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49 ~Tornare a casa~


Camminare con una fascia elastica stretta al busto e aiutandomi con le stampelle, visto che non riuscivo a raddrizzare completamente la schiena, si rivelò più facile del previsto. Dopo aver raccolto tutte le nostre cose io, mia madre e Sveva, prendemmo un taxi che ci avrebbe portato fino all'aeroporto. Eravamo una strana combriccola, mia madre con il suo intramontabile scialle di seta e il suo rossetto scuro, sembrava aver ritrovato serenità, Sveva con i suoi braccialetti tintinnanti e la sua valigia con le rotelle, entrambi rigorosamente rosa, appariva nostalgica ma felice del rientro e, infine, c'era la ferita di guerra, che voleva imprimere nella memoria gli ultimi ricordi del Brasile, un paese che sarebbe rimasto per sempre nel suo cuore.

In Brasile avevo raggiunto il mio sogno di bambina, per poco tempo ero stata esattamente ciò che volevo essere. Inoltre, avevo ricevuto un grande insegnamento, non era stata la medaglia d'oro a rendermi felice, ma la ginnastica.

Il successo è effimero, vola via come il battito d'ali di una farfalla, mentre la passione è eterna, è quella parte di te racchiusa in un posto sicuro del tuo cuore, a cui puoi sempre rivolgerti quando la vita ti presenta il conto e che ti dà un motivo per non mollare.

In Brasile avevo trovato l'amore, non avevo trovato un ragazzo. Avevo capito che i miei sentimenti, per essere veri, non dovevano necessariamente essere ricambiati e, anche se il pensiero che Samuele mi avesse sempre mentito o che avesse deciso di tirarsi indietro all'ultimo minuto, faceva male, la felicità degli attimi vissuti in piscina o sulla balconata di Rio De Janeiro erano miei e nessuno me li avrebbe potuti togliere.

In Brasile avevo trovato conferma di uno dei tanti insegnamenti di mio padre: nulla è come sembra, soprattutto le persone. La ferita provocata da Lia, però, non mi aveva fatto smettere di credere nell'amicizia, lei era stata una buona amica per tanto tempo e questo glielo avrei sempre riconosciuto, forse col passare dei giorni l'avrei addirittura perdonata ma, di certo, non avrei potuto mai dimenticare; il male è un serpente velenoso che ti colpisce quando meno te lo aspetti.

In Brasile avevo sperimentato un altro tipo di amicizia, non quella fatta di baci e abbracci, ma quella che senza parole era in grado di darti la grinta giusta per non arrenderti, quella che ti spronava a dare sempre il meglio in ogni occasione. Io per Sveva ero stata esattamente questo, mentre lei, con la sua storia, mi aveva insegnato l'umiltà di lasciarsi aiutare dagli altri quando se ne ha bisogno.

Arrivammo all'aeroporto in poco tempo, mia madre mi aiutò a affrontare piccoli ostacoli come le scale mentre, Sveva, trascinava contemporaneamente la mia e la sua valigia.

Dopo aver fatto il check-in e prima di imbarcarci, chiesi a mia madre di portarmi di fronte a un'enorme vetrata da cui si poteva scorgere la pista di atterraggio. Era proprio lì che, il giorno del mio arrivo, avevo capito che il mio sogno si stava realizzando. Mi sarebbe mancato tutto di quest'esperienza, nonostante avessi dentro una grande rabbia per il mio infortunio, riuscivo a focalizzarmi su tutte le cose belle che mi erano capitate, riuscivo a non pensare a quello che sarebbe successo dopo; sapevo che, una volta tornata a casa, la realtà mi sarebbe piombata addosso come una valanga. Non volevo pensarci, non volevo crearmi aspettative, avrei preso quello che mi spettava senza guardarmi indietro.

Sono sempre stata convinta che ognuno di noi ha un destino già scritto, si può scegliere se farsi schiacciare da esso o restare in piedi, dopo la morte improvvisa di papà avevo imparato a sopravvivere, trarre il meglio da ogni esperienza.

Lia aveva fatto male i suoi calcoli se pensava che, in questo modo, mi avrebbe annientata, non aveva tenuto conto del mio cambiamento, da semplice ragazza ingenua a donna agguerrita.

Con molta fatica e aiutata da un assistente di volo, riuscii a salire a bordo dell'aereo, era identico a quello della partenza, sedili comodi e schermo incorporato per poter guardare qualche film. Mia madre e Sveva mi lasciarono il posto vicino al finestrino, così mi sarei potuta godere il Brasile che scompariva piano piano sotto di noi.

Aspettammo che tutti i passeggeri salissero a bordo e, dopo che una bellissima hostess bionda ci mostrò tutte le misure di sicurezza, l'aereo si preparò al decollo. Non appena ci staccammo da terra con un piccolo sussulto, Sveva d'istinto mi afferrò la mano posata sul bracciolo in mezzo a noi e chiuse gli occhi.

«Lo so cosa stai pensando», disse lei trafelata cercando di mantenere la voce ferma.

«Davvero?», finsi di non ricordare la sua scenata con Samuele il giorno della partenza per Rio.

«Ho paura dell'aereo», piagnucolò lei, «l'altra volta il fatto di non volermi mostrare debole davanti a te ha vinto anche sulla mia fobia».

«Addirittura, non credevo di farti quest'effetto».

Sveva mi strinse più forte la mano mordendosi il labbro inferiore e io la lasciai fare divertita.

Non appena l'aereo si stabilizzò, Sveva si calmò e tirò fuori dal suo zainetto un kit per sistemarsi le unghie e mettersi lo smalto, mia madre invece iniziò a sfogliare una rivista di moda ma sembrava sovrappensiero, per questo non mi stupii quando la chiuse di botto e cercò di guardarmi superando la testa di Sveva che si frapponeva a noi.

«Giusy, cosa pensi di fare con Lia?», esordì mia madre dubbiosa.

«Cosa intendi?».

«Appena arriviamo a Roma chiamo l'avvocato e prendiamo un appuntamento».

Lo disse come se fosse il naturale svolgimento delle cose, eppure non mi aveva neanche interpellato a riguardo.

«Non ho intenzione di denunciare Lia, se è questo che mi stai suggerendo».

«Come no?», si intromise Sveva rimettendo il pennello nella boccetta dello smalto e iniziando a soffiare sulle sue unghie.

«Poteva ammazzarti», mi ricordò mia madre con un sibilo, come se non lo sapessi.

«Lo so, ma denunciarla non rimetterà a posto le mie costole né cancellerà ciò che è successo».

«E tu vorresti fargliela passare liscia?», Sveva era accigliata quanto mia madre e pendeva dalle mie labbra.

Se chiudevo gli occhi potevo ancora sentire la voce di Lia che mi diceva: "vedilo come un sigillo alla nostra amicizia", parole che adesso bruciavano ma che non cambiavano le mie idee.

«Ci penserà il karma», tagliai corto preparandomi al linciaggio che ne sarebbe seguito.

«E che diavoleria è mai?», sbottò mia madre.

«Io te l'ho detto che sei troppo buona», Sveva rincarò la dose.

«Se fai del bene riceverai del bene, se fai del male avrai il male. È una regola molto semplice».

La conversazione stava prendendo una piega surreale, due caratteri focosi e ribelli come quelli di mia madre e Sveva non avrebbero mai accettato la mia spiegazione.

Non avrebbero capito che aprire una causa contro Lia non mi avrebbe fatta sentire meglio, non ero il tipo di persona che trae vantaggio nel veder soffrire gli altri.

«Sono tutte stupidaggini», ribadì Sveva che sembrava aver preso molto a cuore questo argomento, «deve pagare per quello che ti ha fatto. Se ti comporti in questo modo le persone ti calpesteranno sempre».

Io le sorrisi, leggermente stupita ma lusingata da questo suo senso di protezione velato d'affetto: «io credo che la consapevolezza di avermi fatto del male sarà la sua punizione più grande».

Sveva fece segno di no con la testa: «sei una causa persa».

«Io mi chiedo da chi tu abbia preso questo carattere», sospirò Valeria al limite dell'incredulità.

«Forse dal tizio che ti ha messa incinta?», azzardai sprezzante, nonostante non avessi intenzione di ferirla ma di chiudere questa conversazione il prima possibile.

Mia madre sgranò gli occhi esterrefatta di fronte alle mie parole, per poi alzarsi di scatto e imboccare la strada per il bagno.

«Quando vuoi sai essere cattiva però», ghignò Sveva prima di applicarsi dei glitter sulle unghie ricoperte da smalto color porpora.

«Lo so», ammisi, «ma era l'unico modo per evitare di dovermi subire il predicozzo».

«Io credo che la sua sia una sorta di dimostrazione di affetto».

«No, tu non la conosci. È l'orgoglio a parlare per lei, quando le viene toccato qualcosa di suo potrebbe scatenare la terza guerra mondiale».

Sveva fece spalluce: «per me è comunque una dimostrazione d'affetto, meglio la terza guerra mondiale che nulla».

Le sue parola sembravano dolci adesso, come se aprirsi con me le avesse fatto dimenticare tutto il nostro trascorso. Decisi di approfittare del momento e del fatto che mia madre non fosse vicina a noi, per trattare un argomento delicato: «hai parlato con Samuele?».

«Sì, sia il giorno della sua partenza che ieri sera. Ma non chiedermi nulla», mi intimò prendendomi la mano e mettendola sul tavolino pieghevole: «ora ti metto un po' di smalto».

La vidi trafficare con il suo zainetto a fantasia fiorata fino a che non estrasse una boccetta arancione.

«Perché proprio quel colore?».

«È il preferito di Samuele», mi rispose con un piccolo sorriso che le increspò le labbra. Mi sembrava come che Sveva mi volesse suggerire di stare tranquilla, che forse c'era una spiegazione a tutto però, allo stesso tempo, provai una punta di gelosia; possibile che io non sapessi il colore preferito della persona che amavo?

Mi accorsi in un lampo che erano tante le cose che non sapevo di lui e così, mentre Sveva mi accarezzava delicatamente le unghie con il pennello dello smalto, la mia mente faceva una lista immaginaria di ciò che non conoscevo di Samuele.

Sapevo che gli piaceva la porchetta e che aveva un chiosco che la vendeva sotto casa, lo avevo visto mangiare il muesli con il cioccolato fondente a colazione e, ogni tanto, mi era capitato di sorprenderlo a sgranocchiare dei crackers tra un allenamento e l'altro, ma quel era il suo cibo preferito?

Mi aveva raccontato che non gli piaceva studiare, che aveva ottenuto la maturità per il rotto della cuffia ma, di sicuro, c'era una materia in cui riusciva meglio delle altre, eppure io non la conoscevo.

Mi era capitato di vedere un paio di volte sua sorella Maria, sapevo che la madre era un avvocato e il padre un ingegnere, e poi? Aveva altri parenti stretti a cui era affezionato? E dove viveva prima di trasferirsi nel monolocale?

Conoscevo la sua passione sconfinata per la ginnastica artistica e quanto questo lo rendesse simile a me, ma come era nata? E chi era il suo modello sportivo?

Mi stava venendo il dubbio che io Samuele lo avessi sempre e solo idealizzato, fin da quando ero piccola e lo osservavo mentre si allenava con il desiderio che un giorno si sarebbe accorto di me.

Sveva finì il suo capolavoro e iniziò a soffiarmi delicatamente sulle mani per far asciugare più in fretta lo smalto poi, con entusiasmo, disse: «sono sicura che Samuele sarà fiero di me quando vi vedrete».

A quel punto mi fece l'occhiolino e io mi sentii sollevata.

Odiavo i viaggi in aereo, soprattutto quelli così lunghi, cambiavo posizione ogni cinque minuti e, ogni volta, Sveva sbuffava perché muovevo il sedile e disturbavo il suo riposo. Mia madre era tornata al suo posto e aveva deliberatamente evitato di voltarsi dalla mia parte, aveva ordinato un tè e ora stava di nuovo leggendo la rivista di moda.

Io avevo già visto un film e avevo sentito la musica dal mio Ipod ma, adesso, dovevo per forza trovare qualcos'altro da fare per non morire di noia. A quel punto frugai nella mia borsa e trovai il libro che mi aveva regalato Giorgio. Lo aprii e iniziai a leggere le poesie che vi erano all'interno, ognuna di esse aveva un piccolo dettaglio che mi ricordava la sua delicatezza e il suo lato romantico e, le note scritte a matita nei pochi spazi bianchi, erano sempre osservazioni intelligenti e profonde, esattamente come lui. Speravo che, una volta tornata in Italia, ci saremmo potuti rivedere, sapevo che lui voleva qualcosa di più dell'amicizia ma, speravo, che avrebbe accettato il mio affetto e che avremmo potuto continuare a sentirci in maniera innocente; in questo momento avevo bisogno di avere persone sincere al mio fianco e che potevano migliorarmi le giornate senza farmi pensare all'infortunio.

Lessi fino a che non udii la voce dello speaker che ci ordinava di metterci le cinture di sicurezza e prepararci all'atterraggio.

Finalmente eravamo arrivate. Quando scesi dall'aereo e respirai l'aria di casa, capii che il mio sogno era finito e che adesso dovevo affrontare la mia nuova condizione.

Tornare a casa non è sempre facile e te ne rendi conto solo quando tocchi terra.




SPAZIO AUTRICE

Tornare a casa non è sempre facile anzi spesso stare distanti ci allontana dai problemi.. ma cosa succederà a Giusy una volta tornata in Italia?


Daphne



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