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Capitolo uno - Olivia

A volte non hai il tempo di accorgertene,
le cose capitano in pochi secondi. Tutto cambia.
Sei vivo. Sei morto.
E il mondo va avanti.
Siamo sottili come carta.
(C. Bukowski)

Due settimane prima

«FORZA, Liv! Non abbiamo tutto il giorno!» urla nel mio orecchio Amanda.
Sì, quell'isterica di mia madre.
È esattamente così che ha inizio il mio primo giorno a New York, con mia mamma che mi urla di muovere il culo e trascinare su per le scale la valigia più tre scatoloni pieni, e con me dietro che non smetto di farle il verso.

«Non potevi lasciare qualcosa a casa? Te lo avremmo spedito il mese prossimo!» continua imperterrita.
Con una mano attaccata al corrimano, la valigia nell'altra ed uno zaino in spalla, mi volto di scatto verso di lei, trucidandola con gli occhi.
«Stai scherzando, vero? Questa non è opera mia, mamma!» Le indico gli scatoloni. «Sei tu che mi hai riempita di roba. Neanche dovessi trasferirmi in Australia!» replico, vagamente infastidita.
Lei alza gli occhi al cielo, poi scuote le spalle e, afferrando lo scatolone più leggero, mi sorpassa. Il ticchettio dei suoi tacchi vertiginosi rimbomba sugli scalini ad ogni passo che compie, irritandomi ancora di più.

«Certo, ho dovuto! Poi ti saresti lamentata di non avere abbastanza vestiti da indossare!»
Spalanco la bocca sconvolta. Le brucio la nuca e la seguo su per le scale a fatica. Sono ancora più infastidita. «Questa sei tu mamma, non io.»
«Ragazze, insomma! Ci penso io a portare tutto in casa, d'accordo?» La voce esasperata di James rimbomba per le scale, producendo un eco fastidioso.

Entrambe ci voltiamo di scatto verso di lui. «No!» gridiamo all'unisono.
James arrossisce, poi sospira sconfitto.
No, era una questione di priorità. Era stata mia madre ad impormi di portare tutta quella roba, per di più inutile, e ora non avrei lasciato che quel poveretto di James facesse tutta la fatica al posto suo.

Mia madre mi fulmina, io sbuffo, poi finalmente arriviamo al pianerottolo dandoci spallate volute. Mi volto alla ricerca dell'ascensore, che per mia sfortuna trovo rotto. Il mio cuore martella all'impazzata e ho il respiro affannoso.
Dio, devo tornare ad allenarmi. Sono fuori forma.

Busso alla porta un paio di volte e, nel mentre, riprendo fiato. Sono solo tre rampe di scale, ma con tutto quel peso mi sembra di aver scalato l'Everest. Una manciata di secondi dopo la porta si apre di scatto. La mia migliore amica lancia un gridolino non appena mi vede, poi mi salta in braccio. Lascio ricadere tutto a terra e ricambio la stretta facendola incespicare all'indietro. Mia mamma impreca perché la valigia l'è caduta sui piedi, poi si fa spazio per entrare nel nuovo appartamento e va incontro alla mamma di Ellie.

«Finalmente siete arrivati!» esclama quest'ultima alzandosi dalla poltrona e andandole incontro.
«L'aereo ha avuto un ritardo di due ore, santo cielo! Poi con tutto il traffico che ha questa città ci abbiamo messo il doppio del tempo ad arrivare.»

Si abbracciano e si salutano con un bacio sulla guancia, poi mia madre si sfila i tacchi lanciandoli in un angolo del salotto e si lascia ricadere esausta sul nuovo divano in pelle beige. Quando finalmente Ellie smette di stritolarmi e mi lascia entrare, noto con piacere che entrambi i suoi genitori sono qui. Corro ad abbracciarli, ed Ellie fa lo stesso con mia madre e James. Poi mi guardo finalmente attorno, e quello che vedo mi lascia piacevolmente sorpresa. I nostri genitori hanno deciso che ci avrebbero pagato un appartamento a pochi passi dal college, lontano dal trambusto dei dormitori, dai bagni in comune e, soprattutto, dai ragazzi.

Conoscendo Richard Walker la cosa non mi aveva stupita per niente e, se dovevo essere sincera, per quanto l'esperienza dormitori sicuramente sarebbe stata elettrizzante, l'idea di avere un posto pulito e tutto nostro non mi dispiaceva affatto. Faccio un giro su me stessa e mi guardo attorno.
L'appartamento è spazioso e luminoso, con i mobili di un grigio chiaro e con il pavimento in un finto parquet. Le pareti bianche sono adornate da quadri vari e di fotografie di me e Ellie, e le tende sono di un blu fiordaliso. Sorrido, immaginando sua mamma mentre appende le foto al muro orgogliosa di chi siamo diventate ora. La cucina ampia e spaziosa è in marmo, compresa di tutto il necessario per preparare pasti favolosi. Beh, sicuramente non sarà compito mio quello.

Non so nemmeno preparare una semplice limonata. Adiacente a due colonne portanti si torva un lungo bancone anch'esso in marmo su cui noto con piacere una favolosa macchinetta del caffè in acciaio e, accanto, quella per i pop corn. È un appartamento semplice e al contempo meraviglioso, uno di quelli che sicuramente qui a Manhattan non costa poco. Non oso immaginare quanto i nostri genitori dovranno sborsare al mese, senza contare la retta del college. Avvampo all'idea ma, prima che possa dire qualsiasi cosa, qualcuno mi strilla nelle orecchie.

«Ti ho scelto la camera migliore, Liv!» Ellie mi afferra per mano saltellando, poi mi trascina in un corridoio spazioso da cui intravedo cinque porte bianche. Apre l'ultima a sinistra e mi ci spinge dentro. «Sistema la tua roba qui, così quando J. arriverà si beccherà quella restante.»
Scoppio a ridere. «Avete litigato per caso?»
Lei sbuffa. «Non ancora, ma conoscendomi succederà presto.»
Alzo gli occhi al cielo. «Lascialo in pace» mormoro, rapita dalla bellezza del tramonto che si erge dall'enorme finestra di camera mia.

M'incammino lentamente verso quella visione, poi appoggio le mani al vetro. I grattacieli di Manhattan si stagliano davanti ai miei occhi, imponenti e semplicemente perfetti. Un ampio sorriso s'impossessa delle mie labbra. Guardo in basso verso la strada e osservo il traffico tipico di New York, i marciapiedi gremiti di gente, i locali e le insegne al neon, il verde attorno a noi. L'appartamento dista un paio di isolati dal college, vicino a Central Park e comodo per la metro.
I nostri genitori hanno pensato praticamente a tutto.

«Bello, vero?» Ellie mi si affianca, osservando insieme a me il cielo tinto di arancione e rosso.
«È meraviglioso» rispondo eccitata. La vista da questa enorme finestra mi ha completamente rapita, lasciata di stucco. Mi volto ad osservare l'enorme letto imbottito con il piumone bianco, l'armadio a muro che è un po' meno ampio di quello di casa Miller, la scrivania in vetro appoggiata al muro e, come ormai sembra abitudine in questa mia nuova vita, il bagno personale. Enorme, perfetto, con un box doccia aperto e un vasca proprio adiacente alla finestra. In questo momento mi sento un po' una figlia di papà ricca e viziata.

È così che James e mia madre volevano che passassi questi anni in Università, nella comodità assoluta e senza avere alcun tipo di stress. Forse potevo abituarmici?
Sfoggio un mega sorriso e mi lancio sul letto ridendo, portando Ellie insieme a me.
«Siamo nella grande mela!» grido felice.
«La città che non dorme mai» aggiunge lei, strizzandomi un fianco. «E sono sicura che ci adatteremo molto presto a questo posto.»
Non vedevo l'ora.

Le ore successive le passo sistemando la mia roba e appendendo i miei vestiti alle grucce dell'armadio, mentre mia mamma e James se ne stanno sul divano a parlare con i genitori di Ellie. La mia migliore amica mi aiuta a disfare la valigia e a svuotare gli scatoloni, mentre mi racconta delle ultime vicende e di come è stato difficile per lei salutare suo zio Mike, il fratello di suo papà, al quale lei è da sempre molto legata.

Suo zio vive nell'Oregon insieme alla fidanzata, ed entrambi hanno uno studio legale che si occupa di matrimoni e divorzi. È impegnato per la maggior parte dell'anno, per cui tutte le volte che riesce ad andare a trovarla, Ellie sparisce per giorni interi. Mike ha molti anni in meno rispetto al fratello, non che sia coetaneo di Ellie, ma sono cresciuti praticamente insieme. Hanno un legame speciale, e lei lo adora. Infatti, le ultime settimane prima di trasferirsi qui hanno fatto una piccola vacanza insieme, solo loro due. Così mi racconta per filo e per segno tutto quello che hanno visto e fatto, mostrandomi anche le foto sul cellulare.

«Quindi verrà a trovarti qui?» le chiedo, infilando la spina della radio sveglia nella presa vicina al letto. Ne ho comprata una digitale da poco, visto che mi ero resa conto che quella sul telefono la spegnevo non appena suonava e poi mi giravo dalla parte opposta.
«Così mi ha promesso. Ha un paio di clienti di qua, per cui non appena verrà per incontrarli si prenderà un paio di giorni in più per poter stare con me» mi risponde, appendendo una mia maglietta alla gruccia.

«Beh, ne sono felice. Lo zio Mike è simpatico.»
«Già» strabuzza gli occhi. «Dovresti vedere che muscoli ha messo su!»
«Ellie!» Scoppio a ridere. «L'incesto non è ancora legale negli Stati Uniti, lo sai vero?»
Lei assume una finta aria imbronciata. «Hai appena distrutto questo sogno erotico...»
La spintono scherzando, poi metto il telefono a caricare. «Deduco che la sua fidanzata non ti stia molto simpatica.»

«Non è male, non fraintendermi. È solo che è estremamente noiosa, Liv! Non ha un briciolo di spirito d'avventura. Pensa che quando lo zio le ha detto che sarebbe partito in vacanza con me, lei si è limitata ad alzare le spalle.»
Faccio una smorfia. «Non ha protestato nemmeno un po'? Voglio dire, l'unica vacanza dell'anno la passa con sua nipote e non con lei. È strano...»
«Molto strano» mi conferma ridacchiando. «Io mi sono divertita però.» Un sorriso diabolico le spunta sulle labbra.

Le lancio un cuscino colpendola direttamente in faccia. «Sei malata!» Ellie scoppia a ridere rilanciandomelo indietro, ed io la imito.
Quando il suo telefono vibra, entrambe ci voltiamo verso la scrivania. Lancia uno sguardo fugace allo schermo, poi respinge la chiamata e sospira.
«Per quanto tempo hai ancora intenzione di ignorarlo?»
Lei alza le spalle, poi le riabbassa in modo lento. «Non mi va di sentirlo ora.»
«E dai, Ellie. Non credi che sarebbe il caso di chiarire? Avete solo avuto uno stupido malinteso, tutto qui.»

Sfila l'elastico che aveva al polso, poi si lega i capelli ricci e biondi in una coda alta. «Forza, abbiamo ancora un sacco di robaccia da sistemare.» Mi liquida con una linguaccia, dirigendosi al quarto scatolone.
Sospiro piano e mi porto il pollice alle labbra, mordicchiando una pellicina. Lei e Mason hanno avuto una brutta discussione un mese fa, e da quel momento Ellie non gli ha più risposto al telefono. Il tutto è stato causato da un discorso tra lui e Thomas, in cui l'argomento principale era...Logan. Dio, non so da quanto tempo nella mia testa avevo soppresso il suo nome. Comunque, Ellie non si era trovata d'accordo con il pensiero del suo ragazzo e, in mia difesa, non era riuscita a starsene zitta. In parte mi sentivo in colpa.

I nostri amici avevano imparato in tutti questi mesi a non lasciarsi sfuggire, nemmeno per sbaglio, il suo nome. Ero sicura che tutti e quattro si tenessero costantemente in contatto con lui, ma evitavano di farne parola in mia presenza. Per certi versi ne ero sollevata.
Non parlavo con Logan da quattro mesi e mezzo.
Non vedevo Logan da quattro mesi e mezzo.
Non sentivo il suo profumo da quattro mesi e mezzo.
Sapevo che stava bene, ma non avevo fatto domande, né a loro né a James.
Logan se n'era andato e mi aveva lasciata. Per quale motivo mi sarei dovuta interessare della sua vita attuale?

Afferro il telefono, apro Spotify e faccio partire la playlist dedicata a Ed Sheeran.
Ellie sorride quando "Happier" si diffonde nella mia stanza e, canticchiando, finiamo di sistemare il tutto.
Un ora dopo sentiamo bussare alla porta. Salto giù dal letto e corro verso l'ingresso con un immenso sorriso, arrivando nel momento esatto in cui James apre la porta.
«Permesso? Si può?»

Strillo quando vedo il ciuffo biondo del mio migliore amico spuntare oltre la porta. Con uno slalom passo oltre mia madre e Richard correndo, gli arrivo di fronte e poi gli salto tra le braccia, felice. Jackson ridacchia afferrandomi, poi mi stringe forte a sé.
Inalo il suo odore di buono.
«Principessa.» Mi saluta, affondando la testa nell'incavo del mio collo.
Con le gambe strette attorno alla sua vita, allaccio le braccia dietro alla sua nuca e rimango così, a mo' di koala.

«Mi sei mancato» sussurro. Chiudo gli occhi abbandonandomi tra le sue braccia. Dicevo sul serio, Jackson mi era mancato tanto. Ormai era diventato una costante nella mia vita. Avevo bisogno di lui.
Lo sento varcare la soglia e farsi da parte per poter permettere ai suoi genitori di entrare; mi ero dimenticata di loro.
Sospira. «Anche tu.»
«Ehm, ehm.» Ellie, davanti a noi, da' un colpo di tosse. «Sono per caso invisibile?»
Jackson alza la testa dal mio collo e la stessa cosa faccio io, poi le sorride dolcemente. «Mi sei mancata anche tu, Els-Els.»

Ellie arrossisce senza farsi notare a quel nomignolo. Jackson allarga un braccio e le fa segno di avvicinarsi. Lei inarca un sopracciglio, scuote la testa e poi gli si avvicina come se fosse costretta. Alzo gli occhi al cielo: quanta scena, mamma mia.
Jackson abbraccia anche lei ridendo, poi le posa un bacio sulla testa bionda. Sento le nostre madri tirare su con il naso, come se fosse la storia d'amore più bella di tutti i tempi. Vecchia generazione, non sanno cosa sia l'amicizia uomo-donna.

«Non vi vedete da solo una settimana, smettetela.» Ci canzona Richard, protettivo come sempre. Tutti i genitori scoppiano a ridere, e noi con loro. Scivolo giù dal corpo di Jackson e gli sorrido dolcemente. Lui fa passare un braccio dietro il collo di entrambe, poi ci stringe al suo petto muscoloso.

«Che posso dire? Le groupie più belle del mondo le ho io» scherza.
Io ed Ellie, in simbiosi, gli conficchiamo il gomito nello stomaco, e lui si lamenta. «Ahia» borbotta, massaggiandosi i punti dolenti.
La Signora Allen viene ad abbracciarmi sorridendo. «Che bello vederti, Olivia. Sei abbronzatissima!»
Ricambio l'abbraccio e il sorriso. «Grazie, Signora. Sonora è molto calda d'estate, è facile mettere su un po' di colore.»

Lei si gira a guardare suo marito. «Beh, l'anno prossimo credo proprio che verremo a visitarla.»
«Oh Julia, se vuoi abbronzarti ci organizziamo per qualche posto più esotico, che ne dici?» Interviene mia madre, poi lei ed Emily si alzano per abbracciarla.
«Sawyer, avete fatto un buon viaggio?» James gli stringe la mano, e la stessa cosa fa Richard.
Poi, quest'ultimo fa un cenno nella direzione di Jackson. «Ragazzo, tu mi piaci molto lo sai, ma se tenessi le mani a posto te ne sarei grato.»

A Jackson s'infiammano le guance, poi sorride imbarazzato. «Certo, Signore...»
«Papà!» sbotta Ellie, tirandolo per la manica della giacca. «Vuoi smetterla?» sibila. «Mi stai mettendo in imbarazzo!»
Lui le sorride dolce, poi le infila una ciocca bionda dietro l'orecchio. «Continuerò a metterti in imbarazzo anche quando avrai ottant'anni, tesoro.» Le stampa un bacio sulla guancia, sotto il suo sguardo scocciato. «Abituati.»

Trattengo una risata e Jackson fa lo stesso.
Ellie fa uno sottospecie di grugnito, poi si volta verso di noi. «Per quanto ancora vorrà trattarmi come una bambina?» borbotta.
«Fino a quando sarai una vecchia con la pelle cadente e la dentiera» la canzono, e lei mi tira uno schiaffetto sul braccio.

Facciamo fare un giro dell'appartamento a Jackson e ai suoi genitori, sottolineandogli che sarebbe stato lui a cucinare per tutti in quella maestosa cucina.
Jackson aveva deciso all'ultimo di trasferirsi insieme a noi a New York. Era stata la notizia più bella in quel periodo orribile. Non sapevo se l'avesse fatto per stare accanto a me o se era perché la Columbia gli offriva quello che stava cercando, ma non m'importava granché. Ero solo contenta che lui fosse qui.
In questi quattro mesi e mezzo Jackson mi era stato accanto quasi ogni giorno. Probabilmente non ce l'avrei fatta senza di lui.

Lui, Ellie e Zoe erano stati la mia salvezza. Senza contare gli altri nostri amici che ogni giorno se ne inventavano una pur di non farmi pensare a quello che era accaduto. Era stata un'estate straziante, dolorosa e al tempo stesso mi aveva aperto gli occhi.
Credevo davvero di aver superato la lontananza di Logan. Ora non pensavo a lui tutto il tempo, ma accadeva solo quando la sera mi infilavo nel letto e mi ritrovavo da sola. Per me era un passo avanti, la dimostrazione che potevo farcela nonostante tutto.

Per cui, i nostri genitori avevano accettato di farci vivere tutti e tre assieme. Spese condivise, facce amiche e conosciute, due corpi su cui potevo appoggiarmi nel momento in cui pensavo di non farcela.
Fatto il giro di ogni stanza, mostriamo a Jackson la sua camera, che è un po' meno grande delle nostre, ma comunque spaziosa e luminosa.

«Fatemi indovinare» dice guardandosi attorno e facendo ricadere la valigia sul pavimento. «Vi siete accaparrate le camere migliori, eh?»
«Prenditela con Ellie, ha fatto tutto lei!» L'accuso, sedendomi sul letto.
«Ehi» abbaia lei. «Grazie tante, eh. La prossima volta ti faccio dormire nello sgabuzzino.»
«Non credo che ce ne sia uno» ribatto alzando un sopracciglio.
Jackson guarda entrambe e scuote la testa. «Ricordatemi perché ho accettato di vivere con voi due?»

La mia migliore amica gli regala una linguaccia, poi sentiamo sua mamma chiamarla dalla cucina e, sbuffando, si allontana.
Jackson viene a sedersi accanto a me, ed entrambi ci lasciamo ricadere di schiena sul materasso.
«Come stai, piccola?» mi chiede, appoggiando la testa vicino alla mia.
Fisso il soffitto, lasciando smorzare le voci dei nostri genitori. «Penso bene. Insomma, siamo qui, no? Dovrei essere alle stelle. Lunedì inizierò il mio primo corso alla Columbia, J. Sai da quanto tempo sognavo questo momento?»

Lui annuisce riflettendo sulle mie parole. «Le cose miglioreranno, sai? Datti del tempo, Liv.» Poi anche lui butta gli occhi al soffitto e sospira. «Papà crede davvero che riuscirò a laurearmi senza problemi.»
Volto la testa verso la sua. «E tu no?»
Jackson fa una smorfia, poi si passa una mano nei capelli e si sistema il ciuffo biondo. Dopo il diploma li aveva tagliati, lasciandoli rasati ai lati della testa e ribelli in alto. Stava davvero bene così.

«Non lo so. Chiaramente non mi aspettavo di essere ammesso in una delle Università della Ivy League. Cioè, andiamo, Liv. Gli ultimi mesi al liceo ho solo cazzeggiato.»
«Beh, nemmeno io mi sono comportata meglio. Io credo nelle tue potenzialità, J. Quindi fallo anche tu, d'accordo?» Sorrido.
Jackson ricambia il sorriso studiandomi il viso, poi gli occhi e infine i capelli. «Li hai tinti?» mi chiede.

Scuoto la testa afferrandomi una ciocca. «No, ogni fine estate mi si schiariscono.» E, anche quell'anno, le punte dei capelli avevano abbandonato il loro colore cioccolato per trasformarsi in una sfumatura più simile al caramello. L'unica cosa che avevo fatto era stato tagliarli un po' e sperimentare una frangetta a tendina per la prima volta. Adesso non mi arrivavano più al sedere, ma toccavano le scapole in onde morbide e lucenti.

«Ti stanno bene» aggiunge, sorridendomi timidamente.
«Anche te non sei male» dico, scompigliandogli i capelli in quella maniera che tanto gli piace.
Dopo altri dieci minuti a contemplare la sua stanza, raggiungo mia madre lasciando a Jackson il tempo di sistemarsi e cambiarsi.

Per quanto l'appartamento sia grande, non lo è abbastanza da contenere nove persone.
È munito di un tavolo per massimo quattro, e anche il bancone della cucina contiene solo tre sgabelli. James e Richard ordinano le pizze, decisi che pur di passare ancora un po' di tempo con noi avrebbero mangiato sul pavimento.
È strano vedere i nostri genitori spaparanzati sulle poltrone, sulle sedie disponibili e sul divano a mangiare tranci di una pizza al formaggio d'asporto da cinque dollari. Soprattutto perché gli uomini indossano un completo, come veri uomini d'affari.

È così bello vederli tutti assieme, come una grande e felice famiglia.
Mia madre e James avrebbero alloggiato all'Hilton per la notte, mentre Emily e Richard e i genitori di Jackson avevano il volo programmato per quella sera sul tardi.
L'idea che tra un paio di giorni la nostra vita sarebbe cambiata totalmente mi stringeva lo stomaco in una morsa.
Sarei rimasta da sola in un'enorme città. Lontana da mia mamma per la prima volta. Me la sarei cavata?

Più tardi quella sera spiluccavo una fetta di pizza in assoluto silenzio, mentre Sawyer raccontava agli adulti della sua ammissione quando era giovane alla Brown e di quando giocò come quarterback nei Bears portando la squadra alle finali di campionato. Continuava a ripetere quanto fosse dispiaciuto che al suo unico figlio non interessasse per niente lo sport, e Jackson controbatteva parlando di musica e arte culinaria.

Ero rimasta piacevolmente sorpresa nello scoprire che quell'omone un po' sovrappeso e dalle guance paffute era stato il quarterback del College. Sua moglie, da come sorrideva e le guance le si infiammavano sentendo il marito raccontare di quegli aneddoti, doveva sicuramente essere stata una cheerleader.
La sua cheerleader.

Fisso Ellie tra le braccia di suo padre che, anche se detesta quando lui esagera nel proteggerla, lo ama più di chiunque altro. La famiglia Walker era stata da sempre anche la mia. Amo Richard come un padre, Emily come una seconda mamma e adesso, piano piano, James stava entrando nel mio cuore.

Quando Logan se n'era andato, non aveva preso le sue parti.
O meglio, era suo figlio e lo amava nonostante avesse fatto quella scelta, ma adesso nella sua vita c'ero anche io. Per cui, aveva provato in tutte le maniere a farmi stare bene, e questo non consisteva nel comprarmi qualsiasi cosa di cui avessi bisogno.

Io e lui parlavamo tanto. Del passato, della madre di Logan, del presente e del futuro. Era riuscito, forse a causa delle barriere emotive che erano cedute dopo la partenza di suo figlio, a farsi spazio nella mia vita. All'inizio lentamente, poi era diventata una costante. Trovavamo sempre un momento la sera dopo cena, che fosse sul divano nel grande salone, nel suo studio o seduti sulla spiaggia, a parlare. Inutile dire quanto mia madre non facesse altro che piangere, ma non perché si sentisse esclusa, ma perché dopo mio padre e Logan, nessun'altro uomo era riuscito a scalfirmi il cuore. Richard era a parte, gli volevo bene ma non avevamo mai affrontato un discorso cuore a cuore.

Forse ero troppo piccola, più immatura e non ero del tutto pronta.
E, anche se adesso stavo meglio e vederli tutti insieme mi riempiva il cuore di gioia e felicità, sentivo di non essere del tutto io.
La sua mancanza si faceva sentire, oggi più che mai.
Logan avrebbe dovuto esserci. Avrebbe dovuto stringermi tra le braccia, aiutarmi a svuotare la valigia e gli scatoloni, dirmi quanto gli sarei mancata in settimana ma ricordandomi che nel weekend si sarebbe trasferito in questo appartamento.

Perché sì, Logan si trovava a Yale. Questo lo sapevo.
Me lo aveva scritto in quella lettera che ancora custodivo gelosamente dentro una busta. Avevo sentito James parlarne con mia madre, mi sembrava addirittura di aver udito la voce di Logan al telefono tempo prima. Ma non potevo esserne sicura. La sua voce ormai la ricordavo a malapena, stava sbiadendo come un sogno alle prime luci dell'alba. In questi mesi non mi ero presa la briga di cercarlo.

La prima cosa che avevo fatto quando se n'era andato, era stato cambiare numero di telefono. Non volevo più avere il suo in rubrica. Non volevo avere la tentazione di poterlo chiamare quando stavo male. Non volevo che lui mi chiamasse, non più.
Le sue parole continuavano a rimbombarmi nella testa, fastidiosamente. "Tornerò da te, te lo prometto. Ti amo con tutto il cuore."
Non l'aveva fatto.
Non era tornato.

Logan se n'era andato portandosi dietro il mio cuore, calpestandolo sull'asfalto come il mozzicone finito di una sigaretta.
Ora sapevo che si trovava qui, a New York.
L'avevo capito quando giorni prima James ci aveva detto che si sarebbero fermati un giorno in più. Me ne rendo conto anche adesso, che lo visto alzarsi e rispondere al telefono, ma non prima di lanciarmi un rapido sguardo. Come se volesse farmi sapere che chi lo stava chiamando era chiaramente lui. La voce di Logan era a mezzo metro da me. Potevo sfilare il telefono a James e rispondere, potevo e volevo farlo?

Invece, rimango seduta sul pavimento a guardarlo chiudersi in una delle stanze.
La pizza ormai fredda mi gocciola dalle mani, bagnandomi di olio e formaggio i pantaloni. Anche quando la porta si richiude dietro di lui, non riesco a distogliere lo sguardo dalla sua figura ormai scomparsa.
Sento due paia di occhi fissarmi, e so con certezza che sono quelli dei miei migliori amici. Ormai sapevano e si assicuravano che non ricadessi in una delle mie crisi di pianto.
Sospiro lentamente e distolgo lo sguardo dalla porta.

Mi si era chiuso lo stomaco; avevo bisogno di levarmi da lì.
Poso il piatto sul tavolo di fronte a me, poi mi alzo in piedi. «Vi dispiace se vado a farmi una doccia? Sono un po' stanca.» Mi rivolgo a tutti i presenti. Chi non si era accorto di nulla, non protesta. Ellie e Jackson, invece, continuano a fissarmi lanciandosi occhiate preoccupate.
«Sto bene» dico, rassicurandoli.

Poi, senza aspettare una risposta, mi dirigo nella mia stanza. Dopo aver richiuso la porta, mi appoggio di spalle al muro e chiudo gli occhi, sentendo quell'ondata di panico avvolgermi come una seconda pelle.
In quei mesi gli attacchi di panico erano tornati a farmi visita quotidianamente. Meno forti rispetto a quando ero bambina, ma quella sensazione di morsa allo stomaco non voleva lasciarmi andare. Era anche per questo che un po' avevo iniziato ad odiare Logan.

Non solo mi aveva strappato il cuore dal petto, ma aveva ridato vita ai miei demoni interiori.
Mi spoglio velocemente, lasciando i vestiti sparpagliati sul pavimento, ed entro in quell'enorme doccia.
Lascio che il grande soffione mi getti acqua bollente sulle spalle, provando a rilassarmele.
Faccio i miei esercizi di respirazione, inspiro ed espiro. Allargo le mani e le richiudo, favorendo la circolazione del sangue.

Ripeto questa prassi per almeno una decina di volte, fino a quando mi sento meglio.
Quando esco dal bagno, con solo indosso l'accappatoio, trovo mia madre seduta sul mio letto.
Ha lo sguardo posato a terra e una lacrima salata sulla guancia. Il labbro inferiore sembra tremarle, e quando mi sente uscire dal bagno alza lo sguardo verso di me.
«Va tutto bene, mamma» le dico con convinzione, avvicinandomi.

Lei annuisce, poi si passa un dito sotto gli occhi. Prende un respiro profondo e poi batte una mano di fianco a sé, invitandomi a sedere. Quando lo faccio, il suo braccio mi circonda le spalle. «Sei una donna forte, amore mio. Puoi farcela, lo sai vero?»
Chiudo appena le palpebre, poi appoggio la testa sulla sua spalla. «Sì, mamma. Mi dispiace per oggi, non volevo arrabbiarmi con te.»

Lei scuote la testa, poi mi passa una mano nei capelli bagnati. «È tutto a posto, tesoro. Anch'io ero nervosa, non volevo buttare tutta quell'ansia su di te. Sono solo spaventata, io e te non siamo mai state così distanti. Vivrai qui, a miglia e miglia di distanza da me, in un'enorme città. Sei cresciuta così in fretta...»

Tiro su con il naso, aggrappandomi a lei. «Sarai sempre il mio posto preferito, mamma.»
Le sue labbra tremano, così me le posa sulla fronte. «A qualsiasi ora della notte, in qualsiasi momento della giornata, correrò da te, mia piccola bambina. Mi precipiterò qui se fosse necessario, okay?»
Annuisco iniziando a singhiozzare. Mia madre era stata la mia ombra in tutti questi mesi. Se mi sentivo cadere, il suo braccio mi tirava su con forza. Non sapevo se sarei riuscita a cavarmela senza di lei, ma se così non fosse stato sapevo che tra le sue braccia avrei sempre trovato conforto.

Salutiamo i nostri genitori un paio d'ore più tardi. Jackson e Ellie, per quanto non avessero fatto altro che dimostrare la loro voglia di iniziare finalmente questo viaggio da soli, piangono come bambini nel momento dei saluti. Sarebbe stato difficile per tutti l'indomani, ma almeno eravamo insieme.
Quando i nostri genitori se ne vanno, ci ritroviamo in assoluto silenzio a fissarci.
Nessuno di noi è ancora pronto per fare i salti di gioia, organizzare una mega festa e ridere a crepapelle.

Per cui, ci limitiamo a rintanarci ognuno nella propria stanza.
Sono solo le undici di sabato sera, ed io fisso il soffitto sotto il piumone caldo e avvolgente del mio nuovo letto. Tra le dita mi rigiro quella catenina a forma di cuore, con sopra incise quelle due paroline che, una volta, avevano un enorme significato.
Non l'avevo mai tolta. Da quando Logan se n'era andato, me l'ero legata al collo e poi l'avevo nascosta sotto le magliette.

Nessuno sapeva di quel ciondolo, volevo che fosse un mio segreto. L'unica cosa che ancora mi riportava da lui, l'unico ricordo che sarebbe stato mio per sempre.
Non riesco a prendere sonno. Le luci della città e i suoni filtrano attraverso la finestra, facendomi sentire meno sola e impaurita.

Rimango in silenzio, pronta a captare qualsiasi suono provenga dall'appartamento. I miei migliori amici sicuramente avranno avuto la mia stessa idea, perché non riesco più a sentirli da un po'. Accendo la televisione e ne abbasso il volume, ma dopo dieci minuti passati a fare zapping, la spengo e butto il telecomando da qualche parte sul letto.
Mi giro su un fianco e provo a chiudere gli occhi, sforzandomi di trovare il sonno.

Dopo essermi rigirata svariate volte senza successo, mi alzo dal letto, mi infilo le ciabatte ed esco dalla stanza in punta di piedi. Socchiudo la prima porta alla mia sinistra, entrando nella camera di Jackson.
«Sei sveglio?» bisbiglio nel buio, sperando che lo sia.
«Sì, non riesco a dormire.» La sua voce è appena udibile.

Senza farmelo dire, mi avvicino al suo letto aiutata dalla luce che arriva da fuori. Jackson scosta le coperte per permettermi di entrare nel letto accanto a lui. Il suo braccio mi cinge la testa, ed io mi accoccolo contro la sua spalla.
«Mi sento spaesata» mormoro.
Lui sospira. «Credevo che venire qui mi avrebbe dato una scarica di adrenalina pazzesca. Invece mi sento...vuoto.»

«Prima o poi ci abitueremo, immagino. Non appena inizieremo i corsi e torneremo a casa pieni di roba da studiare, ci dimenticheremo di chi sono i nostri genitori.» Ridacchio, e lui mi imita.
«Già, non avremo più tempo per piangere la mamma.»
Scoppio a ridere di gusto insieme a lui.

La porta della sua stanza si apre cigolando, ed entrambi voltiamo la testa in quella direzione. Ellie entra in punta di piedi, poi fa il giro del letto e Jackson scosta nuovamente le coperte per farle spazio. «Els-Els, paura del mostro sotto il letto?» la stuzzica.
Lei alza gli occhi al cielo, ma poi si lascia avvolgere dal braccio di Jackson, sospirando. «Quando siamo diventati adulti? Perché non credo che la cosa mi piaccia molto.»

Nessuno sa cosa rispondere. In un momento della nostra vita è accaduto, non so bene quando e non so bene perché.
«Ah, le mie ragazze.» Jackson sorride spensierato, stringendo entrambe tra le sue braccia in quel letto in cui a malapena ci si stava in due, figurarsi in tre. «Godetevi questo momento, perché dalla prossima settimana la mia compagnia notturna sarà di qualche bella ragazza rimorchiata al college.»

«Ti ricordo che sei una matricola, J. Nessuno si scopa le matricole» interviene Ellie stizzita, facendomi ridere.
«Nessuno si scopa le ragazze matricole» precisa lui. «Io sono un uomo bello e affascinante. Vedrai quanti cuori riuscirò a conquistare.»
Quell'estate io e Jackson avevamo messo le cose in chiaro riguardo al nostro rapporto.

Sapevo che lui, nonostante avesse cercato di nasconderlo, provava per me più di quello che era disposto ad ammettere. Sapevo che se Logan non fosse entrato a far parte della mia vita, probabilmente io e lui ci saremmo dati una chance.
Ma la mia vita era stata messa a soqquadro, ed ora non avevo nessuna intenzione di farmi annientare da una nuova relazione.

La nostra amicizia sarebbe dovuta rimanere tale, e lui era pienamente d'accordo con me.
Per cui, non mi dispiaceva l'idea di lui con altre ragazze. Anzi, dopo la vicenda con Camilla si meritava di trovare qualcuna di cui potersi innamorare nuovamente.
«E questo che cosa significa?»

«Significa esattamente quello che ho detto. Le matricole si affezionano, vogliono storie serie con il belloccio del terzo anno, baby. Noi ragazzi sappiamo come ci si comporta.» Jackson ammicca sorridendo. «Una botta e via.»
«Una botta e...via?» La faccia di Ellie è sempre più schifata. «Anche le ragazze possono desiderare un rapporto occasionale, J! Non dobbiamo per forza innamorarci!»
«Disse quella che è venuta a Los Angeles per divertirsi e nello stesso giorno ha trovato un fidanzato.»

«Oh, ma chiudi quella bocca» sbuffa lei, per poi voltarsi dalla parte opposta.
Il loro battibecco continua per un altro po'.
Riesco comunque ad addormentarmi sentendo la loro voce di sottofondo, quelle due voci che mi avevano aiutata negli ultimi mesi e che avrei voluto per sempre nella mia vita.

Sono scalza, infreddolita.

Guardo il pavimento immerso in una pozza di sangue senza la forza di compiere un solo passo.
Tremo violentemente. Attorno a me tutto sembra svolgersi a rallentatore.
Indosso una felpa larga della Columbia University e tengo stretta in mano una collana d'oro. Mi guardo attorno circospetta, non sapendo realmente dove mi trovavo, poi sento un urlo.

Mi volto in quella direzione. «Logan?» lo chiamo in un bisbiglio. «Sei tu?»

Quella era la sua voce, ne sono sicura.
Non ricevo risposta, per cui impongo alle gambe di muoversi. I piedi entrano in contatto con il sangue, lasciando così impronte sul pavimento bianco quando cammino. Entro in una stanza che somiglia ad una cucina, ma quando sbatto le palpebre mi ritrovo in un bagno che odora di muffa.

Sento un altro urlo. Corro verso la porta e tento di aprila, ma questa è chiusa a chiave. «Carol? Dove sei Carol?» Un altro grido straziante proviene al di là del bagno.

Provo a battere dei pugni, a tirare dei calci, ma questa sembra non volersi aprire.
Poi, d'un tratto, le grida cessano.
Cala un silenzio così tetro che mi costringe ad arretrare.

Sento freddo, un gelo insinuarsi nelle ossa.

Sbatto le spalle contro al muro freddo, ritrovandomi così in una camera da letto.
La porta si apre, e un uomo robusto e dai denti ingialliti entra barcollando...

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