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38 ~Sorpresa~✔

Davanti a me c'erano tutte le persone che stavano rendendo l'esperienza in Brasile unica e irripetibile; c'era Lia, con un abito nero a maniche corte che le faceva risaltare i capelli biondissimi tenuti indietro con un cerchietto color oro, c'era Enrico che non avevo mai visto se non con abiti sportivi ma che, la giacca grigia corredata da una cravatta rossa, lo facevano sembrare di dieci anni più giovane e, infine, c'erano tutti i ginnasti italiani che avevano partecipato alle Olimpiadi.

Ero talmente sorpresa che non riuscii a fare altro che mettermi le mani sulla bocca per lo stupore poi, nascosta tra la folla, la prima persona che venne verso di me fu mia madre.

Oggi era bellissima, come non lo era più stata dalla morte di papà, il suo trucco era perfetto, le labbra evidenziate dal rossetto le risaltavano sulla pelle abbronzata e, gli occhi, erano valorizzati grazie al mascara. Inoltre, il vestito alla greca le scivolava addosso addolcendo le sue forme ossute.

Allargò le braccia senza parlare e lasciò che io l'abbracciassi.

Era talmente magra che, stringendola, avevo quasi paura di farle male, lei mi accarezzò i capelli per potermi parlare all'orecchio senza farsi sentire da nessuno: «ti rendi conto che ce l'hai fatta Giusy?».

«In realtà mi sembra ancora di sognare», risposi con il mento poggiato sulla sua spalla.

«Credici e sii fiera di te, perché io lo sono. Sei stata incredibile».

Ogni tanto anche i duri riescono a sciogliersi, è un attimo, ti concedono uno spiraglio del loro cuore e tu, per un brevissimo istante, vieni accecato da una luce che non avevi mai visto.

È fugace, evanescente.

Però ti fa capire che, nel profondo dell'abisso, può nascondersi un tesoro.

Bisogna soltanto avere la pazienza di cercare.

Il locale in cui mi portarono era caotico e frenetico, c'era un palco rialzato sul quale un gruppo del posto suonava delle canzoni tipicamente brasiliane con tanto di Pandeiro e Maracas, la luce era soffusa e la pista era gremita di persone con vestiti casual coloratissimi che ballavano in modo sinuoso e incalzante allo stesso tempo.

Capimmo subito di aver sbagliato abbigliamento e, infatti, ricevemmo moltissime occhiate di scherno.

Lia mi condusse all'estremità del locale dove vi era un tavolo rettangolare a noi riservato, vi erano già tre persone sedute, riconobbi subito Claudio e i genitori di Lia.

Erica, non appena mi vide, si alzò per venirmi incontro: «Giusy, congratulazioni», esclamò lei prima di darmi due baci sulle guance, «purtroppo io e Massimiliano non eravamo presenti alla gara perché abbiamo approfittato del viaggio per girare un po' il Brasile, ma abbiamo già visto tutti i video che i ragazzi ti hanno fatto».

«Avete fatto bene», risposi con gentilezza prima di salutare anche Massimiliano che era lì vicino.

«Ma saremo presenti il giorno della finale del volteggio», esclamò il papà di Lia con entusiasmo.

Adoravo la loro dolcezza, mi avevano sempre trattata come una seconda figlia, erano una di quelle coppie giovanili che fanno tutto insieme, non si vergognavano nel mostrare delle affettuosità, li avevo visti parecchie volte scambiarsi dei piccoli baci e delle parole amorevoli.

«Io c'ero invece!», si intromise Claudio ridendo prima di abbracciarmi, «sei stata grandissima».

Quando mi lasciò andare mi accorsi subito che Lia aveva incrociato le braccia al petto e i suoi occhi erano diventati due fessure, quando si trattava del ragazzo che le piaceva diventava una iena. Io le sorrisi e le feci una linguaccia senza farmi vedere da Claudio che poi, per la felicità di Lia, la invitò a ballare .

Io mi misi seduta al tavolo poiché non ero solita portare le scarpe eleganti e, sebbene quelle che indossavo fossero alte non più di cinque centimetri, per me rappresentavano una tortura. Samuele era andato a prendere da bere, non sapevo esattamente cosa servissero in un posto del genere, per cui gli avevo lasciato carta bianca.

Mia madre era seduta a due sedie da me, vicina a Enrico, parlava animatamente con i genitori di Lia, sembravano due coppie di vecchi compagni di scuola che non si vedevano da una vita e che dovevano recuperare gli anni persi raccontandosi di tutto. Quel pensiero mi fece accorgere che, in fondo, io mia madre non la conoscevo per niente, non mi aveva mai raccontato qualcosa della sua vita che non fosse legato alla ginnastica, non sapevo quasi nulla dei miei nonni, morti in un incidente stradale quando io ancora non ero nata e, soprattutto, non sapevo nulla dell'uomo che mi aveva messo al mondo; in realtà neanche io avevo mai fatto domande su quell'argomento, mi era sufficiente sapere che aveva scelto di non crescermi. Questo mi bastava per annientare sul nascere una curiosità che avrebbe portato solo altro dolore.

Samuele arrivò da me dopo aver fatto un'infinita fila al bancone del pub: «ce l'ho fatta!», esclamò trionfante posando davanti a me un frutto dal quale usciva una cannuccia fluorescente e tenendo per sé un bicchiere con una bevanda gialla e del ghiaccio.

«Cos'è?», gli domandai.

«Aqua de coco», rispose cercando di imitare la pronuncia brasiliana.

Quel frutto verde non assomigliava per niente al cocco come lo troviamo in Italia ma, Samuele, mi spiegò che qui in Brasile usano bere il latte direttamente dal frutto non ancora maturo.

«Tu invece cosa hai preso?», gli chiesi scrutando il suo drink che sembrava birra.

«Guaranà. Vuoi assaggiare?», esclamò avvicinandomi il bicchiere, «è analcolico», aggiunse con un piccolo ghigno divertito.

Colsi immediatamente la frecciatina: «e con questo cosa vorresti insinuare?», gli chiesi facendo la finta offesa.

«Che domani c'è la finale agli anelli e non posso prendermi una sbronza».

«Io invece sì! Penso proprio che dopo il cocco andrò a ordinare un superalcolico», lo provocai con una risata maliziosa.

«E io credo proprio che te lo impedirò».

«E come?».

«Ho i miei metodi», affermò lui con un sorriso per poi cambiare argomento, «non ti sei accorta che manca qualcuno?».

Mi guardai intorno e poi d'improvviso mi venne un'illuminazione: «Sveva», dissi.

«Non ti è mancata per niente?».

«No, se fosse venuta sarebbe stata un'ipocrita! Mi odia».

«Non ti odia, Giusy».

«Oh sì! Ma sono cose da ragazze, non puoi capire», risposi liquidandolo con un gesto della mano.

«In realtà ti ricordo che lei ha perso tutto oggi».

Lo fissai con aria interrogativa e lui continuò a parlare: «anche se lei non mostra del tutto le sue emozioni non vuol dire che non le provi».

«Io credo che scelga quali far trasparire», ammisi poco dopo aver finito anche l'ultima goccia di latte di cocco, «perché l'odio nei miei confronti non lo ha mai nascosto».

«Io non credo sia odio», rispose lui con tranquillità.

«E cosa, invidia?».

«Neanche! Ma questo non toglie che oggi, mentre tu coronavi il tuo sogno, lei perdeva tutto».

«Be' sì, hai ragione», sbottai con un tono di voce amaro, parlare con lui di Sveva mi procurava sempre un certo fastidio, mi sembrava che la difendesse a spada tratta in ogni occasione, anche davanti all'evidenza. Lei mi odiava ed era invidiosa, e su questo non si poteva discutere.

I "metodi" di cui parlava Samuele, li scoprii poco dopo, non appena finimmo le nostre bevande mi invitò a ballare o, più precisamente, a fare dei movimenti a caso imitando i brasiliani che erano già in pista.

Lia e Claudio non si erano fermati un minuto, lui si muoveva con una scioltezza da fare invidia, probabilmente era un appassionato di balli latini e, con il suo talento, riusciva a condurre anche la mia amica tanto da sembrare una coppia di ballerini collaudata.

Il mio ballo con Samuele fu la conclusione perfetta per una giornata che avrò per sempre incisa sul cuore. Lui teneva le sue mani sui miei fianchi, io le avevo poggiate sulle sue spalle, ballavamo stretti in un abbraccio che speravo ci unisse ora, domani e nel futuro.

I suoi occhi pellegrini finalmente si erano fermati nei miei, li avevo tanto cercati e amati, ma non avevo mai potuto dargli un nome. Ora mi era concesso perché, tra quelle venature azzurre, riconoscevo l'emozione che stavo tanto cercando, l'amore.

***

Amavo le tifoserie, amavo il calore che emanavano e la forza che riuscivano a infonderti ma, più che altro, amavo guardarle mentre ero all'interno dal palazzetto con il body indossato, essere parte di quella confusione sugli spalti, era tutta un'altra storia.

Mi dovetti far spazio tra persone con la maglietta azzurra e il viso dipinto con il Tricolore, tra bandiere svolazzanti e trombette pronte a trapanarti i timpani.

Mia madre e Enrico erano già seduti ai posti riservati al team della ginnastica italiana.

Oggi era un giorno speciale, eravamo tutti lì con un unico obiettivo: fare il tifo per l'unico italiano ad aver conquistato una finale, Samuele.

Lo avevo visto poco prima di entrare negli spogliatoi, non era particolarmente agitato anzi, nei suoi occhi avevo colto una grande determinazione e sicurezza. Lui aveva sempre avuto il pregio di riuscire a scacciare qualunque preoccupazione pochi minuti prima della gara, poteva essere ansioso e agitato il giorno prima, durante la notte e anche la mattina stessa ma, quando entrava all'interno del palazzetto, indossava un maschera ermetica e si trasformava in un professionista, come se la ginnastica si trasformasse nel suo lavoro.

Volevo con tutto il cuore che anche lui, come me, riuscisse a raggiungere il suo obiettivo, non lo aveva mai chiamato sogno ma, di sicuro, per lui era qualcosa di ancora più potente. Era un riscatto, il premio per aver rinunciato a tutto pur di essere lì, aver rinunciato a una vita agiata con una famiglia facoltosa ed essersi trasferito in un minuscolo monolocale, aver accettato il tradimento di una sorella maggiore che aveva sempre ammirato e che era il suo modello.

Gli atleti si stavano scaldando agli anelli, il cinese, il greco e il russo erano sicuramente i diretti avversari di Samuele, avevano dei muscoli esplosivi da far quasi impressione.

Nel frattempo mi raggiunsero tutti gli altri, Lia si posizionò vicino a me con una lattina di Coca Cola in mano, non staccava gli occhi dallo schermo del cellulare, che stesse parlando con Claudio? Non avevo ancora avuto modo di chiederle i dettagli della serata al pub brasiliano ma sapevo che oggi, lui, aveva un allenamento per la sua gara che si sarebbe svolta nel fine settimana.

Per ultima arrivò Sveva, capelli legati in una treccia malfatta ed enormi occhiali da sole a specchio che le nascondevano il viso. Si mise nell'ultimo posto libero senza rivolgere parola con nessuno, il che mi fece insospettire, visto che lei parlava con tutti di qualunque frivolezza le venisse in mente.

La gara stava per iniziare, i nostri posti erano i migliori e si poteva avere una visione completa di ciò che succedeva in sul campo da gara.

Poco dopo proprio lì, vicina alla ringhiera, scorsi una ragazza dai lunghi capelli ricci, faceva avanti e indietro e teneva stretto il biglietto della gara. Era l'unica ancora in piedi e sembrava stesse cercando il posto a lei assegnato. Non appena volse lo sguardo verso l'alto e iniziò ad avvicinarsi nella nostra direzione, riconobbi un particolare che la rendeva unica tra tante, una voglia al cappuccino sulla guancia destra.

Fu strano, ero sicura di conoscerla ma non ricordavo chi fosse.

Quando anche Sveva si accorse di lei si tolse d'istinto gli occhiali: «non posso crederci... è veramente lei?», esclamò sbigottita.

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