Capitolo trentanove - Olivia
L'amore è il coraggio di rischiare tutto,
anche nel silenzio della paura.
L'aria fuori dal campus è pungente questa mattina, ma non è nulla in confronto al gelo che avverto insinuarsi sotto pelle, più profondo e intenso man mano che le ore avanzano. Mentre io ed Ellie usciamo dall'aula insieme agli altri studenti, la tensione che mi attanaglia lo stomaco è peggiore dell'esame di psicologia appena finito. È una sensazione diversa, più viscerale rispetto alla stanchezza della notte insonne che ho appena trascorso o alle mille domande che mi sono state poste durante il test. Domande a cui conoscevo le risposte, ma che sembravano dissolversi non appena cercavo di concentrarmi. Detesto non dare il meglio di me a un esame, soprattutto quando so di avere le capacità per farlo. È una frustrazione che mi pesa, un tarlo che mi scava dentro.
Camminiamo lentamente lungo il corridoio, lasciandoci trasportare dalla corrente di studenti che riempiono il campus. Alcuni si muovono freneticamente, correndo su e giù per i vialetti, altri si fermano in piccoli gruppi, ridendo o discutendo animatamente. Ma io non li vedo davvero. Non li sento. La mia mente è altrove, troppo distante da qui, persa in un vortice di pensieri che non riesco a mettere a tacere.
Stringo tra le mani il bicchiere bollente di caffè appena preso dalla caffetteria. La carta morbida si appiccica leggermente alle dita per il calore, ma non me ne accorgo nemmeno. Con l'altra mano, afferro il telefono dalla tasca del cappotto e lo sblocco. Lo schermo è vuoto. Nessun messaggio da Logan, e quell'ansia torna a premersi con forza sullo stomaco, facendomi venire voglia di buttare nel primo bidone dell'immondizia il caffè.
Il gelo esterno sembra riflettere quello che sento dentro. Cammino meccanicamente, ma la mia mente è fissa su un solo pensiero. Continuo a fissare il telefono, come se con la sola forza della volontà potessi costringerlo a vibrare, a illuminarsi, a darmi un segno. Un segno che lui stia bene.
La sera prima, quando mi ha videochiamata, ho subito capito che c'era qualcosa che non andava. Era diverso. Non il solito Logan a cui sono abituata: sì, magari un po' burbero quando vuole, ma ultimamente in lui vedevo una leggerezza nuova, quasi sorprendente. Le linee del suo viso erano più distese, come se per una volta nella sua vita avesse trovato un po' di pace, senza troppi pensieri a gravargli sulle spalle.
Ma ieri sera... qualcosa nei suoi occhi mi ha scossa. Un'inquietudine silenziosa, un peso che non riuscivo a decifrare. Non ha detto nulla di esplicito, ma il suo silenzio parlava più di mille parole, e quel silenzio mi tormenta da allora.
Avrei dovuto insistere, lo so. Avrei potuto fare più domande, provare a scalfire quella corazza che a volte sembra riemergere quando meno me lo aspetto. Eppure, c'è una cosa che abbiamo imparato l'uno dall'altra: rispettare i nostri tempi. I segreti non fanno più parte della nostra relazione, non dopo tutto quello che abbiamo affrontato insieme. So che, quando sarà pronto, me ne parlerà. Lo sa anche lui.
Gli ho dato il suo spazio, com'era giusto che fosse. Spazio per capire, per elaborare, per decidere come e quando condividere quello che lo tormenta. Ne ero certa, assolutamente certa, che me ne avrebbe parlato appena se la fosse sentita.
Ma ora, dopo il suo silenzio di ieri sera e quello di stamattina, non riesco più a ignorare il dubbio che forse avrei dovuto insistere davvero.
Ellie cammina al mio fianco, stringendo tra le mani guantate un bicchiere di caffè bollente che ogni tanto avvicina al viso per respirarne il calore. I suoi lunghi capelli biondi, che ultimamente sono cresciuti così tanto da sfiorarle la curva dei fianchi, rimbalzano leggermente a ogni passo, mentre la sua enorme sciarpa di lana le avvolge il collo fino quasi a nasconderle il mento. Sta parlando dell'esame appena affrontato, con il solito entusiasmo analitico che non le manca mai, anche quando si tratta di un argomento che odio.
«Secondo me, la seconda domanda era una trappola. Hanno cercato di confonderci con quella formulazione, ma io ho puntato sulla teoria di Skinner. Tu?»
«Mh» mugugno, accennando un vago cenno del capo, ma senza realmente registrare le sue parole. Non so nemmeno se ha notato la mia distrazione, almeno fino a quando non si ferma bruscamente sul vialetto e mi fissa, costringendomi a fermarmi anch'io.
«D'accordo, scricciolo» dice, con quel soprannome affettuoso che usa soprattutto quando vuole farmi parlare. «Vuoi dirmi che succede o devo tirartelo fuori con la forza?»
Sospiro, abbassando lo sguardo sullo schermo del telefono che continuo a fissare inutilmente, come se aspettassi un miracolo. «Non è nulla» mento, sapendo benissimo che non mi crederà.
Ellie inclina la testa di lato, sollevando un sopracciglio perfettamente arcuato. «Nulla, certo. Perché il tuo broncio e lo sguardo perso nel vuoto di questa mattina sono sicuramente normali. Liv, hai passato metà dell'esame a guardare fuori dalla finestra e l'altra metà a morderti l'unghia del pollice. Ti conosco meglio di quanto conosci te stessa.»
«È vero» ammetto, forzando un sorriso che non riesce a mascherare del tutto l'ansia che mi agita lo stomaco. «È solo che... dirlo ad alta voce lo fa sembrare più reale. E poi mi sento anche un po' pazza. Cioè, sto dando troppo peso a una sciocchezza. So che dirai che sto esagerando, che sono diventata morbosa.»
Ellie scuote la testa, confusa. «L'unica volta che ti ho detto che stavi diventando morbosa è stato quando avevamo dieci anni e continuavi a chiamare e mandare messaggi ogni due minuti e mezzo a quel ragazzino di cui eri cotta.»
Mi scappa una risata, perché mi ero completamente dimenticata di quella storia. Lei sorride, soddisfatta di avermi strappato almeno un sorriso, e poi aggiunge: «E conoscendo Logan e le sue follie, non dubito nemmeno per un secondo che la tua ansia sia giustificata. Dai, dimmi: che succede?»
Mi sposto nervosamente da un piede all'altro, stringendo il telefono nella mano come se fosse un'ancora. «È che... non lo so. Logan non mi ha scritto ieri sera dopo la corsa, e lo fa sempre, Ellie. Sempre. Nemmeno stamattina mi ha risposto, ed è strano. Cioè, so che sembra una sciocchezza, ma dentro di me sento che qualcosa non va. Ieri sera, quando mi ha videochiamata, mi è sembrato che ci fosse qualcosa che non mi stava dicendo. Non lo so, qualcosa nei suoi occhi, nel modo in cui evitava certe domande... e poi, passare tutta la giornata senza farsi sentire? Non è da lui. Lo conosci anche tu: se potesse, mi scriverebbe messaggi perfino mentre dorme.»
Ellie rimane in silenzio per qualche istante, scrutandomi con un misto di comprensione e preoccupazione. Poi, con voce ferma ma gentile, dice: «Okay. Hai ragione, non è da lui. Ma, qualunque cosa sia, la scopriremo. Hai provato a chiamarlo?»
«Certo che sì» dico, esasperata. «Ma non ha risposto. Non so se devo preoccuparmi davvero o se sto solo esagerando. Forse è qualcosa di stupido e io sto perdendo la testa inutilmente.»
Ellie inclina leggermente la testa, il tono della sua voce che cerca di infondere una tranquillità che non riesce a raggiungermi. «Magari si è addormentato subito dopo la corsa...»
Scuoto la testa, stringendo il telefono come se potesse darmi una risposta che continuo a non trovare. «No, Ellie, non è da lui. Di solito mi scrive anche solo per dirmi che è distrutto o che vuole sparire sotto le coperte fino al giorno dopo. Anche un semplice messaggio, un'emoji, qualsiasi cosa. Ma stavolta niente. Silenzio totale.»
Ellie apre la bocca per ribattere, ma in quel momento il suo telefono squilla. Lei si blocca, gli occhi che scivolano sullo schermo con un'espressione a metà tra sorpresa e incertezza. Un sopracciglio si alza, e le sue labbra si serrano per un istante prima che mi lanci uno sguardo rapido.
«Aspetta un attimo» mormora, quasi scusandosi, mentre si allontana di qualche passo.
La vedo dirigersi verso uno degli alberi spogli che costeggiano la caffetteria, trovando un angolo più appartato dove parlare. Stringe il telefono all'orecchio, il viso nascosto dal collo alto della sciarpa. La sua postura si irrigidisce, e qualcosa nel suo modo di muoversi cambia. Non è più la Ellie rilassata e sicura di sé che pochi istanti fa cercava di rassicurarmi. Le sue spalle si tendono, e i suoi gesti diventano trattenuti, quasi robotici. Mi sforzo di non fissarla, ma è impossibile non notare come le dita che tengono il telefono inizino a tremare, un tremore sottile, quasi impercettibile, ma che mi colpisce come una scarica elettrica.
Poi accade. Il colore le abbandona il viso in un lento scivolare, lasciandola pallida, come se il sangue si fosse ritirato in un istante.
Abbasso il bicchiere sul muretto accanto a me, ignorando il calore che si disperde nel freddo dell'aria mattutina. Il vapore che si arriccia dal caffè sembra surreale, lontano, irrilevante. Tutta la mia attenzione è su Ellie, su quel cambiamento improvviso che ha catturato la mia ansia e l'ha moltiplicata per mille.
La mia mente corre veloce, un turbinio di pensieri che cercano disperatamente un appiglio. Cosa sta succedendo? Il nodo che avevo in gola si stringe, e la pressione sul petto diventa insopportabile, come se qualcuno stesse lentamente spingendo via tutta l'aria dai miei polmoni.
Non riesco più a restare immobile. «Ellie?» La mia voce è esitante, un filo appena più forte di un sussurro, ma abbastanza da raggiungerla.
Lei si volta lentamente, come se il suono del mio richiamo la stesse riportando a una realtà che non vuole affrontare. Il telefono è ancora premuto all'orecchio, ma il suo sguardo mi colpisce come uno schiaffo. I suoi occhi, normalmente brillanti e caldi, sono più grandi, pieni di un'emozione che non riesco a decifrare: paura? Preoccupazione? Forse entrambe.
Quando termina la chiamata, abbassa il telefono con lentezza, come se quel gesto richiedesse più forza di quanto abbia. Rimane ferma per un istante, gli occhi che vagano prima di fissarsi su di me. È come se cercasse le parole giuste, o il coraggio per pronunciarle.
Mi alzo in piedi, incapace di resistere all'istinto di avvicinarmi a lei. «Ellie, che succede?» chiedo, e la mia voce tradisce la tensione che sento dentro. Non voglio lasciar trasparire il panico, ma so che è inutile provarci.
Lei deglutisce, esitando prima di parlare. «Liv... c'è qualcosa che devi sapere.»
L'aria sembra diventare più fredda, e il tempo si ferma mentre aspetto che continui. Ma il silenzio che segue le sue parole non fa altro che alimentare la paura che mi sta divorando.
«Cosa succede?» chiedo di nuovo, con il fiato corto e una fitta di ansia che mi serra la gola.
Ellie mi guarda, i suoi occhi azzurri improvvisamente carichi di un peso che non riesce a nascondere. Le sue dita tremano leggermente mentre stringe il telefono, e noto che il suo respiro è irregolare.
«Niente di grave, è solo che...» esita, mordendosi il labbro. La sua voce è incerta, ma non riesce a mascherare il panico.
Il mio cuore accelera, le mani si stringono a pugno lungo i fianchi. «Ellie, dimmi la verità. Logan sta bene?»
Lei abbassa lo sguardo per un istante, poi prende un profondo respiro. Quando solleva gli occhi verso i miei, il mio stomaco si stringe in un nodo di terrore.
«Ero al telefono con Mason» inizia con voce bassa, quasi soffocata. «Ha detto che Logan... è stato aggredito ieri sera. A Central Park.»
Le sue parole colpiscono come un pugno allo stomaco. Mi sembra di perdere l'equilibrio, come se il mondo intorno a me si fosse inclinato all'improvviso. «Aggredito?» riesco a dire, la voce che si spezza. «Che cosa significa? Come sta?»
Ellie scuote la testa, mordendosi il labbro come per trattenere le lacrime. «Non lo so nei dettagli. Mason ha detto che è messo male, ma... non è in pericolo di vita.» Fa una pausa, cercando le parole giuste. «Mi ha chiesto di andare a Yale. Subito.»
La mia mente comincia a girare su se stessa, piena di immagini e pensieri che non riesco a fermare. Logan, solo, in mezzo a Central Park, ferito. Il nodo nel mio petto si stringe ancora di più, e un pensiero mi attraversa come un lampo: Gerald.
Il respiro mi si blocca in gola. È stato lui? È venuto a cercarlo? Sapevo che era solo questione di tempo prima che facesse qualcosa. La sua rabbia, la sua ossessione... Dio, se lo ha ridotto così... non so cosa potrei fare.
Abbasso lo sguardo sulle mie mani che tremano. Mi sembra di non riuscire più a respirare, come se l'aria intorno a me fosse improvvisamente diventata troppo pesante. «Logan...» sussurro, il nome che mi esce come una supplica.
Ellie mi afferra per le spalle, costringendomi a guardarla. «Liv, ascoltami. So che hai paura, ma dobbiamo restare calme. Andremo subito da lui, insieme. Va tutto bene, okay?»
Annuisco, anche se il mio corpo è rigido, congelato dall'angoscia. Dentro, mi sento già a pezzi. Non riesco a smettere di pensare a cosa abbia passato. Le ferite. Il dolore. E il pensiero che potrebbe essere stato Gerald mi consuma.
«Dobbiamo dirlo a J.» dico, la voce più ferma di quanto mi aspettassi. Ma ogni passo che faccio verso il campus è un atto di volontà. Non so come farò a guardarlo in quelle condizioni, a non crollare sotto la consapevolezza di quello che gli è stato fatto. Non so come farò ad essere forte un'altra volta.
Ellie mi segue, il telefono ancora stretto in mano. «Jackson non può venire, Liv, ha un esame. Gli mando un messaggio e appena può ci raggiungerà. D'accordo?»
Le sue parole non fanno che alimentare il turbine dentro di me. Mentre faccio dietrofront verso l'uscita del campus, il mio cuore batte forte, in sincronia con i pensieri che mi martellano la testa.
Logan è forte. Logan ce la farà.
Ma la paura mi segue come un'ombra. E il nome di Gerald è lì, in agguato nei miei pensieri, un veleno che non riesco a scacciare. Se fosse davvero colpa sua... Non so cosa potrei fare. Non so cosa sarei capace di fare. Forse tutto.
La città scorre fuori dal finestrino come una macchia sfocata di luci e ombre, un mosaico irriconoscibile di vita che prosegue indifferente mentre la mia sembra essersi fermata. I rumori di New York sono ovattati all'interno dell'Uber, soffocati dalle portiere chiuse e dal fiato trattenuto nei miei polmoni. Ma non abbastanza da coprire il battito martellante del mio cuore, che pulsa con un ritmo irregolare e inquieto.
Mi stringo le mani in grembo, i palmi freddi e sudati, mentre rigiro nervosamente l'anello di diamanti che porto all'anulare. Un gesto ripetitivo, quasi ipnotico, come se il contatto del metallo potesse ancorarmi alla realtà. Di tanto in tanto il mio sguardo torna a Ellie, seduta accanto a me. Lei è calma, o almeno sembra tale. Ma il modo in cui mi lancia occhiate rapide e preoccupate tradisce ciò che sta davvero pensando.
«Respira, Liv.» La sua voce è morbida, un balsamo delicato, ma ferma come un comando.
«Non ci riesco» sibilo, quasi senza rendermene conto. Mi sento fuori controllo, un fragile equilibrio in procinto di crollare. Il taxi sobbalza leggermente su una buca, e io scatto in avanti, afferrando il bordo del sedile con troppa forza, le unghie che graffiano il tessuto. Il movimento mi sembra una scossa, un pugno allo stomaco che riaccende tutte le mie paure. «Perché non mi ha detto niente? Perché diavolo Mason non ha chiamato me? È successo ieri sera ed è quasi ora di pranzo!»
Ellie sospira, un suono stanco e paziente, come se stesse scegliendo con cura le parole. «Non lo so, Liv. Ma lo scopriremo presto.» Il suo tono è pragmatico, ma dolce. Mi conosce troppo bene per mentire, sa che non servirebbe. «Mason ha detto che... beh, non è in pericolo, okay? Dobbiamo solo arrivare lì e capire cosa sta succedendo. E in ogni caso, sapeva che ti saresti agitata, è per questo che ha preferito chiamare me. Logan sapeva del tuo esame...»
«Fanculo l'esame!» sbotto, il suono della mia voce spezza l'aria con un tono troppo alto, troppo teso. Un nodo si forma in gola, pungente come spine. «Quel ragazzo è incredibile! Anche dopo quello che gli è successo, preferisce che il mio esame vada bene piuttosto che chiamarmi subito!»
«Logan ti mette sempre al primo posto, scricciolo. Ormai dovresti saperlo.»
Le sue parole sono un pugno al petto. Dovrei sentirmi rassicurata, ma non ci riesco. La mia mente è un groviglio di ipotesi, pensieri che si rincorrono senza sosta e che non trovano pace. È un vortice che mi sta trascinando giù, una spirale di ansia e panico.
«E se gli fosse successo qualcosa di grave?» chiedo, la voce più acuta e incrinata di quanto vorrei. È una domanda a cui non voglio davvero una risposta, perché temo di conoscerla già.
Ellie scuote la testa, ferma come una roccia. «Ma non è successo, Liv. Mason me l'avrebbe detto. Non ti serve andare nel panico adesso.» Poi allunga una mano e stringe la mia, le sue dita calde contro le mie gelide. È un gesto semplice, familiare, ma in qualche modo riesce a spezzare la mia frenesia, almeno per un momento. Come un'ancora lanciata in un mare in tempesta.
Non parliamo più. Il silenzio scivola tra noi, denso e pesante come piombo. Fuori, il mondo continua a scorrere senza sosta.
L'Uber rallenta e poi si ferma davanti all'ingresso di Yale, con un sobbalzo che mi riporta bruscamente alla realtà. L'autista ci guarda attraverso lo specchietto retrovisore, e per un attimo mi sembra che stia cercando di decifrare la tensione che riempie l'abitacolo. «Siamo arrivati» dice, la voce neutra e professionale.
Guardo fuori dal finestrino, e il grande edificio di Yale mi sembra improvvisamente freddo, distante. Come se nascondesse un segreto che aspetta solo di essere svelato. Ellie apre la portiera e scende per prima. Io esito un istante, il respiro fermo in gola, e poi la seguo, con il cuore che batte sempre più forte. Non importa cosa troverò qui. Devo essere la sua forza.
L'aria nel New Haven è diversa, più fredda rispetto a Manhattan, e mi investe subito mentre attraversiamo il campus di Yale a grandi passi. Studenti chiacchierano nei vialetti, ridono, si salutano, ma io non li vedo nemmeno. Tutto ciò che riesco a sentire è il rumore ritmico dei miei stivali contro il cemento e il martellare incessante della mia paura. Ellie mi cammina accanto, leggermente più lenta, come se cercasse di tenere il controllo per entrambe. Ogni tanto mi lancia uno sguardo, come se volesse dirmi qualcosa, ma non lo fa. E io non le do il tempo.
Quando arriviamo al dormitorio, apro la porta principale con uno strattone, senza badare alle occhiate curiose degli studenti intorno. Sono troppo concentrata. Il corridoio è lungo e stretto, illuminato da una luce artificiale che rende tutto più freddo. So dove devo andare, e non mi fermo finché non sono davanti alla porta della stanza di Logan e Mason.
Busso con forza, il suono che rimbomba nel corridoio silenzioso. Non c'è risposta immediata, ma non mi muovo. Ellie si mette accanto a me, mordendosi il labbro. Quando finalmente la porta si apre, è Mason.
«Liv...» dice, la voce bassa e tesa, ma non lo lascio nemmeno finire.
Mi sposto accanto a lui e mi precipito dentro senza troppe cerimonie. Sono arrabbiata, preoccupata, e un'agitazione feroce mi scorre nelle vene, offuscandomi la vista. Non vedo nulla, non sento nulla. Esiste solo lui. Quando arrivo al centro della stanza, il mio cuore si blocca di colpo, come stritolato da una morsa invisibile, e i miei passi si arrestano. È come se fossi andata a sbattere contro una lastra di ghiaccio. Il respiro mi si strozza in gola e, istintivamente, una mano tremante corre al petto, quasi a volermi proteggere dal dolore che mi sta squarciando.
Gli occhi mi bruciano, si riempiono di lacrime calde che minacciano di traboccare, mentre le gambe mi tradiscono, deboli, pronte a cedere. Resto ferma, paralizzata dall'immagine di fronte a me, incapace di formulare un pensiero lucido o pronunciare anche solo una parola. Vorrei voltarmi e andarmene, correre fuori di qui per cercare quello schifoso bastardo e fargliela pagare per averlo ridotto in questo stato. Per aver avuto la forza di spezzare l'amore della mia vita, l'unica persona che, oltre a me, ha affrontato e sopportato tutto.
Mi sale un nodo alla gola che mi soffoca. Vorrei piangere, urlare, scagliare contro il mondo tutta la rabbia e l'impotenza che sento esplodere dentro di me. Ma resto muta. Silenziosa. Incapace di emettere anche solo un suono.
Logan è lì. Seduto a terra, appoggiato contro il muro, le gambe distese davanti a sé in modo innaturale, come se non avesse la forza nemmeno di sollevarle. Il suo viso è quasi irriconoscibile, gonfio e livido, come se l'avesse preso a pugni l'intero mondo. Lo zigomo destro è deformato, spinto verso l'alto da un brutto livido che si estende fino alla fronte. L'occhio è quasi sigillato dal gonfiore, mentre l'altro, socchiuso, lotta per rimanere aperto. Le labbra sono spaccate in più punti, sanguinanti e gonfie, come se ogni parola gli fosse costata dolore. Un taglio profondo gli attraversa lo zigomo, lasciando un segno scuro e brutale sulla pelle. La sua fronte è coperta di sangue secco, che si è fermato in strisce nere e indurite.
Ogni suo movimento è lento, pesante, come se la fatica di muoversi fosse insopportabile. Il respiro è affannoso, corto, ogni inspirazione è un'agonia. Le braccia sono segnate da colpi violenti, e c'è una fasciatura disordinata su uno degli avambracci, ma non basta a nascondere la violenza che ha attraversato il suo corpo.
Eppure, non si accorge di me. I suoi occhi, che una volta brillavano di vita e speranza, ora sono vuoti, lontani. Sguardo spento, come se non vedesse più nulla intorno a sé. Una bottiglia di vodka mezza vuota è appoggiata sul pavimento, e la canna, che tiene tra le dita come se fosse l'unica cosa che può ancora tenere, sembra più un riflesso che un reale conforto.
Logan, il mio Logan, è lì ma non c'è più.
Rimango immobile, incapace di muovermi, incapace di capire cosa fare. Il mio corpo è un blocco di ghiaccio, e il cuore mi martella contro il petto come se stesse cercando di fuggire. Ogni fibra del mio essere si ribella contro l'idea che questo ragazzo malridotto davanti a me sia l'uomo che amo. Ogni cosa dentro di me urla, ma la bocca rimane chiusa, in silenzio, come se non avessi nemmeno il diritto di esprimere il mio dolore. Un nodo si forma nella mia gola, sempre più stretto, mentre gli occhi mi bruciano di lacrime. Quando provo a parlare, la voce mi esce rotta, spezzata.
«Logan...» Ma non è più una voce. È solo un sussurro, un fiato interrotto che non riesce nemmeno a raggiungere le mie labbra.
Lui alza lentamente lo sguardo, come se ci volesse una forza sovrumana anche solo per compiere quel piccolo movimento. Mi fissa, per un attimo, con gli occhi vuoti, completamente persi. Non sembra riconoscermi. E quella visione mi fa tremare, il mio stomaco si ribalta, come se ogni fibra del mio corpo volesse cedere. Poi, con uno sforzo enorme, sembra realizzare chi sono. E quella parola, "Liv..." me le sussurra come se fossero l'unica cosa che gli rimane da dire. La sua voce è roca, spezzata, talmente distante che mi sembra di sentirla provenire da un altro mondo. E in quel momento, la canna che tiene tra le mani gli scivola dalle dita, come se fosse troppo stanco anche per reggerla.
Una morsa mi stringe il cuore, e un'ondata di emozioni mi travolge. La paura mi scuote le viscere, la rabbia mi scorre nelle vene, e il dolore è così profondo che mi sembra di essere immersa in un mare freddo e buio. Un conato di vomito sale nella mia gola, mi soffoca, ma riesco a trattenerlo. Lo maschero, cercando di non farmi vedere debole. Ma sento il suo odore di sangue e alcol, la miseria che emana, e tutto in me si rivolta. Voglio scappare, ma non posso. Voglio urlare, voglio strappare via tutto questo, ma non posso. Il mio corpo si piega in avanti, la rabbia sale in me come un fiume in piena.
Voglio trovare Gerald, voglio trovarlo adesso e fargliela pagare. Voglio strappargli ogni centimetro di pelle, fare in modo che sappia cosa significa distruggere una persona che ha già vissuto troppo. Ogni fibra del mio essere è pronta a esplodere, a correre verso di lui e infliggergli ogni danno che possa immaginare.
Senza pensarci, un urlo rabbioso mi scappa dalla gola, un suono animalesco che sembra strappare l'aria, come un grido di dolore e di furia che rimbomba in ogni angolo della stanza. Il mio cuore batte all'impazzata, i battiti sono forti e quasi dolorosi, mentre il suono del mio grido continua a echeggiare tra le pareti, come se fosse l'unica cosa che riesco a sentire. La mia voce si spezza, ma non importa. È troppo. È troppo quello che sto vedendo, troppo quello che sento. Mason sobbalza, Ellie fa un passo indietro, gli occhi pieni di terrore e sorpresa, incapaci di comprendere la furia che mi ha preso. Logan, invece, mi fissa con gli occhi velati di dolore e confusione, immobile, incapace di muoversi. Quel suo sguardo mi colpisce come un colpo al petto, e la rabbia cresce, si moltiplica, infiammando ogni parte di me.
Vacillo all'indietro, un brivido gelido mi corre lungo la schiena, ma non mi fermo. Non posso. La rabbia è più forte di me, la voglia di correre, di fare qualcosa, di trovare Gerald e fargliela pagare, diventa insopportabile. Non posso restare lì, a guardare quello che è rimasto di Logan per colpa di quell'uomo. Voglio farla finita, voglio che Gerald sappia cosa significa dolore, voglio distruggerlo finché di lui non rimarrà altro che cenere. Ogni passo che faccio nel corridoio è una fuga, un impulso che mi spinge, mi fa correre sempre più forte, mentre il mio respiro è affannato e le lacrime che cerco di tenere a bada minacciano di esplodere. L'adrenalina mi acceca, la rabbia mi spinge più lontano, ma è come se il mondo attorno a me fosse distante.
Arrivo fuori, e per un attimo mi fermo, respiro. Ma il caos del campus mi è insopportabile, e il mio urlo rimbalza di nuovo nel cortile scuotendo ogni cosa, come se il mio dolore e la mia furia avessero bisogno di essere sentiti, di far sapere a tutti quanto sia insostenibile quello che mi sta succedendo. E ancora una volta, scatto, corro, corro senza sapere dove sto andando. Non mi importa. Devo trovarlo. Devo fargliela pagare.
Poi, improvvisamente, un braccio forte mi afferra, stringendomi con una potenza che sembra capace di spezzarmi. Mi dibatto, cercando di divincolarmi, ma è come sbattere contro un muro di pietra.
«Mason, lasciami!» urlo, la voce spezzata, le unghie che affondano nel tessuto della sua maglia mentre cerco di liberarmi. Sento la rabbia esplodere dentro di me come una tempesta, cieca e distruttiva, troppo grande per essere contenuta. «Lasciami andare! Devo trovarlo! Devo...»
«Liv» sussurra lui, con un tono talmente basso e tagliente da sovrastare perfino il mio grido. È fermo, implacabile, ma nella sua voce c'è qualcosa di più profondo della rabbia: qualcosa di rotto, di vulnerabile.
«Non capisci!» grido ancora, cercando di spingerlo via con tutta la forza che ho, ma lui non cede. La sua stretta si fa ancora più forte, le sue mani si chiudono intorno a me come un'ancora. Il mio corpo smette di ribellarsi lentamente, ma la mia voce, la mia rabbia, continua a lottare. «Non capisci cosa provo! Non puoi capirlo!»
Allora Mason abbassa il viso verso il mio orecchio, e quello che mi sussurra mi gela.
«Ti capisco fin troppo bene.» La sua voce trema, come se si stesse frantumando sotto il peso delle parole. «Perché sto lottando con tutto me stesso per non cedere alla tentazione di andare a cercarlo. Per non ammazzarlo con le mie stesse mani, Liv.»
Il mio cuore si ferma. La mia bocca si apre, ma non esce nulla. Per un momento mi sembra di non riuscire più a respirare.
«Pensi che non lo voglia fare?» continua Mason, il suo tono ancora basso, spezzato e disperato, mentre i suoi occhi incontrano i miei, brillando di una rabbia nera, di un dolore che non pensavo potesse appartenergli. «Pensi che non stia morendo dentro al pensiero di Logan ridotto in quel modo? Pensi che non senta questa rabbia divorarmi come un veleno? È il mio migliore amico quell'ammasso di carne maciullata là dentro!» adesso urla, facendo esplodere la sua rabbia mentre diversi gruppi di studenti si voltano a fissarci, sconvolti.
«Liv, sto cercando di tenermi in piedi. Sto cercando di non perdere il controllo. Ma non è facile. Cazzo, non è facile, e se fai così mi rendi solo le cose più difficili. Perché mi fai venire voglia di prenderti per mano e di andare a cercarlo insieme a te, e non possiamo farlo! No cazzo!»
La forza delle sue parole è come un pugno nello stomaco. Mi immobilizzo del tutto, sentendo il tremore di Mason sotto la maschera di pietra che indossa. È lì, davanti a me, con il fiato corto, con le mani che mi stringono come se fossi l'unica cosa capace di fermarlo. È distrutto. È una bomba pronta ad esplodere. Eppure, sta facendo di tutto per non farlo.
«Mase...» sussurro, la voce spezzata, mentre il nodo in gola mi soffoca.
Lui chiude gli occhi per un attimo, il respiro che diventa più irregolare. Quando li riapre, sono più scuri, lucidi. La sua voce si abbassa di nuovo, un sussurro roco che sembra vibrare nell'aria.
«Non lasciarmi da solo in questo, Liv. Non farmi perdere la testa. Non permettermi e non permettere a te stessa di fare qualcosa che non puoi riprenderti indietro. Perché siamo entrambi sul filo del rasoio, e ho bisogno di te per trovare la forza di rientrare.»
E all'improvviso, lo vedo davvero. Non è più il Mason forte e spavaldo, quello che scherza e ride come se nulla riuscisse mai a sfiorarlo. Davanti a me c'è un ragazzo sull'orlo del baratro, consumato dalla stessa rabbia e impotenza che sento dentro. E in quel momento, qualcosa dentro di me si incrina, si spezza silenziosamente, come vetro sottile che non regge più il peso.
Le lacrime che avevo trattenuto fino ad ora iniziano a scendere, silenziose. Il mio corpo cede, come se le gambe non riuscissero più a reggermi. Mason se ne accorge e mi stringe ancora di più, sostenendomi con la sua presa solida. Il suo petto si alza e si abbassa in respiri affannati, mentre io mi aggrappo a lui come se fosse l'unica cosa reale in questo momento.
«Non ce la faccio» sussurro, affondando il viso contro la sua spalla. «Non posso vederlo così, Mason. Non posso.»
Lo sento deglutire, le sue dita che si allentano appena per poi stringermi ancora di più, come se cercasse di trasferirmi la sua forza.
«Lo so» risponde piano, la voce spezzata. «Nemmeno io. Ma dobbiamo farcela. Dobbiamo essere forti, per Logan.»
Il suo nome sulle labbra di Mason è come una pugnalata. Chiudo gli occhi, stringendo i denti mentre un singhiozzo mi scuote le spalle. Mason mi tiene stretta, il suo corpo che vibra leggermente insieme al mio. E rimaniamo così, fermi, immobili, due persone che si aggrappano l'una all'altra per non spezzarsi. Dopo un tempo che non riesco a definire, Mason allenta la presa. Le sue mani scivolano sulle mie guance, e quando mi guarda, i suoi occhi sono arrossati, come se stesse lottando contro le sue stesse lacrime.
Poi, con una fermezza glaciale, la sua voce squarcia i sussurri che ora riecheggiano nel cortile. «Gliela faremo pagare.»
Mi irrigidisco appena, le sue parole si insinuano dentro di me come un giuramento sacro. Alzo lo sguardo su di lui, trovando nei suoi occhi un fuoco che non avevo mai visto. Una promessa. Una certezza.
«In un modo o nell'altro» aggiunge, con un tono così deciso che non lascia spazio a dubbi. «Non la passerà liscia, non questa volta. Non se ne andrà in giro come se avesse le mani pulite da tutti i crimini che ha commesso, Liv. Logan avrà giustizia. Noi avremo giustizia.»
Annuisco, le lacrime che continuano a scendere, ma il tremore delle mie mani inizia a fermarsi. È come se quelle parole, quella promessa, riuscissero a riempire il vuoto dentro di me.
«Lo giuro» dico piano, la voce che trema, ma il cuore che inizia a pulsare di una nuova forza.
Mason mi guarda per un lungo istante, annuendo appena, come se stessimo sigillando un patto invisibile. Poi, senza dire altro, mi afferra per un polso, delicato ma deciso.
«Andiamo da lui» sussurra.
Con passo incerto mi guida all'interno, il suo braccio ancora saldo intorno ai miei fianchi, come se volesse tenermi insieme mentre tutto il resto sembra sgretolarsi. Appena varco la soglia, la scena mi colpisce con la forza di un pugno allo stomaco.
Logan è in piedi, sorretto da Ellie, anche se ogni movimento sembra un'impresa impossibile, come se il suo corpo fosse a un passo dal cedere. Lo vedo vacillare, le spalle rigide di fatica, ma è nei suoi occhi che trovo la verità più cruda: il dolore e la preoccupazione si fondono in uno sguardo che cerca solo me.
Fa un passo nella mia direzione, un movimento appena percettibile, eppure immenso, come se richiedesse ogni briciolo di forza rimasta. Ed è lì che qualcosa dentro di me crolla. Non posso fare altro, non voglio fare altro.
Corro verso di lui, senza fermarmi, senza pensare, perché Logan è l'unica cosa che conta in questo momento. Mi getto tra le sue braccia, sentendo il suo respiro spezzato contro il mio collo mentre le sue mani mi stringono con quella forza fragile che sa di promessa e resa insieme.
In quell'abbraccio, tutto si ferma. Il dolore, il peso di ciò che è successo, il mondo stesso... si dissolve. Per un attimo, un solo attimo, Logan ed io siamo di nuovo noi. Completi, intatti, come se niente avesse mai osato sfiorarci.
Sento Mason ed Ellie muoversi alle mie spalle, ma il loro rumore svanisce rapidamente, come se fossero solo un'eco distante. Tutto ciò che esiste in questo momento è Logan. Il suo corpo, il suo odore, la sua forza, ma anche la sua fragilità. Affondo la testa nel suo petto, cercando di non fargli troppo male, di non aggiungere dolore a quello che già prova. La sua presa su di me è salda, ma tremante, come se avesse paura di cadere. Io non lo lascio. Mi aggrappo a lui più forte, gli faccio capire che va tutto bene, che sono io a tenerlo in piedi, che non ha nulla di cui preoccuparsi. Le lacrime mi scivolano silenziose, calde e salate, lungo le guance. L'odore di sangue sulla sua pelle è più forte del solito profumo di pino che mi fa sempre pensare a lui, e per un attimo sento il bisogno di scappare di nuovo. Voglio correre fuori, urlare ancora, cercare Gerald, fargliela pagare per quello che ha fatto a Logan. Ma quando la sua mano si solleva per infilarsi tra i miei capelli, dimentico tutto.
«Shh, sto bene» sussurra, ma dentro di me qualcosa si spezza di nuovo. Lui è ferito, eppure si preoccupa per me, per come mi sento. Io, che dovrei essere quella forte in questo momento, sono io a cedere.
Lo guardo, lo studio. Sappiamo entrambi che non è vero che sta bene, che il suo corpo sta cedendo, che ha bisogno di cure. Ma se sentire quelle parole lo aiuta, allora va bene così. Quando lo sento vacillare appena, il suo corpo che non riesce a stare in piedi, capisco che ha bisogno di riposo. Mi stacco da lui solo quanto basta per aiutarlo a sdraiarsi sul letto. In un attimo, Mason è al mio fianco, afferrandolo con una forza che mi sorprende. Insieme, riusciamo a farlo distendere, ma non posso fare a meno di notare che indossa ancora la tuta sportiva, strappata in più punti, segno di quanto sia stato violento il tutto. Non riesco a guardarlo in faccia, non ora che è così malridotto. Mi siedo accanto a lui, la mia mano che sfiora la sua, mentre lui chiude gli occhi per un attimo. Quando tenta di riaprirli, vedo che sono gonfi, e il respiro che prende è così brusco che mi fa trattenere il fiato.
«Perché non siete andati in ospedale?» chiedo, senza davvero aspettarmi una risposta. Logan non ci prova nemmeno a rispondere, l'alcol e l'erba stanno già facendo il loro lavoro, e non posso fare a meno di sentire una rabbia crescente nel petto.
Mason, che è seduto sul suo letto alle mie spalle, sospira, visibilmente stanco. «Non me lo ha permesso. Ha detto che Gerald lo ha minacciato: se fosse andato dalla polizia o in ospedale, avrebbe riservato lo stesso trattamento anche a te.» Fa una smorfia, poi si passa una mano sul viso, come se avesse cercato di tenere gli occhi aperti tutta la notte, e sono sicura che non abbia dormito. «Sai benissimo che non avrebbe mai rischiato di metterti in pericolo, Liv.»
Le parole di Mason mi colpiscono come un pugno, ma non posso fermarmi. Lo fisso, ma so che la mia rabbia non è rivolta a lui. La mia preoccupazione è tutta per Logan, tutta per il suo stato. Riporto lo sguardo su di lui, ma ora il suo sguardo è vuoto, fisso nel soffitto. Come se fosse in trance.
«Non me ne frega un cazzo di quello che potrebbe farmi, Logan! Hai bisogno di cure! Non sappiamo se hai qualcosa di più grave, né se ti hanno rotto qualcosa!» La mia voce è rotta dalla frustrazione. Quando vedo che non mi risponde, mi giro di nuovo verso Mason, il cuore che mi batte forte. «Chiama l'ambulanza, Mase. Io andrò dritta dalla polizia e...»
«No.»
La sua voce mi colpisce come un'onda gelida, facendomi rabbrividire. Mi giro rapidamente, cercando di capire se ha davvero appena detto quello che credo di aver sentito.
«Logan, non mi...»
«No» ripete, questa volta con una determinazione che mi fa accapponare la pelle. Mi guarda negli occhi, ma c'è qualcosa di diverso in lui, qualcosa di più oscuro. «Non andremo da nessuna parte e tu non farai nulla di simile. Un paio di giorni e starò meglio.»
Lo fisso incredula. «Potresti avere un'emorragia interna!» La mia voce cresce di intensità. «Hai visto come sei ridotto? Non puoi ignorarlo!»
Logan chiude gli occhi, cercando di mascherare il dolore che probabilmente sta attraversando, ma la sua voce è ferma. «Sono stato sveglio tutta la notte appunto per questo. Gerald si è assicurato di non rompermi nulla, di non causarmi danni gravi. Starò bene. Fine della discussione.»
La sua sicurezza mi urta, e il mio cuore esplode in mille pezzi. «Fine della discussione?» ripeto, alzando la voce, l'irritazione che cresce. «E tu pensi che bastano un paio di rassicurazioni del cazzo per farmi smettere di preoccuparmi per te? Ti sei guardato allo specchio, Logan? Maledizione, se fossi al tuo posto, mi avresti già portato di peso in ospedale!»
I suoi occhi si chiudono ancora, come se cercasse di nascondere la verità, ma quando parla, c'è un'ombra di sarcasmo nella sua voce. «È una fortuna che sia capitato a me, allora.»
I miei occhi si riempiono di lacrime che non riesco a trattenere, e la mia voce si incrina sotto il peso delle emozioni. «Non fare dell'ironia su queste cose, Logan. Non c'è da scherzarci su.»
Lui, però, sembra non ascoltarmi, perso in un mondo tutto suo. Un sorriso vago danza sulle sue labbra mentre fissa il soffitto, come se sopra di noi ci fosse qualcosa di straordinariamente divertente che solo lui può vedere. La sua indifferenza mi trafigge.
«Sto solo dicendo che posso decidere da solo cosa è meglio per me» ribatte, la sua voce è impastata, lenta. «E in questo momento l'unica cosa che voglio è che stiate tutti zitti. Le vostre parole mi ricordano solo quanto sono a pezzi, e voglio godermi il trip che ho appena iniziato.»
Lo guardo, incredula, mentre sorride ancora. I suoi occhi vagano, pieni di un'illusione che io non riesco a condividere. Mi ritrovo a fissare il punto sul soffitto che lui sta osservando, quasi sperando di vedere quello che lo fa sorridere. Ma non c'è nulla. Solo vuoto.
«Bere e fumare non ti aiuteranno, Logan» insisto, cercando di restare calma, anche se il panico mi sta divorando. «Ma potrebbero farlo i medici, se solo...»
«Ho detto di no.» La sua voce si alza improvvisamente, tagliente come una lama, interrompendomi. È un tono che non usa mai con me, e questo lo rende ancora più doloroso.
Dietro di me sento Ellie sospirare, e una mano calda – quella di Mason – si posa sulla mia spalla in un gesto di conforto. Ma non riesco a distogliere lo sguardo da Logan, la sua figura sul letto sembra fragile, spezzata. È come guardare un castello di sabbia che il mare sta lentamente portando via.
Mason si china verso di me, il suo tono è un sussurro carico di comprensione. «Non prendertela, Liv. Non è in lui. Ha un modo tutto suo di affrontare il dolore... e la paura.»
La paura. La parola mi colpisce come un pugno allo stomaco, perché è proprio quello che sento. Paura. Non per me, ma per lui. Per ciò che potrebbe succedergli se dovesse continuare così. Mi sento impotente, come se stessi cercando di afferrare qualcosa che scivola via tra le dita. Lui ha paura, per me e per sé stesso.
«Ha bisogno di cure» mormoro, la mia voce è bassa ma ferma. È tutto ciò che riesco a dire, ma dentro di me il terrore cresce.
Mason annuisce, poi si sporge verso Logan, il tono della sua voce diventa più deciso. «Liv ha ragione, Logan. Sei testardo, e capisco perché tu non voglia andare in ospedale. Ma devi farlo. Devi lasciare che qualcuno si prenda cura di te. Se ti succedesse qualcosa... lasceresti Liv ad affrontare un dolore inimmaginabile. Da sola. Gerald può aspettare, ma la tua salute no.»
Le sue parole mi colpiscono, perché so che ha ragione. Ma Logan sembra non sentirle nemmeno. Sorride ancora, i suoi occhi si chiudono lentamente, e il suo respiro diventa più pesante. In quel momento, il pavimento sotto di me sembra scomparire.
«Devi stare sveglio! Logan, non puoi addormentarti! Non prima di sapere che starai bene!» La mia voce trema, il panico mi avvolge come un manto soffocante.
Mason si sporge di nuovo, afferrando delicatamente il mento di Logan. Cerca di farlo reagire, di svegliarlo, ma è tutto inutile. Logan è già andato, perso nel suo torpore. Il mio cuore batte forte, il respiro mi si blocca. Mi sembra di precipitare, incapace di fare nulla per fermarlo. Accanto a me, Ellie è pallida come un lenzuolo. La sua espressione è quella di qualcuno che ha già vissuto tutto questo e che sa cosa potrebbe accadere. David. Il pensiero mi colpisce come un fulmine. Lei sta pensando a David, al suo ex, e a quel giorno in cui lo avevano trovato in condizioni simili, finito poi in coma per un mese. Il terrore nei suoi occhi riflette quello che cerco disperatamente di reprimere dentro di me.
«Ellie, biondina» mormora Mason, accorgendosi del suo stato e addolcendo il tono. «Vai nell'infermeria del campus. Prendi del ghiaccio e qualcosa per medicarlo. Ci servono materiali. Puoi farlo?»
Ellie annuisce lentamente, scuote la testa come per scacciare i suoi pensieri, e si alza. La vedo uscire, ma è come se la sua ombra restasse lì con noi, gravando sull'aria già pesante. Non lascio mai la mano di Logan. Le mie dita accarezzano il suo viso tumefatto, mentre baci leggeri si posano sui punti meno dolenti. Forse è un gesto futile, ma è tutto quello che posso fare.
Mason si siede accanto a me, i gomiti poggiati sulle ginocchia, lo sguardo fisso sul respiro irregolare del suo migliore amico. «Ha bisogno di un bagno» dice infine, rompendo il silenzio. «Ieri sera ho provato a trascinarlo sotto la doccia, ma non si reggeva in piedi. È un miracolo che sia riuscito a portarlo qui.»
Non rispondo subito. So che Mason ha fatto il possibile, e che urlargli contro che avrebbe dovuto chiamarmi non cambierebbe nulla. Logan è ostinato, troppo ostinato, e nulla può piegare la sua volontà quando si mette in testa qualcosa.
«Ieri sera mi ha telefonato prima di uscire» mormoro quando il silenzio diventa insopportabile. «L'ho trovato... strano. Come se mi stesse nascondendo qualcosa.»
Mason sospira accarezzandosi il mento. «Perché probabilmente è così. Non ti ha detto nulla delle lettere, vero?»
Mi volto verso di lui, confusa. «Quali lettere?»
«Appunto.»
Si alza e si avvicina allo zaino di Logan, lo apre e ne tira fuori due buste bianche. Me le porge, e io le prendo con una mano tremante. Non riesco a staccare lo sguardo dal suo.
«Cosa troverò qui dentro?» chiedo, la mia voce è appena un sussurro.
La sua risposta arriva dopo un attimo di esitazione, ma mi colpisce come un macigno. «La vita di Logan... spezzata un'altra volta.»
Al rifiuto della Hill Boxe, sento un tuffo al cuore che quasi mi lascia senza fiato. Il peso della delusione si abbatte su di me con una forza travolgente, immaginando quanto dev'essere stato devastante per Logan scoprirlo. Tutte le sue speranze, i sacrifici, le lunghe ore di allenamento, tutto si è frantumato in quel "no". Quel rifiuto non è solo una porta chiusa, è un pugno che colpisce un'anima già ferita, una condanna che arriva quando il bisogno di riscatto è più forte di qualsiasi altra cosa.
So che Logan quella sera non aveva combattuto per vincere. Non era lì per dimostrare nulla a nessuno, né a sé stesso, né alla giuria. Il suo unico scopo era affogare il dolore, lasciarsi sopraffare da qualcosa di fisico e tangibile per non sentire più quell'altra sofferenza, quella che ti scava dentro senza lasciarti scampo. Ma la giuria non poteva saperlo, e forse nemmeno lo avrebbe compreso. Tutti vedono un ragazzo che ha abbassato la guardia, che si è lasciato colpire, ma io vedo un uomo che non sapeva come sopravvivere a ciò che aveva dentro.
Il mio sguardo si abbassa sulla lettera che stringo tra le mani, le parole si sfocano tra le lacrime che mi rigano il viso. Mi sembra di vedere Logan, solo, seduto da qualche parte con quella busta ancora chiusa tra le mani, terrorizzato dall'idea di scoprire l'ennesima sconfitta. Posso immaginare il momento in cui ha letto quelle righe, il silenzio opprimente intorno a lui, il vuoto che dev'essersi spalancato nel suo petto. Ogni fibra del mio essere vorrebbe essere stata lì con lui per poterlo stringere, proteggerlo da quel dolore che invece ha dovuto affrontare da solo.
Distolgo lo sguardo dalla lettera per tornare a lui, così fragile e vulnerabile nella sua immobilità. Lo accarezzo con una delicatezza infinita, sfiorando appena quei punti in cui il dolore è più acuto. Le mie dita tremano mentre percorrono il suo volto, come se attraverso quel gesto potessi trasmettergli tutto il mio amore, tutta la mia forza, come se potessi colmare un po' di quel vuoto che lo ha consumato.
«Vorrei essere stata lì con te» sussurro, la mia voce un filo spezzato dall'emozione. «Vorrei averti abbracciato stretto e sussurrato che non sei solo, che non lo sarai mai finché ci sono io.»
Mason mi osserva in silenzio, seduto accanto a me, lo sguardo fisso sul petto del suo migliore amico che si alza e si abbassa in un ritmo lento e pesante. Anche lui sembra prigioniero dei propri pensieri, forse tormentato dal senso di colpa per non aver fatto abbastanza. «Logan ha sempre avuto un talento incredibile» mormora infine, rompendo il silenzio. «Ma adesso ha bisogno di trovare un motivo per combattere, visto che questo non potrà più farlo.»
Mi ritrovo ad alzare di scatto lo sguardo su di lui, le lacrime che ancora mi offuscano la vista. «Cosa significa?»
Mason mi passa l'altra lettera, ma già prima di prenderla sento il peso di qualcosa che non voglio sapere, qualcosa che non sono pronta ad affrontare. I suoi occhi sono colmi di una gravità che mi schiaccia, e quando la mia mano finalmente afferra il foglio, il mio cuore sembra fermarsi.
Non esito, ma ogni parola che leggo mi si conficca dentro come una lama. È un referto medico. In mezzo a tutte quelle frasi complicate, piene di numeri e termini che non capisco, due parole mi colpiscono come un fulmine: Osteogenesi imperfetta. Il foglio trema nelle mie mani, e per un momento mi sembra che l'aria venga risucchiata fuori dalla stanza.
Lo rileggo, una, due, tre volte, sperando che i miei occhi si siano sbagliati, che ci sia un errore. Ma no, è tutto lì, nero su bianco.
Il panico si arrampica dentro di me, mi prende alla gola. Alzo lo sguardo verso Mason, terrorizzata, il foglio che mi scivola dalle mani.
«Cos'è? Che cazzo significa, Mase?» La mia voce è rotta, quasi un grido, ma dentro c'è una disperazione che mi lacera.
Lui sospira, e il suono sembra tagliare l'aria come vetro infranto. «Non ne so granché» inizia, ma ogni parola che segue è un macigno che si abbatte su di me. Mi racconta della malattia, della fragilità delle ossa di Logan, di come anche un semplice movimento potrebbe causargli dolore o fratture. Il mio corpo si paralizza mentre le sue parole si fanno strada nella mia testa. Ogni descrizione è un pugno, e io non riesco a respirare. La mia mente corre a Logan, al suo amore per la boxe, al football, a tutto quello che lo definisce, e la verità si abbatte su di me con la violenza di un'onda: non poitrà più fare nulla di ciò che ama.
«Questo significa che...» balbetto, la voce tremante.
Mason annuisce lentamente, come se non volesse dirmelo. «Sì. Football e boxe sono fuori questione. Gli è stato sconsigliato categoricamente. È troppo pericoloso, potrebbe spezzarsi, letteralmente.»
Le sue parole mi travolgono come un uragano, lasciandomi in pezzi. Non riesco a fermare il fiume di pensieri che mi travolge: Logan, che ha sempre trovato nella lotta il suo scopo, la sua identità, ora è intrappolato in un corpo che lo tradisce. Non può più correre verso i suoi sogni, non può più essere il guerriero che ho sempre visto in lui.
«Ieri era proprio a pezzi, Liv» continua Mason, la sua voce incrinata. «Non l'ho mai visto così... vuoto. Era come se non ci fosse più nulla dentro di lui. Ho temuto... ho temuto che decidesse di farla finita ad un certo punto.»
Quelle parole sono troppo. Mi alzo di scatto, i piedi instabili come se il terreno sotto di me si fosse spezzato. «No, no, non può essere... Logan non...»
Mi porto le mani alla testa, il respiro corto, il cuore che martella nel petto. Un'ondata di immagini mi colpisce: Logan seduto da solo, perso, distrutto. Logan che non riesce più a trovare un motivo per alzarsi dal letto. Logan che si spegne lentamente.
«Devo fare qualcosa... devo fare qualcosa per lui!» sussurro, ma la mia voce è un miscuglio di panico e disperazione. Guardo Mason, cercando una risposta nei suoi occhi, ma tutto ciò che trovo è un riflesso del mio stesso dolore.
«Come faccio ad aiutarlo? Dimmi come! Non posso... non posso guardarlo soffrire così. Non posso lasciarlo solo in questo momento.»
Mason scuote la testa lentamente. «Liv, nessuno può salvarlo se non lui stesso. Noi possiamo solo stargli accanto.»
Quelle parole mi annientano. Mi sento impotente, inutile, un peso. Come posso stargli accanto quando non riesco nemmeno a sopportare il suo dolore? Mi lascio cadere sulla sedia, la testa tra le mani, e lascio che le lacrime scorrano senza freni. Non mi importa più di sembrare forte, perché in questo momento sono distrutta tanto quanto lui. Mason è da me in un attimo, le sue braccia mi avvolgono con una forza che sembra impedire ai miei pezzi di frantumarsi del tutto. Non so come faccia a mantenere questa calma apparente, quando io mi sento come un castello di sabbia spazzato via dalle onde. Tutto sembra crollare insieme: troppe cose, troppo grandi, troppo veloci. Non siamo pronti per questo. Non dovremmo esserlo. Non possiamo esserlo.
Sono persa nel suo abbraccio, quasi incapace di respirare, quando un suono insistente mi costringe a sollevare lo sguardo. Qualcuno sta bussando alla porta, o meglio, picchiando con tutta la forza possibile.
«So che siete li dentro, Mason! Apri questa cazzo di porta o la butto giù!» urla una voce familiare dall'altra parte.
Mason mi guarda, indeciso, come se chiedesse il mio permesso. Al mio cenno, sbuffa e si avvicina alla porta, aprendo con un'imprecazione trattenuta tra i denti. Dall'altra parte c'è Reed, con il volto contratto dalla rabbia e dall'impazienza. Dietro di lui, Ellie tiene stretto un kit di medicazione, il viso pallido e teso.
Mason li spinge dentro velocemente, guarda nel corridoio per assicurarsi che nessuno li stia seguendo, e chiude la porta con un gesto secco.
Reed si gira subito verso di me, confuso e chiaramente agitato quando mi vede con le guance rigate di lacrime. «Qualcuno vuole spiegarmi che cazzo sta succedendo? Là fuori dicono che hai avuto una crisi isterica in mezzo al cortile.» Si gira verso Mason, accusatorio. «E che tu fossi lì con lei.»
La sua espressione cambia completamente quando il suo sguardo cade su Logan. È disteso sul letto, immobile, il viso gonfio e tumefatto. Reed si blocca, il respiro gli si ferma per un istante.
«Cristo santo... quello è Logan?» si lascia sfuggire, incredulo. Si avvicina lentamente, come se il tempo avesse rallentato. Quando è abbastanza vicino da vedere tutti i dettagli del suo volto devastato, indietreggia, scosso. «Che cazzo è successo?» si gira verso di noi, con gli occhi spalancati. «Che cazzo è successo?!»
Ellie sobbalza dalla sua voce alta, mentre Mason gli si avvicina e gli stringe una mano sulla spalla, abbassando il tono. «Reed, calmati. Stai zitto o ci sentiranno tutti.»
«Calmarmi? Vuoi che mi calmi? Guarda Logan, Mason! Non è il tipo di situazione in cui ci si deve calmare!»
Cerco di respirare, ma le parole mi escono strozzate.
«E stato... Gerald» riesco a dire, la mia voce un sussurro disperato.
Reed si volta verso di me, incredulo. «Quel pezzo di merda che ti ha quasi violentata?» Annuisco, stringendo le braccia attorno al mio corpo come per proteggermi dal ricordo. «È stato lui a ridurlo così.»
Reed rimane a bocca aperta per un istante, lo shock dipinto sul volto. «E perché cazzo non siete andati in ospedale?!»
Mason risponde al posto mio, il tono tagliente.
«Perché quel bastardo ha minacciato la vita di Liv se lo avessimo fatto. Logan non lo permetterebbe mai. Lo conosci.»
Reed lascia andare un'imprecazione sottovoce, passandosi una mano tra i capelli. «Porca troia. La situazione è grave, cazzo! Se non facciamo qualcosa finirà male per tutti voi!»
«Non possiamo fare niente per ora» ribatte Mason con un tono grave. «Ma c'è una cosa che puoi fare tu, Reed. Non devi dire niente a tuo padre, sono stato chiaro?»
Reed lo fissa, confuso. «Perché? Dovrebbe saperlo, Mason! Potrebbe aiutare Logan!»
Mason scuote la testa con forza, quasi scattando nella sua direzione. «No. Non può saperlo. Non deve. È troppo rischioso. Non voglio che ci siano domande, non voglio che Gerald venga a sapere qualcosa e torni a cercare Liv. Questa è una bomba pronta a esplodere, e Logan verrebbe subito trascinato in ospedale e poi dalla polizia!»
Le sue parole riecheggiano nella stanza, gonfie di una paura che riconosco anche dentro di me. Reed stringe i pugni, la mascella serrata così forte che quasi riesco a sentire i suoi denti scricchiolare. I suoi occhi, chiari e penetranti, passano da uno di noi all'altro come se cercassero una soluzione che semplicemente non c'è.
Ellie fa un passo avanti, posizionandosi accanto a me. Le sue mani si stringono attorno al mio braccio, il suo tocco calmo in netto contrasto con la tensione che pesa nell'aria. Mi guarda con dolcezza, ma anche con una determinazione che mi fa sentire meno sola, meno spaventata. Quando parla, la sua voce è un balsamo. «Reed, lo so che sembra tutto assurdo e che Logan ha bisogno di cure, ma Mason ha ragione. Questa è l'unica opzione che abbiamo, non voglio che la vita della mia migliore amica sia in pericolo. Quell'uomo è pronto a tutto.»
Abbasso lo sguardo per un istante, cercando di raccogliere le forze. Il peso del momento mi schiaccia, ma devo parlare. «Reed, per favore» mormoro, e la mia voce esce più tremolante di quanto vorrei. «Dì a tuo padre che Logan... è influenzato. Che non può allenarsi per qualche giorno. Ti prego.» La mia gola si stringe, ma continuo. «Non possiamo rischiare che scopra qualcosa. Non ora. Non così.»
Reed si passa una mano tra i capelli, spettinandoli ulteriormente, mentre lascia andare un lungo sospiro. «Liv, capisco la tua preoccupazione» dice, il tono basso ma vibrante di frustrazione. «Ma questo non è solo un rischio per Logan. È un rischio per tutti noi.»
«Lo so» sussurro. «Ma non c'è altra soluzione. Se Gerald dovesse anche solo sospettare qualcosa...» Mi fermo, incapace di finire la frase. L'idea che quel mostro possa tornare nella mia vita mi toglie il respiro.
Reed si guarda intorno, osservandoci uno per uno. Ellie gli restituisce uno sguardo pieno di speranza, Mason incrocia le braccia con aria di sfida, ed io cerco di mostrarmi più forte di quanto mi senta. Alla fine, Reed sospira, stringendo i pugni. «Va bene» dice finalmente, il tono pesante come una pietra che cade in un pozzo. «Ma sappiate questo: se Logan peggiora, lo porto io stesso in ospedale. Minacce o no.»
Il suo avvertimento ci lascia tutti in silenzio, perché sappiamo che ha ragione. Eppure, non possiamo permetterci di fare altrimenti.
Ellie rompe la tensione, la sua voce dolce ma decisa. «Forse dovremmo portarlo da noi» propone, guardandomi con attenzione. «Sarebbe più facile tenerlo d'occhio lontano da occhi indiscreti. E se dovesse peggiorare... beh, saremo lì per aiutarlo subito.»
Le sue parole mi fanno tirare un sospiro di sollievo. Annuisco, cercando di nascondere l'ansia che mi attanaglia. «Sì... sono d'accordo.»
Reed si passa una mano sul viso, il gesto stanco di chi sta combattendo una battaglia troppo grande per lui. «Questa storia deve finire in un modo o nell'altro» dice, il tono pieno di rassegnazione. «Occupatevi di Logan. Io mi occuperò di mio padre e di qualsiasi voce di corridoio.»
Mason, che era rimasto in disparte fino a quel momento, si sporge in avanti, la sua voce bassa e quasi esitante. «Reed, tua madre è un medico. Pensi che potrebbe dare un'occhiata a Logan senza parlarne con tuo padre?»
Reed alza un sopracciglio, riflettendo per un momento. «C'è il segreto professionale, quindi sì. Ma vi avverto: se dovesse valutare che Logan è in pericolo di vita, non esiterà a trascinarlo in ospedale. E a quel punto, nessuno di noi potrà fermarla.»
Tutti annuiamo, il peso delle sue parole che grava su di noi come un macigno. I miei occhi si posano su Logan, disteso immobile sul letto. Il suo viso è pallido, le labbra screpolate, e il respiro così leggero che quasi non riesco a percepirlo. Una fitta di dolore mi trafigge il petto.
«Rischierei la mia vita pur di essere sicura che lui stia bene» sussurro, il nodo in gola che rende le mie parole appena udibili.
Mason si lascia sfuggire un mezzo sorriso, intriso di amarezza. «È una frase che direbbe senz'altro lui. Ironico, no?»
Ellie sorride appena, ma c'è una luce nei suoi occhi, qualcosa che mi dà forza. Si avvicina al letto, posando tutto il necessario per curare Logan. Il suo gesto, così premuroso e pieno d'amore, mi fa tremare il mento. «Grazie» le sussurro, incapace di dire altro.
Lei si gira verso di me, il suo sorriso dolce che riesce a scaldarmi anche le ossa. «Andrà tutto bene, scricciolo. Lo sai, vero?»
«Sì» mormoro, ma non sono sicura di crederci davvero.
Mason la aiuta con gli impacchi, mentre Reed rimane seduto sul letto accanto, fissando Logan con un'espressione indecifrabile. Mi alzo, incapace di stare ferma un secondo di più. La tensione dentro di me cresce, come una corda che sta per spezzarsi.
«Dove vai?» chiede Mason, alzando lo sguardo verso di me. Ellie e Reed si girano a guardarmi, gli occhi pieni di domande.
Mi fermo sulla porta, stringendo la maniglia con forza. «A chiamare James.» La mia voce è ferma, decisa, anche se il cuore mi batte all'impazzata. «Non faremo finta di niente. Non questa volta.»
Reed si alza e si avvicina a me, fermandomi con una mano sulla spalla. «Liv, aspetta.» Il suo tono è meno duro di prima, quasi gentile. «Sei sicura di volerlo fare? Sai cosa potrebbe significare?»
Lo guardo negli occhi, cercando di ignorare il tremore nelle gambe. «Sì. Non posso più stare qui senza fare niente. Logan farebbe lo stesso per me, e lo sai.»
Reed mi osserva per un lungo istante, poi lascia andare un sospiro. «D'accordo. Ma promettimi che, se hai bisogno di qualcosa, mi chiamerai subito.»
Annuisco, e quando mi volto per uscire, Ellie mi stringe la mano per un secondo. «Siamo tutti con te» mi dice, il suo sorriso dolce che sembra voler portare via almeno un po' del peso che porto dentro.
Quando esco dalla stanza, mi fermo un attimo nel corridoio, il cuore che batte così forte da farmi quasi male. Non so cosa succederà, ma so che sto facendo la cosa giusta. Per Logan. Per noi.
E mentre mi avvio verso l'esterno, un pensiero mi attraversa come una lama: l'amore non è solo passione e felicità. È sacrificio, è lottare contro il buio, anche quando sembra impossibile vincere.
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