CAPITOLO EXTRA Valeria - Il viaggio -
Non poteva mancare la Regina Dei Ghiacci all'appello
POV VALERIA : "Il viaggio"
Il rapporto con Giusy non sarebbe più stato lo stesso e, su questo, non potevo avere dubbi. Mi ero assicurata che stesse bene, avevo parlato con Giselle, la mamma di Sveva, e mi aveva rincuorata dicendomi che si sarebbe presa cura di lei, anche sua figlia aveva bisogno di questa nuova amicizia nata in Brasile.
Continuavo ad essere convinta che ciò che avevo fatto per farla desistere dall'iniziare una relazione con Samuele non fosse sbagliato, almeno non del tutto. Quale madre vorrebbe vedere la propria figlia neo sedicenne innamorarsi di un ragazzo di venticinque anni?
Giusy aveva altre priorità in quel momento.
Io avevo imparato a mie spese quanto l'amore fosse fonte di distrazione quando si dovevano preparare le Olimpiadi. Anche io avevo quello sguardo sognante tanti anni fa, anche io avevo avuto il mio amore ventiquattro ore su ventiquattro vicino a me, lui non era un atleta come Samuele ma il fisioterapista della nostra palestra. Seguiva gli allenamenti della nazionale ed era sempre pronto ad aiutarci con i guai muscolari o i problemi alle articolazioni.
Fu un amore passionale il nostro, fatto di baci rubati a riparo da occhi indiscreti.
Pensavo a lui quando ero sulla trave, quando dovevo prendere la rincorsa per saltare al volteggio, quando mi lanciavo da uno staggio all'altro delle parallele e mentre mi muovevo a passo di danza nel corpo libero. Pensavo a lui anche quando avevo eseguito la famosa uscita dalle parallele che aveva decretato la fine della mia carriera da ginnasta.
Leandro era bellissimo, mediterraneo come Giusy, con la carnagione che si abbronzava al primo sole e gli occhi scuri simili ai miei. Mi ero infatuata della sua voce calda capace di sciogliere le mia naturale freddezza, eravamo come il fuoco e il ghiaccio. Il sentimento che provavo per lui però non aveva nulla a che vedere con l'amore profondo e intenso che era riuscito a donarmi Paolo.
Leandro era stato il primo ed era solo per questo che conservavo il suo ricordo gelosamente.
Con il tempo mi ero convinta che Giusy dovesse avere di più di quello che la vita mi aveva riservato, e così avevo messo in atto quello stratagemma dei biglietti. La verità, però, era che non volevo parlarle apertamente di quello che mi era successo alle Olimpiadi di Los Angeles, avrebbe aperto troppe ferite e troppi segreti. Giusy avrebbe scoperto che Leandro non l'aveva rifiutata appena nata, suo padre biologico non era a conoscenza della sua esistenza.
Non potevo cambiare quello che avevo fatto in Brasile, sarebbe stato un fardello che mi sarei portata dietro fino alla fine dei miei giorni, ma potevo fare questo viaggio per cercare di rimediare almeno ad uno dei miei errori passati.
Paolo avrebbe approvato questa scelta, ne ero certa, un po' lo faccio anche per lui, il suo rapporto con Giusy era stato così viscerale che la vita di lei aveva subito un drastico cambiamento il giorno della sua scomparsa. Così come la mia, ma io avevo avuto modo di prepararmi, a lei era piombato tutto sulle spalle come un fulmine a ciel sereno.
Genova mi aveva accolta con un tiepido sole di fine ottobre, gli alberi avevano acquistato quella tipica veste autunnale con sfumature dal giallo all'arancione e l'aria passava attraverso il mio scialle bianco procurandomi piccoli brividi. Ero riuscita ad avere notizie di Leandro grazie alle numerose telefonate ricevute a causa dell'infortunio di Giusy. In particolare mi ero dovuta calare nella parte della chiacchierona con una mia ex compagna di squadra ed ero riuscita a sfilarle l'informazione senza che se ne accorgesse. Così, senza pensarci due volte, avevo fatto il biglietto del treno per raggiungere Genova, ed ero stata qui più di un mese senza trovare mai il coraggio di farmi avanti.
Avevo osservato quasi ogni giorno Leandro entrare e uscire dalla clinica privata in cui lavorava ma, ogni volta, un attimo prima di avvicinarmi, il coraggio mi veniva a mancare. Eppure io ero sempre stata una donna forte, prendevo le decisioni e mi buttavo a capofitto senza fermarmi a riflettere.
Questa volta però ero combattuta. Era giusto piombare nella vita di Leandro ora?
Mi ripetevo che lo facevo per Giusy, che Paolo sarebbe stato fiero di me e che in questo modo avrei ricucito una vecchia ferita.
Eppure c'era sempre qualcosa che mi bloccava.
Alla fine fu il destino a decidere per me.
Quel giorno era brutto tempo, nubi grigie coprivano il cielo di Genova e il freddo mi penetrava fin dentro le ossa. Come al solito mi ero svegliata presto, avevo controllato il mio cellulare per verificare se per caso ci fosse una telefonata di Giusy o di Giselle, e poi mi ero preparata per uscire e fare colazione al bar di fronte la clinica di Leandro. Poco prima di arrivare a destinazione aveva iniziato a piovere, mi ero dimenticata l'ombrello in hotel e dovetti fare una corsa per ripararmi nel piccolo bar a conduzione familiare.
Quando ero entrata però non avevo visto altro che quei familiari occhi scuri. Leandro era seduto da solo a un tavolino, sorseggiava un cappuccino e nel frattempo sfogliava le pagine del "Corriere Dello Sport". Non era cambiato molto, si era fatto crescere i baffi e la barba e non era più magro come una volta, però restava un uomo affascinante. Io rimasi ferma a un passo da lui, indecisa se darmela a gambe o affrontare finalmente il motivo per cui ero finita a Genova. Alla fine fu Leandro a decidere per me, alzò lo sguardo e rimase con la tazza del cappuccino a mezz'aria.
«Non ci credo», esclamò quando i suoi occhi riconobbero i miei e il suo sguardo si addolcì, «Valeria Timi a Genova?».
Io sorrisi, cercando di celare il mio stato d'animo dinnanzi alla sua contentezza nel vedermi, in fondo ci eravamo lasciati di comune accordo e senza rancore.
«Ne è passato di tempo, vero?», domandai mentre lui si alzava per venirmi a salutare con un bacio. Sentii la sua barba pizzicarmi le guance.
«Quanto? Quindici anni?».
«Sedici, per essere precisi» risposi prendendo posto di fronte a lui.
Leandro mi scrutava con interesse ma anche con molta sorpresa. «Come mai da queste parti?».
«Sono di passaggio» dissi poco prima di ordinare un caffè amaro alla cameriera. «Samantha come sta?».
«Non l'hai saputo? Eppure so che vi siete incontrate di recente». Replicò Leandro con tono monocorde.
«Vero, è stata lei a giudicare mia figlia prima della partenza per le Olimpiadi».
Il viso di lui si illuminò. «A proposito, falle i complimenti da parte mia. Spero stia recuperando la condizione dopo l'infortunio», fece una pausa breve, «comunque io e Samantha abbiamo divorziato».
Rimasi di stucco. Possibile che non mi fosse giunta una notizia del genere? Ero ancora in contatto con alcuni amici in comune con Leandro ed era molto curioso che non mi fosse arrivata la notizia che la coppia più affiatata della palestra, almeno in apparenza, fosse scoppiata.
«Mi dispiace», risposi giusto per correttezza.
Io e Samantha non eravamo mai riuscite ad andare d'accordo, e il problema non era che io avevo una relazione segreta con il suo fidanzato ufficiale, era un'antipatia che ci portavamo dietro dal primo giorno che ci eravamo viste. Non c'era una spiegazione logica, avevo sempre dato la colpa a una questione di chimica.
Una pausa imbarazzante dilagò tra me e Leandro, così lui finì il cappuccino, addentò l'ultimo pezzo di cornetto e infilò il giornale nella sua ventiquattrore di pelle. «Devo andare a lavoro», disse a quel punto.
Io tentennai, dovevo fermarlo, ora o mai più.
«Non potresti prenderti un'ora di permesso?».
«Valeria mi fa piacere averti rivista ma non credo che...».
«È una cosa molto importante», dissi fissandolo duramente negli occhi.
«Cosa può esserci di tanto importante se non ci vediamo da sedici anni?».
«Riguarda il giorno prima della tua partenza per Genova. È importante, Leandro.»
Forse si stupì del mio tono quasi supplichevole perché prese il telefono e avvertì la clinica che avrebbe fatto ritardo.
Uscimmo dal bar, la pioggia si era fermata e uno spiraglio di sole si intravedeva tra le nuvole grigie, camminavamo di fianco come fantasmi di un passato che non c'era più, io contorcevo le mie mani ossute arrovellandomi il cervello per capire come intavolare la discussione.
«Ti ricordi quel giorno?» dissi allora quando il coraggio parlò per me.
«Come scordarlo Valeria. È stata dura anche per me». Ora negli occhi di Leandro vedevo un barlume di tristezza, come se anche lui avesse nascosto un dolore e lo avesse ignorato per tanto tempo.
«Per te? Ma se io ero il tuo ripiego» gli feci notare con un filo di voce.
«Lo sai anche tu che il nostro amore era sbagliato. Io e Samantha eravamo insieme da quasi due anni e poi...».
«Anche noi».
Io e Leandro avevamo iniziato a vederci di nascosto quasi contemporaneamente al suo fidanzamento con Samantha, per cui non c'era molta differenza in questo. Lei era la ragazza da presentare alla famiglia, io invece ero quella con cui passare la notte. Tutto qui.
Leandro si scostò un po' da me, attraversammo la strada e giungemmo a un parco, ci sedemmo su una panchina nonostante fosse bagnata.
«Non sono qui per rivangare questi ricordi, comunque.»
«E allora perché sei qui?».
«Quel giorno ti dovevo dire una cosa, Leandro», buttai fuori tutto d'un fiato, «ma tu mi hai preceduto con la notizia che Samantha aveva deciso di cambiare palestra e che eravate in procinto di trasferirvi. Per cui ti ho lasciato andare».
Leandro si accovacciò sulle ginocchia osservandosi i piedi, poi si voltò verso di me e in modo duro mi disse: «non sarei rimasto in ogni caso».
«Neanche se ti avessi detto che ero incinta?».
Lui sgranò gli occhi, la bocca semiaperta incapace di tirare fuori alcun suono. Poi iniziò a balbettare: «t-tu c-cosa? Dimmi che stai scherzando, dimmi che é una stupida vendetta per averti lasciata in asso».
«Giusy è tua figlia» replicai dura, sentendomi talmente vigliacca da odiarmi.
Leandro si alzò di botto, forse aveva visto qualche foto di Giusy e aveva capito che non lo stavo prendendo in giro, lei gli assomigliava tantissimo. «Come ti permetti di venire qui e dirmi questo?», gridò a tutti polmoni con il viso che gli diventò paonazzo per la rabbia. «Come hai potuto farmi una cosa del genere, Valeria? Lo sai quanto desiderassi avere una figlia? Quanto io e Samantha abbiamo sofferto perché non ci siamo riusciti...».
«Non ho scuse, ne sono consapevole».
«Con quale diritto mi hai privato di questo». Era arrabbiato come non lo avevo mai visto, «sei una donna bugiarda e senza scrupoli. Ti meriti di essere sola».
Poi mi guardò per un'ultima volta, con la faccia stravolta per la notizia e si dileguò a grandi falcate verso l'uscita del parco.
Una conversazione breve, dritta al punto, fredda come era nelle mie corde.
Mi sentivo più leggera?
No. Ma forse avevo donato qualcosa a una persona che, nonostante avesse scelto un'altra donna tanto tempo fa, meritava una piccola gioia nella vita.
Mi ero tolta un peso, lo avevo scaraventato sulle spalle di un'altra persona. Avrei dovuto farlo tanto tempo fa, ma allora non avevo capito che la sincerità alla fine paga. La mia vita era solo un manto di bugie arrotolate una sopra l'altra che mi avevano intrappolata. Era tardi, ormai, per tutto.
SPAZIO AUTRICE:
Valeria ha preso ancora una decisione sbagliata secondo voi?
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