l'ansia di rivederla prevale, un senso di oppressione si fa strada nel mio corpo, provocandomi una sensazione sgradevole che non dovrei provare in questo momento. Mi porto una mano sul petto all'altezza del cuore, premo con forza come se potessi farlo rallentare un po' ma ottenendo solo l'effetto contrario. Inspiro. Trattengo. Espiro. Butto fuori aria da polmoni malfermi. Ripenso alla scivolata sul campo da football, mi chiedo se per caso non ho sbattuto anche il petto a terra. Mi tasto alla ricerca di lividi che però non trovo, il che significa che questo insopportabile dolore arriva da dentro, ma perché?
Trovo la risposta solo quando sento bussare alla porta, mi precipito verso essa spalancandola di colpo e stampandomi sul viso un sorriso sofferente che scema nell'esatto momento in cui, invece che la figura bellissima di Liv, mi trovo davanti Lea in vestaglia da notte. Sbatto le palpebre confuso, il suo sorriso si allarga mostrandomi una fila di denti bianchissimi che sono in contrasto con la sua pelle scura. I capelli, solitamente ricci e folti, sono acconciati perfettamente sulla testa con diverse forcine e mollette. Gli occhi neri e grandi rivelano ciglia imbrattate di mascara e la bocca, che diverse volte si è ritrovata a succhiarmi il pene senza pudore, è colorata da un gloss lucido. Indossa solo una leggera vestaglia bianca che lascia poco all'immaginazione, ed è a piedi nudi.
Aggrotto la fronte. «Che ci fai qui?» le chiedo guardandola negli occhi e non cadendo nell'errore di osservarle nuovamente il corpo; vorrei evitare che pensasse di potermi fare ancora qualche effetto.
Lea si passa la lingua sulle labbra prima di mordicchiare quello inferiore. Mi scocca un'occhiata languida e carica di desiderio, e solo adesso mi ricordo di indossare solo dei maledetti boxer. Impreco mentalmente, e la sensazione sgradevole di star facendo qualcosa di sbagliato torna a premermi prepotentemente sullo stomaco.
La sua mano si allunga verso il mio torace accarezzandomelo. Mi scosto il giusto per farle capire che non sono interessato. «Lo so che ho detto in giro cose brutte sul tuo conto, Logan, ma mi manchi. Sono qui per darti un'altra occasione.»
Lei vuole dare a me un'altra occasione? Per poco non scoppio a riderle in faccia. Scuoto la testa divertito. «Senti, Lea, ci siamo divertiti in passato ma ora le cose sono...»
Non mi da il tempo di terminare la frase che mi spinge con entrambe le mani facendomi arretrare e incespicare. Mi spinge sul letto con una tale forza che non credevo possibile e, preso contro piede, non riesco ad impedirle di sedersi a cavalcioni sul mio grembo. Le mie mani si sollevano in automatico sgranando gli occhi, e la sua bocca si butta a capofitto sul mio collo leccandomi e mordendomi una porzione di pelle. Quel lieve dolore mi catapulta finalmente al presente. Le poso le mani sulle spalle costringendola a spostarsi e facendola poi alzare del tutto. Borbotto una serie di imprecazioni quando tenta nuovamente di avvinghiarsi a me senza ritegno.
«Porca puttana, Lea. Ma che cazzo ti prende?» La sollevo con così tanta forza da farla capitombolare per terra e fregandomene del lamento che emette. Non me ne frega un cazzo se si è fatta male. Mi alzo in piedi e la guardo in malo modo. «Tu hai dei seri problemi cazzo! Vattene da questa stanza, Lea.»
I suoi occhi, già di per sé neri, si adombrano di più mentre si alza in piedi aiutandosi con il letto di Mason. Mi da uno spintone così forte da provocarmi una fitta lancinante alla spalla. Che vada a farsi fottere, maledizione!
«Sei solo un arrogante bastardo!» mi urla contro, chiudendosi con foga la vestaglia come se volesse impedirmi di vedere altro.
Devo mordermi la lingua con forza per non insultarla. «Mi hanno detto di peggio.» Alzo un braccio e le indico la porta. «Fuori! Ora!» grido di rimando.
Mi sorpassa dandomi uno spintone voluto, poi la sento ridacchiare alle mie spalle e dire: «Spero che lo spettacolo sia stato di tuo gradimento. Ma non illuderti, tratterà anche te nella stessa maniera con cui ha fatto con me. Siamo solo dei giocattolini usa e getta per lui.»
Mi volto di scatto. Liv è ferma immobile sulla soglia da Dio sa quanto tempo, lo sguardo di ghiaccio puntato nel mio capace di congelarmi sul posto. Rabbrividisco e d'istinto smetto di respirare. Un'enorme lacrima calda e salata cade dal suo bellissimo occhio azzurro e le scivola sulla guancia fino ad arrivare al mento, e il mio cuore si spacca in due. Sollevo le mani con aria terrorizzata e faccio un passo verso di lei, pregandola mentalmente di non cedere a supposizioni sbagliate. Eppure, il suo sguardo è talmente freddo da lasciare poco spazio all'immaginazione.
«Liv, lasciami spiegare. Non è...» Mi costringo a prendere un respiro profondo sotto l'intensità emanata dai suoi occhi. «Cazzo, amore, non è come sembra. È entrata all'improvviso e...»
Alza una mano tremante fermandomi. Ammutolisco, dopodiché strappa qualcosa che era attorcigliata alla maniglia della porta e, con un respiro tremolante che sento fin qua, me lo lancia dritto in faccia. Lo afferro, e la rabbia che stavo tentando di placare inizia a montare lentamente facendomi vedere rosso. Fottuta Lea Martin! Una bandana rossa mi penzola tra le dita, e sarebbe un semplice e inutile pezzo di stoffa se non ci trovassimo ai dormitori di Yale. La bandana rossa legata alla maniglia viene lasciata da quelle coppie che gradiscono intimità e vogliono far capire a chiunque che non devono essere disturbate. In sostanza significa: stiamo facendo sesso, gira al largo!
Torno a guardare Liv, che ora ha abbassato gli occhi al pavimento e sta scuotendo la testa. «Non l'ho messa io, Liv. Devi credermi.» Faccio un nuovo passo verso di lei buttando la bandana a terra, ma quando solleva la testa i suoi occhi gettano fuoco e scintille nei miei bloccandomi sul posto.
Si porta una mano sulla bocca, piegandosi in due. «Mi viene da vomitare» mormora con un gemito strozzato prima di uscire dalla porta e di mettersi a correre via.
«Aspetta!» le grido dietro. «Maledizione Liv! Aspettami!»
Faccio per inseguirla lungo il corridoio, ma quando sono a metà mi ricordo di essere praticamente nudo e di non poter uscire così conciato per il campus. Per cui, torno in stanza quasi barcollando, con il fiato corto e il terrore che minaccia di seppellirmi vivo. Mi rivesto velocemente alla bell'e meglio, poi mi metto a correrle dietro come se ne andasse della mia vita. Sono fottuto, cazzo!
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