Capitolo 3 - "Ardente, come il colore dei tuoi occhi."
Dal capitolo precedente...
Il ragazzo le si avvicinò, lento e deciso.
"Sei proprio tu", le disse solo, alzando leggermente le folte sopracciglia.
"Come prego?", rispose Eileen, leggermente confusa.
"Sei la Valkyria."
•••
Caldo, faceva un caldo asfissiante.
Benché mi abituassi fin troppo bene ad un intenso calore disumano, che mi aveva più volte accolto tra le sue umide braccia, non sarei mai riuscita a tollerare il caldo estivo... e non parlo solo del sudore che diventava appiccicoso e che si imprimeva sulla pelle, o del sole che diventava insostenibile quando raggiungeva il punto più alto del cielo.
No, magari fosse solo questo.
Bel tempo significava intensificare le spedizioni. Il bel tempo estivo era perlopiù libero dalle pioggie intense, che potevano presentarsi in altri periodi dell'anno. Persino con lo sbocciare della primavera le spedizioni non avevano quel flusso rispetto a quando scoppiava l'estate.
In breve, il sole cocente doveva essere il barlume di una sinistra felicità per i giganti, che potevano divorarci a sazietà. Mi voltai, schifata.
Che mondo crudele e orribile, quello dove eravamo costretti a sopravvivere.
"Fa proprio caldo oggi..."
Un ragazzino dai brillanti occhi verdi e folti capelli mori mi si avvicinò, e si sedette affianco a me, sul prato. Gli risposi con un sorriso leggermente, non avevo molta voglia di parlare.
In lontananza, i nostri compagni non avevano ceduto all'ozietà, allenandosi anche nei giorni di riposo. Scorsi Jean ruzzolare a terra, dopo un piegamento fatto male; imprecò, e venne aiutato subito da Armin.
Eren rise, affianco a me.
"Faccia da cavallo non è neanche in grado di fare un semplice esercizio come quello..."
"Eren! La devi finire con gli insulti, Jean non somiglia affatto ad un cavallo...", dissi, un po' titubante.
Ci guardammo per la frazione di un secondo, prima di scoppiare a ridere. L'aria si alleggerì un po', i suoi occhi brillarono sotto il sole di giugno.
"Lo so che sei preoccupata per le spedizioni, lenticchia", mi disse avvicinandosi, "Ma non devi..."
Gli angoli delle mie labbra di alzarono divertiti difronte a quel soprannome, nato tra le mense della legione, che i cadetti più giovani mi avevano affibbiato dopo un incidente abbastanza divertente che avevo avuto con quel legume.
"Eren...", sospirai, stringendogli la mano che aveva poggiato delicatamente sulla mia spalla, "Ho fiducia nei miei compagni, è solo che... Non lo so nemmeno io, ho una brutta sensazione, e le spedizioni sono sempre un lutto, in ogni occasione".
Nonostante l'imbarazzo, e la diffidenza nei confronti del mondo unita alla tipica emotività che caratterizzava la sua età, col tempo il giovane aveva imparato che poteva anche essere confidenziale con me. Inoltre, la nostra situazione aveva incoraggiato la nascita di un rapporto speciale tra noi.
Qualcosa che al Caporale non andava proprio giù; ed io me ne ero accorta immediatamente, nonostante il suo animo chiuso e poco trapelante.
Eren non mi rispose, si limitò ad abbracciarmi goffamente. Sorrisi ironica; rimaneva sempre un ragazzino dall'animo acceso, ma dal restio e vergognoso contatto umano.
~~~
Strinsi forte il colletto della sua camicia, mentre la mia mente iniziava a partorire pensieri cupi e il mio corpo iniziava ad colmarsi di una rabbia folle.
"Non osare, non osare parlare di cose delle quali non sai nulla!", imprecai, ad un palmo dal suo naso.
"É solo colpa tua...", disse, la voce gli si incrinò, "É solo colpa tua se Altheia è morta! Sei un mostro!"
Armin ormai annaspava, tanto era stretta la mia presa sul suo collo. Avevo perso la ragione. Avevo perso la mia compagna, la mia migliore amica.
I sensi di colpa mi stavano divorando l'anima più di qualsiasi altra cosa al mondo. Persino più di ciò che fui costretta a fare a mia madre.
"Brutto pezzo di..."
Non ebbi nemmeno il tempo di finire la frase, che cominciammo a darcele di santa ragione; senza troppe cerimonie. Benché fossi una ragazza, in certe situazioni questo non contava.
La guerra è la guerra, questo mondo è quello che è.
E Armin ci stava andando giù davvero pesante, nonostante il fisico asciutto e gracile non lo suggerisse affatto. Nemmeno io mi stavo risparmiando.
Non mi era mai successo prima d'allora di fare del male a qualcuno. Almeno, non proprio con le mie stesse mani.
Ben presto, la coltre di confusione e membra venne divisa dall'arrivo dei nostri compagni e da dalle forti braccia che cinsero il mio corpo, allontanandomi dal biondino.
"Lasciami... lasciami...", annaspai, "Non mi toccare!"
Cercai di divincolarmi, ma non credo che lo volli veramente, perché finii a terra col ragazzo che mi stringeva stretto, ancorato ancora alla mia schiena.
"Altheia è morta... lui ha ragione... è tutta colpa mia...", soffocai un singhiozzo, mi ritrassi il più possibile in me stessa.
Un ciuffo castano mi sfiorò la guancia, mentre il viso di Eren faceva capolino da essa, in un espressione addolorata. Il giovane si strinse ancora più forte a me, mentre le lacrime amare iniziavano ad inondare i nostri occhi.
"Shh, andrà tutto bene...", provò a dirmi titubante, "Andrà tutto bene".
Benché lo avesse ripetuto con più convinzione, avevo potuto cogliere tutta l'amarezza trapelata dalla sua voce.
Le nostre lacrime diventarono una cosa sola; piansimo tutto il nostro dolore, così diverso ma uguale al contempo. Perché io avevo perso la mia persona, e ciò mi aveva spinto in una direzione. Nutrivo dei fortissimi sensi di colpa che costringevano il mio stomaco ad accartocciarsi.
Ma Eren aveva perduto esattamente ciò che anche Armin aveva perso e, contrariamente a come chiunque avrebbe sostenuto, i due migliori amici avevano avuto una reazione completamente diversa da come ci si sarebbero aspettato.
Forse, però per Armin era diverso.
Forse la consapevolezza di essere il gigante colossale, di essere stato l'assassino di Berthold lo aveva inesorabilmente portato al punto di rottura.
E, forse, la scelta del Capitano che era ricaduta su di lui e aveva condannato a morte il Comandante Erwin e soprattutto Altheia lo avevano disintegrato definitivamente.
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"Se non le levi le mani di dosso, chiamo la sicurezza, maniaco!"
"Ma non capisci?! É colpa sua se ci ritroviamo tutti in questa situazione! Sua e di... del Caporale"
"Cosa diavolo vai blaterando?! Nemmeno ti conosciamo!"
"Io non ci credo... Altheia, sei rimasta proprio uguale, non sei cambiata di una virgola! Sei come Jean, è rimasto lo stesso brutto muso da cavallo..."
"Altheia? Io mi chiamo Lexy! E penso che tu ti sia proprio bevuto il cervello! E poi, chi diamine sarebbe questo Jean?"
"Tu non ricordi nulla... non è così?"
Quando sbattè le palpebre un paio di volte fu il momento nel quale la realtà la riavvolse violentemente, riportandola con la mente a ciò che stava succedendo.
Quella sensazione.
Eileen strabuzzò un po' gli occhi, mentre si rendeva conto di aver avuto un'altra allucinazione. Be', due in realtà.
Si voltò confusa verso il suo braccio, notando come le dita del moro lo stessero avvolgendo in modo ferreo. Risalì poi con lo sguardo a rimirarlo, notando la vicinanza confidenziale del suo busto inclinato nella loro direzione e l'altra mano impressa sulla superficie del tavolino da bar.
Lexy, ch'era seduta di fronte a lei, si era alzata ed era protesa verso il ragazzo, che non dava cenni di cedimento.
"Te lo ripeto: o ti allontani, o chiamo la sicurezza", ricalcò la riccia, guardandolo furibonda.
Eileen rimase impassibile, un po' intontita, un po' con il fiato sospeso; aveva sentito vagamente la fine della loro discussione, ma non era sicura di cose fosse effettivamente successo... ma era sicura che il bel ragazzo dallo sguardo schivo che doveva loro un altro servizio di caffetteria fosse proprio il ragazzo delle sue ultime allucinazioni.
Eren...
"Eren...", sussurrò istintivamente, allungando le dita sulla presa del moro, che ormai si era allentata.
Un'espressione smarrita fece capolino su quei tratti morbidi, nonostante fossero intrisi dalla loro natura virile.
Sembrava essersi perso momentaneamente in un lontano ricordo sfocato, che gli disegnò nostalgia e rancore nello sguardo.
"Per te, sono solo Darren.", disse solo, prima di lanciare un'ultima occhiata a Lexy e dissolversi dentro al locale.
La bionda non si capacita, continuava a non capire. Sentiva di star perdendo il lume della ragione.
Eppure, aveva continuato a pensare che ignorando gli accaduti degli ultimi giorni tutto sarebbe tornato alla normalità.
Lei sarebbe tornata la solita giovane studentessa affabile e sincera, nonostante si confondesse nello sfondo della quotidianità.
Invece, quel Darren aveva nominato Jean, il giovane dai corti capelli color caramello che aveva fatto capolino nella sua allucinazione di quella mattina. Lo aveva persino descritto faccia da cavallo, esattamente come nella sua mente aveva fatto. Oltretutto, aveva anche menzionato un certo Caporale, del quale invece non conosceva né il volto né il nome, ma che sentiva di conoscere in modo molto più profondo. Gli occhi brillanti del moro non avevano dato via di scampo: si stava parlando della stessa persona, dello stesso Capitano.
Questo non sarebbe stato possibile se non ci fosse stato un barlume di verità in tutta quella storia.
"Eileen, aspetta!", aveva esultato la riccia, raccogliendo frettolosamente le sue cose.
La bionda corse via, lasciandosi addietro quella nuova, tremenda consapevolezza. Iniziò a tremare, arrivando ad una conclusione che la terrorizzava ad oltranza. Quello era stato il punto di non ritorno, nel quale avrebbe dovuto affrontare faccia a faccia la realtà. La ragazza percepì un senso di disagio, conscia del fatto che non le sarebbe affatto piaciuta.
•••
Eileen sapeva che in quell'esatto momento il suo cognome veniva più volte ripetuto, richiesto a voce alta, mentre si disperdeva all'interno di quattro mura grigie come il cielo nevoso.
"Valdïsa? Valdïsa non c'è nemmeno oggi?"
No, Valdïsa era assente.
Eileen era assente da giorni, e si era persino persa la prima dello spettacolo su Death Note, benché ci tenesse parecchio. Eppure, non le importava nemmeno del fatto che il neo-regista le avrebbe fatto scoppiare la testa con le sue lamentele, per la sua improvvisa e mancata partecipazione.
Anche se la giovane non poteva averne la certezza, vide lo sguardo preoccupato e acceso di Lexy percorrere il suo banco, per poi cadere sullo schermo del telefono.
Però, Eileen non aveva mai risposto alle sue ripetute telefonate e ai suoi infiniti messaggi.
La mora si era prolungata in un serie infinita di teorie e ragionamenti, di rassicurazioni e premure verso l'amica e ciò che stava subendo.
Lexy, nel mentre, se la immaginò a sua volta; immersa nella penombra della stanza, mentre scarabocchiava freneticamente sui fogli sparsi della scrivania. La lettera di Adele, o forse era il caso di chiamarla Ymir, a lato del braccio, sempre presente, come a dirle 'è tutto reale'.
Così passarono cinque giorni.
Cinque giorni nei quali la presenza di Eileen si era dissolta.
La mattina del sesto giorno, la giovane si era svegliata con una guancia e le mani sporche d'inchiostro; si era addormentata a notte fonda tra le righe e le parole delle sue teorie.
Ne rilesse il contenuto del foglio dove poco prima era adagiato il suo viso; alcune frasi le suonavano così dissonanti e strane da stupirsi di averle anche solo pensate, figuriamoci di averle proprio scritte.
Scattò in piedi, gli occhi grandi e decisi brillarono sotto i raggi flebili del sole che filtravano dalla finestra, il colore castano intenso delle sue iridi divenne liquido sotto la sua presa di coraggio.
Era pronta ad agire.
La sua intenzione era quella di fiondarsi fuori di casa, con quel foglio in mano, e recarsi in università; palesarsi direttamente di fronte a Darren e discutere della questione.
Nonostante tutto, era stata l'unica persona delle sue allucinazioni ad averle detto qualcosa, e lei voleva sapere. Doveva sapere. Altrimenti, sarebbe impazzita.
Tra le infinità di ipotesi che le sfrecciavano nella mente, facendo slalom tra i pensieri reconditi, era arrivata alla certezza di una sola cosa: lei li aveva vissuti.
Vissuti, in prima persona.
In ogni allucinazione, lei aveva visto attraverso i suoi stessi occhi ciò che stava succedendo, anche se in quei frangenti quasi onirici la sua persona le era sembrata alquanto diversa. Aveva sentito tutte le emozioni, le sensazioni tattili e di pancia, come se si fosse trovata esattamente lì; in quel mondo tanto cupo e crudo che le si era palesato dritto in faccia, senza lasciarle il tempo di un respiro.
La Eileen delle allucinazioni sembrava semplicemente reale, divisa dalla giovane studentessa da un filo invisibile e sottile come il rasoio.
La Eileen delle allucinazioni conosceva i volti di Eren, Armin, Jean, Marco, persino di Hanji, e di molti altri ancora, e non solo. Anche se avevano vite e nomi differenti. Persino quando vide quel frangente di quotidianità con Jean, e venne nominata Altheia, il volto addolcito di Lexy le era balenato subito in mente.
In quei momenti vissuti ad occhi aperti, la bionda aveva rapporti confidenziali con tutti loro, e possedeva ricordi completamente diversi dai suoi, ma talmente definiti e dettagliati da darle un campanello d'allarme.
Eileen si soffermò qualche secondo a fissare la zip del suo zaino, mentre la chiudeva con lentezza. Poi, scosse la testa, come per scacciare la negatività, e se lo mise in spalle, decisa a lasciare la casa per poter affrontare i suoi demoni.
Attraversò il piccolo corridoio che collegava la cucina modesta e il portone della casa, accennando ad un vago saluto rivolto alla madre. Afferrò velocemente la maniglia difronte a lei, ma si bloccò.
"Ah, Eileen!", una voce calda ed accogliente arrivò alle sue spalle.
"Chi è quel bel giovanotto che ti aspetta fuori dalla porta?"
Una donna di modesta età si era affacciata allo stipide della porta che dava sull'entrata, gli occhi grandi e castani la guardavano incuriositi e vagamente maliziosi.
I lunghi capelli color biondo cenere le sfioravano appena le spalle.
Le donne della famiglia Valdïsa possedevano quella bellezza così semplice e particolare che dava nell'occhio, ma nessuna di loro sembrava curarsene troppo.
"Chi, mamma?", le chiese, confusa.
"Avanti non fare la finta tonta...", sorrise mesta, la madre, "Eh, brava Eileen, un bel moro dagli occhioni verdissimi, hai proprio preso da me!"
La donna, semplicemente, rise sotto i baffi e si dileguò nuovamente verso i fornelli.
Eileen si voltò nuovamente a rimirare la porta, un po' frenata per ciò che avrebbe trovato al di là di essa.
Perché sapeva benissimo di chi si trattasse, non che ci volesse un genio, comunque.
Respirò e, semplicemente, la aprì.
L'aria era frizzantina e il cielo di novembre copriva tutta la città con la poca luce coperta del sole dietro la coltre di nubi grigiastre.
Darren distava a poco meno di un metro da lei, guardandola in modo enigmatico; le mani infilate nelle tasche dei jeans e un berretto da baseball calato in testa.
"Ciao, Eileen.", disse soltanto, con un tono carico ed intenso.
"Ciao Darren... o forse dovrei chiamarti Eren?", gli chiese, con un distacco malcelato.
"Puoi chiamarmi come ti pare...", il suo tono amareggiato colmò lo spazio tra loro.
"Qual è il mio nome, Eren?"
Eileen non aveva mai visto uno sguardo del genere, mai in vita sua.
"Come?"
"Qual è il mio nome?", ripeté, con maggior veemenza, "Hai chiamato Lexy come Altheia. Hai chiamato Johan come Jean. Mi hai chiamato Valkyria, ma cosa significa?"
"É ciò che sei...", borbottò Darren, facendo svogliatamente spallucce.
Eileen non aveva decisamente mai visto uno sguardo così. Così intenso, così carico di emozioni, di risentimento, uno sguardo riempito in quel modo da così tanti pensieri.
"Cosa vuol dire? Perché non mi dici solo quello che sai e basta? Perché non mi dici il mio nome?!", sbottò, infastidita.
No, la bionda non aveva mai visto in vita sua uno sguardo del genere... se non in Eren. Darren aveva i suoi medesimi occhi e la stessa luce che li illuminava perché forse erano semplicemente la stessa persona.
"Non posso...", la schernì, avvicinandosi, "Abbiamo rischiato molto l'ultima volta che ti è stato detto..."
"Cosa...?"
Eileen strabuzzò gli occhi.
La vicinanza di Darren le metteva inquietudine; quello sguardo era unico nel suo genere. In quel momento le venne in mente un solo aggettivo per descriverlo.
"L'ultima volta che te l'abbiamo detto, siamo morti tutti, anche se eravamo un po' sparsi per il mondo. Tutto questo perché Altheia ti aveva detto tutto ciò che era successo, il tuo nome e quello del caporale..."
Così, di botto, Darren aveva lanciato un masso di rivelazioni grosso come un macigno sulla sua testa, incollandola al suolo che, da sotto le sue converse, era stato l'unica fonte solida a tenerla fermamente ancorata al pianeta terra.
"É così inverosimile...", disse a voce alta, "Hai anche accennato al fatto che sarebbe colpa mia, cosa intendi?"
Solo un aggettivo, un aggettivo per quello sguardo verde come il prato che la trafiggeva da parte a parte.
"Siamo tutti legati, per colpa tua, colpa vostra. In ogni vita. Siamo costretti a ricordarci le atrocità che abbiamo vissuto e compiuto in una vita che ormai non ci appartiene più da millenni.
Tu e il Capitano avete fatto qualcosa, non posso dirti altro."
La bomba continuava ad esplodere dalle labbra del moro, imperterrita. Eileen si ritrasse un poco, atterrita.
"Mi stai dicendo che non sono allucinazioni?", si portò una mano a coprirsi lievemente la bocca.
"No, sono ricordi."
Così, la sua mente si svuotò, mentre lo sguardo di Darren la accusava su ogni punto del corpo, osservandola di sottecchi.
Ed era solo una cosa.
Era ardente.
Ardente, come il colore dei suoi occhi.
Hey, readers! (ノ≧∇≦)ノ ミ
Eccoci qui, ordunque!
Sembra che ora l'apparizione di Eren abbia scosso un bel po' le cose (come al solito, eh?)
Perché è così arrabbiato con la nostra Eileen? (Già, Eren, la smetti di arrabbiarti con tutti? ಠ_ಠ)
Vabbè, nel dubbio, dedichiamogli questo capitolo, siccome ieri era il suo compleanno!
AUGURI, NOSTRO URLATORE ED ESAURITO PREFERITO! ♥️
Come andrà avanti la s i t u a? Scopriamolo insieme nei prossimi capitoli, vi va?
Chi arriverà ancora?
Chissà!
Abbracci forti,
Rea-Chan. 🌺
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