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Capitolo dodici - Olivia

Nel mio cuore un po' malandato
c'è sempre posto per te

LA mattina dopo mi sveglio talmente in ansia e con lo stomaco in subbuglio che per un minuto buono penso di essermi immaginata tutto quello che è accaduto la sera prima. Sbatto un paio di volte le palpebre per aiutarmi ad uscire dal dormiveglia e mi strofino il viso con entrambe le mani.

Con ancora gli occhi assonnati e il lenzuolo stretto attorno al corpo, contemplo la stanza in cui le prime luci dell'alba si riversano dentro facendomi cogliere ogni dettaglio presente. Sposto gli occhi sulla sedia girevole su cui poche ore prima Logan sedeva con aria scomposta e in cui mi raccontava del tremendo dolore che ancora si porta dentro e con cui non riesce a fare i conti. Se chiudo gli occhi, sento ancora le sue emozioni scorrermi sulla pelle. Rivedo il momento esatto in cui mi sono incastrata con facilità tra le sue gambe, inserendomi come quell'ultimo pezzo di puzzle che finalmente può comporre il quadro.

Avverto il suo profumo che è rimasto intrappolato in questa stanza per tutta la notte, mi beo della sensazione di quiete che le sue grandi mani mi hanno provocato una volta appoggiatesi sulla mia pelle. Ricordo i brividi sulla pelle, il pizzicore proprio in quel punto, la sensazione di un fuoco che pensavo non avrei più provato.

Inspiro, trattengo, espiro.

Rivivo le sue parole come se fosse ancora qui, rivedo i lineamenti del suo viso e le espressioni che ha fatto nel mentre che era perso in ricordi lontani e irraggiungibili.
Quanto avrei voluto scacciare le ombre che si sono formate sotto i suoi bellissimi occhi verdi.
Quanto avrei desiderato che mi cullasse tra le sue braccia forti per scacciare via tutto il dolore che ho provato in questi mesi in sua assenza.

Mi ha promesso che avremmo ancora parlato, ma quanta garanzia mi danno le sue parole ormai?

Voglio credere in lui, lo voglio con tutto il mio cuore, eppure non riesco a dimenticare con quanta facilità se ne sia andato. Non riesco a perdonargli cinque mesi di silenzio in cui non ho fatto altro che struggermi per quel suo dannato sorriso. Non posso semplicemente svegliarmi una mattina e fingere che non sia mai successo niente quando non sono nemmeno sicura di volere ascoltare tutto quello che ha ancora da raccontarmi.

E se prima o poi stessi davvero bene senza di lui?

Quando capisco che rimuginarci troppo non serve a nulla, mi costringo a trascinarmi nel bagno per darmi una rinfrescata. Svegliarmi all'alba è diventata ormai un'abitudine a cui non pensavo di riuscire ad adattarmi, e invece è proprio quello che ho iniziato a fare in questi lunghissimi mesi di agonia.
Dopo essermi lavata il viso e i denti ed essermi infilata pantaloni comodi della tuta ed una felpa con il cappuccio, mi stringo i capelli in una coda bassa e allaccio al polso l'orologio sportivo di Logan. In modo automatico sistemo la sua collanina sotto la maglietta, poi esco dalla camera e mi dirigo in cucina.

Ieri sera non ho sentito rientrare Jackson, per cui un po' mi stupisco quando lo vedo di schiena ai fornelli intento a preparare la colazione.
«Pensavo ti fossi fermato a dormire chissà dove» gli dico raggiungendolo e sedendomi su uno degli sgabelli davanti al bancone. Evito con cura di posare gli occhi su quello di sinistra, quello in cui la sera prima Logan si è adagiato come un principe sul cavallo bianco e che ora non riuscirò più ad occupare.

Jackson volta solo la testa nella mia direzione e mi esamina con lo sguardo prima di regalarmi un sorriso assonnato. «E pensare che sono perfino venuto a vedere come stavi. Se non mi hai sentito significa che eri proprio distrutta.»
Con la spatola in mano, gira prontamente i pancake senza nemmeno guardare verso la padella, ed io sbatto le palpebre sbalordita quando niente vola per terra.

«Non dormivo così bene da mesi» ammetto con un sospiro.

Jackson accenna un sorriso dopo aver constatato quanto io sia in forma quella mattina, sicuramente meglio del giorno prima, poi torna a voltarsi verso i fornelli. Solo ora mi rendo conto di quanto sia presto e un po' mi stupisco che sia già in piedi, così glielo chiedo. Prima di rispondermi spegne il fuoco e impila i pancake uno sopra l'altro su un piatto. A sentirne il profumino mi viene l'acquolina in bocca e devo costringermi a non mugolare quando ci versa sopra una generosa dose di sciroppo d'acero. Un gemito che non riesco a trattenere mi scappa nel momento in cui mi posa davanti al naso una tazza fumante di caffè nero.

Gli regalo un sorriso furbo quando si volta a prendere la cannella e me la passa meccanicamente.
«Ricordami perché non ti ho ancora sposato?» gli domando prima di bere un sorso di quella prelibatezza.

Jackson ridacchia e mi passa una forchetta, poi viene a sedersi accanto a me addentando un pezzo di pancake. «Per rispondere alla tua prima domanda, mi sono alzato per controllare una cosa e dopo non riuscivo più a dormire, per cui mi sono fatto una doccia e poi sono andato dritto ai fornelli.»

Controllare una cosa?
Aggrotto un sopracciglio in una domanda silenziosa, poi mi faccio forza e provo ad assaggiare l'angolino di quel dolce delizioso. Lo mastico più del necessario sotto lo sguardo attento del mio migliore amico.

«Che c'è? Non ti piace?»

Scuoto la testa. «È buonissimo, J. Solo che... non mangio mai al mattino lo sai, e se già non riesco a costringermi ad ingurgitare niente alle otto, immagina quanto possa essere chiuso il mio stomaco all'alba.»

«Non puoi andare a correre a digiuno, Liv» protesta con un cipiglio sulla fronte. «Mangiane almeno un pezzo, per favore.»

Gli sorrido per rassicurarlo. «Ci sono abituata. Ti prometto che farò colazione più tardi.» Sposto il piatto sotto il suo sospiro rassegnato e poi finisco il caffè con un sorso alzandomi in piedi. Prima di dirigermi verso la porta, gli scompiglio dolcemente i capelli e gli lascio un bacio sulla guancia. «Non so cosa stia succedendo tra te e Ellie, ma ti va di parlarne?»

Jackson sospira piano, poi annuisce portandosi alla bocca un altro pezzo di pancake.
«D'accordo ma più tardi. Stai attenta, stamattina presto ha piovuto e le strade sono ancora bagnate.»

«Sì, papà» ridacchio.

Mi dirigo verso l'attaccapanni vicino alla porta su cui è appeso il giubbotto, e per poco non caccio un urlo quando vedo qualcosa muoversi alla mia destra. Mi volto di scatto verso quel gesto improvviso e mi porto una mano tremante sul petto.
Sul divano, spaparanzato e addormentato, c'è Logan.

Cosa.Cazzo.Succede?

«Ma che cazzo?» sbotto a voce abbastanza alta da far voltare con uno scatto Jackson nella mia direzione. Il mio migliore amico balza in piedi e in meno di un secondo è al mio fianco.

«Vuoi spiegarmi?» gli chiedo quasi ringhiando. «Perché diavolo il mio... il mio... Logan è sul nostro divano?» Talmente scioccata e confusa da non riuscire nemmeno a pronunciare ex ragazzo ad alta voce.
Forse non sono pronta ad ammetterlo. O forse sono solo una perfetta stupida.

Jackson si limita a fare una smorfia. «Sì ecco... stavo per dirtelo.» Si gratta il mento e mi lancia un'occhiata carica di scuse.

«Quando, durante la tua prontezza nel girare i pancake o mentre mi prostravo ai tuoi piedi implorandoti di sposarmi? Perché mi sembra che tu abbia avuto più di un'occasione per farlo e non l'hai fatto!»

«Mi stavi implorando davvero di sposarti?»

«Jackson!»

Quasi scoppia a ridere ma si trattiene. Mi fa invece segno di abbassare il tono di voce ed io lo trucido con gli occhi. Sospira e sposta entrambi un po' più indietro verso la cucina. «Quando stavo rientrando ieri sera l'ho visto mezzo addormentato sulla panchina sotto casa, non potevo lasciare che gli si gelasse il culo tutta la notte.»

Spalanco la bocca. «Come? Quel bugiardo del cazzo! Mi ha assicurato che sarebbe rientrato e che al massimo avrebbe passato la notte sul divano della sala comune, non che avesse l'intenzione di finire in ospedale per una polmonite!»

Stupido! Idiota e stupido Logan Miller.
Mi giro nella sua direzione come una furia pronta a svegliarlo a suon di calci, quando Jackson mi posa una mano sul braccio per fermarmi.

«Credimi, prima di invitarlo a dormire sul nostro divano ci ho pensato per dieci lunghissimi minuti. Ma non sono uno stronzo, e lui ha borbottato qualcosa sul fatto che non trovava più la tessera magnetica per rientrare.» Chiudo gli occhi ed emetto un lentissimo sospiro. «E visto che Mason pareva avesse spento il cellulare...» Alza le spalle ed entrambi ci voltiamo a fissarlo. È comunque un idiota.

Jackson si gratta la testa mentre entrambi osserviamo il mio ex ragazzo comodamente sdraiato sul divano con la bocca semi aperta intento a russare con leggerezza.
La spessa coperta in lana, quella che ultimamente ho utilizzato io la sera mentre guardavo la televisione, gli è scivolata giù fino alle gambe rivelando la nudità del suo petto ampio ed erculeo fino ad un paio di boxer neri... nient'altro.

Distolgo a fatica lo sguardo dal suo corpo quando sento il cuore battermi ad una velocità troppo elevata. Le guance mi prendono fuoco all'istante nel notare il punto preciso in cui i boxer tendono a tirare un po' troppo. Mi ripeto mentalmente che è una reazione spontanea che succede a tutti gli uomini nel sonno, eppure il mio cervello rievoca ricordi passati in cui io e lui siamo avvinghiati nelle lenzuola mentre il suo membro duro pulsa dentro di me.

Mi schiarisco la gola voltandomi poi fulminea verso l'attaccapanni. Avanzando quasi a tentoni in quella direzione, strappo via il giubbotto e me lo infilo ricordandomi a malapena di prendere le chiavi di casa appese ad un gancio sul legno. Prima di correre fuori casa, mi volto a guardare Jackson che sta ancora studiando Logan con la testa inclinata, come se volesse rovesciare il divano e farlo ruzzolare sul pavimento. Rido mentalmente a quel pensiero, perché sarebbe così divertente vederlo volare giù dalle scale mezzo nudo. Poi mi riprendo.

«Quando si sveglia, caccialo di casa. Non voglio che sia qui al mio ritorno.»
Ho bisogno di spazio e aria dopo quello che è successo tra di noi la sera prima.

Jackson sogghigna sistemandomi il berretto in lana sulla testa che avevo dimenticato. «Oh sarà un piacere, tesoro. Un vero piacere.»

«Comportati bene» lo ammonisco.

«Sì sì.» Mi fa segno con la mano di uscire mentre gira intorno a Logan come un falco con la sua preda.

Devo uscire da questo appartamento prima che si svegli, ma i miei occhi... santo cielo i miei occhi non smettono di osservargli il corpo nudo e muscoloso, continuano a ricadere sui boxer tirati e il mio cuore minaccia di esplodermi nel petto.
Mi convinco che sia colpa dell'astinenza da sesso che ormai pratico da cinque mesi, perché non voglio pensare che il tremore del mio corpo e quella strana sensazione che sento in mezzo alle gambe sia dovuta alla sua presenza. Jackson sembra accorgersi della mia esitazione perché mi appoggia entrambe le mani sulle spalle per poi girarmi verso la porta e spingermi via come se pesassi quanto una piuma.

«Grazie» riesco a mormorare mentre corro giù per le scale.

La sua risata mi rincorre fino a quando non mi infilo un paio di cuffiette e percorro le vie gremite di gente fino all'ingresso di Central Park.
Non mi do nemmeno il tempo di riscaldare i muscoli, perché le mie gambe iniziano a muoversi nella stradina alberata come se volessero scappare da qualcosa. Mi dimentico di adattare il respiro ai movimenti, e così dopo nemmeno venti minuti mi ritrovo con il cuore in gola, il petto che si alza su e giù in modo irregolare e con una patina di sudore appiccicosa sulla fronte.

Noto Reed fermo al solito chioschetto che vende acqua e in cui ormai ci diamo appuntamento, con le mani infilate nel giubbotto e gli occhi incollati sullo schermo del cellulare. Oggi porta i capelli castani tirati indietro da una bandana rossa e indossa un paio di pantaloni corti della tuta che mettono in risalto le gambe muscolose. Reprimo un brivido chiedendomi come faccia a non sentire freddo. Un po' goffamente, impongo alle mie gambe di frenare prima di finirgli addosso e di far cadere entrambi per terra.

Non lo faccio in tempo, per cui Reed mi afferra il braccio fermandomi e sgranando un po' gli occhioni celesti.
«Ehi frena West Coast, vuoi sbattere il naso contro un albero?» allarga il sorriso.
Questo è il suo modo di salutarmi.

Alzo gli occhi al cielo e gli do una leggera gomitata prima di sfilarmi le cuffie dalle orecchie. «Lo sai che abbracciare gli alberi fa bene?»

Mi lascia andare e corruga un sopracciglio. «Ah si? Illuminami.»

Annuisco afferrando la bottiglietta di acqua che si è già premurato di comprarmi, e dopo aver svitato il tappo ne tracanno la metà sotto il suo sguardo divertito. Solo dopo aver ripreso fiato e riordinato le idee, riesco a rispondergli.
«Il contatto con la natura abbassa i livelli di ansia e stress, aiuta la respirazione e favorisce il rilassamento» gli spiego.

Alzo lo sguardo sul suo e lo vedo fissarmi divertito con le braccia incrociate al petto, mentre le mie mani sono appoggiate sulle ginocchia in una posa inarcata nel vano tentativo di tornare a respirare con regolarità. «Non mi credi?»

«Ti credo eccome» ridacchia osservandosi in giro. «Dovrei provare anche io allora, magari riesco a calmarmi un po' prima di questo pomeriggio.»

Mi fa segno con la mano di seguirlo e così lo affianco mentre inizia a fare esercizi di riscaldamento, cosa di cui io non ho più bisogno adesso.
«Perché? Che cosa succede oggi?»

Reed sorride talmente tanto che se mi sporgessi verso la sua bocca riuscirei a vedere perfino i molari.
«Draft» dice soltanto, facendo roteare prima le spalle e poi la testa.

Sbatto le ciglia. «Dovrei sapere di cosa si tratta?»

Si ferma ad osservarmi un po' accigliato. «Ti prego dimmi che stai scherzando e che sai esattamente di cosa sto parlando.»

Inclino leggermente la testa. «Ehm... no?»

Sbuffa un paio di volte come un toro che si prepara a colpire con le corna, poi mi guarda e scuote la testa deluso. Sto per spazientirmi e spintonarlo, quando lui inizia a spiegarmelo come se fossi una bambina di sei anni che impara a scrivere per la prima volta.

«Il Draft NFL è un evento annuale durante il quale le 32 squadre della National Football League selezionano i giocatori provenienti dai college. Teoricamente i giocatori selezionabili devono aver giocato come minimo tre anni al college, ma io sono solo al secondo anno quindi, sempre teoricamente, non vengono a valutare la mia squadra. Ma... essendo mio padre il coach e conoscendo bene i rappresentanti...» Alza le spalle regalandomi un altro sorriso smagliante che mi vedo ricambiare con gioia.

Faccio un riepilogo veloce di cosa mi ha detto, due calcoli e...
«Sei un raccomandato!» esclamo. Scoppio a ridere di gusto e Reed mi imita.

«Avere il proprio padre infilato in questa cosa aiuta. Ogni società appartenente alla NFL invia un proprio rappresentante al Draft con un preciso ordine di chiamata basato sui risultati della stagione precedente. E i miei risultati dell'anno scorso sono stati più che eccellenti. Per cui...»

Gli stringo la spalla sorridendo. «È fantastico, Reed, davvero fantastico. Per cui sei nervoso per cosa esattamente? Hai paura di non farcela?»

Sospira nel mentre che iniziamo a correre l'uno di fianco all'altra.
«O di non riuscire ad impressionarli? Non lo so. Gioco a football da che ho memoria, sono andato a tutte le partite in cui mio padre è riuscito a portarmi, ho studiato ogni posizione e schema di gioco possibile e non mi sono mai perso una sola partita del Super Bowl.»

Inarco un sopracciglio sotto il suo sguardo sconcertato. «Il Super cosa

«Scherzi cazzo? Dove hai vissuto finora, Olivia?»

Ridacchio. «Mio padre ne sarebbe molto deluso se fosse qui, era un appassionato come te del football. Fortuna che non c'è, no?»

Reed continua a scuotere la testa in segno di disapprovazione. «Be' allora dovresti proprio conoscere il mio, arriveresti a fine giornata con ben più che le nozioni base. Comunque, il Super Bowl è la finale stagionale della NFL, l'evento sportivo più atteso negli Stati Uniti, uno show seguito da milioni e milioni di telespettatori!»
Allarga le braccia per mettere enfasi in quello che dice.

«Be', sembra fantastico.»

Socchiude gli occhi come se non mi credesse, ed io trattengo a stento una risata.
«Lo è! In ogni caso...» studia la posizione che assumo durante la corsa girandomi attorno. «Così non va bene. È ovvio che se corri con il busto inarcato così tanto ti stanchi subito.»

«Io non mi stanco velocemente» borbotto.

Reed mi ignora e si ferma costringendomi a fare la stessa cosa, poi si sistema alle mie spalle. «Posso toccarti? Voglio solo sistemarti la postura.»

«Se non hai un coltello affilato...»

«Ma piantala di fare la stupida» sbotta facendomi ridere.

Per cui sorrido per la sua premura e annuisco. «Va bene, fai ciò che ti pare.»

La sua mano calda mi si appoggia sulla schiena, mentre l'altra mi preme delicatamente sullo sterno. Rabbrividisco al contatto, ma non emetto alcun suono.

«Il tuo tronco dev'essere stabile.» Le sue mani scivolano sulle mie spalle. «Le scapole devono rimanere chiuse l'una contro l'altra.» Infine, le sue dita mi afferrano il mento in una presa salda. «Assicurati che lo sguardo sia direzionato sempre davanti a te, e devi eseguire un giusto ritmo da scandire con l'aiuto delle braccia. Questo permetterà alle gambe di coordinarsi meglio e di muoversi così con un minor sforzo.» Le sue mani si allontanano dal mio corpo, che rimane dritto e stabile, e vanno a posizionarsi sui suoi fianchi. Sento la schiena così dritta e rilassata che un flebile sospiro mi esce dalle labbra.

«Va meglio, non è vero?» mi chiede girandomi attorno un'altra volta.

Questa volta prendo un enorme sospiro. «Molto meglio. Grazie, Reed.»

Lui minimizza il tutto con un gesto della mano e, dopo essersi assicurato ancora una volta della mia corretta posizione, riprendiamo a correre.
Chiacchieriamo e ridiamo per i successivi quarantacinque minuti, e quando ci fermiamo per riprendere fiato mi stupisco di quanto la schiena non mi faccia male per niente. Non sento le gambe intorpidite e nemmeno dolore ai talloni. Ho la sensazione di essere appena uscita da un centro benessere in cui mi è stato fatto il miglior massaggio del mondo. Mi sento bene e viva, con la testa leggera e nessun peso sulle spalle. Ho sorriso e riso così tanto che la mascella mi fa male dallo sforzo, e dagli occhi vivi e luminosi di Reed deduco che per lui sia la stessa cosa.

Ci lasciamo ricadere su una panchina proprio di fronte a quello specchio d'acqua che circonda tutto Central Park. Alle nostre spalle, la bellezza della statua di bronzo di Alice nel paese delle meraviglie, del Cappellaio Matto e del Bianconiglio risplende sotto i raggi solari di quel giorno. Reed divide in due la solita barretta proteica al cioccolato e mi passa la metà.

Rimaniamo in silenzio a contemplare il lago artificiale per diversi minuti, fino a quando non è lui a spezzare quella quiete momentanea.
«Mi piacerebbe tanto farti conoscere la mia ragazza» dice, facendomi voltare verso di lui con un sorriso.

«Lei com'è?» mi ritrovo a chiedergli posando il mento sul ginocchio.

«Bella» sorride facendo comparire i denti bianchi. «Intelligente e scaltra. Per certi versi ti assomiglia.»

Corrugo appena la fronte e mi scosto la frangia a tendina da un lato. «Be', in realtà spero non sia vero. Sono scontrosa, irascibile e permalosa» Alzo le dita per elencargli i miei difetti. «Senza contare che sono la campionessa mondiale delle figure di merda e che ho una predisposizione nel finire nei guai a dei livelli imbarazzanti.»

Reed ride e annuisce, probabilmente pensando alla sua ragazza. Alza le dita anche lui. «Bella, scaltra e intelligente» ripete. «Come ho detto, vi assomigliate tanto. Questo fine settimana abbiamo organizzato il suo compleanno nella nostra confraternita, e il destino vuole che in quel giorno ricada anche Halloween. Mi piacerebbe molto se venissi, credo che andrete più che d'accordo e a me faciliterebbe la vita.»

«Che significa?»

«Ogni mattina che lascio il suo comodissimo letto per venire a correre con te, devo ricordarle che siamo solo amici.» Alza gli occhi al cielo ed io faccio una smorfia colpevole. Sto per dirgli che mi dispiace tanto e che non dobbiamo più fare questa cosa se serve a farla stare più tranquilla, quando lui mi da un buffetto sulla guancia.

«Non sentirti in colpa, Olivia. Non ce l'ha assolutamente con te, però mi piacerebbe che ti conoscesse di persona in modo da dover smettere di spiegarle in continuazione che siamo solo amici.»

«Lo siamo» confermo. Poi ci penso un po' su e arrivo alla conclusione che non avevo preso in considerazione che la sua ragazza potesse ingelosirsi a causa mia. Non voglio essere la fonte di una loro litigata, per cui mi trovo ad annuire con riluttanza. Partecipare ad una festa nella confraternita di Yale significa finire dritta nella tana del lupo, perché sono sicura che anche Logan sarà là. Non farlo potrebbe minare il rapporto sentimentale di Reed, ed io mi sentirei una persona orribile se accadesse.

Faccio un sospiro pesante. «Posso portare degli amici?» gli chiedo speranzosa. Avere Ellie e Jackson con me quella sera potrebbe aiutarmi a non perdere la calma o a non fare cazzate che mi si potrebbero ritorcere contro.

Reed sorride contento della mia decisione. «Tutti quelli che vuoi. Però abbiamo una regola non trascurabile.»

Faccio una smorfia esasperata. «Quale?»

«È Halloween, il tuo travestimento dovrà essere impeccabile.»

Merda. L'universo ce l'ha con me.


Le decisioni che ho preso in questi ultimi mesi sono andate a farsi benedire nell'esatto momento in cui Logan ha rimesso piede nella mia vita. Ma cosa dico, è piombato nel mio appartamento come un maledetto uragano pronto a riprendersi ciò che aveva lasciato indietro senza preoccuparsi di cos'avrebbe distrutto nel farlo. Avrei voluto urlargli contro e cacciarlo di casa, invece l'unica cosa a cui ho pensato è stato che un tempo gli avrei dato la metà del mio cuore per riuscire ad aggiustare il suo.

Fa un male cane.
Fa male non riuscire ad andare avanti e nemmeno a chiudere del tutto.
È terrificante.

Per fortuna ho Jackson, che ha passato l'intero tragitto a raccontarmi aneddoti probabilmente inventati sul momento solo per il gusto di sentirmi ridere. Ultimamente ho la risata facile.
Non si è sbilanciato molto sul suo rapporto con Ellie né mi ha dato troppe spiegazioni su quello che è successo la sera prima. Sa che quando vorrà parlarmene sarò qui, per cui ho evitato di insistere più del dovuto.

Stiamo andando alla prima lezione della giornata, quella che si svolgerà nell'Ateneo e in cui sarà Matt a farci da professore. Ho spiegato brevemente al mio migliore amico la mia storia travagliata con l'Avvocato di successo, inutile dire che è rimasto sconcertato dal fatto che riesco sempre a circondarmi di persone che alla prima difficoltà spariscono. Touchè J. Me lo merito.

Nonostante la corsa con Reed, non mi sento a pezzi come credevo, ma piena di energia e con una sensazione di leggerezza. La doccia calda e un altro buonissimo caffè hanno fatto il resto, perciò il mio umore è nettamente migliorato.
Cammino con attenzione nell'immenso viale bagnato diretta verso il maestoso edificio strutturato da imponenti colonne con Jackson al mio fianco, evitando con cura di inciampare sulle coppiette sedute sui gradini intenti a scambiarsi saliva e in quelli che io definirei "ritardatari" o "con il pepe nel culo" visto la velocità con cui sfrecciano su e giù per il campus.

Una ventata di aria gelida mi fa rizzare i peli sulla nuca, per cui mi aggiusto la sciarpa attorno al collo e alzo di più il colletto dell'enorme cappotto impellicciato che ho deciso di far uscire dall'armadio quella mattina. Odio il freddo.
Jackson non ha fatto altro che prendermi in giro per tutto il tempo, dicendo che assomiglio a quel grosso animale, con analogie con le scimmie, che vive sull'Everest o comunque nell'Himalaya: lo Yeti.

Lo stronzo.

Dopo aver schivato un ragazzo che teneva tra le mani almeno cinque caffè barcollanti, arriviamo quasi a destinazione. Dico quasi perché una figura a braccia conserte appoggiata con nonchalance alla colonna bianca mi fa arrestare di colpo. Jackson mi viene a sbattere addosso mettendo a duro rischio la mia stabilità.
Logan fa un passo avanti con l'intento di afferrarmi prima che cada a faccia in giù, ma riesco a schivarlo e a mantenere saldi i piedi per terra.

Soffoco uno sbuffo eccessivo. «E tu che diavolo ci fai qui?»

Jackson, alle mie spalle e al contrario mio, sbuffa così forte da scostarmi alcune ciocche di capelli. «Dannazione, ma sei ovunque?»

Trattengo a stento una risata quando Logan lo fulmina inclinando la testa.
«Puoi lasciarci due minuti?»

«Hai bisogno che ti rispieghi brevemente tutto quello che ti ho detto stamattina? Perché se sei qui non mi pare di essere stato così chiaro.»

«Lo sei stato.» La sua voce esce così dura che fatico a non sussultare. «E che non me ne frega un cazzo delle tue minacce. Non quando si tratta di lei. Mai quando si tratta di lei. Perciò, hai intenzione di lasciarci due minuti o devo prenderti a calci fin dentro l'aula?»

Jackson sogghigna mettendosi al mio fianco, ed io mi ritrovo a posargli una mano sul petto per evitare una situazione spiacevole.
«Ti raggiungo, d'accordo?»

Si acciglia alle mie parole, ma fa un passo indietro. «Se a te sta bene.»

Annuisco con un sorriso. «Ho intenzione di prenderlo a calci, puoi stare sereno.»

Sento Logan sorridere e quasi avrei voglia di lasciare che Jackson lo malmeni un po', poi però decido di mantenere la calma e osservo il mio migliore amico lanciargli uno sguardo di ammonimento prima di incamminarsi verso l'ingresso. Non entra. Si limita ad appoggiarsi alla porta con le mani nelle tasche e a guardarsi attorno come se la colonna che gli sta di fronte sia diventata ad un tratto interessante.

Scuoto la testa divertita e stranamente Logan mi imita.
«Sai, devo ammettere che mi piace. C'è stato un tempo in cui avrei tratto piacere nel vedere il suo bel nasino sanguinare...» Lo guardo male e lui scoppia a ridere. «Ma ora devo ammettere che se non fosse per il fatto che mi odia, potrebbe quasi starmi simpatico.»

Incrocio le braccia al petto. «Ah sì? Stai facendo ammenda per le stronzate passate o hai deciso tutt'un tratto di diventare più gentile?»

«Ti protegge, e questo posso accettarlo» mi spiega rapidamente. «Chiunque sia al tuo fianco con l'intenzione di allontanarti da tutta la merda che esiste, per me è ben accetto.» Si stacca dalla colonna e mi viene di fronte. Così vicino da riuscire a percepire il suo corpo tiepido.

«Non sapevo di dover ancora rendere conto a te.» Alzo la testa nella sua direzione, e quando l'iride verde si fissa su di me, perdo un po' della stabilità sulle gambe.

«Non devi infatti» mormora, scostandomi con l'indice una ciocca ondulata che mi si era appoggiata sul viso. «Non devi rendere conto a nessuno se non a te stessa, ricordatelo sempre, Liv.»

Sospiro piano sotto il suo tocco. «Che cosa vuoi, Logan?»

La sua mano fredda mi sfiora la guancia, che ora sento bollente sotto il suo tocco. La sua solita acqua di colonia viene a bussarmi alle narici, ed io inspiro così profondamente da darle il permesso di annegarmi i sensi.
Logan tira fuori dalla tasca qualcosa che è stato avviluppato nell'alluminio, e prima di passarmelo si prende la briga di annusarmi i capelli. Lo sento mugolare sottovoce, ed io devo mantenere il controllo per non lasciarmi avvolgere dal suo calore.

«Ti ho portato la colazione.» Mi posa tra le mani quel fagottino ancora caldo invitandomi a mangiarlo.

«Chi ti dice che non ho mangiato?»

«Liv.»

Sbuffo. «D'accordo, forse non ho avuto tempo.»

«Liv» ripete, questa volta ammonendomi con lo sguardo.

«E va bene. Ma devi smetterla di starmi con il fiato sul collo.»

Logan sospira e il suo respiro caldo mi solletica la guancia facendomi venire la pelle d'oca. «Dico sul serio» gli poso le mani sul petto costringendolo a fare un passo indietro. «Il tuo odore mi manda in pappa il cervello» spiego caustica.

Logan ride facendo comparire la fossetta sulla guancia destra. Si posa una mano sugli occhi stropicciandoseli come un bambino di tre anni appena sveglio dal pisolino pomeridiano, ed io mi ritrovo a pensare che vorrei baciargli la punta del naso che ora appare rossa e fredda. Scuoto la testa risvegliandomi da questo momento di debolezza.

«Non hai lezione?» gli chiedo mentre mi porto alla bocca l'enorme ciambella ripiena alla crema. Chiudo gli occhi assaporandone la bontà, ed il mio stomaco ringrazia Logan emettendo un brontolio di approvazione.

«Sì tra un'ora. Senti...» Il suo pollice spazza via delicatamente un po' di glassa che mi era rimasta sull'angolo inferiore del labbro. «Ti va se stasera passo a prenderti e ti porto in un posto?»

Le mie spalle si afflosciano mentre sospiro. «Logan...»

«Lo so. So a cosa stai pensando e so che ancora non abbiamo definito quello che siamo ora ma... Non sto parlando di un appuntamento romantico, o meglio non ancora. Vorrei solo passare un po' di tempo con te per parlare. Ti prego» aggiunge quando vede la diffidenza sul mio viso.

«Non c'è nulla da definire. Noi non siamo più...»

«Lo so.» Mi blocca socchiudendo gli occhi. «Me lo hai già detto, sei stata fin troppo chiara. Ma ti prego, Liv.» Ora riapre gli occhi puntandoli nei miei. «Vieni con me, solo per stasera.»

Aggrotto la fronte sotto il suo sguardo supplichevole. «Ci penserò su. Ora devo andare a lezione.»

Annuisce e fa per avvicinarsi, ma poi ci ripensa. «Non saltare il pranzo, mi raccomando. Sappi che ti tengo d'occhio.»

Inarco un sopracciglio prima di voltarmi e dargli così le spalle. «Le tue minacce non mi intimoriscono per niente, Logan Miller.» Lo saluto alzando una mano e avviandomi verso Jackson che ora sta ghignando nella sua direzione.

«Liv?» Logan mi richiama quando il mio migliore amico mi passa un braccio attorno al collo. Mi volto un'altra volta nella sua direzione.

Ha le mani infilate nelle tasche dello spesso giubbotto e sul viso affiora un dolce sorriso quando dice: «Sei bellissima. Voglio che inizi la giornata sapendo che ai miei occhi sei meravigliosa.»

Non gli do il tempo di vedermi arrossire fino alla punta delle orecchie, perché Jackson mi trascina all'interno dell'Ateneo.
«Giusto perché tu lo sappia» inizia, ma il mio sguardo è ancora puntato verso le spesse porte che ora si stanno richiudendo lasciando fuori tutto il gelo, e anche Logan. Sto sorridendo come una povera stupida alla sua prima cotta adolescenziale, quando continua: «Il tuo professore, Matt, l'Avvocato di successo, si è goduto tutto lo spettacolo di te e Logan intenti ad annusarvi come cani in calore durante la primavera. Ha ringhiato così tante volte che ad un certo punto ho pensato gli spuntassero i canini e si precipitasse ad azzannargli la gola come una belva rabbiosa. È stato divertente però.»

«Noi...» inizio con ancora il cervello in pappa, poi mi blocco spalancando gli occhi. «Come? Matt era qui?»

Jackson annuisce. «Se ricordo bene la descrizione che mi hai fatto su di lui, direi di sì. Capelli neri ingellati, completo da mille dollari e sguardo da narcisista del cazzo?» Mi ritrovo ad annuire così lui prosegue. «Credo fosse uscito ad aspettarti visto come si guardava attorno. Il nostro professore sarà di malumore per tutta la mattina, che gioia immensa.»

Mi passo una mano sul viso mentre entriamo nell'Ateneo e iniziamo a salire gli scalini verso le postazioni più in alto. «Merda» borbotto guardandomi attorno, ma non c'è ombra di Matt da nessuna parte. In compenso, molti studenti si riversano dentro l'aula e prendono posto chiacchierando allegramente.

Dopo dieci minuti non rimane più un solo posto libero, o quasi. Una figura scivola alla mia destra così silenziosamente che quasi non me ne accorgo. Ellie appoggia la testa sulla mia spalla come saluto. «Che ci fai qui? Tu non segui diritto penale.»

Jackson allunga la testa nella sua direzione per osservarla, ma quando lei non ricambia tira fuori dallo zaino un block notes ed una penna e si appoggia alla sbarra in ferro dietro di noi.

«Non mi sarei persa la lezione di Matt neanche se mi fossi svegliata con la febbre a quaranta. E poi non siete passati in caffetteria per colazione, ho dovuto mangiare da sola come una povera scema.»

«Scusami, Logan mi ha teso un agguato e non abbiamo fatto in tempo.» Volto la testa nella sua direzione proprio quando Matt entra in aula dirigendosi verso la scrivania. «Va tutto bene?» le chiedo un po' distratta quando l'Avvocato posa la valigetta sulla superficie piatta e poi volge lo sguardo a tutti gli studenti. Si sofferma brevemente a fissarmi, ma non mostra la minima emozione. Non capisco se sia arrabbiato o se finga di non conoscermi per evitare di insospettire qualcuno. Quando gli accenno un saluto, si affretta a distogliere lo sguardo.

«Sbaglio o ti ha ignorata volontariamente?» mi chiede Jackson con un sussurro.

«Lo ha fatto» conferma Ellie stizzita. «Il solito maleducato.»

«Credo non gli sia piaciuto quello che ha visto. Ultimamente sta rivendicando un territorio che non gli appartiene più» mormoro con un sospiro.

Ellie inarca un sopracciglio in una domanda silenziosa, ed è il biondino al mio fianco a spiegarle. «Lei e Logan stavano scopando con lo sguardo.»

«Come?» sbotta ad alta voce facendo girare un paio di studenti nella nostra direzione.

Mi porto una mano sul viso rosso come un pomodoro prima di spintonare Jackson in malo modo. «Oh ma stai zitto! Non è assolutamente andata così!»

«È quello che ha visto chiunque stesse osservando nella vostra direzione.»

Reprimo l'istinto di prenderlo a calci davanti a tutti sotto lo sguardo sconcertato della mia migliore amica. «Se stai pensando di tornare con lui... » mi avverte, ma io scuoto la testa con decisione.

«Non è così. Ma anche se fosse non sarebbe affare vostro, è chiaro?»

Entrambi mi lanciano un occhiataccia che ignoro. Mi concentro su Matt quando inizia a parlare, presentando prima se stesso e poi il progetto su cui andremo a lavorare quest'anno. Lo osservo muoversi concentrato per l'aula mentre diverse slide scorrono sull'enorme schermo proiettato sul muro dietro la scrivania. Mi incanto nell'esaminare la grazia con cui il suo corpo si adatta ai gesti sicuri e alla voce profonda e salda. Per quanto a lui non piaccia per niente questo lavoro, devo ammettere che si trova perfettamente a suo agio come professore. O ha una predisposizione per questo mestiere, oppure è semplicemente un bravissimo Avvocato sicuro di sé.

«Io e Mason abbiamo deciso di prenderci una pausa» esordisce Ellie dopo un po', già annoiata dalla lezione a cui non dovrebbe nemmeno partecipare.

Faccio una piccola smorfia afferrandole la mano con la mia. «Mi dispiace tanto. Pensavo foste riusciti a chiarire le cose.»

«Lo pensavo anche io all'inizio» si acciglia. «Abbiamo passato l'intera notte a scopare come due adolescenti in preda agli ormoni. Non c'è stato altro. Nessuna litigata, niente discussioni su quello che è successo, nessuna parola dolce o di conforto. Questa mattina quando ci siamo svegliati c'era così tanto imbarazzo tra di noi che nessuno dei due sapeva cosa dire.» Abbassa un po' il tono di voce ed io mi muovo a disagio. Non mi sfugge l'orecchio teso di Jackson nella nostra direzione, ma faccio finta di nulla.

«Siamo arrivati alla conclusione che forse era meglio prenderci del tempo per capire che cosa vogliamo davvero. Dovevi vedere lo sguardo che aveva quando gli ho detto che se voleva andare a letto con altre poteva farlo.»

Appoggio la testa contro la sua spalla in un gesto di dolcezza. «Mi dispiace davvero tanto, Ellie. Forse non si aspettava che...»

«Era sollevato, Liv, come se non aspettasse altro che sentirselo dire.»

Sollevo lo sguardo nella sua direzione imitata da lei. Sto per replicare quando una voce interrompe la nostra conversazione.

«Signorina Walker, vuole rendere partecipe anche i suoi compagni di quello che presumo sia un avvincente racconto?» la voce fredda di Matt ci costringe a voltarci nella sua direzione, dove altre cinquanta teste si sono girate verso di noi. Il sangue mi defluisce al cervello, costringendo le guance a tingersi di rosso. Chi non si fa scalfire minimamente da quelle parole è Ellie, che ha alzato il mento e incrociato le braccia al petto con fare annoiato.

«Credo che troverebbe il mio avvincente racconto alquanto noioso, professor...» si porta l'indice sul mento con fare pensoso. «Mi scusi, devo essermi dimenticata il suo cognome.» Cazzate. Ellie conosce esattamente il nome completo di Matt, ma è talmente arrabbiata con lui da beffeggiarlo di fronte a tutti senza un minimo di pietà. Scivolo un po' più giù con il sedere tentando di nascondermi.

Matt si gratta la barba trattenendo una smorfia. «Forse dovrebbe stare più attenta, signorina Walker, o perlomeno fingere di interessarsi a questa lezione dato che dall'elenco degli studenti» afferra il foglio su cui presumo siano scritti i nomi di tutti i presenti e lo esamina un paio di volte. «Il suo nome non figura. Cosa vuole fare? Io le suggerirei di seguire le lezioni che più le si addicono, e non si intrufolarsi in quelle in cui evidentemente non eccelle.»

Silenzio.

C'è così tanto silenzio nell'aula che riesco perfino a sentire i battiti scanditi del mio cuore. Jackson al mio fianco impreca sottovoce parole che non oserei ripetere neanche sotto tortura, mentre Ellie serra la bocca con così tanta forza che mi stupisco non si sia morsa le labbra. Poi si alza in piedi con uno scatto e agguanta il suo zaino. Fissa Matt con astio, poi s'inchina appena con un movimento goffo. «I miei ossequi. Sono davvero sbadata, certo che conosco il suo cognome, Professor asshole.» L'intera aula si leva in cori sconvolti ed eccitati, mentre io scivolo così in basso da finire con il culo quasi per terra.

Ellie se ne va sotto mormorii e sguardi sconvolti, ma non prima di avermi lanciato un'occhiata che dice: quand'è che mandi a fare in culo anche questo stronzo? Sbatté la porta dell'aula così violentemente da far tremare i muri. Jackson sogghigna compiaciuto rivolgendo al professore uno sguardo carico d'odio, mentre io fatico a guardare nella direzione del bell'Avvocato infuriato.

Non so esattamente come arriviamo alla fine della lezione, ma quando i miei compagni scivolano via dai posti per correre in caffetteria, io mi ritrovo a ritirare i libri con le braccia pesanti ed un paio di occhi posati su di me.

«Signorina Anderson, posso parlarle un attimo?»

Lancio uno sguardo a Jackson, che era intento ad aspettarmi davanti alla porta, e gli dico di iniziare ad andare. All'inizio non si muove, si limita ad osservare con durezza Matt, ma poi esce dall'aula con un sospiro. Mi sistemo meglio lo zaino sulla spalla quando raggiungo l'Avvocato appoggiato con nonchalance alla scrivania. Ci fissiamo per un breve istante in silenzio.

«Sei stato scortese e maleducato» gli dico fregandomene del fatto che sia un mio professore. Prima di tutto è il mio ex ragazzo e una persona che ho amato molti anni prima, perciò mi prendo libertà che nessuno dovrebbe.

Matt inarca un sopracciglio mentre le sue lunghe dita tamburellano sulla superficie piatta. Mi soppesa con lo sguardo per quelli che sembrano minuti interi. «Mi ha fatto fare la figura dell' idiota davanti ad un'intera classe. Che cos'avrei dovuto fare secondo te?»

«Comportarti come l'uomo maturo che dici di essere? E comunque sei stato tu a riprenderla per primo.»

«Stava disturbando la mia lezione con inutili chiacchiere da donne. Ti sembra poco?»

Scuoto appena la testa. «Lo stai rifacendo.»

«Che cosa?»

«Atteggiarti da coglione. Non stavi cercando di fare ammenda?»

Matt fa schioccare la lingua contro il palato. «Non credo di aver detto nulla di male contro di te anche se avrei potuto.»

Inclino la testa da un lato. «Ti sei forse scordato che Ellie è la mia migliore amica? Più una sorella a dire la verità, e il tuo modo di trattarla mi ha inacidita parecchio. Se vuoi avere con me quello che io spero si possa definire come una bella amicizia, ti suggerirei di dosare le parole d'ora in poi.»

«Amicizia? Perciò tutto il mio discorso sul fatto che provo ancora dei sentimenti verso di te è stato del tutto inutile?»

Sposto il peso dello zaino da un piede all'altro. «Matt, ne abbiamo già parlato. Non sono pronta ad una nuova relazione... »

«Non sembravi pensarla nella stessa maniera mentre giocavi a strusciarti addosso a quel ragazzino. Stai insieme a lui?»

Gli lancio un'occhiataccia di fuoco. «Continui ad essere irrispettoso, cafone, villano e sgarbato. Ma che diavolo ti prende Matt?» Scuoto la testa dirigendomi verso la porta.

«Sono un professore, ti sei scordata che conosco perfettamente tutti i sinonimi della parola "maleducato"? Quella ineducata sei tu ora, visto che mi stai dando le spalle mentre parlo» mi grida dietro.

Alzo la mano senza voltarmi e tiro su il dito medio nella sua direzione. «Allora vediamo se conosci anche il sinonimo di questo: vai a fare in culo, Matt.»

Mi sbatto dietro la porta con così tanta violenza da creare una piccola crepa nel muro. Fanculo pure a te, Matt lo stronzo.

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