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Capitolo trentacinque - Logan

She saved me
again
and again
and again


Il cielo sopra di noi sembra diviso in due mondi. Da una parte, il tramonto dipinge l'orizzonte con colori vibranti: strisce di luce arancione e viola che si mescolano a sfumature rosse, creando una coperta di fuoco che sembra sciogliersi nell'aria. Dall'altra, la notte avanza implacabile, con il blu scuro che inghiotte il cielo e porta con sé un freddo che sembra far rabbrividire anche le ossa. C'è un silenzio grave, quasi sacrale, che aleggia nel cimitero. L'odore di terra umida e di fiori secchi si mescola all'aria gelida, come un ricordo che non se ne va mai.

I miei passi sulla ghiaia sono più forti del previsto, come se ogni singolo movimento stesse cercando di rompere l'incantesimo di quiete che avvolge il luogo. Il cuore batte a velocità crescente ad ogni passo che mi avvicino a lei, mentre il freddo mi punge la pelle in modo fastidioso. Non sono venuto qui quando l'hanno seppellita. Non sono riuscito a varcare i cancelli e a sopportare il peso di saperla sotto un mucchio di terriccio umido, ma oggi... oggi non potevo non esserci. Dovevo essere qui per lei, per la sua famiglia, per me stesso.

La mia mente torna a quell'incredibile senso di vuoto che mi ha accompagnato da quando l'ho persa. Ma la sensazione più forte è il rimorso. Ogni anno, ogni festa, ogni istante che avrei potuto vivere con lei e che ho lasciato scivolare via senza battere ciglio. Ora c'è solo silenzio, un silenzio che mi consuma, è quel dolore che non passa, che diventa una presenza costante, un compagno che non mi lascia mai. Sono stanco, esausto di sentirmi così, e forse è proprio la consapevolezza di non esser mai venuto a trovarla, se non una volta mesi fa a lasciarmi così a pezzi. È che l'idea di saperla in questo posto mi fa precipitare in un abisso contro cui combatto ogni giorno. Per questo ho sempre evitato, per questo ho sempre cercato di non guardare in faccia la realtà. Lo so, se fosse ancora qui non me ne farebbe una colpa, ma sarei certo che si arrabbierebbe tantissimo a sapere in che modo mi sono ridotto in sua assenza. A volte vorrei solo prendere il telefono, chiamarla, sentirla, raccontarle di Liv, del mondo che gira a vuoto senza di lei. Ci sono giorni in cui la sua assenza è più dolorosa del solito, e oggi è proprio uno di questi.

Quando giro l'angolo, lo vedo. Jackson è già lì, seduto accanto alla lapide, con un mazzo di girasoli stretto tra le mani e la testa china. Il suo sguardo è fisso sul marmo, come se avesse fatto una domanda a Camilla e stesse aspettando una risposta che non arriverà mai. La sua solitudine è tangibile, quasi visibile, come un'ombra che lo avvolge. È un dolore che non posso negare, che non posso ignorare, perché lo condividiamo entrambi, anche se non parliamo mai davvero di questo. Io e lui non parliamo mai, in realtà. Un dolore che nessuno, nemmeno Liv, nemmeno Ellie, potrà mai capire. Chissà dov'è la sua ragazza in questo momento, chissà se si rende conto di quanto sia difficile per lui, di quanto sia difficile per me. Chissà se capisce che, per Jackson, Camilla avrà sempre un posto speciale nel cuore, che non c'è niente, nessuna persona che possa colmare quel vuoto. Non voglio interrompere il suo momento, ma quando alza lo sguardo, so che mi ha sentito. Il nostro silenzio si spezza, ma non c'è rabbia, solo una comprensione tacita, una connessione che non ci permette di nascondere i nostri sentimenti.

«Sei in ritardo» dice con un tono che non riesco a decifrare, senza nemmeno una parola di saluto. La sua voce è piatta, ma c'è qualcosa di più profondo sotto, una sfumatura che non mi era mai capitato di sentire prima. È come se stesse parlando a se stesso più che a me.

«Non sapevo ci fosse un orario fisso» rispondo, mettendo le mani nelle tasche del giubbotto, cercando di nascondere il nervosismo. Le gambe sembrano molli, il cuore ancora troppo pesante per affrontare il resto della giornata.

Jackson mi guarda appena, alza un angolo della bocca in quello che potrebbe essere un sorriso. «Camilla odiava aspettare, dovresti saperlo.»

Quella frase mi colpisce dritta al cuore, come un pugno che mi toglie il respiro. Non perché sia stata detta con cattiveria, ma perché è vera. Camilla aveva quella personalità impetuosa, che non tollerava nessun ritardo, nessuna esitazione. Se qualcosa non le andava bene, lo faceva sapere. Era una di quelle cose che la rendevano unica, e la sua assenza mi pesa come un macigno. Mi sembra quasi di sentirla ridere dietro di me.

Mi avvicino lentamente e mi siedo accanto a lui, sul bordo freddo della pietra. Il contatto con il marmo mi fa rabbrividire, ma resto immobile. Siamo seduti di fronte a una lapide, semplice ed elegante, proprio come Camilla. Ma non riesco a guardarla troppo a lungo. Ogni lettera incisa sembra un altro pezzo del mio cuore che si frantuma.

«Non pensavo di trovarti qui» dico alla fine, cercando di rompere il silenzio che è caduto pesante tra di noi.

Jackson mi guarda con un'espressione che non riesco a interpretare.

«Dove pensavi che fossi, Logan? A festeggiare Capodanno?» La sua voce è tagliente, ma non c'è cattiveria, solo un'aridità che rende il tutto più difficile da digerire.

Sorrido, ma la mia bocca è troppo secca per sembrare naturale.

«No, non pensavo che saresti venuto... insieme a me, intendo.»

Jackson non sembra nemmeno troppo sorpreso. «Credevo fosse il caso di assicurarmi che non scappassi di nuovo. E poi... non so dire di no a Liv. Vuole che tu ci sia, che noi due stiamo vicini oggi. Che tu ci creda o no, quella ragazza è convinta che un giorno io e te potremo andare d'accordo.»

Il suo tono è pungente, ma non c'è più quella rabbia che una volta ci separava. È come se tutto quel rancore fosse stato spazzato via, lasciando posto solo a una strana, quasi irritante, calma. Ora siamo semplicemente due che si misurano a parole, come se il dolore potesse essere addolcito da frasi che non significano nulla, battute che non fanno ridere.

Abbasso lo sguardo, il peso delle parole non dette che gravano su di me. «Non sono scappato. Non l'ho fatto apposta a non venire mai» mormoro, quasi cercando di convincere me stesso. «E riguardo a Liv... se questo la fa sentire meglio, allora va bene così.»

Jackson non risponde subito. Il suo sguardo si perde nel vuoto per un attimo, e l'aria tra noi si fa più pesante. Poi, con un respiro che sembra voler liberarsi di qualcosa di molto più grande, scuote la testa. «Lo so. Ma non rende le cose più facili. Non ci siamo mai davvero dati una possibilità io e te, di rimediare.»

Mi sorprendo. Alzo lo sguardo verso di lui, i suoi occhi che ora non evitano più i miei.

«E tu vorresti che accadesse?» chiedo, quasi temendo la risposta.

Jackson fa una smorfia scuotendo le spalle, ma la sua espressione è più sincera di quanto avrebbe voluto ammettere.

«Tu no?» risponde, la domanda che mi lancia è piena di quella sfida che mi sembra quasi un grido silenzioso.

Il silenzio cala di nuovo, pesante come il fango. Il vento muove le fronde degli alberi sopra di noi, ma non c'è altro rumore. Jackson appoggia il mazzo di fiori sulla tomba e lo sistema delicatamente, con una cura che non mi aspettavo. C'è qualcosa in lui di diverso, di più fragile, che non avevo mai visto prima. Forse è il dolore che lo sta cambiando.

«I girasoli erano i suoi fiori preferiti» dice senza che io glielo chieda.

«Lo so» rispondo a voce bassa. La memoria di Camilla mi sovrasta, come una sensazione di mancanza che non se ne va mai. «Una volta le ho portato delle rose per il compleanno e mi ha detto che la facevano sentire vecchia.»

Jackson ridacchia sommessamente, ma c'è un taglio nel suo sorriso. «Chi diavolo regala delle rose per il compleanno di una sedicenne? Ha detto che ti aveva quasi cacciato di casa.»

«Non 'quasi'» rispondo, e sento il nodo in gola crescere. «Pensavo di fare un gesto carino, suppongo.»

Entrambi ridiamo, ma è una risata che si spegne subito, come se la tristezza non ci permettesse di trattenere davvero la gioia.

«Ti amava, Logan» mi dice dopo un po', la voce ora più seria. Non c'è rabbia, solo una verità che mi colpisce come una pietra. «Me lo ha sempre urlato fino allo sfinimento, ma io facevo finta di non ascoltarla, in quei momenti. Ti amava come un fratello, forse ti avrebbe adirittura preferito a Kate. Se solo mi fossi comportato meno come un coglione e più come un fidanzato perfetto... magari avremmo potuto vivere gli ultimi anni con lei con più serenità.»

Le sue parole mi schiacciano. Le sento come un peso che si abbatte su di me, qualcosa che non riesco a ignorare. È una verità amara, una condanna che mi avvolge, ma anche una sorta di consolazione che mi ferisce in modi che non riesco a comprendere del tutto.

«Tu sei stato un geloso ossessivo, mentre io l'ho delusa» mormoro, senza guardarlo, come se le parole non volessero uscire da me. Ma lo fanno, e in esse c'è tutto il dolore che non riesco a esprimere. Mi sento responsabile per ogni cosa che è andata storta, per ogni parola non detta, per ogni azione compiuta troppo tardi. «Direi che ce la giochiamo per decidere chi dei due è stato più coglione.» Avrei dovuto fare di più, ma non lo sapevo. Non potevo sapere che, quando me ne sarei accorto, sarebbe stato troppo tardi.

Jackson mi guarda, e ora c'è qualcosa nei suoi occhi che non avevo mai visto prima: non solo il dolore, ma una sorta di accettazione, come se stesse finalmente accogliendo la realtà. «No.» La sua voce è bassa, ma ferma. «Non l'hai delusa, lo so con certezza. È sempre stata fiera di te, anche quando ti comportavi come un immaturo.» Le sue parole sono gentili, con una sincerità che non avevo mai notato prima. «Non potevi fare nulla. Nessuno di noi due poteva...» La sua voce s'incrina, e so che sta pensando a quella notte, a quando era lui al volante e ha perso il controllo, segnando così la fine della sua ragazza, ma anche della mia migliore amica.

Mi sento soffocato, il peso del rimorso che mi stringe la gola. «Avrei dovuto fare di più» insisto, cercando di liberarmi da quella nebbia che mi offusca. «Quella sera avrei dovuto ascoltarla. Non avrei dovuto organizzare la festa in un posto lontano, mettendo in pericolo la vita di chiunque. Invece, non ho ascoltato nessuno, tranne me stesso... e guarda come è finita. Guarda dove siamo ora.» La mia mano trema quando indico la tomba, come se tutto ciò che è accaduto fosse scritto lì, sotto quelle fredde pietre.

Jackson scuote la testa lentamente, come se volesse fermarmi. Fa per toccarmi la spalla, ma poi si ferma, chiudendo la mano in un pugno stretto. «Non avresti potuto proteggerla dal destino. Io invece...» La sua voce vacilla, ma poi torna sotto controllo.

Lo guardo negli occhi, cercando un frammento di verità in quelle parole, un angolo di conforto che possa alleviare almeno un po' del dolore che ci stringe. «Tu l'amavi» dico, sorpreso dalla calma che riesco a mantenere. «Eri quello giusto per lei, a prescindere da quello che io credevo. Lei lo sapeva, e non aveva paura di dimostrarlo a tutto il mondo. Non è nemmeno colpa tua, Jackson.»

Le parole sono dure da pronunciare, ma sento che sono le uniche che possano davvero arrivare a lui, quelle che forse sono state dimenticate nel mezzo di tutto quel dolore, nell'incapacità di dirsi la verità fino ad ora. E, forse, è la verità che più di tutte ci fa male: non c'è un colpevole. Solo un destino che ha colpito due persone che avrebbero voluto fare di più.

Jackson è silenzioso per un lungo momento. Poi, con una voce quasi impercettibile, risponde: «Sì, l'amavo. E lei mi amava. Ma aveva bisogno di te quanto di me, e io ho sempre cercato di separavi. Non me lo perdonerò mai, noi due eravamo la sua famiglia.»

Quella parola, "famiglia", mi colpisce più di qualsiasi altra. Non ci avevo mai pensato in quel modo, ma è vero. Camilla non era solo mia. Non era solo di Jackson. Era di tutti e due. Eravamo legati in un modo che nessuno avrebbe mai potuto spezzare. Un po' come io, lui e Liv, adesso.

«Sai, mi manca» espiro lentamente, il peso della perdita che mi schiaccia il petto. «Ogni giorno.»

«Anche a me» mormora, la voce che s'incrina appena. «A volte mi sveglio la mattina e per un secondo penso che sia tutto un incubo. Che posso ancora chiamarla. Ma poi mi ricordo che non c'è.»

Il silenzio tra di noi si fa più profondo, il peso della conversazione che stiamo portando è come un'ombra che ci segue. Jackson sembra aver distolto lo sguardo, e io lo seguo, cercando di leggere qualcosa nei suoi occhi. So che oggi non è un giorno come gli altri per lui. È passato già del tempo, ma non puoi mai dimenticare una perdita come quella. Camilla, per lui, era qualcosa di più di una semplice "ragazza". Era il suo amore, il suo tutto, e il fatto che oggi, due anni dopo, il pensiero di lei torni a farsi strada lo fa soffrire. Non resisto e glielo chiedo.

«Ed Ellie?» inizio, con cautela. «Come sta prendendo tutto questo?»

Jackson non risponde subito. Ci pensa, come se non volesse ammettere qualcosa che sa di essere vero ma che non sa come dirlo. Il suo sguardo si perde lontano, forse verso la città, ma probabilmente è tutto dentro di lui. Dopo un attimo, si sistema meglio nella sua posizione, come se si fosse preparato a dover affrontare una domanda da cui non può sfuggire.

«È complicato» dice alla fine, la voce bassa. «È difficile per lei vedermi così. Sa quanto mi manca Camilla, e sa quanto questo giorno sia... che ne so, doloroso. Ma non è mai stata una di quelle persone che fa domande su come mi sento. Sai, è una di quelle che preferisce aspettare che lo dica io, che mi apra.»

Annuisco, ma non dico nulla. L'idea che Ellie stia cercando di fare spazio a quello che Jackson prova senza mettergli troppa pressione, mi fa sentire un po' più vicino a lei, anche se per la maggior parte del tempo sembriamo detestarci. Ma la verità è che, nonostante il suo comportamento discreto, mi preoccupa. Ho visto troppo spesso persone cercare di contenere il proprio dolore senza permettersi di sentirlo veramente. Per esempio io.

«Pensi che sia facile per lei? Lo dico perché se fossi al suo posto... mi sentirei abbastanza in competizione con una memoria che non scompare mai.» Guardo Jackson, cercando di cogliere una reazione. «Non è che vuoi che Ellie dimentichi Camilla, ma c'è sempre quel rischio, no? Che lei possa sentirsi come se dovesse fare i conti con un fantasma.»

Jackson sospira, il suo respiro che diventa più pesante, come se stesse trattenendo qualcosa. «Non lo so. A volte penso che Ellie si preoccupi troppo. Lei lo sa che è stato un amore che non posso dimenticare, ma non vuole che io viva nel passato. Non sa mai quando è il momento giusto per tirare fuori certi argomenti. Vuole solo essere lì per me, ma allo stesso tempo non vuole mettere il dito nella piaga.»

«E tu?» lo incalzo. «Come ti senti tu, in tutto questo?»

Jackson alza lo sguardo verso di me, come se stesse cercando di rispondere senza sembrare troppo vulnerabile. «A volte mi chiedo se la sto facendo sentire come se fosse in competizione con qualcosa che non potrà mai eguagliare. Ma la verità è che non posso pretendere che Ellie capisca fino in fondo tutto ciò che ho vissuto con Camilla. Non è giusto.» Fa una pausa. «Tuttavia, so che Ellie è una persona che mi ama per come sono, con tutte le cicatrici, i rimorsi e la memoria di Camilla che porterò sempre con me.»

Sospiro, cercando di capire cosa rispondere. È difficile, perché so che, nonostante le buone intenzioni, la situazione non è mai semplice. E mentre guardo Jackson, penso anche a Liv e a come, a volte, la vita ci costringe a scegliere tra due realtà che non si possono davvero conciliare.

«Dev'essere una vera montagna russa» dico infine, scuotendo la testa. «Per te, e anche per lei.»

Jackson ridacchia un po', ma non c'è vera allegria in quella risata. «Un po' come la mia vita, direi. E forse un po' come quella di Ellie...»

C'è un altro silenzio, ma questa volta è più leggero. Non ci sono risposte facili a quello che sta accadendo. C'è solo il fatto che Jackson sta cercando di fare del suo meglio, e che Ellie, per quanto lo ami, non può essere il sollievo definitivo da tutto ciò che ha vissuto. Ma forse, almeno, ha trovato qualcuno che lo capisce abbastanza da non permettere che cada nel dolore.

Alla fine, guardo Jackson, che ora è più calmo, e con un sorriso che è più per se stesso che per me, dice: «Spero che, col tempo, ci abitueremo a questa vita di montagne russe. Ma non sarà facile.»

Il vento è più forte ora, muove i suoi capelli mentre lo guardo con attenzione. La conversazione sull'essere legati al passato sembra sospesa tra noi, come se stessimo aspettando il momento giusto per dire quello che veramente ci pesa. Alla fine, Jackson rompe il silenzio, e la domanda che mi fa me l'aspettavo.

«E Liv?» chiede, con un'espressione che è difficile decifrare. «Come se la cava con tutto questo?»

Mi sento colpito dalla domanda, come se non ci avessi mai realmente riflettuto su come lei lo viva. Siamo sempre concentrati su come mi sento io, sul mio dolore, ma mai su quello che può provare Liv a stare accanto a me, sapendo che ogni anno il giorno di oggi riporta con sé il peso del passato.

«Non lo so» rispondo, pensandoci un attimo.

Jackson mi guarda, il suo sguardo si fa serio mentre ascolta ogni parola. «Ma è difficile, no?»

Annuisco lentamente. «Lo è. Non è mai semplice, e a volte mi sembra che... che lei faccia più di quanto io faccia per lei. Mi ha sempre detto che è okay, che non deve essere tutto perfetto. Ma lo so, e lo vedo... che ogni tanto si fa più piccola, come se dovesse farsi da parte per permettermi di stare in pace con il mio passato.»

Jackson sbuffa, come se stesse riflettendo su quello che sto dicendo. Poi, con un piccolo sorriso che non arriva mai fino agli occhi, aggiunge: «Immagino che per lei dev'essere complicato essere la "seconda", no? Non che tu glielo faccia pesare, ma il fatto che tu non possa mai davvero lasciare andare del tutto quello che è successo... non dev'essere facile per nessuno dei due.»

«Lei non sarà mai seconda a nessuno» rispondo, quasi con un sospiro. «Sono semplicemente due cose diverse. E la cosa che mi fa più male è vedere che, anche se sta con me, ci sono momenti in cui si sente come se... come se non potesse mai essere "abbastanza". Non so come spiegarlo, ma la vedo in alcuni momenti, quando cerca di non farmi pesare niente. È come se non volesse mettere ulteriore carico su di me, come se temesse che, se chiedesse troppo, finirebbe per farmi allontanare.»

Jackson mi guarda con attenzione, come se stesse cercando di mettersi nei panni di Liv. Poi, dopo una lunga pausa, dice con tono un po' più morbido: «Non credo che sia quella la questione. Il punto è che lei sa che tu l'ami, Logan. E questo è quello che conta. Non è che sta cercando di essere "più di Camilla" o qualcosa del genere. È che, forse, non vuole nemmeno chiedere troppo per paura di... rivelarsi troppo, di diventare troppo pesante. Lei lo sa che non c'è confronto, esattamente come lo sa Ellie.»

Annuisco, seppur con un leggero scetticismo. «Forse hai ragione. Ma ci sono giorni in cui mi sembra che stia soffrendo in silenzio per qualcosa che non posso neanche davvero capire, solo perché sa che non posso essere completamente "libero" da Camilla.»

Jackson alza le spalle con un sorriso che è più comprensivo che sarcastico. «Magari è così. Ma a volte basta solo essere lì, senza aspettarsi niente di speciale, e lasciare che le cose scivolino. Se lei sa che la ami, Logan, il resto verrà da sé. Non devi fare miracoli.»

Mi fermo a riflettere su quello che ha detto, e mentre il silenzio ci avvolge per un momento, capisco che forse ho complicato le cose più di quanto dovessi. Jackson ha ragione, dannazione, e la cosa mi irrita parecchio.

«Ci proverò» mormoro alla fine, come se stessi facendo una promessa a me stesso.

Siamo seduti in silenzio da almeno mezz'ora, l'uno accanto all'altro, con la tomba di Camilla tra di noi. Non so cosa mi aspettavo, ma non è questo. Non è mai quello che mi aspetto quando siamo insieme io e lui, eppure sembra quasi che il peso della situazione si stia alleggerendo. Jackson guarda davanti a sé, con gli occhi che si fermano sulla tomba come se cercasse di decifrare un messaggio che non arriverà mai. Non so se lo stia facendo per Camilla o per se stesso, ma non posso biasimarlo. So cosa si prova a non riuscire a smettere di pensare a lei. E so anche che, se non parliamo, ci resteremo infilati dentro questo buco senza via d'uscita.

«Sai» dice lui finalmente, senza alzare lo sguardo, «non avrei mai pensato che oggi avremmo affronato determinati discorsi.»

«Eh, nemmeno io» rispondo, cercando di sdrammatizzare. «Ma sembra che il destino ci faccia sempre fare cose che non avremmo mai immaginato.»

Jackson mi lancia un'occhiata di sbieco, come se avesse appena capito che non è più il momento di fare battute pesanti. «Sei cambiato. Prima ti saresti arrampicato sul tetto per evitare questa conversazione.»

Sorrido. «E tu mi avresti urlato in faccia che sono un immaturo.»

Jackson scuote la testa, ma c'è qualcosa di più morbido nel suo sguardo. «Ti sei comportato come un bambino per troppo tempo, Logan. Ma lo capisco, ormai. Ti sei sempre rifiutato di vedere le cose per come sono.»

«E tu sei diventato l'eroe che si è messo in testa di risolvere sempre tutto, eh?» rispondo con un sorriso sarcastico. «Non ti credevo capace di tanta bontà d'animo.»

Jackson mi lancia uno sguardo fulminante, ma poi si rilassa. «Non dico che ho risolto tutto, ma almeno ci sto provando. Se non altro, ho smesso di agire come un idiota per convincermi che fossi nel giusto.»

«Ah, che bello» rispondo, alzando gli occhi al cielo. «Ora sei un uomo nuovo. Forse dovremmo organizzare una festa per festeggiare. Magari mettiamo anche un cartello all'entrata con scritto: "Jackson ha smesso di essere un cretino".»

Jackson ride buttando la testa all'indietro, ma poi si fa serio. «Non è così semplice, Logan. Le cose non si sistemano con una battuta. Ma capisco cosa stai cercando di fare.»

Lo guardo, sorpreso. «Oh? E cosa sto cercando di fare, secondo te?»

«Stai cercando di giustificarti, come sempre. Ti stai nascondendo dietro le parole. È quello che fai. Ma oggi è il momento di smettere di farlo.» Jackson scuote la testa, ma non con rabbia. Piuttosto, con quella frustrazione che senti quando vuoi fare di più ma non sai come.

Sorrido di nuovo, ma stavolta è più una smorfia. «Hai ragione. Non so come smettere di fare il cretino. Ma ci sto provando.»

«Bene» dice, alzando finalmente lo sguardo e guardandomi dritto negli occhi. «Perché, se lo fai davvero, allora forse possiamo smettere di fare a gara su chi è stato più stupido negli ultimi anni.»

Alzo le sopracciglia. «Una gara? E chi vincerebbe?»

«Probabilmente tu, dato che riesci a fare il cazzo che ti pare senza mai passare per lo stronzo di turno» risponde Jackson, senza perdere il sorriso. «Ma lo accetto.»

Sorrido anch'io, anche se la verità mi colpisce come una mazzata. «Okay, d'accordo. Potrei anche vincere, ma non significa che mi senta meglio al riguardo.»

«Lo so» mormora, fissandomi per un momento. «Nessuno di noi si sente meglio. Ma possiamo provare a sistemare le cose, no? Forse non tutto. Ma qualcosa.»

Faccio una pausa, guardando la tomba. «Possiamo provarci. Ma non ti aspettare che tutto si risolva con una pacca sulla spalla.»

«E tu non ti aspettare che io ti faccia l'applauso» dice, alzandosi in piedi e allungando una mano verso di me. «Ma possiamo almeno smettere di darci addosso per ogni errore che abbiamo fatto.»

Lo guardo, poi afferro la sua mano senza pensarci troppo. «A quanto pare, stiamo finalmente facendo progressi, eh?» dico, un po' sarcastico.

«Più che altro stiamo smettendo di fare gli stupidi» risponde Jackson, il suo sorriso ormai più rilassato. «Vedi? Sei già a metà strada.»

Ci stringiamo la mano, ma non è più un gesto di forza, è più una promessa di non tornare mai più alle vecchie abitudini. Rimaniamo poi ancora un momento in silenzio, guardando la tomba di Camilla. Una strana sensazione di quiete è scesa su di noi, come se avessimo finalmente trovato un modo per mettere un punto a questa storia che sembrava non finire mai. Camilla ci ha legati, ma allo stesso tempo ci ha tenuti separati e ora, forse per la prima volta, ci sentiamo abbastanza liberi da lasciarci alle spalle il rancore che l'ha accompagnata.

«Ci siamo riusciti, Camilla» dico, senza distogliere lo sguardo dalla tomba. «Non è stato facile, ma alla fine siamo arrivati fin qui.»

Jackson si ferma un passo indietro, come se avesse bisogno di qualche secondo per lasciare andare quella sensazione. Poi mi guarda, senza quel velo di rabbia che c'era prima, ma con un sorriso che non è del tutto sereno. «Chi l'avrebbe mai detto che ce l'avremmo fatta?» dice, con un mezzo sorriso. «Dopo tutto quel casino, siamo qui. E non ci siamo nemmeno picchiati, incredibile.»

Gli tiro un'occhiata. «Tutto ha il suo prezzo, Jackson. Oggi siamo qui, domani chissà.»

«Certo, certo» risponde con un'alzata di spalle. «Ma per oggi va bene così, no?»

Annuisco. «Non posso promettere che sarò il tuo miglior amico, ma ti posso assicurare che proverò a smettere di fare finta che non esisti.»

Jackson scuote la testa, l'espressione diventata improvvisamente divertita.

«Beh, non è che mi aspettassi altro, Logan. Ma apprezzo il pensiero.»

Ci fermiamo un altro istante, come se anche le parole dovessero ancora digerire il peso di tutto ciò che è successo. Poi, finalmente, comincio a muovermi verso la macchina, pronto a lasciare questo posto.

«Ci vediamo, Camilla» dico, quasi sussurrando.

Jackson si abbassa sulla tomba e ci rilascia sopra un tenero bacio. Poi, mentre ci avviciniamo alla macchina mi dice - con un tono che sa di battutina, ma anche di una sorta di preoccupazione - : «A casa qualcuno ti sta aspettando, sai?» Quando nota la mia espressione alza gli occhi al cielo. «Non fare il drammatico. Ti stanno aspettando per il tuo compleanno, non puoi farti uccidere dalla nostalgia, almeno per stasera.»

Mi fermo, guardandolo per un momento. «Non so se sono dell'umore giusto, sai?»

«Lo so» dice, con una spalla alzata, come se volesse minimizzare. «Ma fidati, non fare come tuo solito. Siamo sempre in tempo per tornare ai tuoi drammi più tardi. Liv ti ha preparato una sorpresa, e ti aspetta. E... gli altri sono venuti a festeggiare, non farli sentire esclusi dal tuo dolore.»

Alzo gli occhi al cielo. «Non posso credere che tu mi stia facendo questo discorso.»

Jackson mi lancia uno sguardo d'ammonimento, e il suo tono si fa un po' più serio. «Dico solo che a casa ti aspettano, e non puoi stare a rimuginare su tutto stasera. Se non altro perché loro vogliono vederti sorridere, anche se per una sera soltanto.»

Sospirando, non posso fare a meno di annuire, anche se non ne sono entusiasta.

«Va bene, va bene. Ma non aspettarti che faccia grandi sorrisi. Festeggiare non è esattamente il mio forte, soprattutto quando si tratta del mio compleanno.»

«Dai, Logan» dice, spingendo un po' la porta della sua auto. «Stasera non ci pensare. Festeggiamo e basta.»

Rimango fermo un attimo, guardando in lontanaza la tomba di Camilla una volta ancora. Il pensiero mi assale, lo stomaco mi si chiude e la voglia di tornare a parlare con lei si fa più pressante, ma poi noto lo sguardo supplicante di Jackson e, con una smorfia, accetto.

«Va bene. Ma solo perché so quanto faccia piacere a Liv.»

La macchina scivola sulla strada vuota, il suono delle ruote sull'asfalto è l'unico rumore che rompe il silenzio. Jackson è già lontano, nella sua auto, e io rimango da solo, come sempre. La mente ancora pesante, come se qualcosa stesse cambiando ma non fossi del tutto pronto a riconoscerlo. Il cimitero è ormai alle spalle, ma il peso della giornata non è ancora svanito del tutto. Non è solo la morte che porto con me, è il rimorso, il non aver fatto abbastanza, ma anche una strana sensazione di sollievo.

Le luci della città cominciano ad apparire all'orizzonte, mi ricordano che la vita continua, che ci sono cose a cui pensare. C'è Liv, c'è il futuro. Il pensiero mi fa rabbrividire, ma in fondo non è poi così spaventoso. Forse stasera, almeno per un po', posso lasciarmi alle spalle quello che è stato. La strada è ancora lunga, ma forse posso finalmente percorrerla senza sentire il peso di ogni passo.


Appena Jackson parcheggia l'auto nel vialetto accanto alla mia, il motore si spegne con un brusco sussurro, lasciandoci in un silenzio pesante. La casa è avvolta nel buio, tranne per le luci calde che illuminano la porta d'ingresso. Lei è lì, lo so. Liv mi aspetta, lo fa sempre. Mi passo una mano tra i capelli, cercando di scacciare il peso della giornata. Jackson scende dall'auto e viene verso di me, che ho tirato giù il finestrino per prendere una boccata d'aria. Non dice niente per un attimo, ma lo sento respirare accanto a me. La visita al cimitero è stata più dura di quanto avessi previsto.

«Allora?» rompe poi il silenzio, appoggiandosi alla portiera. «Hai intenzione di restare in macchina tutta la notte? O devo accompagnarti per mano fino alla porta?»

Sorrido, nonostante tutto. «Non sei già stato abbastanza eroico per oggi?»

«Più che abbastanza» borbotta. Poi mi lancia un'occhiata di traverso. «Ma, seriamente, sono contento che siamo riusciti a chiarire. Era ora, Logan.»

Annuisco. Il nostro rapporto non è sempre stato semplice, e ultimamente c'erano troppi silenzi, troppi rancori inespressi.

«Anche io sono contento» ammetto, senza guardarlo direttamente. «E grazie per oggi.»

Jackson scrolla le spalle, come se non fosse nulla, ma so che per lui è stato tutto tranne che facile. «Non ringraziarmi ancora. Aspettiamo di vedere come reagirà Liv quando ci vedrà insieme e vivi.»

Questa volta rido sul serio. «Andiamo.»

Apro la portiera, e l'aria fredda della notte mi colpisce subito, facendomi rabbrividire. Liv è già sulla soglia, con indosso un bellissimo abito lungo fino ai piedi di un rosso acceso con uno spacco laterale che mi lascia senza fiato. Ha le braccia incrociate, probabilmente per il freddo, e il suo sguardo s'illumina appena mi vede. Dio, mi sembra più bella ogni volta che torno da lei, più donna. Faccio due passi verso di lei, ma non aspetta: scende velocemente i gradini e mi viene incontro, il sorriso che si allarga sul viso. Prego mentalmente che non cada, visto i tacchi alti che porta, e le vado incontro.

«Sei tornato» dice, con una voce appena sopra un sussurro, non appena mi raggiunge.

«Sì, sono tornato.»

Non mi lascio sfuggire nemmeno un secondo. La tiro a me, le braccia che la stringono forte, e affondo il viso tra i suoi capelli che odorano di vaniglia. Prendo finalmente il primo vero respiro della giornata. Sa di casa, del suo profumo inconfondibile, di tutto quello che ho sognato in questa giornata lontano da lei. Si aggrappa a me con tutte le sue forze, come se non volesse più lasciarmi andare, e per un attimo tutto il resto scompare.

Poi alza il viso verso di me, e i suoi occhi azzurri – quei maledetti occhi azzurri – mi agganciano con così tanta prepotenza che sono costretto a boccheggiare senza fiato. «Mi sei mancato.»

«Anche tu» le rispondo, ma prima che possa dire altro, le sue labbra trovano le mie. Il bacio è vorace, caldo, pieno di tutto quello che non ho avuto il coraggio di dire stamattina. Le infilo le mani nei capelli, avvolgendo qualche ciocca alle dita, e le faccio inclinare la testa in modo da approfondire questo bacio. Voglio sentire il suo sapore, perdermi nei suoi sospiri e nei gemiti rochi, voglio affondare in lei e...

«Okay, basta!» esclama Jackson dietro di noi, interrompendo quel momento. «Non ho guidato tutto questo tempo per farmi traumatizzare da voi due che vi limonate davanti alla porta.»

Liv si stacca da me, ridendo così tanto da farmi vibrare il petto. Io, invece, alzo elegantemente il dito medio della direzione di quell'idiota.
«J.» dice Liv, girandosi verso di lui. «Come sono andate le cose tra voi? Vi siete scannati o siete riusciti a trovare un punto d'incontro?»

Lui alza un sopracciglio, fingendo di offendersi. «Scannati? Ti sembro il tipo da litigare con qualcuno? Sono un angelo, io

Liv ride ancora. «Un angelo, certo.» Poi guarda me, aspettando una conferma.

«Non abbiamo litigato» confermo con un mezzo sorriso. «Ma solo perché lui ha confessato di amarmi alla follia e che senza di me non riesce proprio a vivere.» Le regalo un occhiolino, divertito.

«Non è vero!» protesta Jackson, ma un sorriso gli scappa prima che riesca a fermarlo. Poi fa un passo verso Liv e spalanca le braccia. «Ora, visto tutto quello che ho sopportato, penso di meritarmi almeno un abbraccio.»

Liv scuote la testa ridacchiando, ma si stacca da me e lo abbraccia comunque. Jackson la stringe forte posando la testa sulla sua, un gesto affettuoso e sincero. Lui e Liv sono migliori amici, e il loro rapporto è unico. Lo so, e anche se in passato ho avuto motivo di esserne geloso, ora le cose stanno diversamente. Mi va bene così, lo giuro.

Quando la lascia andare, la guarda con un sorriso affettuoso. «Contenta di averlo di nuovo a casa? Ti avverto, è insopportabile senza di te.»

«Lo so» risponde lei, e il suo sguardo torna su di me. Non dice altro, ma non ce n'è bisogno. Mi conosce bene e sa. Lei sa sempre tutto.

Jackson si gira verso di me, lanciandomi uno sguardo ironico. «Ora, se vuoi scusarmi, penso che mi godrò la tua "famosa tana". Spero che ci sia qualcosa da bere laggiù.»

«Certo che c'è» risponde prontamente Liv. «Gricelda ha preparato qualcosa per voi. Vai avanti.»

Quando Jackson si allontana verso la tana, l'aria intorno a noi sembra diventare più intima, più densa. La luce calda che filtra dalla porta d'ingresso illumina appena Liv, facendola sembrare quasi irreale talmente è bella. Il suo sguardo è su di me, intenso, pieno di tutto quello che non servono parole per dire.

«Come stai davvero?» mi chiede sottovoce, come se temesse di disturbare questo momento.

Le sue mani sono ancora aggrappate alla mia giacca, le dita che si muovono piano sul tessuto. Quel gesto mi fa sorridere, ma allo stesso tempo sento una stretta nel petto all'idea di quanto dev'essersi preoccupata per me oggi.

Le sposto una ciocca di capelli dietro l'orecchio, lasciando che le mie dita sfiorino la sua pelle calda e morbida. «Adesso che sono con te? Bene. Sto bene davvero.»

Lei mi guarda, cercando qualcosa nei miei occhi. Forse una conferma, forse un riflesso di quello che sente anche lei. Quando si rilassa contro di me, capisco che l'ha trovato.

«Ti amo» mormora, quasi impercettibilmente. «E sono qui per te. So che forse non sei entusiasta all'idea di quello che ho organizzato, ma non potevo lasciare che tornassi a casa e ti rinchiudessi ancora nel tuo dolore. Hai bisogno di lasciare andare tutto...»

Non le rispondo subito. Mi chino verso di lei e la bacio, lentamente, prendendomi tutto il tempo che mi va, ringraziandola in questo modo per la sua premura nei miei confronti, perché se c'è una persona che sa davvero quello di cui ho bisogno, questa è lei. Le sue labbra sono morbide, calde, e sanno di casa. Mi perdo in quel bacio, dimenticando per un momento le sue parole, sentendo il battito del suo cuore che batte furiosamente contro il mio.

Quando poi si stacca, i suoi occhi brillano, come se ci fosse qualcosa di più che vuole dire. «Mi sei mancato così tanto, Logan. E non solo oggi, sempre. Quando non ci sei, è come se mancasse un pezzo di me.»

Sorrido, abbassando lo sguardo su di lei. «Mi fai sembrare quasi sentimentale.»

Liv ride piano, ma non mi lascia andare. «Sei sentimentale. Solo che non vuoi ammetterlo.» Poi mi picchietta la tempia con l'indice. «Qua dentro c'è tutto quello che provi per me ma che alle volte non sai come esternare. Credi che non lo sappia?»

«Ci sarà mai qualcosa che potrò nasconderti?» le chiedo, chinandomi appena per far sfiorare di nuovo le nostre labbra. «E lo ammetto, la mia testa è granché affollata con i pensieri su di te.»

Questa volta il bacio è più profondo, più intenso. Le sue mani scivolano dai miei capelli alla mia nuca, tirandomi ancora più vicino. Io la stringo per la vita, accarezzando il tessuto dell'abito morbido e sollevandoglielo appena, spingendola dolcemente contro il muro accanto alla porta. Quando capisce di essere intrappolata, la sento sorridere contro le mie labbra, e il suo respiro si intreccia con il mio in modo armonioso.

«Logan» sussurra, ma non smette di baciarmi.

«Dimmi» mormoro, la voce appena sopra un respiro.

«Non qui» dice, ma le sue mani si aggrappano ancora più forte a me accompagnandomi contro il suo minuscolo corpo.

Sorrido, sentendo il calore del suo corpo contro il mio. «Perché no? Qui va benissimo.»

Lei scuote la testa, ma c'è una scintilla maliziosa nei suoi occhi. «I nostri genitori vederci, e sono quasi sicura che a mia madre si romperebbero le acque.»

«E allora?» le rispondo con un sogghigno, lasciando che le mie labbra scivolino lungo la linea della sua mascella perfetta. «Se vedessero quanto ti amo, non avrebbero nulla da ridire.»

Liv trattiene il respiro quando la mia bocca si ferma appena sotto il suo orecchio. Rabbrividisce quando le afferro il lobo tra i denti.
«Logan» mormora ancora, questa volta con un tono che mescola desiderio e un rimprovero che non suona affatto convincente.

«Dimmi di fermarmi, Liv» le mormoro contro la pelle. «Anche se non sono sicuro che ti ascolterei.»

Lei non lo fa. Anzi, le sue mani mi spingono ancora più vicino, e il suo corpo si rilassa contro il mio. La sua risata soffocata mi fa sorridere, ma non mi fermo.

«Sei incredibile» le dico, tornando a guardarla. I suoi occhi sono un miscuglio di emozioni, e non riesco a staccare lo sguardo dal suo viso.

«E tu sei impossibile» ribatte, ma il suo sorriso la tradisce.

La bacio di nuovo, questa volta con un'intensità che non riesco a trattenere. Ogni volta che le nostre labbra si incontrano, è come se il resto del mondo sparisse, lasciandoci solo noi due. La sento tremare leggermente contro di me, e non so se è per il freddo o per quello che stiamo condividendo.

Quando finalmente mi stacco, le appoggio la fronte contro la sua, cercando di regolare il respiro. «Sai che non ti lascerei andare mai, vero?»

Liv annuisce piano, le sue mani ancora intrecciate dietro il mio collo. «Lo so.»

Poi sorride, ma c'è una luce nei suoi occhi che non avevo mai visto prima. «Ma ora dobbiamo andare. Jackson ci starà sicuramente ascoltando da dietro una porta.»

Rido, appoggiandomi al muro accanto a lei. «Se lo sta facendo, giuro che lo ammazzo.»

Liv ride a sua volta, tirandomi per la mano. «Dai, vieni. Non possiamo fare aspettare troppo gli altri.»

Appena entro nella tana, mi colpisce subito quella sensazione di familiarità che mi fa sorridere senza volerlo. È il mio posto, il nostro posto, e ogni angolo mi ricorda qualcosa. I divani marroni in pelle, un po' consumati, sono esattamente come li ricordavo. Le pareti di pietra danno sempre quel vibe rustico che mi fa sentire più a casa. Le luci LED blu sono accese, dando alla stanza un'aria un po' futuristica, ma in fondo qui è tutto un po' così: una fusione tra la modernità e il vecchio stile, che mi fa pensare a quanto tempo ci abbiamo passato dentro.

Non ci mettevo piede da un po', ma appena entro è come se fossi tornato a casa. C'è la TV gigante sul muro che trasmette una partita di calcio, ma la gente non sembra nemmeno guardarla. Tra chi chiacchiera e chi si fa una risata, il film sul proiettore sul muro è più un contorno che un'attrazione. La birra sulla mensola, le risate in sottofondo, l'odore di pizza e cibo spazzatura che ci ha sempre accompagnato, è tutto come un tuffo nel passato. In fondo, è questo che ci fa stare bene.

La sala biliardo è sempre lì, e se chiudo gli occhi posso ancora immaginarmi da ragazzo, con Mason, Thomas, Kevin e Jason che lottano per una partita, tra tiri spericolati, risate che ci fanno sentire invincibili e gare su chi sarebbe stato il nuovo Mister Muscle. Eravamo più giovani, certo, ma la sensazione di stare insieme non è mai cambiata. Mi guardo intorno e vedo che, nonostante siano passati anni, c'è ancora qualcosa di intatto. Le console dei videogiochi nell'angolo aspettano un altro turno, ma stavolta non sono i soliti ragazzi a giocare per ore, c'è Amanda che sorride, appoggiata al tavolo da biliardo insieme a mio padre.

I miei migliori amici sono tutti lì, sparpagliati tra il bar e il biliardo, e anche se siamo tutti un po' più grandi, è come se il tempo non fosse mai passato. Jackson è nel suo angolo con Ellie, ridono e chiacchierano, e Mason sta facendo qualche battuta a Kevin - che si sta sbellicando insieme a Jason - che non capisco nemmeno, ma so che sono sempre le stesse. Zoe e Thomas sono sul divano, appoggiati l'uno contro l'altro, e si scambiano baci come se il mondo fuori non esistesse. E infine Megan, con un sorriso lieve sulle labbra intenta a cullare Chester tra le braccia, osservando le fotografie appese al muro.

Ci sono anche decorazioni sparse qua e là, semplici ma perfette per l'occasione. Festoni argentati che riflettono le luci soffuse, palloncini che sembrano appesi lì per caso, e qualche dettaglio che richiama sia il Capodanno che il mio compleanno. Non è troppo, e mi va bene così. La tana è sempre stata grezza, maschile, con quel tocco rustico che fa pensare più a un rifugio che a una sala per feste. È proprio questo che la rende speciale.

Cammino verso la parte del biliardo, e finalmente gli sguardi si alzano verso di me. Qualcuno mi saluta, altri ridono per qualcosa che non ho colto, ma va bene così. Liv mi segue, vicina, come se sapesse già dove sto andando. Mi appoggio al bordo del tavolo, la tiro a me, sistemandola tra le mie gambe mentre mio padre mi si avvicina per darmi un rapido abbraccio in cui mi lascio avvolgere con entusiasmo. Il mio sorriso si allarga, discreto, quasi involontario. Non mi serve altro. Qui ci sono i miei amici, le persone che amo, la mia famiglia e lei. La tana è la tana, ma con Liv qui dentro, tutto sembra diverso. Più completo.

Quando arriva la mezzanotte, qualche ora più tardi, l'atmosfera cambia. Gricelda fa il suo ingresso con una torta semplice ma perfetta, e diciannove candeline sopra di essa. La sua emozione è contagiosa: ha gli occhi lucidi, e anche se cerca di nasconderlo con un sorriso, si capisce che è sul punto di piangere. Le sue lacrime mi colpiscono più di quanto pensassi. Mentre tutti si alzano e mi circondano, sento un groppo in gola che non riesco a fermare.

Mi guardo intorno: c'è Jackson che alza un bicchiere verso di me, Ellie che gli stringe la mano con quel sorriso che conosco bene. Mason e Thomas ridono sottovoce, probabilmente per qualche battuta che riguarda me, mentre Zoe li ammonisce scuotendo la testa. Kevin e Jason sono appoggiati al bancone, con l'aria di chi ha bevuto troppo ed è già troppo a suo agio. Megan è accanto a mio padre e ad Amanda, che ora tiene tra le braccia Chester, e tutti e tre mi sorridono con entusiasmo. E poi c'è Liv, che mi fissa con quegli occhi che sembrano sapere tutto. È in momenti come questo che mi accorgo di quanto sono fortunato.

Una lacrima mi scivola sulla guancia, senza permesso. Liv si avvicina subito, me l'asciuga con un bacio delicato, e il calore del suo gesto mi fa sentire meno esposto. Chiudo gli occhi per un momento, e il desiderio che formulo è il più semplice e bello del mondo: che questo momento non finisca mai. Voglio restare qui, con loro, con lei, con la mia famiglia.

Quando soffio sulle candeline, il coro di applausi e risate esplode nella stanza, riempiendola fino all'orlo. Il mio cuore batte forte, come se stesse facendo eco a quel caos di felicità. E per la prima volta, da tanto tempo, mi sento completo.


La luce soffusa della lampada sul comodino illumina la stanza quanto basta. Fuori, la notte caotica di Capodanno sembra distante, ovattata, come se il mondo avesse deciso di allontanarsi da noi per lasciarci soli. Il letto è il nostro rifugio, un luogo che sa di noi, che profuma di noi, che custodisce segreti e sussurri. Liv è sdraiata accanto a me, la testa appoggiata sul cuscino, e io mi perdo nell'armonia dei suoi lineamenti, nei dettagli che solo io conosco davvero.

Sulla sua pancia noto un nuovo piccolo neo, un segno che non avevo mai visto prima. Mi sporgo per baciarlo delicatamente, la pelle calda sotto le mie labbra, prima di tracciare con le dita una scia lenta che parte dallo sterno e passa sopra il cuore. Ogni movimento è una carezza, una danza che conosco a memoria ma che non smette mai di sorprendermi. La sua pelle è un territorio che esploro ogni volta come fosse la prima.

Mi fermo a metà strada e, senza nemmeno pensarci, sussurro: «Centosette.»

Liv solleva la testa, e i suoi occhi incontrano i miei, pieni di curiosità. Inarca le sopracciglia, con quell'espressione che adoro, quella che sembra dire: "Che intendi?"

Sorrido appena, le bacio la fronte con un gesto rapido ma affettuoso. «Hai un nuovo neo. Ora sono centosette.»

Spalanca la bocca, incredula. «Li hai davvero contati?» chiede, con un misto di divertimento e incredulità.

Alzo le spalle, cercando di sembrare serio, anche se il sorriso mi tradisce. «Certo. Quando si tratta di te, non mi sfugge nulla.»

Lei mi guarda, smarrita, e la sua confusione mi strappa una risata bassa e roca. «Perché?»

«Quando non riesco a dormire» confesso, «è questo ciò che faccio. Osservo ogni dettaglio della tua pelle. Conto i battiti del tuo cuore... mi aiuta a rilassarmi.»

Liv apre la bocca per rispondere, ma poi la richiude, sorpresa. I suoi occhi sono pieni di tenerezza. «È...»

«Tenero?» suggerisco con un sorriso.

Scuote la testa, ma il suo sguardo si addolcisce ancora di più. «No, è da malati di mente!» esclama, e io scoppio a ridere.

«Penso che esageri» ribatto, fingendo di rifletterci su. «Non credo che contare i tuoi nei sia una cosa così strana, no?»

Lei mi guarda, i suoi occhi brillano come un cielo sereno dopo la tempesta. «Non lo so... per me è strano. Ma mi piace. Mi fa sentire... importante.»

«Tu sei importante, Liv. Sei tutto» rispondo senza esitazione.

Il silenzio che segue è denso di significati. I suoi occhi si fissano nei miei, e io so che non c'è bisogno di aggiungere altro.

Poi ride, una risata dolce, leggera, che riempie l'aria di una serenità che non pensavo fosse possibile. «Se continui a contare i miei nei, però, potresti impazzire.»

«E chi dice che non sono già diventato pazzo per te?» ribatto con un sorriso malizioso.

Lei scuote la testa, le sue mani sfiorano il mio viso, i polpastrelli che tracciano linee invisibili sulle mie guance. «Sei un caso perso, lo sai?»

«E tu sei la mia salvezza» mormoro, avvicinandomi per un bacio lento e intenso. Le sue labbra si fondono con le mie, e in quel momento tutto il resto sparisce.

Quando ci stacchiamo, restiamo abbracciati. Liv si stringe contro di me, la sua testa appoggiata al mio petto, e io chiudo gli occhi. Il suo respiro regolare è come una ninna nanna. Eppure, dentro di me, un nodo che ho trattenuto tutto il giorno inizia a sciogliersi. Il nodo che sento dentro si allenta sempre di più, fino a trasformarsi in un dolore fisico. Ogni respiro è un'impresa, un'impresa impossibile. L'aria non sembra mai abbastanza, i polmoni si riempiono a metà e poi si svuotano troppo in fretta. Una stretta opprimente mi avvolge il petto, come se mani invisibili mi stessero schiacciando, tenendomi prigioniero.

Il battito del cuore accelera, troppo forte, troppo veloce, e il suono mi rimbomba nelle orecchie come un tamburo incessante. La testa comincia a girare, e il panico monta dentro di me come un'onda gigantesca pronta a travolgermi. So cosa sta succedendo, l'ho già vissuto, ma questo non lo rende meno spaventoso. Cerco di alzare una mano per toccarmi il petto, come se questo potesse calmarmi, ma le dita tremano troppo, e ogni movimento sembra inutile. Non posso fermarlo. Non posso fermarmi.

«Liv...» mormoro, ma la mia voce è un sussurro strozzato, quasi impercettibile. Lei si accorge subito che qualcosa non va.

«Logan?» Il suo tono è preoccupato, le sue mani si muovono velocemente per raggiungermi, per afferrare le mie. Io mi scosto istintivamente, come se il peso della sua vicinanza fosse troppo da sopportare, ma al tempo stesso l'unica cosa che voglio è lei. Ho bisogno di lei.

«Non riesco... Non riesco a respirare» balbetto, la voce spezzata, spezzata come me. Mi sento vulnerabile, nudo, esposto. Tutta la forza che normalmente mostro, tutto il controllo, si frantuma davanti a lei.

Liv non si muove. Non indietreggia. È ferma, solida, eppure così gentile, così delicata mentre prende il mio viso tra le mani. «Guardami» sussurra, insistente ma dolce, il suo tono calmo come il mare in un'alba d'estate. «Logan, amore, guardami. Respira con me.»

La sua voce è un'ancora, e anche se tutto in me vorrebbe fuggire da questa sensazione opprimente, mi costringo a guardarla. I suoi occhi azzurri sono pieni di preoccupazione, ma anche di una determinazione che mi tiene lì, fermo. La sua mano scivola verso il mio petto, premendosi sopra il mio cuore. «Segui il mio respiro. Uno alla volta. Insieme a me.»

Chiudo gli occhi per un momento, tentando di concentrarmi sul ritmo della sua voce, ma il caos dentro di me è troppo forte. Le lacrime iniziano a bruciarmi gli occhi, e non riesco più a fermarle. Il primo singhiozzo mi sfugge come una diga che cede sotto la pressione dell'acqua.

«Non ce la faccio, Liv... Non ce la faccio più» riesco a dire, spezzato, la mia voce appena udibile.

«Sì che ce la fai» insiste lei, la sua mano che non lascia mai il mio petto, il suo corpo che si avvicina sempre di più al mio. «Non sei solo. Ci sono io. Sono qui con te.»

Le sue parole rompono qualcosa dentro di me, l'ultimo filo che mi teneva ancorato al controllo. Un secondo singhiozzo mi scuote, più forte, più intenso, e poi tutto esplode. Il pianto scoppia da dentro, violento, crudo, liberatorio. Le lacrime mi scorrono sul viso senza sosta, calde, dolorose, mentre il mio corpo si piega in avanti, affondando nel suo abbraccio.

«Non ci riesco più... È troppo...» singhiozzo tra le lacrime, le spalle che sussultano, il mio respiro che si rompe in frammenti irregolari. È come se tutto il dolore, lo stress, la paura che ho accumulato per mesi stesse uscendo tutta insieme, un fiume in piena che non posso arginare.

Liv mi stringe forte, le sue braccia che mi avvolgono, le mani che mi accarezzano dolcemente i capelli e la schiena. Non dice nulla per un momento, mi lascia semplicemente andare, mi tiene mentre il mio mondo crolla. Ogni carezza è una promessa: non sei solo.

«Lascia andare tutto, amore. Va bene così. Sono qui» mormora alla fine, e il suo tono è così sincero, così rassicurante, che mi aggrappo a quelle parole come a un'ancora.

Il mio pianto diventa più intenso, profondo, come se stessi scavando dentro di me per liberarmi di tutto ciò che mi ha appesantito. La presa delle sue braccia non si allenta nemmeno per un secondo. Ogni tanto sussurra qualcosa, parole di conforto che non riesco nemmeno a distinguere, ma che si intrecciano al ritmo delle sue mani sul mio corpo. Il tempo sembra fermarsi. Non so per quanto resto così, rannicchiato contro di lei, il volto nascosto contro il suo petto, le mie mani che si aggrappano disperatamente alla sua maglietta come se fosse l'unica cosa che mi tiene ancorato al presente.

Alla fine, il pianto comincia a placarsi. I singhiozzi si fanno più brevi, il mio respiro più lento, anche se ancora irregolare. Mi sento svuotato, ma anche, per la prima volta da tanto tempo, leggero. È come se tutto ciò che mi soffocava fosse stato spazzato via, lasciando spazio a una quiete fragile, ma reale.

«Scusami» mormoro, la voce rauca, spezzata, quasi un sussurro.

Liv mi solleva il viso con delicatezza, i suoi occhi che incontrano i miei con una dolcezza che mi disarma. «Non devi scusarti. Mai» sussurra sulle mie labbra, la sua voce ferma, ma così piena d'amore da farmi venire voglia di piangere di nuovo.

Le sue mani si muovono per asciugarmi le lacrime, e io la lascio fare, troppo esausto per oppormi, troppo grato per lei per volerlo fare. Lei mi sorride, un sorriso lieve, e si china per baciarmi la fronte, lasciando che il calore del suo amore mi avvolga completamente.

«Ti amo» sussurra, e quelle due parole sono tutto ciò di cui ho bisogno in questo momento.

«Dio, ti amo così tanto» riesco a risponderle.

Mi lascio andare completamente, il mio corpo che si abbandona al suo, le braccia che la stringono a me. Per la prima volta in tanto, tanto tempo, mi sento al sicuro. Al sicuro con lei. Al sicuro da tutto.

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