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42 ~Il rumore del silenzio~


La cosa che più mi piace del volteggio è la sua rapidità, l'esercizio è talmente veloce che quasi non ti rendi conto di cosa stai facendo. Ti posizioni all'inizio della striscia che conduce al cavallo, aspetti che i giudici si mettano d'accordo sul punteggio dell'atleta precedente, metti le mani nel cestello della magnesia se le vuoi più scivolose e poi sciogli i muscoli delle gambe per prepararle allo sforzo.

Apparentemente sembra l'attrezzo più facile ma, in realtà, è il più insidioso, ci sono tanti fattori che vanno considerati, la pedana deve essere alla giusta distanza in funzione dell'altezza della ginnasta, la rincorsa deve essere presa in un punto preciso che ti possa consentire di effettuare il presalto giusto e arrivare con i piedi al centro della pedana.

Un insieme di misure, numeri e calcoli.

Il mio teorema perfetto erano quindici passi a una distanza di trenta centimetri l'uno dall'altro. Speravo solo di riuscirlo ad applicare anche qui, in una palestra che non era la mia casa e con degli attrezzi che non erano miei amici.

C'eravamo solo io e Anna quella mattina ad allenarci, eravamo le uniche italiane a dover di nuovo preparare una finale, io nel volteggio e lei nell'all around.

Ancora non riuscivo a credere di essermi qualificata, non era l'attrezzo che amavo di più anzi, insieme alle parallele, era quello in cui avevo più lacune; eppure eccomi lì, a provare fino allo sfinimento il mio salto Yurchenko con doppio avvitamento e mezzo.

Il mio corpo c'era ma la mente vagava immersa nei ricordi della sera precedente, le parole di Samuele e le sue espressioni erano nitide, come se fosse la scena di un film che avevo visto un milione di volte e di cui conoscevo le battute a memoria.

Avevo acconsentito alla sua richiesta, avevo nuovamente messo da parte me stessa. Di fronte alle parole di Samuele non riuscivo mai a impormi, ero debole, andavo da lui con la convinzione di fare una cosa e poi andava tutto al contrario.

Lui era il vento e io un castello di sabbia, non potevo impedirgli di soffiare e, ogni volta che mi sfiorava, volava via qualche piccolo granello, pezzi di me che si smussavano dinnanzi alla sua forza.

Anna era sulla trave e provava il suo esercizio, non aveva più la grinta di tanti anni fa, quando vinse il mondiale a soli sedici anni, forse per l'infortunio alla spalla e per il dolore che ormai l'accompagnava come se fosse la sua ombra. Tuttavia c'era sempre un qualcosa di magico nei suoi esercizi, c'era eleganza, armonia e passione.

Il body color rame risplendeva sulla sua pelle chiara e faceva pendant con i ricci castani che, alla luce del sole, assumevano sfumature rossastre. Non era una ragazza molto loquace, nel poco tempo passato nella stessa palestra avevamo parlato solo di ginnastica. Mi aveva svelato qualche trucco per realizzare meglio alcuni esercizi, di sicuro era molto leale e altruista cosa che, nel tempo, grazie anche alla sua brillante carriera come ginnasta, le aveva fatto guadagnare enorme rispetto. Durante la gara a squadre infatti, ogni volta che apriva bocca calava il silenzio, tutti pendevano dalle sue labbra. Era quasi un'autorità, Enrico e la nazionale italiana avevano investito molto su di lei e non osavo immaginare come si dovesse sentire ad aver deluso quasi tutti i pronostici.

Da quando avevamo iniziato ad allenarci non si era fermata un attimo, ogni tanto si massaggiava la "spalla guasta" , come era solita definirla, e faceva ricarica di sali minerali che scioglieva nella sua bottiglietta d'acqua.

Veniva chiamata lo Stakanov in body e, anche oggi, onorava quel soprannome.

Io ero quasi stremata, sentivo le forze che, salto dopo salto, mi stavano abbandonando, ogni Yurchenko che realizzavo al volteggio era peggiore del precedente, era un lento declino verso quella che per me sarebbe stata solo una colossale figuraccia; stavo già pensando alle possibili scuse che avrei potuto rifilare alla federazione: malore improvviso? Chiamata urgente dall'Italia che mi costringeva a partire immediatamente? Sveglia che casualmente non suona il giorno della gara?

Mentre la mia testa stava elaborando idee strampalate, Anna si avvicinò a me: «Giusy, fai una pausa! O almeno cambia attrezzo», mi disse mentre indossava i paracalli per provare l'esercizio alle parallele.

«Ma io devo gareggiare solo al volteggio», risposi alzando le spalle, «ancora mi chiedo come sia possibile, avresti dovuto esserci tu al mio posto».

Sul suo volto lessi una piccola smorfia che poi si trasformò in un sorriso malinconico: «no, la ginnastica ha parlato e ha stabilito che sarai tu a lottare per una medaglia».

La ginnastica era il giudice più severo, quello in grado di donarti il premio che bramavi da anni e a cui non era possibile dare un valore ma, allo stesso tempo, quello che senza pietà poteva calpestare tutti i tuoi sogni.

«Sarà! anche se riesco a malapena a completare la rotazione, figuriamoci a fermare il salto senza fare un passo», sospirai amareggiata.

«Se la pensi così hai già perso. Riposati dieci minuti e vedrai che andrà meglio», disse appoggiandomi una mano sulla spalla e sporcando con la polvere di magnesia il mio body nero da allenamento, «c'è anche il tuo ammiratore che può rallegrare la tua pausa».

Puntai lo sguardo sulla mia destra seguendo quello di Anna e aspettandomi di intravedere dei ricci biondi ma, invece, tra i pochi curiosi che avevano deciso di assistere agli allenamenti, notai la testa rasata di Claudio.

«Non è il mio ammiratore», precisai imbarazzata.

«Di certo non è venuto per me», mi liquidò Anna iniziando il suo esercizio alle parallele.

Con fare incerto mi diressi verso gli spalti, quando Claudio si accorse che mi stavo avvicinando, mi rivolse un sorriso radioso leggermente imbruttito da quel piccolo spazio tra gli incisivi. Mi salutò con la mano e poi mi chiese a gesti se poteva scendere, era troppo in alto e, se avesse urlato, avrebbe spezzato quell'armonia silente che di solito regna durante le sedute di allenamento pre-gara.

Quando arrivò mi salutò subito con un bacio sulla guancia che mi prese alla sprovvista.

Indossava una maglietta in lycra verde militare e dei pantaloncini da ciclista aderenti, un abbigliamento curioso per venire a vedere un allenamento di ginnastica.

«Come mai da queste parti?», gli domandai evitando di aggiungere un commento sul suo abbigliamento.

«Passavo per di qua per vedere se ti servisse una mano».

«Una mano per cosa?», domandai sbalordita.

«Qualunque cosa», asserì gonfiando il petto, «sono bravo a salvare le ragazze in difficoltà».

Mi fece l'occhiolino mentre io sentivo il viso avvampare, indecisa se per la battuta imbarazzante di lui o per il non avere idea di cosa rispondere.

Emisi solo un verso simile a un mugugno e poi abbassai lo sguardo, i miei occhi si fermarono sui polpacci di Claudio che erano completamente rossi, come se fossero irritati.

Lui se ne accorse e lo sentii fare una piccola risata: «gli effetti della depilazione», esclamò alzandosi anche le maniche della maglietta per mostrarmi gli avambracci altrettanto massacrati dalla ceretta.

«Ti farà male», constatai passando le dita su quelle piccole abrasioni, «hai una pelle molto delicata».

«È il prezzo da pagare per essere qui», ammise risistemandosi la maglietta, «i peli fanno attrito e mi rallentano quando nuoto».

«Ah! Non lo sapevo!».

«Quanto ti manca qui?», mi chiese mentre fissava Anna che aveva terminato anche la sessione a parallele e ora era vicina a noi intenta a prendere qualcosa dalla borsa.

«In realtà...», iniziai a dire osservando il volteggio che mi stava aspettando da un po', visto che l'arrivo di Claudio non era stato previsto.

«Andiamo a mangiare un boccone? È quasi mezzogiorno e io sono stanco per l'allenamento sulla spiaggia».

Avevo capito bene?

La sua proposta mi colse alla sprovvista, avevo già i miei guai e, uscire con Claudio, non era di sicuro la soluzione migliore, anche perché Lia non me lo avrebbe perdonato.

«Ho già detto ad Anna che avrei pranzato con lei», risposi con poca disinvoltura.

«Ah no vai pure Giusy, non preoccuparti per me!», esclamò prontamente Anna mentre ci mostrava il CD per farci capire che avrebbe iniziato a provare l'esercizio a corpo libero.

Io le scoccai un'occhiata omicida e lei alzò le spalle prima di andarsene.

«Perfetto allora», disse Claudio fiducioso senza staccare gli occhi da me.

Non volevo andare per nessuna ragione al mondo ma non volevo neanche ferirlo, aveva rischiato la vita per me quella sera sulla spiaggia e questo era il minimo che potessi fare per ringraziarlo di tutto.

Poi all'improvviso sentii la porta antipanico aprirsi e richiudersi subito dopo con un colpo sordo, mia madre apparve dal nulla stretta in un vestito leggero e avvolta dal suo inseparabile scialle bianco.

Fu la prima volta che fui contenta nel vederla arrivare.

«Claudio», proferii a quel punto, «mia madre è venuta a controllare il mio esercizio per domani, non posso proprio», mi scusai imbarazzata.

«Va bene, capisco», mi rispose intristito, «comunque domani ci sarò come ti avevo promesso! All'ultimo sono riuscito a trovare un biglietto, qualcuno ha rinunciato».

«E chi?».

Lui si grattò la testa rasata in imbarazzo: «mi è stato detto di non dirtelo, in effetti».

«E per quale motivo?», chiesi sospettosa stringendo gli occhi e aggrottando le sopracciglia.

«Non posso proprio», rispose alzando le mani prima indietreggiare lentamente e lasciare la palestra.

Non feci in tempo a riflettere sulle sue parole che mia madre si avvicinò con passo di marcia: «perché non stai provando il volteggio?».

Senza risponderle tornai a eseguire il mio salto Yurchenko sotto l'occhio vigile di Valeria che, per una volta, stavo ringraziando tacitamente per avermi salvata da una situazione imbarazzante.

Finalmente dopo un'altra ora densa di esercizi, urla insopportabili di mia madre e consigli preziosi di Anna, potei concedermi del meritato riposo. Indossai la felpa azzurra della nazionale e uscii portandomi solo il cellulare, volevo andarmi a riposare sulla spiaggia per un po' visto che era a pochi passi dalla palestra.

Il mare mi aveva sempre messo tranquillità, avevo poco tempo per andarci visti i miei tanti impegni ma, tutte le volte che mi capitava, amavo sedermi sulla sabbia, gambe piegate e mento poggiato sulle ginocchia, lo sguardo concentrato sul movimento ripetitivo dell'acqua e sulle onde che si formavano incessanti.

Il mio pensiero non poté che andare a Samuele, mi chiedevo cosa stesse facendo, non so per quale motivo ma avevo la sensazione che fosse in compagnia di Alice, mi ero imposta di non pensare a loro due insieme ma l'impresa si era dimostrata più ardua del previsto. Li immaginavo ancora adolescenti, Samuele con i suoi capelli rasati di lato e lei, forse, con qualche brufolino sulla fronte, camminavano mano nella mano, lui con i jeans con il cavallo basso, che prima andavano di moda, e Alice con una di quelle lunghe collane di perle indossate facendo un doppio giro intorno al collo. Erano spensierati, si scambiavano occhiate fugaci e maliziose, poi iniziai a immaginarmeli che si abbracciavano, si baciavano... poi pensai a un letto e il mio stomaco non poté che contrarsi in maniera dolorosa.

Mi misi le mani sulla fronte dandomi dei piccoli colpetti per cercare di togliermi quell'immagine dalla testa, fu tutto vano, Samuele e Alice che si baciavano erano un pensiero fisso da ieri notte. Di una cosa però ero sicura, se avessi scoperto che si erano baciati ora a distanza di anni, avrei messo una pietra sopra a tutta questa storia.

Per distrarmi iniziai a scorrere sul cellulare le varie chat di Whatsapp, poi mi fermai di botto su di una, riconobbi all'istante la foto della moto Enduro di Giorgio.

Sapevo di averlo trattato malissimo ma, in un certo senso, mi aspettavo che mi scrivesse qualcosa per la vittoria nel corpo libero, sapeva quanto ci tenevo.

Ripensai alla poesia che mi aveva detto di guardare nel suo libro e al fatto che, nonostante tutto, lui ogni tanto mi pensava. Ora conoscevo bene la sensazione di rifiuto che, anche lui, aveva dovuto subire, così aprii la sua chat e scelsi dalla galleria l'immagine del Teatro Municipal che avevo scattato durante il viaggio romantico in tram.

Non scrissi nulla in quel messaggio se non la parola: euritmia.

Speravo lo prendesse come una piccola scusa per il mio comportamento.

Giorgio visualizzò subito il messaggio, me lo confermò la doppia spunta blu ma, quella chat, mi suggerì anche che, con molta probabilità, non avrebbe risposto infatti, sotto il suo nome dopo la scritta "online" comparve: ultimo accesso alle 13.32.

Rimasi su quella spiaggia per altri dieci minuti buoni, con l'attenzione focalizzata sulle sfumature del colore del mare, che cambiavano a seconda della luce del sole, e contando le piccole imbarcazioni che scorgevo all'orizzonte, in questo modo riuscii a scacciare i pensieri tristi.

A un certo punto una voce sottile mi fece sobbalzare: «finalmente ti ho trovata!», disse Lia buttandosi a terra per sedersi accanto a me, noncurante del fatto che avesse alzato una nuvola di sabbia e si fosse depositata su tutti i suoi leggins a righe.

Io le sorrisi debolmente: «mi stavi cercando?».

«Tutti ti stanno cercando in palestra».

Guardai d'istinto il cellulare: «potevate chiamare».

«Be' forse ti stavo cercando solo io», esclamò sbrigativa, «ho addirittura chiesto a Sveva che fine avessi fatto».

«Che ci faceva lei in palestra?».

«Lei è sempre presente quando c'è qualcosa di importante, ti pare che si sarebbe persa l'ultimo vostro allenamento?».

Sbuffai infastidita, non mi ero neanche accorta della sua presenza, il che dimostrava che mi ero concentrata parecchio senza accorgermene.

Lia si sistemò nella mia stessa posizione, gambe piegate e mento poggiato sulle ginocchia, i capelli sciolti che le scivolavano in avanti a coprirle quasi interamente il viso. Poi si girò per osservarmi meglio, si tolse un ciuffo ribelle dagli occhi e se lo accomodò dietro le orecchie.

«Labbra strette e rughe sulla fronte», disse lei con un tono basso mal celando la sua preoccupazione, «vogliamo parlare di Samuele?».

«No», proruppi.

Lia si accigliò stupita, forse non si aspettava una mia risposta così perentoria.

«Vogliamo parlare di Claudio?», la stuzzicai.

«No», sbottò lei.

«Bene».

«Bene!», replicò imitando il mio tono categorico.

In realtà avrei voluto dirle di Claudio e della sua visita inaspettata in palestra, mi aveva insospettito e pensai che le cose tra lui e Lia non fossero andate come lei voleva. Avrei voluto consolarla nel caso fosse successo qualcosa, era esattamente quello che avrebbe fatto una buona amica.

Eppure rimanemmo lì, ferme sulla sabbia in un silenzio vuoto, ma che in realtà aveva un linguaggio tutto suo.

Diceva: io sarò qui anche quando non hai voglia di parlare, anche quando vorresti scappare lontano e fuggire dai problemi, anche quando il tuo cuore è in balia della corrente del mare perché, se me lo permetti, io posso essere il faro che guida i tuoi passi.

L'amicizia è anche questo, saper ascoltare il rumore del silenzio.

Prima di andare a letto preparai tutto ciò che mi sarebbe servito l'indomani per la finale al volteggio. Svuotai il borsone e misi il body di allenamento in un po' di acqua calda per poterlo lavare senza rovinarlo, tolsi i panni sporchi per metterli da parte e mandarli in lavanderia ma, sfilando la felpa della nazionale, mi accorsi di un piccolo biglietto accartocciato e infilato in una tasca.

Conoscevo bene quel tipo di carta e il suo colore rosa, lo aprii con decisione esausta per questo stupido gioco, il biglietto diceva: "lo hai voluto tu".

A quel punto mi balenò in testa un'idea, cominciai a frugare nella borsa tra le mie cose e, come pensavo, il body che mi aveva regalato Samuele non c'era più.





SPAZIO AUTRICE:

Chi sarà mai l'autore del biglietto?
Vi lascio ancora un po' con questo dubbio :)

La gif in alto serve per darvi un'idea dell'esercizio che Giusy dovrà eseguire. Sembra impossibile vero? Ma le ginnaste sono delle supereroine!

Daphne ❤

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