Capitolo diciassette - Logan
Your eyes
Stole all my words
Away.
ATTERRO all'Aeroporto John Fitzgerald Kennedy con quasi un'ora di ritardo.
Stanco e affamato, passo i controlli il più svelto possibile e mi dirigo fuori dove il gelo di questa sera mi sferza il viso non appena oltrepasso le porte automatiche con solo un borsone nero sulla spalla. Quando una settimana fa sono partito quasi di corsa e all'alba, non mi sono preoccupato di quello che mi sarei portato dietro, e una volta arrivato a Santa Rosa mi sono accorto di aver dimenticato quasi tutto il necessario. Shampoo, profumo, dopobarba e rasoio elettrico sono rimasti nel beauty appeso alla porta della stanza. Frugando nel borsone ci ho solo trovato un paio di boxer puliti, una maglietta a maniche corte totalmente inutile viste le temperature e un unico paio di calzini che non ho idea da quanto tempo fossero li dentro. Fortunatamente, nonna Claire non ha mai buttato via alcuni dei miei vecchi abiti che ancora mi stanno, custodendoli gelosamente dentro l'armadio della stanza che occupo quando sto da lei.
Con il mio solito cappellino da baseball, un paio di pantaloni della tuta e una felpa non abbastanza calda, oltrepasso persone che trascinano valigie e taxi accostati sulla carreggiata cercando Mason dappertutto. Una volta individuato intento a farmi i fari, corro verso la sua auto e mi ci fiondo dentro per sfuggire al freddo. Non appena apro la portiera e mi siedo sul sedile, mi accorgo subito che lo stronzo ha fumato senza tirare giù i finestrini perché inizio a tossire così tanto da costringerlo a fare arieggiare l'abitacolo.
«Porca troia Mase!» impreco, con una mano sulla bocca e l'altra in aria intenta a scacciare il fumo. «Vuoi morire intossicato?»
Mason ridacchia, afferra il borsone che ancora ho in grembo e lo lancia sui sedili posteriori. Dopodiché, mette in moto dando un rapido sguardo agli specchietti prima di immettersi in strada. Mi lancia un'occhiata divertita facendo passare il braccio libero sulle mie spalle.
«Mi sei mancato, cazzone. Ti sei divertito dalla nonnina?»
Alzo gli occhi al cielo girando la visiera del cappellino. «Sì certo: abbiamo giocato a briscola nella casa di riposo dove va tutte le sere, bevuto camomilla e Té inglese ogni pomeriggio alle cinque e spettegolato su Rose la vicina che ormai non ci sente più. È stato uno spasso.»
Mi guarda annuendo e mordendosi il labbro inferiore. «Sei così serio che se solo non ti conoscessi crederei ad ogni singola cosa che ti esce da quella bocca.»
Scuoto la testa con un sospiro. «Fortuna che mi conosci allora.»
«Ti senti bene?» mi chiede con apprensione, stringendomi appena la spalla.
Sarebbe anche una risposta semplice se non fosse per il fatto che ultimamente non sono in me. Non che nell'ultimo periodo sia stato tutto rose e fiori, ma fino a due settimane fa ero convinto che le cose potessero migliorare, che se avessi dimostrato a Liv quanto fossi pentito magari prima o poi le cose tra di noi sarebbero potute cambiare. Ho avuto la speranza che, prima o poi, questo limbo di indecisioni e sfiducia sarebbe sfumato in quell'amore che sono sicuro entrambi proviamo. Era solo questione di tempo... finché una sera ha deciso di rovinare tutto, e io non sono stato abbastanza forte per dirle di no.
E comunque, lo avrei fatto davvero? Sarei riuscito a negarmi alla ragazza che amo e bramo? Probabilmente no. Non so se si è accorta di avermi spezzato il cuore, se lo ha percepito andare in frantumi e se ha visto la mia mente scivolare in quell'oblio da cui tento di sfuggire giorno per giorno. Se è così che si è sentita quando me ne sono andato, allora me lo merito. Merito ogni singolo attacco di panico, l'ultimo meno di ventiquattro ore fa, merito il dolore al petto ogni volta che respiro e merito i guai che costantemente mi seguono come un'ombra.
Me ne sono dovuto andare. Avevo bisogno di riordinare i pensieri e decidere cosa fare, come comportarmi, come affrontare quello che era appena accaduto tra di noi senza mandare a puttane il tutto. Sapevo che se fossi rimasto il dolore che provavo avrebbe avuto la meglio e il nostro rapporto si sarebbe sgretolato più in fretta. Non ero sicuro che l'avrei cercata nei giorni seguenti, la sua assurda richiesta ancora mi ronzava nella testa in momenti meno opportuni. "Scopami, Logan." Con quanta facilità era riuscita a pronunciare queste parole? Credeva davvero che avrei spento i sentimenti che nutro per lei con la facilità con cui si spegne l'interruttore? Per cui, sono stato felice della chiamata di Megan, anche se ancora non sapevo che quello che avrei vissuto in questi giorni avrebbe riportato a galla ricordi dolorosi.
Mi schiarisco la gola. «Sì, certo.»
«Megan come sta? È stata dura come tutti descrivono?»
Provo a trattenere una smorfia ma invano. Il ricordo di quelle ore lunghe e difficili ancora mi gravano sulle spalle lasciandomi di malumore. Chiudo gli occhi nel tentativo di spegnere il cervello e di ascoltare le canzoni che passano in radio, ma il mio migliore amico sembra intenzionato a fare conversazione, per cui mi costringo a riaprire gli occhi e a lanciare uno sguardo nella sua direzione. Ora mi osserva di sottecchi con un sopracciglio inarcato.
«Non vuoi parlarne? D'accordo, pensavo solo che avessi bisogno di...»
«Si riprenderà, ha solo bisogno di un po' di tempo.» Lo interrompo. «La cosa più importante è che entrambi stiano bene e in salute adesso.»
«La sua ragazza... com'è che si chiama... Tanya?»
«Taylor» gli vado in aiuto.
«Si beh, era lì oppure l'ha lasciata sola? I suoi genitori hanno saputo che...»
Mi passo una mano sul viso, stanco. «Dio, Mase, che ti prende? Cos'è questo terzo grado?»
Mason accelera sorpassando un paio di auto e lasciandosi alle spalle l'aeroporto, poi sospira e si volta quel che basta per lanciarmi occhiate di tanto in tanto.
«Sono solo preoccupato, okay?»
«Di cosa?»
Si massaggia la tempia con la mano libera. «Senti... al diavolo!» Si scompiglia i capelli biondi e sospira ancora, questa volta più forte. «Te ne parlo solo se prometti di non incazzarti.»
Mi acciglio. «Sputa il rospo, Mason. Non è da te girarci intorno.»
Fermo al semaforo, si volta completamente nella mia direzione. «Hai ragione, ma ultimamente sei più fuori del solito, quindi scusa se mi preoccupo della tua salute mentale.» Lo guardo male ma lui continua. «Sono preoccupato del passato di Megan, cazzone, del modo in cui ti sei infilato nella sua vita per difenderla a spada tratta senza pensare alle conseguenze.»
Scuoto la testa confuso. «Ma di che stai parlando?»
Mason sospira pesantemente prima di suonare il clacson ad un imbecille che quasi gli taglia la strada passando con il rosso. Torna a voltarsi verso di me.
«Ti sei mai fermato un secondo a pensare che continui ad interferire nella sua vita andando contro persone che non si farebbero scrupoli nel farti a pezzi?»
Sbarro gli occhi scuotendo la testa. «Lei è mia amica, Mason. Non ha nessuno!» Alzo le mani in aria e poi le riabbasso lentamente. «Che cosa dovrei fare? Lasciarla sola in questo momento così delicato?»
«Non sto dicendo che devi smettere di sentirla ma... Per Dio, è così difficile a volte cercare di farti rimanere con i piedi per terra» dice, portandosi entrambi i pugni sugli occhi. «Anche i ragazzi sono preoccupati, dicono che quando parli con loro sei assente e per la metà del tempo non ti rendi conto di quello che succede attorno a te. So che tutta la questione con Olivia è difficile ma...»
«Cosa cazzo c'entra lei adesso?» sbotto, sempre più confuso.
«Smettila di fingere che non sia anche a causa sua se ti stai trasformando in un ameba» replica alzando il tono di voce. Quando però nota la rabbia che pian piano prende forma sul mio viso, si limita ad alzare le mani in segno di pace. «Lo sai che le voglio bene, Logan. Potrai anche non credermi visto che ultimamente mi comporto come uno stronzo, ma comprendo tutto quello che ha passato e so che il dolore che si porta dentro è grande. Non puoi negare però che ultimamente compie scelte discutibili, e il mio compito è prendermi cura di te.»
«Senti» inizio, prendendo un enorme respiro. «Apprezzo che tu ti sia trasformato nel mio bodyguard personale» gli dico, beccandomi un'occhiataccia da parte sua. «Ma quello che succede tra me e Liv puoi stare certo che riguarda solo noi, e riusciremo a risolvere il tutto a modo nostro come abbiamo sempre fatto. Per cui, puoi smetterla di preoccuparti del mio rapporto con lei e di comportarti come un pazzo? Io ti voglio bene, Mase, ma ultimamente stai fuori di testa esattamente come me.»
«Oh, fottiti. Sai bene che ho problemi con Ellie, non è che di punto in bianco sono diventato pazzo ed emotivo.»
«Lo so» allargo le braccia. «Ed io non te ne faccio una colpa né tantomeno ti sto con il fiato sul collo. Potete, per favore, starmi accanto e basta?»
Mason tamburella le dita sul volante un paio di volte. «Non sarei un buon amico se non mi preoccupassi per te, ma se è quello che vuoi d'accordo. Mi farò i cazzi miei e ti lascerò sbattere la testa finché non te la romperai per bene. Ma lascia che ti ricordi una cosa, Logan: Megan non è Camilla, e tu non puoi sempre provare a salvare chiunque.»
La mia mascella ha uno spasmo. Questo è un colpo basso perfino per lui. La verità dietro queste parole mi colpisce come un fottuto fiume in piena, e l'idea che i miei amici mi conoscano così bene mi fa incazzare e allo stesso tempo mi calma. Forse è vero che dopo la morte di mia madre è iniziato quel periodo della mia vita in cui avevo bisogno di salvare qualcuno, che fosse il mio gatto malato di leucemia felina o Camilla finita in quella che reputavo fosse una relazione tossica. Non ero riuscito a salvare la donna che mi aveva messo al mondo, ma forse potevo farlo con qualcuno che inconsciamente ne aveva bisogno, quando poi però la mia migliore amica è morta mi sono reso conto di non avere fatto abbastanza. Non ero migliore di chiunque altro, e questa consapevolezza mi aveva fatto lentamente a pezzi.
Non ero riuscito nemmeno a salvare la ragazza che amo, non c'ero nel momento peggiore della sua vita e, preso dalla paura di non essere abbastanza, l'avevo lasciata sola a raccogliere i pezzi che avevo seminato un poco alla volta, distruggendole così la vita. Ma poi... poi Megan era salita su quell'autobus, il viso pieno di tagli e lividi e gli occhi così vuoti e inespressivi che avevo pensato: forse questa volta posso farcela, lei ha bisogno di aiuto e non è un caso se si è seduta proprio accanto a me. Magari una persona riesco ad aiutarla, magari i suoi casini mi aiuteranno a non pensare ai miei.
Non era stato così difficile starla ad ascoltare mentre mi raccontava tutto, mentre le lacrime scorrevano su quel viso pallido e magro e gli incubi e il terrore tornavano a scorrerle sotto gli occhi. La parte più brutta era stata rendermi conto che avrei voluto uccidere chi le aveva fatto del male, e ci avevo provato. Avevo guidato per ore e ore fino a casa di quel figlio di puttana e lo avevo pestato finché mi ero reso conto di avere la maglietta e le mani insanguinate. Non ricordo perché non sono andato fino in fondo, sapevo solo che ora avevo un'altra denuncia a carico a pochi giorni dalla prima udienza in Tribunale. Capivo perfettamente la preoccupazione dei miei amici, conoscevo la rabbia che avrebbe invaso mio padre non appena ne sarebbe venuto a conoscenza- perché ancora ne era all'oscuro- e, più di tutto, ero spaventato all'idea di vedere la delusione sul viso di Liv non appena glielo avrei detto.
Non è facile deludere Olivia, eppure sembra che quando ha a che fare con me io non riesca a fare altro.
Sono stanco, spaventato ed esausto. Ho passato questa settimana in ospedale a pregare che Megan si rimettesse, a implorare Dio che lei e il suo bambino non perdessero la vita, promettendogli in cambio che mi sarei rimesso in riga. Basta cazzate, basta scelte sbagliate che mi avrebbero solo portato a perdermi ancora di più. Seduto su una sedia a tenerle la mano, ho riflettuto molto su quello che è accaduto tra me e Liv e sono arrivato alla conclusione che se è tempo quello di cui ha bisogno allora a me va bene. Sono disposto a tutto pur di riaverla nella mia vita, anche a costo di esserle solo amico... per ora.
Non rispondo a Mason, mi rifugio nei pensieri osservando la vita scorrere dal finestrino fino a quando non parcheggia fuori dai dormitori di Yale. Sto per scendere quando la sua mano si stringe attorno al mio braccio fermandomi. Sta guardando davanti a sé, una mano ad accarezzarsi la bocca pensieroso e gli occhi a fissare un punto impreciso. Lo osservo riflettere a lungo, mentre si tormenta le labbra con i denti, gesto che fa ogniqualvolta è nervoso o a disagio. Infine, sospira.
«Quando eravamo piccoli, mi ricordo che eri quell'amico pronto a fare lo sgambetto a chiunque si permettesse di insultarmi. Non pensavi alle conseguenze dei tuoi gesti nemmeno all'epoca, e finivi sempre per metterti nei guai. Ricordo la preoccupazione di James e Hannah, quando ti mettevano in punizione sperando che il tuo temperamento sbollisse, eppure tu non cambiavi mai.» Deglutisco e lui si gira a fissarmi, questa volta i suoi occhi sono inchiodati nei miei. «Ho sempre saputo di poter contare su di te, anche quando i miei genitori hanno divorziato e credevo di essere rimasto solo, tu... beh tu c'eri. Tu eri lì. Testa alta e muso duro, quella lama pronta a conficcarsi nel petto di chiunque si fosse permesso di farmi del male.»
«Ho sempre e solo pianto davanti a te, il mio migliore amico, lo stronzo che credeva di essere l'unico con il diritto di potermi insultare.» Scoppia a ridere stringendomi il braccio, ed io non posso fare altro che espirare lentamente, sentendo un groppo in gola così stretto da farmi respirare a fatica. Sorride, ed io non so come ma riesco a ricambiare anche se goffamente. «Lascia che sia io questa volta a prendermi cura di te, Logan, puoi farlo sai? Puoi permettere agli altri di proteggerti e difenderti come hai sempre fatto tu. Per una volta, concedimi di essere la spalla su cui tu puoi finalmente piangere se ne senti il bisogno. Hai fatto così tanto per me... lasciami ricambiare, te lo devo.»
Ed è come se un peso enorme scivolasse via dalle mie spalle, permettendomi finalmente di respirare. So che e volessi potrei farlo, potrei caricare lui o i ragazzi di quel dolore che mi grava sulla schiena, potrei permettermi di sorridere di tanto in tanto senza dover avere a che fare costantemente con i miei casini. Se lo volessi potrei farlo, lo so, il punto è che non voglio. Credo di meritare tutto quello che mi succede e sento il bisogno di provare queste emozioni contrastanti che mi ricordano di aver solo combinato casini nella vita, di aver deluso un mucchio di persone e che il futuro non sembra così sereno e splendente.
Sempre che un futuro ancora ci sia ad aspettarmi oltre le porte del Tribunale...
Appoggio la fronte contro quella di Mason, respiro sentendomi invadere da una calma improvvisa, poi gli sussurro un "grazie" così piano che non sono sicuro mi abbia sentito. Gli devo tutto, devo a Mason, Thomas, Jason e Kevin più di quanto immaginano. Sono loro ad avermi salvato quanto la mia vita stava andando a puttane, e so che continuano a coprirmi le spalle anche adesso che niente sembra voler andare per il verso giusto.
L'Universo sta cercando di dirmi qualcosa, ma al momento sono parecchio confuso al riguardo.
Quando entriamo in stanza, mi blocco prima di riuscire a varcare la soglia. Ellie è seduta sul letto di Mason a gambe incrociate, indossa solo una sua maglia della squadra che le sta larga e nient'altro. Ha lasciato le lunghe gambe nude ed esposte, per niente preoccupata della mia presenza. Sono così sorpreso di vederla che il borsone quasi mi cade dalle mani. Mason non sembra farci caso mentre cammina verso l'armadio per riporci scarpe e giubbotto, e la biondina alza distrattamente lo sguardo dal cellulare il giusto per lanciarmi un'occhiata così penetrante da farmi sentire a disagio nella mia stessa pelle. Sbatto le palpebre un paio di volte prima di borbottare un vago saluto, mentre Mason si lascia ricadere accanto a lei facendola quasi cadere per terra.
Rimango inebetito a fissare il mio migliore amico intento ad accarezzarle la guancia con il naso, lo vedo inspirare il suo odore e sento Ellie accennare una risata di apprezzamento. Nonostante io provi un tantino di gelosia nei loro confronti, non posso non notare che la loro relazione è ancora più instabile di quella tra me e Liv. Passano dall'amarsi, all'odiarsi urlandosi addosso parole irripetibili a... questo. Vai a capirli.
Butto il borsone sul mio letto, poi lentamente vado a sedermi sulla sedia girevole della scrivania. Il mio sguardo si sofferma sulle lenzuola ancora aggrovigliate al fondo del letto, e la mia mente vola al ricordo di quello che è successo qualche sera fa. Mi chiedo se sul cuscino si senta ancora il suo profumo, se il suo odore è rimasto impregnato su quelle coperte che ora non voglio più cambiare, se sta bene o si è pentita di quello che abbiamo fatto. So di averla trattata da schifo dopo, ma sarei uno stronzo a dire che tornando indietro non lo rifarei. Lo rifarei eccome, cercherei di farlo durare di più forse, la bacerei con più intensità e la stringerei un po' più forte. Le direi che anche io la amo, perché l'ho sentita sussurrarmelo sulla pelle come se fosse un segreto. La amo così tanto che a volte mi manca il respiro, il cuore mi fa male al pensiero di non averla vicino e la mia mente va in subbuglio.
Torno in me solo quando sento due paia di occhi fissarmi con intensità. Quelli azzurri di Ellie lo fanno energicamente, come se volesse chiedermi qualcosa ma non sapesse come farlo. Per cui sono io a spezzare quel silenzio così opprimente.
«Quindi... tra voi è tutto a posto? Siete tornati insieme?»
Sento Mason sospirare, Ellie invece inarca un sopracciglio biondo. «Perché non ti preoccupi della tua vita sentimentale invece che della nostra?»
«Ellie» l'ammonisce Mason con un tono decisamente troppo dolce. «Ne abbiamo già parlato, puoi per favore evitare? Sai come la penso.»
«Non ho mai detto di essere d'accordo con te. Lui è il tuo migliore amico» mi indica con un cenno. «Ma quella che ha passato una settimana chiusa nella sua stanza a piangere è la mia migliore amica, ti è chiaro?»
Mi passo una mano sul viso quando iniziano a litigare, e la voglia di buttarmi giù dalla finestra si fa più lampante. Il momento di quiete tra me e la bionda sembra essere già finito, ottimo. Ora non mi resta che farmi tirare un altro pugno sul naso, sento già la mancanza di lividi e tagli...
«Dove sei stato, Logan? Dopo quello che è successo tra di voi non potevi, che ne so, telefonarle?»
Ellie ora si è alzata per fronteggiarmi. Mason, dietro di lei, mi mima con le labbra "scusami" come se fosse colpa sua. Sappiamo bene entrambi che questa rabbia che prova è giusta, anche se avrei solo voluto passare una serata tranquilla senza inutili drammi. Giustificarmi con la migliore amica della mia ex ragazza non era nei piani, eppure so che dovrò farlo se voglio perlomeno riuscire a riportarla dalla mia parte. Ellie è una parte fondamentale nella vita di Liv, e se non riuscirò a convincerla della mia buona volontà nel sistemare le cose allora so che perderò la ragazza che amo per sempre.
«Sono tornato a Santa Rosa perché avevo delle cose di cui occuparmi. Non era mia intenzione far piangere Liv. Io...» sospiro. «Non sto cercando di giustificarmi, ma non ho davvero avuto tempo per chiamarla.»
Ellie scuote la testa, sembra delusa, ed io mi rendo conto che è l'ennesima persona che riesco a deludere in poco tempo. «È così difficile capirti a volte.» Ora il suo tono di voce è più basso. «Dici di amarla e che faresti di tutto per lei, ma poi sparisci senza voltarti indietro. Cerca di capire che cosa vuoi davvero, Logan, perché hai ragione quando dici che siete una bomba ad orologeria pronta ad esplodere: lontani siete un disastro, ma insieme siete letali.»
«Ellie!» esplode Mason, questa volta furioso.
Alzo una mano per interromperlo, senza distogliere gli occhi dalla ragazza che mi sta di fronte. Non sarò il primo a spostare lo sguardo, non cederò di fronte alla brutalità di queste parole. Non le permetterò di vedere quanto in fondo sono riuscite ad arrivare, non ancora.
«Ti sbagli» le dico, con un tono di voce così piatto e assente che quasi non mi riconosco. «Sbagli ad odiarmi in questo modo. Tu non hai idea di quello che sto passando, non hai la minima idea di quello che provo per lei. Pensi di saperlo solo perché ti basi su percezioni che ti arrivano dalla sua parte e mi getti in faccia parole velenose con l'unico scopo di ferirmi. Eppure, so che ti sbagli.»
Ellie alza il mento, per niente scalfita dalle mie parole. «Io so solo che prima che arrivassi tu la sua vita era tranquilla e meravigliosa, e che da quando ti sei fatto spazio con prepotenza volendo a tutti i costi fare parte del suo presente, lei è cambiata, e non in meglio se è quello che ti stai chiedendo.» Ora scuote la testa amareggiata. «Dimmi, Logan, cosa pensi di aver fatto di buono per lei? Magari mi sto davvero sbagliando, forse hai ragione. Forse l'unica cosa decente che hai deciso di fare è stato andartene.»
Ed io quasi crollo, quasi lascio che le lacrime mi solchino il viso mostrando tutta la vulnerabilità che provo in questo istante. Sono ferite mortali le sue parole, sono così brutali e vere che non trovo nulla di sensato con cui ribattere. Mason è furioso, la trascina verso il letto e le intima di smetterla. Ellie non parla più, ha lo sguardo assente come se si fosse resa conto di aver esagerato, come se sapesse di essere riuscita a farmi a pezzi e questo non la rincuora per niente. Ed io lo vedo il rimorso nei suoi occhi, si riflette nei miei con delle scuse silenziose. So di respirare a fatica ora, sento l'attacco di panico montarmi lentamente in gola e non ho idea di come riesca ad uscire da questa stanza.
Non so come riesco a trascinarmi in doccia, i pensieri che mi affollano la testa già piena di preoccupazioni. Non ricordo nemmeno più l'ultima volta che sono stato me stesso. La verità è che non lo sono da così a lungo che ho iniziato a domandarmi se me ne sia mai reso conto. Fisso lo specchio per molto tempo, incapace di riconoscermi, mentre il ronzio del rasoio riecheggia nel bagno. Osservo le ciocche ricadere a terra a manciate mentre mi taglio i capelli, evitando di osservare per più di qualche secondo le guance incavate, o gli zigomi più pronunciati e le occhiaie nere evidenti sotto gli occhi. I miei gesti sono lenti e meccanici, quasi ripetitivi, affaticati. Ho mal di testa, sfido chiunque a non averlo al posto mio. Eppure, non posso incolpare Ellie di avermi sbattuto in faccia una verità che fa più male del pugno sul naso che mi ha tirato.
Io e Liv, insieme, siamo letali. Ho sempre pensato che insieme fossimo più forti, che insieme avremmo potuto sconfiggere il mondo intero, che tenendoci per mano saremmo stati in grado di superare qualsiasi cosa. Ovunque ma insieme. Solo oggi, però, mi rendo conto che con tutte le probabilità questa non è la realtà dei fatti, e che io e lei insieme forse ci facciamo più male che bene. Quando cazzo sono cambiate le cose? Quand'è esattamente il momento in cui tutto è andato a puttane? Perché vorrei tornare indietro e affrontare le cose diversamente.
Stringo le mani con forza al bordo del lavandino, mi inarco in avanti e lascio oscillare la testa. Ogni tanto ho come la voglia di sbatterla contro il muro, forte, più e più volte. Cosa diavolo mi sta succedendo?
Non sono più in me.
Non mi riconosco più.
Non so più chi sono.
Lascio che il dolore si impossessi di me, che quella sensazione di vuoto e panico si insinui con forza nella mia testa. Lascio entrare tutto: rabbia, risentimento, odio e schifo verso me stesso. Stringo con più forza il lavandino nel vano tentativo di non cedere, di non cadere nella tentazione di farmi del male, perché è proprio quello che vorrei. Sono malato, forse, non vedo più le cose con la giusta prospettiva. Ormai è diventato tutto o nero o bianco. Odio le mezze misure, odio i colori e odio i suoni.
Le mie ginocchia cedono. Cado a terra in mezzo a ciocche di capelli tagliati e l'umidità del pavimento per il calore della doccia appena fatta. Le spalle mi si afflosciano e si ricurvano in avanti insieme alla schiena, che ora sento pesante e dolorante. Scoppio a piangere, così forte da sentire un dolore tremendo al petto. Mi porto una mano sul cuore come se potessi toccarlo, stringerlo, cullarlo e dirgli che andrà tutto bene. Perché deve andare tutto bene, ci deve essere un motivo se io e Liv ci siamo incontrati e amati, non può finire tutto. Non così.
Non finirà.
Non finirà.
Non finirà.
Me lo ripeto diverse volte come un mantra. Mi concedo questo unico momento di debolezza, mi concedo di piangere scosso da tremiti e singhiozzi, nudo in un bagno universitario in cui chiunque potrebbe entrare e vedermi da un momento all'altro. Non mi importa. Per una volta penso a me stesso, al bisogno che ho di sfogarmi e di urlare. Penso a come sarebbe stata la mia vita se avessi preso decisioni diverse, ma indietro non si può tornare, per cui mi sforzo di pensare a come invece posso migliorare il futuro. Me lo merito? Merito un lieto fine? E la felicità?
Non so quanto tempo dopo riesco a rialzarmi. Questa volta mi concedo il lusso di fissare a lungo il mio aspetto allo specchio: ora gli occhi sono più gonfi e rossi, ancora scavati dal dolore, eppure dietro l'iride verde riesco a riconoscere qualcosa di simile alla determinazione. Forse posso farcela. Forse posso combattere i miei demoni e riuscire a riprendere in mano la mia vita. Forse non tutto è perduto, forse non è vero che io e Liv insieme siamo letali. Non posso e non voglio crederci. Le ho promesso che avrei lottato per noi, per lei, per me stesso. Non l'ho dimenticato. Sono intenzionato a mantenere la parola data anche se dovesse volerci molto tempo. Voglio combattere per lei e per il nostro amore. Sono pronto.
Torno in stanza una decina di minuti più tardi, vestito e profumato. Mi rendo subito conto che tra i due le cose sono cambiate. L'aria è tagliente come la lama di un rasoio, probabilmente hanno urlato e litigato fino a pochi istanti fa, ma entrambi cercando di non darlo a vedere. Mason, con ancora un evidente cipiglio sulla fronte, lancia un fischio di approvazione non appena nota il mio nuovo taglio ai capelli, mentre Ellie, con gesti lenti e occhi umidi segno di un pianto silenzioso, posa sul comodino accanto al letto il testo universitario su cui stava studiando e inclina la testa per osservarmi. Lo fa a lungo. I suoi occhi azzurri vagano alla ricerca di una qualsiasi cosa le faccia capire che le sue parole hanno fatto breccia dentro di me. Cerca rimasugli di distruzione nei miei occhi, e solamente dopo averli trovati, perché li trova, li ispeziona nuovamente in cerca della voglia di lottare che ora sento scorrermi nel sangue.
Controllo il respiro non facendomi intimidire dal suo sguardo penetrante e al tempo stesso assente. Lascio che veda tutto, lascio che affondi i suoi artigli in profondità e che trovi quello che sta cercando. Vedo il suo respiro regolarizzarsi, il petto trovare un ritmo ben scandito, gli occhi ricolmarsi di luce e vivacità. Ha trovato quel dolore che mi chiude lo stomaco, lo vedo da come la sua espressione muta. Le sue labbra si schiudono e gli occhi azzurri si riempiono nuovamente di lacrime.
Vedo la delusione tramutarsi in speranza e fiducia. Forse adesso mi odia un po' meno.
Mi basta un suo cenno, un vano tentativo di accentuare un sorriso per sentire il cuore esplodermi in mille pezzi. Butto fuori tutta quell'aria che non sapevo di aver trattenuto e sento la tensione scivolarmi via dal corpo. Non provo risentimenti nei suoi confronti, so che anche se è stata brutale mi ha aiutato.
Ci metto un po' prima di riuscire a ritrovare le parole. Mason continua a far passare lo sguardo da me alla sua ragazza, più volte, nel vano tentativo di capirci qualcosa. Scuote la testa confuso e amareggiato quando si rende conto che nessuno dei due è intenzionato a dargli una spiegazione. Chiudo gli occhi e poi li riapro.
«Lei dov'è?» chiedo a Ellie.
Espira lentamente. «Stasera aveva un appuntamento al 230 Fifth Rooftop Bar. Se ti sbrighi sei ancora in tempo ad interrompere quella stupida cena» mi spiega, con un'alzata di spalle.
Inclino la testa nella sua direzione dopo aver indossato un giubbotto spesso e un cappello di lana in testa. «Non sei d'accordo con quest'uscita» le faccio notare.
Scuote la testa. «Odio quello stronzo del suo ex, non so nemmeno perché ci è uscita assieme.»
Mi fermo a riflettere. Ha detto ex? «Matt è in città?» le chiedo, vagamente irritato. «Perché? Che cosa vuole?»
Ellie sospira passandosi una mano nei capelli ricci per districarseli. «Matt è il suo professore di diritto penale, eccoti spiegato perché si sono rivisiti. È determinato a riprendersela, Logan. Fossi in te mi darei una svegliata e correrei a prendere il primo taxi disponibile.»
Mi giro afferrando la maniglia della porta ma, prima di ruotarla, mi blocco. Mi volto verso di lei. «Grazie» le dico. «Per tutto» aggiungo.
Ellie annuisce. «Vai e non farmene pentire.»
Non aggiunge altro. Mi precipito fuori dalla stanza e dal dormitorio prima ancora di rendermi conto di tutto quello che è successo nell'ultima mezz'ora. Non ho la più pallida idea del perché tutt'a un tratto Matt voglia tornare con lei visto il modo in cui tra i due è finita, e non so darmi una spiegazione nemmeno per il fatto che Liv abbia deciso di uscirci insieme. Forse gli piace ancora? Sono già usciti insieme altre volte? Era lui quel ragazzo che ha baciato sotto casa?
Controllo la rabbia facendo dei lunghi respiri profondi.
Matt è un adulto ed io sono un ragazzino, devo giocarmela bene se voglio riprendermela.
Conto i minuti che passano mentre attendo il taxi, incapace di stare fermo faccio su e giù un paio di volte per scaldarmi. Penso a cosa le dirò non appena entrerò in quel bar, e poi mi prende il panico perché ricordo di non avere l'età giusta per entrarci.
Il taxi che accosta non mi da il tempo di trovare una soluzione, mi ci fiondo dentro quasi urlando all'autista l'indirizzo del posto. Fanculo, una volta là troverò un modo per riuscire ad entrare e riprendermela senza combinare un casino.
Era ovvio che quello stronzo decidesse di portarla in un posto del genere.
Butto un'occhiata nervosa verso l'alto, dove l'immenso grattacielo fa capolino riversando nel cielo notturno luci soffuse che provengo dall' ultimo piano e musica d'atmosfera. Dev'essere una di quelle serate dove Champagne e caviale troneggiano. Mi viene da ridere all'idea che Matt la conosca talmente poco da non sapere quanto si sente a disagio in situazioni come questa, e automaticamente mi ritorna il buonumore.
I miei occhi volano all'ingresso che è protetto da un buttafuori di colore grande e grosso, il suo sguardo duro un po' mi spaventa, soprattutto quando caccia una coppia perché non abbastanza elegante per quel tipo di serata. Con una smorfia, dò una rapida occhiata al mio aspetto trasandato, e non posso non pensare che vestito così non ho proprio nessuna speranza di entrare. Cerco una soluzione aggirando il grattacielo in cerca di entrate secondarie, ma vengo assalito dalla delusione quando scopro che le uniche due porte o sono chiuse a chiave o sono anch'esse ben sorvegliate.
Tiro fuori il telefono dalla tasca e provo a chiamarla, ma dopo neanche due squilli parte la segreteria telefonica. Impreco tornando verso l'entrata principale. La chiamo un'altra volta con lo stesso identico risultato, sono così nervoso che vorrei sfidare il buttafuori ad un incontro clandestino di boxe pur di riuscire ad entrare. Credo che mi farebbe a pezzi anche in quell'occasione. Per Dio! Sembra più un gorilla che un uomo con tutti quei muscoli pompati. La chiamo altre due volte prima di arrivare sull'orlo della pazzia, e sto davvero per fregarmene e provare comunque a sgattaiolare dentro quando mi viene un'illuminazione.
Questa volta tiro fuori il telefono della tasca per chiamare mio padre che, fortunatamente, risponde al quinto squillo. «Ciao papà, scusami per la chiamata... so che è tardi, ma avrei bisogno di un enorme favore.»
Dieci minuti dopo è proprio il buttafuori, che ho scoperto chiamarsi Gus, ad accompagnarmi verso l'ascensore. Non mi sfuggono le occhiate disgustate che mi lancia di tanto in tanto, come se sapesse che sono il tipico figlio di papà che risolve tutto con una telefonata. Non è così, me la sono sempre cavata senza dover ricorrere alla tipica frase: "tu non hai idea di chi sia mio padre", o a quella: "con i soldi posso comprarmi anche il tuo silenzio". Eppure, per stasera ho deciso di chiudere un occhio.
Mi sono ricordato che mio padre è uno dei soci in affari di questo posto, ciò significa che il Rooftop è anche suo e che Gus è indirettamente un suo dipendente, perciò per farmi entrare gli è bastato fare una telefonata. Quindi eccomi qui, nervoso più che mai mentre l'ascensore sale lentamente fino al 20° piano. Una volta che le porte si sono aperte, trovo ad accogliermi diverse catene di lucine colorate sistemate per l'intera terrazza panoramica che è dotata non solo di giardino, ma anche di un'enorme Penthouse. Rimango folgorato da tanta bellezza.
Al centro dell'enorme terrazza, una piscina di un azzurro profondo scalda l'ambiente già di per sé galvanizzato, mentre donne in tailleur ravvivano l'ambiente conversando con uomini in giacca e cravatta. In mezzo a loro, camerieri si destreggiano tra vivaci stuzzichini ben disposti sui vassoi e flûte di Champagne. Ridacchio a quella vista mentre, cercando di essere il più invisibile possibile, cammino con le mani in tasca osservando tanto sfarzo. Cerco Liv ovunque, provando a riconoscerla dall'abbigliamento o dalla risata incantevole, ma le uniche ragazze giovani che intravedo non hanno niente di lei.
E poi finalmente, dopo aver declinato un paio di volte del nauseabondo caviale e rifiutato da bere, la individuo. È così bella... Dio se lo è. Quella ragazza è fottutamente illegale, io sono fottutamente stronzo e se vengo a sapere che Matt le ha messo le mani addosso allora è fottutamente morto. Ora sono decisamente arrabbiato, anzi infuriato. Solo l'idea che qualcun altro possa sfiorarla con un dito mi fa ribollire il sangue e vedere tutto rosso. Già, il rosso sangue che vorrei vedergli colare dalla testa. I miei occhi scivolano lentamente sul tubino nero elegante fino al ginocchio che gli bacia la pelle e risalgono sulla scollatura a cuore che mette decisamente troppo in risalto il suo magnifico seno. Mi soffermo più del dovuto sul tacco alto e raffinato che indossa, quasi rapito da tanto buon gusto, e infine mi incanto sui capelli sciolti mossi dal vento.
Quella ragazza magnifica è appoggiata alla ringhiera intenta ad osservare la bellissima New York, posata sulle spalle porta una vestaglia di lana rossa che ho adocchiato su diverse donne, per cui ne deduco che in caso di temperature rigide come quelle di questa sera, i barman le offrano ai clienti per proteggersi dal freddo dando loro la possibilità di rimanere all'aperto. Le vado incontro affiancandola, appoggio le mani sulla ringhiera che mi sta di fronte e prendo un bel respiro nell'osservare il caleidoscopio di colori che mi appare davanti agli occhi. È una di quelle esperienze che difficilmente si dimentica.
Liv si accorge quasi subito della mia presenza, lo vedo da come sussulta appena e volta solo per pochi istanti la testa nella mia direzione prima di tornare ad osservare davanti a sé. In silenzio, ammiriamo le luci della città e lo scintillio delle stelle godendoci una spettacolare vista su grattacieli ed edifici della Grande Mela, tra cui il Flatiron Building, il Chrysler Building e l'iconico Empire State Building. La brezza invernale mi sferza il viso ma quasi non me ne accorgo, percepisco invece le dita di Liv che, piano piano, scivolano verso le mie, sfiorandomele.
«Come mi hai trovata?» mi chiede, con una voce così delicata da farmi tremare il cuore.
«Io ti troverò sempre, Liv.»
La sua bocca s'incurva in un timido sorriso. «Sto parlando seriamente.»
«Anche io» le dico, portandomi una mano sul cuore e fingendomi offeso.
Divertita, mi da un colpetto alla spalla. Accenno un sorriso. «Sai, credo che la tua migliore amica sia ufficialmente diventata la mia migliore amica.»
Liv sbuffa scuotendo la testa. «Ma certo. Impicciona che non è altro» borbotta. «Se non sapessi che odia Matt al punto da volermi rovinare la serata, potrei anche crederti.»
«Beh, non credo fosse proprio sua intenzione aiutarmi. Penso che più che altro ti volesse lontana da lui.»
Liv volta il corpo nella mia direzione, regalandomi finalmente la visuale sui suoi meravigliosi occhi. Le palpebre sono colorate con un leggero glitter dorato, il mascara le allunga ciglia che già di per sé erano di una lunghezza invidiabile e le labbra... Dio, le sue labbra solo lucide e brillanti, carnose e invitanti. Fottuta voglia di baciarla.
Mi studia per qualche istante di troppo. «Sei sicuro che fosse lei a volerlo? Perché devo essere sincera, Logan, sei stranamente troppo calmo. Il che mi fa presagire il peggio: o l'hai già buttato giù da questo grattacielo, oppure devo dedurre di averti perso del tutto.»
La schiettezza nelle sue parole mi fa sorridere. Mi giro completamente anche io nella sua direzione, facendo scorrere gli occhi sul suo corpo un paio di volte. Il gomito appoggiato alla ringhiera sorregge il mio peso, mentre il braccio si allunga nella sua direzione. Le dita si prendono la libertà di afferrarle proprio quella ciocca di capelli che continua a svolazzarle sul viso nascondendole gli occhi, per poi rigirarsela tra indice e medio con dolcezza.
«Sto cercando di non comportarmi come un immaturo, Liv. Credimi se ti dico che ho già pensato ai mille modi in cui scaraventarlo giù senza farmi notare dai presenti, o di assestargli un bel pugno solo per averti trascinata a questa stupida serata.» La guardo, e lei alza un po' il mento inarcando un sopracciglio. È divertita. «Per cui no, non direi che tu mi abbia perso.»
«Il solito pallone gonfiato.» Accenna finalmente un sorriso che mi ritrovo a ricambiare senza esitazione. «E comunque, come accidenti sei riuscito ad entrare? Perché a me hanno fatto storie nonostante fossi in compagnia, e mi hanno infilato questo stupido braccialetto come se fossi una bambina.» Mette il broncio mostrandomi uno spesso laccio rosso attorno al polso che tenta, invano, di strappare via.
Ridacchio beccandomi un'occhiataccia da parte sua. «Papino James possiede tutto questo meraviglioso posto.» Allargo le braccia facendole sbarrare gli occhi. «Per cui mi sono avvalso della facoltà di ricordargli che sono suo figlio, che gli voglio un mondo di bene e che mi doveva un enorme favore. Ho anche sottolineato che si trattava di salvarti il culo, per cui non ha esitato a chiamare i piani alti.» Con l'indice indico il cielo, poi alzo le spalle con nonchalance.
«In sostanza hai urlato: "sono uno snob ricchissimo figlio di papà! Fatemi entrare!"» Scoppia a ridere e io con lei.
«Sì, più o meno» concordo. «E tu, invece? Non fraintendermi, sei di una bellezza stratosferica questa sera, ma spero tu non sia venuta qui solo per dello scadente caviale.»
Il suo inutile pugno mi colpisce la spalla, poi mi mostra il flûte che tiene nell'altra mano e di cui non mi ero nemmeno accorto. Mi rabbuio all'istante. «Sono qui solo per lo Champagne.» Quando si accorge che ho smesso di ridere, aggiunge: «Dealcolizzato, ovviamente. Riesco a percepire la tua sfuriata anche quando non ci sei, per cui ho messo le mani avanti.»
Espiro a queste parole, riuscendo a ritrovare il sorriso. «Ne sono felicemente sorpreso. Sai, ai bambini danno quello per fargli credere di essere grandi.»
La sua bocca si spalanca così tanto che quasi tocca terra. Il suo pugno vola nuovamente verso la mia spalla ed io non faccio nulla per scostarmi. Scoppio a ridere di gusto quando inizia ad insultarmi.
«Stronzo, arrogante, figlio di papà!» grida. «Io ti odio.»
«Non è assolutamente vero.»
«Oh ma invece è cosi!» Mi colpisce ancora. «Eccome se è così!»
Le afferro i polsi costringendola ad avvicinarsi a me. La intrappolo tra le braccia stringendola forte e mozzandole il respiro. Liv si lascia abbracciare, le sue mani mi si posano suoi fianchi e si insinuano distrattamente sotto la giacca. Respiro il suo profumo di vaniglia e cocco osservandola socchiudere gli occhi.
«Sei bellissima» mormoro. «Così bella da far diventare le stelle estremamente gelose.»
Riesco a farla ridere ancora. «Sei davvero sdolcinato.»
Le strizzo un fianco. «Non te lo aspettavi, eh?»
«Sinceramente? Pensavo che non mi avresti più rivolto la parola.»
Le accarezzo i capelli. «E come potrei? Sei uscita con un altro ragazzo per una cena sofisticata, eppure mi sembra che tu stia passando il tuo tempo con me. Mi sento fortunato, Liv. Certo, sono così arrabbiato che tu ti sia fatta bella per un altro che avrei voglia di spaccare la testa a qualcuno, ma sto cercando di non pensarci. Sei qui, tra le mie braccia, cosa potrei volere di più?»
Annuisce distrattamente. «Sono qui ma...» sospira. «Sii sincero, sei pentito di quello che è accaduto tra di noi?»
Le faccio alzare il mento con due dita. «No. Tu?»
Scuote la testa senza fermarsi a riflettere. «No. Ma, Logan, io...io dicevo sul serio.»
«Riguardo a cosa?»
«A noi. Non sono pronta a rimettermi in gioco, ma ho anche paura di perderti ancora... Non so più come comportarmi, come mettere a tacere tutte queste insicurezze. Ho bisogno di...»
«Tempo» concludo per lei. Le sorrido passandole dolcemente i pollici sulle guance. «Lo so, e sono disposto a concedertelo. In questi giorni lontano ho...» sospiro, «riflettuto a lungo, e sono arrivato alla conclusione che voglio stare insieme a te ad ogni costo, e se questo significa lasciarti libera allora... Mi sta bene. Vuoi un amico? Posso provare ad esserlo, anche se non ti prometto di riuscirci, posso provarci.»
«Faresti questo anche dopo come ti ho trattato?»
Inclino di poco la testa. «Ti stai colpevolizzando per caso? Perché non mi pare di essermi lamentato poi così tanto di come sono andate le cose.»
«Logan, ti ho chiesto di scoparmi. Di passare una notte con me senza sentimenti. Ho sentito il tuo cuore andare in frantumi, e ora vuoi farmi credere che sei disposto ad essermi... amico?»
Ci metto un paio di secondi a reagire alle sue parole. «Stai cercando di dirmi che vuoi uscire con Matt? Vuoi frequentare altre persone?»
Liv sbarra gli occhi. «Come? No.» Si allontana di un passo ed io la lascio andare. «Solo perché sono uscita insieme a lui non significa che io voglia tornarci insieme.»
«E allora non capisco che cosa vuoi. Sono qui, ti sto dicendo che sono disposto a concederti del tempo e che posso aspettarti. Cos'altro ti serve, Liv?»
Ora scuote la testa e torna ad appoggiarsi alla ringhiera, questa volta di schiena. Si guarda attorno nel giardino ad osservare le persone ridere e divertirsi. «Ho detto a Matt che andavo solo in bagno... si starà chiedendo dove sono finita.»
Le vado vicino, imitando la sua posizione. La mano sfiora il suo braccio e scende lentamente fino a quando le nostre dita non si intrecciano. Liv osserva il punto in cui ora le nostre mani sono legate, ed io prendo un respiro profondo quando non fa nulla per allontanarsi. «Quella notte... ti ho sentita, sai? Ti amo anche io, Liv. Ti amo davvero tanto» mormoro con un sorriso. Le vado più vicino sfiorandole la fronte con il naso e sentendola respirare più forte. «Volevo solo che lo sapessi.»
La vedo tremare, e non so dire se è per il freddo o sono state le mie parole a crearle scompiglio. Il sorriso, però, non vuole saperne di abbandonarmi. Continuo a lanciarle occhiate di sottecchi, troppo incantato dalla sua bellezza per accorgermi che invece, lei, non sorride più. I suoi occhi grandi e luminosi ora sono ricolmi di lacrime, una sfugge al suo controllo prima che riesca a fermarla, e lei si affretta a scacciarla via dalla guancia umida.
Sento il cuore stritolarsi nel petto. «Liv.» Mi muovo verso di lei, arrivandole ad un soffio dalle labbra, così vicino da riuscire a percepire il tepore del suo corpo e il battito del cuore accelerato. La afferro in vita e me l'avvicino, le sue mani tremanti mi si posano sul petto quando scoppia a piangere.
«Mi dispiace tanto, Logan, davvero tanto» sussurra singhiozzando.
Confuso, sposto le mani sulle sue guance e la costringo a guardarmi. «Di cosa?»
«Di essermi... di essermi comportata come una stronza con te, di averti convinto a fare una cosa che non volevi e di aver creduto che forse... forse sarebbe stato meglio che mi odiassi.»
«Ehi, shh» le dico, scuotendo la testa. «Non ho fatto nulla che non volessi fare, Liv. È vero, mi hai chiesto di passare la notte con te come se fossi una perfetta sconosciuta, ma io non l'ho fatto. Ti ho amata e venerata anche in quel momento. Neanche per un secondo ho pensato di usarti e basta.»
«Lo so» sussurra. «Ed è proprio per questo che mi sto scusando. Non meriti quello che ti ho fatto, non meriti nessun tipo di dolore, Logan.»
La stringo in un abbraccio cercando di calmarla, accarezzandole la schiena e sussurrandole di tanto in tanto che va tutto bene, che non sono arrabbiato e che non è una cattiva persona. Le ricordo ancora una volta che la amo, che sono disposto a fare qualunque cosa per lei, anche aspettarla per tutta la vita. Sento che si rilassa tra le mie braccia, lasciando scivolare lontane le lacrime e regolarizzando il respiro. Intanto, non smetto di cullarla. Questo è il posto in cui vorrei passasse il resto della sua vita, stretta a me, ma so che prima o poi questo momento finirà ed io mi ritroverò a dover fare i conti con la realtà.
Liv sospira appoggiando la guancia sul mio petto. Rallento appena l'oscillazione del corpo e le scosto i capelli dal viso. «Sei sparito per tutta la settimana» mormora accennando un piccolo broncio sulle labbra. «Ho creduto davvero che non volessi più avere a che fare con me.»
«Se solo non fossi sgattaiolata via dal letto all'alba, ti avrei informata che stavo partendo per qualche giorno» le faccio notare, e subito le sue guance diventano bordeaux.
«Va tutto bene?» mi chiede. Alza la testa nella mia direzione per guardarmi.
Scrollo le spalle. «Abbastanza, e se mi dirai di sì a quello che sto per proporti, ti prometto che ti spiegherò ogni cosa.»
I suoi occhi mi scrutano con un mix di curiosità e sospetto. «Che cosa vuoi, Logan?»
Sorrido da vero bastardo, perché non aspettavo altro che mi porgesse questa domanda. «Voglio un'intera giornata con te, Liv, solo io e te. Voglio passare una serata con te e vorrei che mi concedessi un'altra notte.»
Sbarra gli occhi scuotendo appena la testa, ancora più confusa di prima. «Pensavo avessi detto di volermi essere solo amico» mi fa notare.
Accentuo il sorriso facendo comparire le fossette, e nel farlo so di avere vinto questo primo round dal modo in cui i suoi occhi non smettono di fissare quel punto infossato sulle guance. «Vieni via con me e ti mostrerò che cosa intendo.»
Gli occhi di Liv ora si spostano nei miei, e mi osservano con una tale intensità da provocarmi brividi in tutto il corpo. Non fa in tempo a rispondermi, perché una figura elegante le si avvicina cingendole il fianco e reclamandola con fare arrogante. I miei occhi scorrono dapprima sulla mano che fastidiosamente Matt le appoggia sulla schiena, poi scivolano sul viso di Liv, ora a disagio, e poi incontrano quelli neri del ragazzo al suo fianco. Il mio primo istinto mi dice di afferrarlo per il collo e buttarlo giù dal grattacielo, l'altro -quello più razionale- mi ricorda di respirare.
Ed è solo quando le posa un tenero bacio sui capelli, sostenendo il mio sguardo e mettendo le cose in chiaro, che perdo quasi del tutto il controllo. «È mezz'ora che ti cerco, tesoro» le dice, e la mia mano ha uno spasmo. Poi il suo sguardo, prima dolce, passa da lei a me e si indurisce. «Questo ragazzino ti sta disturbando per caso? Vuoi che lo faccio sbattere fuori dalla sicurezza?»
Chiudo le mani a pugno così forte da sentire le ossa quasi frantumarsi.
«No, gran figlio di puttana, non ce n'è bisogno. Lascia che ti dia un consiglio spassionato: ti do un secondo di tempo per levarle le mani di dosso prima che ti spezzi le dita lentamente una per una oppure, se preferisci, ti farò fare un volo cosi intenso che rimpiangerai di non aver preso la decisione più giusta. A te la scelta.» Gli sorrido con cattiveria e il suo di sorriso, così strafottente e arrogante, vacilla insieme alla sua spavalderia.
Segnatelo sul tabellone: un punto per Logan Miller.
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