Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

22 ~Per un pugno di centesimi~ ✔


Fare il riscaldamento con tutti gli occhi puntati addosso non fu facile, i nostri compagni di allenamento erano seduti ai bordi della pedana del corpo libero. Io e Lia decidemmo di non scaldarci insieme, dovevamo concentrarci e evitare che l'amicizia che ci legava ostacolasse la nostra prestazione.

Con la coda dell'occhio vedevo Enrico insieme a Samantha, giravano per la palestra come se stessero facendo un tour, lei toccava gli attrezzi come se li stesse valutando e volesse analizzare ogni minimo particolare. Mia madre mi aveva parlato vagamente di lei, come, vagamente, raccontava il suo passato; ma una cosa l'avevo capita: tra loro due non correva buon sangue.

Tra una spaccata e l'altra guardavo Samuele, indossava la tuta blu della nazionale e aveva i ricci biondi tenuti fermi con un po' di gel, ogni volta che si accorgeva del mio sguardo mi sorrideva e annuiva, era il suo modo per dire "puoi farcela". Subito dopo, pero, i miei occhi incontravano quelli grandi e verdi di Sveva, e la sua espressione era un ghigno perverso che poteva permettersi solo una persona che, in quel preciso momento, si trovava in una situazione migliore della mia visto che aveva già la qualificazione in tasca.

«Ragazze! Siamo pronti per vedervi all'opera», disse Enrico ad alta voce in modo che, tutta la platea di ginnasti, potesse sentirlo «Samantha, in qualità di ex ginnasta della nazionale italiana, è la persona adatta per questa sfida. Se vuoi dire qualcosa siamo tutt'orecchi», esclamò rivolgendosi alla donna.

«Credo ci sia poco altro da dire, voglio solo fare un in bocca al lupo alle due atlete, che vinca la migliore! Spero non ci sia nessun tedio dopo la mia decisione», rispose lei arcigna.

«Assolutamente no, posso garantire. Sono delle ginnaste serie ed educate».

Questa difesa in nostro favore fu ancora un modo per scusarsi, tutti sapevo che sarebbe dovuto essere lui il giudice oggi.

La sorte volle che sarebbe stata Lia a iniziare, preferivo di gran lunga essere io la prima, l'attesa mi faceva salire l'ansia da gara. Era da sempre un mio difetto.

Samantha si posizionò su una sedia davanti la trave, in modo da poter osservare ogni dettaglio dei nostri esercizi, su un piccolo tavolino erano poggiati dei fogli nei quali avrebbe potuto prendere appunti.

Lia continuava a molleggiare le gambe per tenere i muscoli caldi poi, appena Samantha le diede il via, mi guardò e mi sorrise dolcemente.

Io e Lia conoscevamo bene i nostri limiti e sapevamo che, la trave, era il mio cavallo di battaglia e, le parallele, erano il suo. Quando salì sull'attrezzo era agitata, lo notai da alcune goccioline di sudore che le scendevano dalla fronte, il suo esercizio, infatti, ne risentì. Fece uno sbilanciamento grave ma senza caduta nel flic smezzato e sporcò l'uscita con un passo indietro.

Samantha la ringraziò con un sorriso e poi mi fece cenno di avvicinarmi.

Com'era consuetudine salutai la giudice con le braccia alzate e poi mi accostai alla trave. Quando ero prossima a iniziare un esercizio tutto ciò che c'era attorno svaniva, c'eravamo solo io e l'attrezzo. Presi un respiro lunghissimo, appoggiai le mani sulla superficie fredda della trave e salii con una verticale di forza, feci la prima serie di salti artistici senza nessun problema poi, prima di realizzare il salto costale, mi fermai un secondo, era lo scoglio del mio esercizio nonostante non fosse il salto più complicato. Alzai le braccia, distesi la gamba destra in avanti e poi partii per la rotazione senza mani, l'arrivo quasi perfetto mi fece fare un piccolo sorriso che sciolse parte dell'angoscia. L'uscita con un salto con doppio avvitamento, eseguito senza esitazione, mi fece sentire soddisfatta.

Un applauso leggero, proveniente dal piccolo pubblico di curiosi, ci accompagnò al cambio di attrezzo. Le parallele, come previsto, mostrarono tutta la bravura di Lia, si lanciava da uno staggio all'altro con grazia e facilità, le gambe sempre tese, le punte dei piedi tirate e le gran volte precise senza mai spanciare. Io cercai di sciogliere l'agitazione andando al cestello della magnesia, dopo aver indossato i paracalli li cosparsi di quella polverina bianca, rimasi lì più del dovuto per cercare la concentrazione.

Feci l'entrata in kippe, subito dopo un salto Stalder a gambe divaricate e un Endo in presa cubitale, purtroppo sentivo di non riuscire a mantenere la verticale in ogni passaggio. L'esercizio finì comunque secondo i miei standard.

A quel punto toccò al corpo libero, Lia andò a inserire il suo CD nello stereo e io mi appostai su un lato della pedana, vicino agli altri atleti. Un'energica musica al ritmo di samba riempì l'aria, Lia era stata molto criticata per questa scelta, mia madre e Enrico l'avevano ritenuta ruffiana visto che, la competizione, si sarebbe svolta in Brasile ma, a mio giudizio, le calzava a pennello. I suoi salti furono più potenti del solito, probabilmente aveva seguito i suggerimenti di Enrico e, in questo periodo, si era dedicata con intensità al potenziamento.

Mentre ero concentrata sull'esecuzione di Lia, sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla, mi girai e Samuele era lì dietro di me.

«Come ti senti?», bisbigliò massaggiandomi il collo.

«Tesa come una corda di violino».

«Non devi, ce la puoi fare a occhi chiusi».

«Lo spero», dissi con gli occhi sempre concentrati su Lia.

«Ricordati di sfruttare l'altezza con la rondata e di ruotare il corpo velocemente, lo Tsukahara sarà perfetto», rispose dandomi un piccolissimo bacio sulla guancia.

«Grazie».

«Mostragli che sei nata per fare questo».

Ora potevo farcela, ne ero sicura.

Non appena Lia lasciò la pedana, guadagnai il centro della pista. Un braccio alzato, una mano sul fianco e un sorriso smagliante. La musica dei Queen partì e, i miei movimenti, vennero accompagnati da un leggero vocio, tutti si aspettavano il ritmo incalzante di Mambo n°5. A nessuno avevo raccontato del mio cambiamento.

Ero radiosa, mi sentivo libera e speravo che papà stesse ascoltando la sua canzone. Realizzai ogni passo con naturalezza, non sembrava che avessi provato quell'esercizio per pochissimi giorni.

Ero pronta a tutto, perfettamente padrona del mio corpo che, finalmente, era tornato a essere lo strumento della mia felicità, la valvola di sfogo dei miei problemi e il traghettatore verso il mio obiettivo finale.

Arrivai all'ultima diagonale e riuscii a riprendere fiato e concentrazione poi, al culmine della musica elettrizzante dei Queen, partii per realizzare lo Tsukahara con doppio avvitamento. Spinsi con le gambe più che potei, mi avvitai con una rapidità nuova e potente e atterrai senza sbilanciarmi. La musica si spense e gli applausi si accesero.

Non feci in tempo a godermi il successo perché restava ancora il volteggio ed ero preoccupata, nessuna delle due eccelleva in quell'attrezzo.

Mentre Enrico sistemava la pedana per permetterci di iniziare, Lia mi si avvicinò: «e quell'esercizio da dove salta fuori?», domandò infastidita.

«È una settimana che lo provo, quello vecchio non lo sentivo più mio».

«Come al solito non riesci mai a mantenere la nostra promessa», replicò prima di girarsi e posizionarsi all'inizio della striscia in gomma.

«Ma Lia...», il resto della frase mi morì in bocca, mi ero accorta solamente ora di averla esclusa dalla mia vita nell'ultimo periodo.

Lia realizzò un salto Yourchenko con doppio avvitamento e mezzo, lo stesso che, anche io, avrei eseguito di lì a poco. Il nostro piccolo battibecco sembrava averla galvanizzata, fermò l'arrivo in modo preciso.

Vacillai al pensiero che il mio sogno potesse sfumare, ma conoscevo le mie potenzialità, giusto? Perché allora mi sentivo così disarmata?

Il confronto con gli altri mi aveva sempre messo in soggezione.

Non mi restava che permettere al destino di fare il suo corso, mi posizionai al limitare della striscia per la rincorsa e iniziai a muovere i piedi più in fretta possibile, con grinta arrivai sulla pedana spingendomi verso l'alto, mi avvitai su me stessa due volte e mezzo ma, purtroppo, al momento dell'arrivo la mia caviglia destra fece un piccolo spostamento involontario facendomi perdere l'equilibrio.

Fui costretta a spostare il piede sinistro in maniera evidente.

Non avevo bloccato l'arrivo ma non solo, ero uscita dalle linee rosse, il che implicava una penalità più sostanziosa.

Samantha ci ringraziò e si ritirò nell'ufficio di Enrico per riflettere, aveva nelle mani il nostro futuro. Erano momenti di pura tensione, nessun atleta aveva osato spostarsi o lasciare il proprio posto, io non riuscivo a tenere ferme le mani mentre, Lia, era curvata sulla trave e cercava di calmare il respiro. Non mi guardò in nessuna occasione, aveva lo sguardo perso puntato allo specchio, avrei voluto andare da lei ma qualcosa mi bloccava, dovevo sapere com'era andata prima di fare qualunque altra cosa.

Mi accorsi che era arrivato il momento della verità quando sentii sbattere una porta e Samantha apparve accompagnata da un brusio. In quell'istante spostai lo sguardo verso l'alto chiedendo a mio padre di essere con me in questo momento cruciale.

Io e Lia raggiungemmo Samantha al centro della pedana, scorsi la sagoma di mia madre in piedi vicino l'ingresso della sala, come se non volesse essere vista.

«È stata una decisione molto difficile ragazze, devo confessarvelo, il distacco è stato di pochi centesimi», iniziò Samantha con un tono di voce mellifluo non adatto all'importanza di ciò che ci stava per rivelare, «ho fatto i calcoli più volte, i vostri esercizi sono tutti degni di essere presentati a Rio De Janeiro ma, sfortunatamente, il posto è uno solo».

Fece una pausa prolungata, sorrise in maniera sdolcinata come farebbe un'adolescente di fronte alla sua prima cotta e poi continuò: «alla fine ho deciso di premiare il coefficiente di difficoltà e, quindi, il coraggio di Giusy Alicante».

L'emozione mi sconvolse.

Andavo a Rio, partecipavo alle Olimpiadi, ero una della squadra.

A quel punto, senza quasi accorgermene, fui sommersa da grida, pacche sulle spalle e abbracci, erano tutti intorno a me.

Quando la festa finì mi resi conto di quello che era appena successo, cercai con lo sguardo Lia ma sembrava essersene andata, immaginavo come si potesse sentire e mi si strinse il cuore. Feci per uscire dalla sala e imboccare gli spogliatoi, quando venni fermata da Samuele accompagnato da Sveva che ultimamente sembrava la sua ombra.

«Te l'avevo detto!», gridò Samuele al settimo cielo, «Rio ci aspetta piccola!».

Sveva scosse la testa: «complimenti Giusy, sei stata fortunata».

«Fortunata?», domandai colta alla sprovvista.

Si guardò per un attimo attorno meditativa: «se Lia non si fosse sbilanciata sulla trave il posto era suo», rispose acida.

«Se io non fossi uscita dalla pedana del volteggio...».

«Ma lei non aveva mai sbagliato in prova, è questa la differenza», replicò prontamente.

Sentivo la rabbia crescere dentro di me e, la compassione che avevo provato quando Samuele mi aveva raccontato del suo passato difficile, stava svanendo.

«Smettila, non ti sopporto!», gridai con la voglia di metterle le mani addosso.

«Per di più hai indosso un body ridicolo. Con quella farfalla sulla schiena sembri una dodicenne», sghignazzò lei voltandosi verso Samuele per cercare il suo appoggio ma, sul volto di lui, si dipinse un'aria offesa: «smettila stai esagerando», le rispose d'istinto.

«Dico solo le cose come stanno».

A quel punto mi avvicinai a lei e la spinsi verso il muro, mi tirò un'occhiataccia sorpresa di chi non si aspettava una simile reazione e, un istante prima che potessi colpirla, Samuele mi bloccò le braccia.

«Ti odio! Sei cattiva e bugiarda», urlai cercando di divincolarmi, «me lo merito quel posto!».

«No».

«Sì».

Sembravamo due bambine delle elementari, paonazze in viso e con la voce che tremava per il nervoso.

«Forza di' le cose come stanno», mi provocò Sveva gridando.

«Sono più brava di Lia, merito di andare alle Olimpiadi!».

«Brava Giusy, la sincerità paga sempre», disse lei sorridendo e spostando lo sguardo oltre la mia spalla.

Samuele lasciò la presa e mi permise di voltarmi. Lia era dietro di me davanti la porta dello spogliatoio, borsa in spalla e tuta indossata, osservai i suoi occhi grigi, erano gonfi per il pianto, feci un passo nella sua direzione, «non ti avvicinare» sbottò lei poco prima di imboccare le scale e raggiungere l'uscita.

Di getto andai negli spogliatoi per infilarmi le scarpe e raggiungere Lia ma, quando uscii dalla palestra, non c'era più traccia di lei. La chiamai più volte al cellulare ma non rispose mai. Per farmi desistere mi mandò un messaggio: "se sei la mia migliore amica, come dici, rispetta il mio dolore e lasciami in pace".

Avevo il cuore diviso a metà, come sempre d'altronde, non riuscivo mai ad avere una felicità che fosse completa, se io gioivo c'era sempre qualcuno che soffriva.

Non volevo bene a nessun altro come lo volevo a Lia ma, ora, mi rendevo conto che la nostra amicizia era sull'orlo di una crisi.

Speravo solo che il terremoto passasse senza lasciare feriti.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro