9 ~Poli opposti~ ✔
Non ero mai salita su una moto, soprattutto non su quel tipo di moto!
Giorgio andava talmente veloce che i miei occhi non riuscivano più a distinguere ciò che ci circondava: le strade, i palazzi e la vegetazione erano come tante macchie indistinguibili dai colori illogici. L'aria mi sferzava il viso attraverso il casco in modo violento mandandomi numerosi pulviscoli negli occhi, con le gambe cercavo di tenermi forte alla sella piegando il corpo per assecondare le curve.
Ad una curva a gomito, però, mi sbilanciai leggermente. A quel punto Giorgio portò le sue mani indietro trovando le mie, le prese con decisione e se le mise attorno alla vita. In quel momento mi sciolsi e iniziai a godermi questa esperienza. Incrociai le mani sul suo addome, appoggiai la testa sulle spalle di lui e chiusi gli occhi.
Sembrava che stessi volando.
I nostri corpi in quel momento erano a contatto, si muovevano l'uno insieme all'altro accompagnando la corsa della moto, come se fosse lei a decidere dove portarci.
Mi faceva paura il pensiero di ciò che avevo fatto, ero salita in moto con un perfetto sconosciuto. Senza considerare che, dopo l'esperienza in discoteca, c'era l'alta probabilità che non fosse un tipo raccomandabile.
Eppure ero lì, avvinghiata a Giorgio. Con il disperato bisogno di sentirmi in pace, di vivere la vita di qualcun altro perché, la mia, era diventata opprimente.
Era una giornata calda in confronto alle temperature medie registrate a metà maggio, il sole stava calando e stormi di uccelli si muovevano in gruppo per raggiungere i loro nidi. Quando la moto rallentò, mi pervase una sensazione di quiete, ero arrivata a destinazione illesa, questo bastava a farmi rilassare.
Giorgio scese e mi aiutò a fare lo stesso mentre si sfilava il casco integrale.
A quel punto mi accorsi di dove mi avesse portato. Eravamo al centro di Roma, davanti al Colosseo. Nonostante fossi nata lì, ogni volta che lo vedevo era un'emozione unica, la sua grandezza mi faceva sentire piccola come una formica.
«Ti ho portata in un bel posto, non trovi?», disse Giorgio mentre parcheggiava la moto.
«Mi aspettavo qualcosa di più originale, se devo proprio essere sincera», lo canzonai mentre guardavo rapita le luci della città accendersi e prepararsi alla notte imminente.
«Vieni con me, ti sorprenderò».
Mi prese per mano iniziando a camminare svelto.
Non avevo mai camminato mano nella mano con qualcuno, eppure quel gesto non mi sembrò inopportuno e non mi diede fastidio.
Alcuni dicono che dalle mani si può capire la personalità di una persona e la sua storia, quelle di Giorgio erano affusolate e sottili, al tatto risultavano morbide e lisce come la pelle di un bambino.
Salimmo una piccola scalinata impervia, svoltammo in un vicolo stretto sui cui si ergevano palazzi antichi, le persiane rovinate troneggiavano su davanzali decorati da fiori colorati. Poi entrammo in un piccolo bar, se non fossi stata con Giorgio, non avrei mai notato l'insegna minuscola, né tantomeno il piccolo menù appeso sul muro nel quale venivano menzionate le "specialità della casa".
Ci accolse un uomo anziano dalla pelle olivastra che indossava un grembiule rosso: «buonasera signor Giorgio, il suo tavolo è già pronto», disse mentre con il braccio ci indicava di andare a destra. Il locale era piccolo e angusto ma arredato in maniera ricercata, c'era un minuscolo bancone con vetrina nel quale erano esposti numerosissimi dolci e, dietro ad esso, vi era una macchina del caffè e tante mensole con ogni genere di bevanda, dal vino al rum.
Giorgio mi condusse nel locale in maniera disinvolta, come se fosse casa sua, poi attraversammo una porta finestra che affacciava su un terrazzo. Vi era solamente un tavolino quadrato in pietra già apparecchiato e adornato con dei gigli bianchi.
Rimasi senza fiato, era come se fossi sul tetto di Roma. Potevo vedere il profilo del Colosseo illuminato, l'Arco di Costantino che si ergeva in maniera imponente e via dei Fori Imperiali pullulata da persone in movimento.
Tutto era simmetria ed equilibro.
«Allora ti ho stupito?», mi chiese Giorgio spezzando la magia.
«Non posso dire il contrario, questa volta. Porti sempre qui le ragazze al primo appuntamento?», chiesi ancora sotto shock per la vista mozzafiato.
«È un appuntamento?», mi domandò mentre con un semplice gesto mi invitò ad accomodarmi al tavolino.
«Direi di no», risposi abbassando lo sguardo intimidita dal suo modo di fare galante così in antitesi con la serata trascorsa in discoteca. Mi misi seduta cercando di lisciare le grinze della mia felpa blu oversize che faceva a pugni con i leggins neri, se avessi saputo di dover venire qui gli avrei sicuramente chiesto di passare a casa per cambiarmi.
Nel frattempo arrivò la cameriera per l'ordinazione. Presi una tazza di cappuccino con panna e una fetta di cheesecake ai frutti di bosco. Non ero il tipo da aperitivo, preferivo di gran lunga una bevanda calda da sorseggiare accompagnata da un dolce.
«Non riesco proprio ad abituarmi», esclamò Giorgio mentre scrutava l'orizzonte.
«A cosa?».
«Alla bellezza di questo posto. Le persone sono sempre alla ricerca di esperienze nuove, mentre io non mi abituerò mai a questa vista».
«È così», risposi giocherellando con le posate poggiate sul tavolo.
«Forse guardano ma in realtà non vedono», disse voltandosi verso di me, posando i suoi occhi scuri nei miei, «è quello che ho fatto io quella sera in discoteca. Sono davvero dispiaciuto Giusy, non te lo meritavi».
«È acqua passata», risposi con cortesia, nonostante la grande paura provata quella sera.
«Spero mi perdonerai e spero che potremmo ricominciare dall'inizio». Sorrise dolcemente. Quando alzava gli zigomi i suoi occhi diventavano così piccoli da sembrare chiusi e, le sopracciglia folte, li sovrastavano in modo marcato.
Aveva un fascino tutto suo, così distante dall'aggressività con cui mi aveva afferrata in discoteca.
Nel frattempo, la cameriera ci portò ciò che avevamo ordinato, il mio cappuccino fumante e il suo Spritz con ghiaccio e limone.
Giorgio alzò il bicchiere pronto per un brindisi.
«Vuoi che brinda con un cappuccino?».
«Sì, brindiamo al nostro primo incontro», esordì avvicinando con delicatezza il suo bicchiere alla mia tazza.
Iniziai a sorseggiare la mia bevanda in imbarazzo perché la schiuma e la panna mi rimanevano appiccicate alle labbra, nel frattempo continuavo a fissare Giorgio e a cercare di analizzarlo.
«Per poterti chiedere scusa ho parlato con Melissa, mi ha raccontato un po' di te e della tua passione per la ginnastica».
«E...?», gli chiesi curiosa.
«E vorrei sapere di più di te, cosa ti piace? Cosa vorresti fare nella vita? Cose di questo tipo».
«Mi piace il mare», risposi in modo istintivo.
«Il mare?», ripeté lui sbalordito.
«Sì, a te no?».
«A me piace prendere il sole e abbronzarmi, se intendi questo».
«No, mi piace il mare alle sette di sera, quando il sole ti riscalda lievemente senza farti sudare, quando le persone sono andate via e i gabbiani iniziano a passeggiare indisturbati. Mi piace il rumore ripetitivo dell'acqua che si infrange sugli scogli, il sole che scompare inghiottito dalla linea dell'orizzonte e il vento che con dolcezza sposta la sabbia creando delle piccole dune».
«Avrei scommesso sulla ginnastica come prima risposta», disse piegando leggermente la testa da un lato come se mi stesse studiando.
«La ginnastica non è una cosa che mi piace fare, è ciò che sono, è ciò che devo fare per sentirmi viva. Un po' come respirare per le persone normali».
Giorgio mi scrutava in modo interrogativo come se non comprendesse, ma ci ero abituata. Mi capitava quasi sempre di non essere capita anzi, la maggior parte delle volte, venivo schernita. Il diverso fa paura perché le persone non si prendono la briga di ascoltare.
«A te invece cosa piace?», gli domandai.
«Vediamo... dopo la tua risposta ogni cosa che dirò suonerà sicuramente banale», disse scuotendo la testa.
«Dai dimmi», lo esortai.
«L'euritmia».
Lo guardai seria cercando di capire se mi stesse prendendo in giro.
«Mi piace l'ordine, le proporzioni e tutto ciò che è armonia e precisione. Come questo paesaggio, dopotutto. Forse è per questo che ogni giovedì sera dopo l'università vengo qui», continuò lui sorridendo debolmente in modo malinconico.
«Cosa studi?».
«Architettura».
«Lo avevo intuito».
«A te piace l'arte?», mi chiese finendo l'ultimo sorso del suo Spritz.
«Non saprei», risposi pensierosa.
«E questo?», esclamò mentre si sbottonò la polo per farmi vedere un tatuaggio che gli ricopriva gran parte del petto.
«Ah... intendi quel tipo di arte!», esclamai colpita.
«Credo che il concetto di arte sia molto soggettivo, l'arte non è solo un quadro di Van Gogh o un libro di Dostoevskij, per me l'arte è qualunque cosa sia in grado di darti emozione».
Per un momento rimasi colpita dal suo modo di vedere le cose, nascondeva un'interiorità profonda e quasi attraente. Questa era l'ennesima prova che mio padre aveva ragione, che nulla è mai come sembra e che, sotto lo strato superficiale, si nasconde l'essenza delle cose e delle persone.
«Che cosa c'è disegnato?», domandai poiché la polo gli aderiva perfettamente al corpo impedendomi di vedere l'intero tatuaggio.
«È una rosa dei venti intrecciata a una nave. Magari la prossima volta te la faccio vedere meglio», esclamò ma poi si corresse, «detta così sembra una proposta indecente ma se indosso una canottiera si può vedere interamente».
Ridemmo in modo naturale e spontaneo, la paura iniziale che avevo di lui era sparita, sostituita da un'insaziabile voglia di sapere di più.
«Posso chiederti se ha un significato preciso o è solo un tributo all'arte?».
Sorrise facendomi capire di aver colto la frecciatina. «Innanzitutto graficamente rappresenta la provenienza dei venti, i punti cardinali e la Stella Polare, veniva usata dai marinai che si mettevano in mare in acque sconosciute per riuscire a trovare la strada giusta. Per me rappresenta una guida per il futuro e un promemoria a seguire i miei sogni senza perdere di vista la retta via».
«Mi piace», esclamai socchiudendo gli occhi e immaginando come potesse essere quel disegno, quei pensieri mi fecero arrossire.
La complicità che si era creata tra me e Giorgio venne bruscamente interrotta dalla vibrazione del mio cellulare. Sul display comparve il nome di Samuele.
Rifiutai la chiamata. Non avevo voglia di parlare con lui, volevo staccare la spina da tutto.
Alla quinta chiamata di seguito che rifiutai, Giorgio sembrava infastidito «è tua madre oppure il biondo tutto muscoli? Se posso chiedere», mi disse alzando le mani come se si volesse scusare per l'essere stato inopportuno.
«Uno dei due», risposi misteriosa sapendo di aver alimentato la sua curiosità. «Comunque è tardi, devo tornare a casa».
Giorgio annuì e ci alzammo per andare via. Mi accorsi che in mano aveva uno dei gigli bianchi che decoravano il tavolo. «Posso?», mi chiese.
Annuii imbarazzata, Giorgio si avvicinò e incastrò il giglio tra i miei capelli mentre mi colpì un'ondata di profumo fresco. Ma non era quello del fiore bensì quello di lui, mi parve di riconoscere il patchouli e l'ambra e qualcos'altro che gli conferiva un effetto fumé molto seducente.
«Sai qual è il significato del giglio?», mi chiese mentre osservava soddisfatto il fiore che mi teneva ferma la frangetta scoprendomi la fronte.
«No, quale?», domandai.
«Purezza e fierezza. Credo che ti rappresenti molto».
Sorrise e per un brevissimo istante i suoi occhi vennero inghiottiti dalle sopracciglia folte e dagli zigomi sporgenti. Quando succedeva era davvero buffo.
Il ritorno a casa fu piacevole, Giorgio fermava la moto ogni volta che voleva mostrarmi qualcosa o raccontarmi un aneddoto divertente. Sentivo il cellulare vibrarmi nella borsa senza sosta ma lo ignoravo, sapevo esattamente chi mi stava cercando ma non avevo voglia di affrontarlo.
Arrivati sotto casa mia, avevo il cervello impallato, non sapevo cosa fare né tantomeno cosa dire. Non fui sorpresa nel vedere Giorgio nella stessa situazione. Faceva finta di sistemare la moto cercando di pulire la sella da una macchia inesistente.
«Ho passato una bella serata», esordii ad un certo punto.
Giorgio allora alzò la testa guardandomi sbalordito, mentre la luce del lampione gli vivacizzava gli occhi scuri.
Ero pronta a qualsiasi tipo di risposta, ma il suo silenzio, mi fece per un attimo dubitare di tutto e mi sentii piccola come un insetto.
«Anche io», disse poi lui con tanta dolcezza che sembrò davvero onesto e sincero, «so che questo non può cambiare quello che ho fatto in discoteca ma spero che tu abbia capito quanto io sia dispiaciuto. Non sono così, mi hai incontrato in una serataccia e l'alcool ha agito per me».
«Sì, questo l'ho capito, e tutto quello che mi hai detto oggi mi ha colpito molto».
«Perché?», mi domandò di getto.
«È difficile da spiegare, ti immaginavo un tipo più semplice invece sei...».
«Interessante?», mi chiese facendomi una boccaccia.
Risi divertita. «Adesso posso anche aggiungere modesto, alla lista delle tue qualità».
Pensai all'entusiasmo che metteva in ogni singola frase che pronunciava, e mi accorsi che non mi lasciava indifferente.
Poi Giorgio si avvicinò a me. «Mai sentito parlare del velo di Maya di Shopenauer?», mi domandò a una distanza così ravvicinata che potevo scorgere un minuscolo neo posizionato sulla sua palpebra destra.
«No», ammisi.
«Shopenauer diceva che gli esseri umani vivono in un mondo illusorio, come se ci fosse un velo che nasconde la verità delle cose. Noi siamo abituati a percepire il mondo attraverso i cinque sensi ma possiamo dire di conoscerlo veramente? I sensi ci mostrano solo una parte del tutto perché, l'apparenza esteriore, ricopre la verità delle cose».
Rimasi immobile e perplessa, le sue parole avevano il potere di stregarmi e lasciarmi senza poter replicare.
A quel punto Giorgio, lievemente divertito dalla mia reazione, mi stampò un delicato bacio sulla guancia: «alla prossima» disse.
Io lo salutai con la mano mentre scompariva rapidamente a cavallo della sua moto.
Finita la serata con Giorgio, la realtà mi piombò addosso come un temporale estivo.
Mentre stavo girando le chiavi nella toppa del portone di casa, vidi un'ombra riflettersi sul muro. Mi girai e davanti a me comparve Samuele. Aveva indosso gli stessi abiti di oggi pomeriggio, che mi avesse aspettato sotto casa tutto questo tempo?
«Che ci fai qui?», esclamai seccata.
«Chi era quello?», mi chiese con la voce che tremava per la rabbia.
«È un amico», sbottai.
Volevo farlo sentire esattamente nello stesso modo in cui mi sentivo io quando lo vedevo con Sveva.
«Non credo che un amico si comporti così».
«Così come? Sentiamo!», risposi inviperita mentre aprivo il portone di casa per cercare di scappare da questa conversazione. Samuele mi afferrò il braccio e mi fece girare. Le sue mani erano completamente diverse da quelle di Giorgio, erano forti e ruvide, si potevano sentire immediatamente i calli del palmo dovuti alla ginnastica.
Gli stessi che avevo io.
«Ti stava parlando troppo vicino e poi ti ha baciata sulla guancia...».
«Vorresti dire che mi stavi spiando?», dissi indispettita
Vidi una piccolo tremolio nei suoi occhi azzurri. «Avevi detto che di te mi potevo fidare».
Poi mi lasciò il braccio e mi diede le spalle. Vidi la sua testa china scomparire velocemente dietro l'angolo.
Credo che ci siano alcune persone destinate ad essere amate in modo incondizionato.
Credo che l'essere amati sia un miracolo in contrasto con le leggi naturali e invisibile all'occhio umano.
Credo che chi riceva quel miracolo possa vedere realmente l'essenza delle cose, possa squarciare quel velo di cui parlava Giorgio e vivere in pace con tutti.
Quello che so, però, è che i miracoli non esistono.
SPAZIO AUTRICE
La gelosia fa sempre casini. Finché è sana va bene...
Chissà come sarà quella di Samuele ❤️
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