Capitolo 2 - "Shoganai to Yugen"
La terra continuava a tremare.
Tremava e un odore forte di fuliggine e sangue si liberava nell'aria.
Io mi sentivo talmente a pezzi e dolorante da non riuscire più a reggermi sulle gambe, e rovinai a terra, sbucciandomi leggermente i palmi delle mani.
Un tremolio impercettibile si impadronì delle mie membra, mentre osservavo freneticamente il paesaggio di distruzione e morte che mi si parava davanti. La mano si strinse forte sulla bocca, lo stomaco che spingeva per liberarsi oltre l'esofago.
Intravidi dei corpi schiacciati dai massi, e dalle braccia che ne fuoriuscivano, realizzai la giovanissima età che dovevano avere. Corpi maciullati ovunque, membra umane sparse per le vie di quel piccolo distretto.
Il sangue disegnava in modo sinistro le abitazioni ormai in rovina, colando dai tetti; schizzato sui resti appuntiti delle finestre. Da tutta la cittadina si sollevava una coltre di fumo color pece, ormai distrutta.
La terra tremò ancora, e mi alzai vacillante e faticosamente.
Mi toccai il viso, rabbrividii alla vista del sangue sconosciuto che vi ritrovai poi sul palmo della mano destra. Così come per i lunghi capelli color miele che mi coprivano fino all'addome, intrisi di quella sostanza scarlatta.
In lontananza, una creatura mostruosa ed enorme, dalle vaghe sembianze umane, si muoveva verso le porte principali della città, con un grosso masso sulle spalle.
Poi, fu un attimo.
Mi si spezzò un grido in gola quando, veloce come un felino, una mano dalle grandezze grottesche mi afferrò, sollevandomi completamente dal suolo.
"Aiuto!"
Un grido terrorizzato le uscì acuto dalle labbra, destandola dal sonno profondo nel quale si era lentamente sopita la notte precendente.
Eileen si tastò il petto, scoprendo il battito accelerato del suo cuore.
Si strofinò frettolosamente i capelli ed il viso, riscoprendoli puliti, liberi dal sangue che immaginava li adornasse tetralmente.
Lo sguardo vorticoso corse tutt'intorno e, quando si rese conto di trovarsi nella sua camera da letto, sospirò di riflesso. La luce filtrava leggera dalle tapparelle leggermente abbassate; la scrivania a muro era dove era sempre stata, così come la sedia con i vestiti adagiati sopra, preparati il giorno prima, e i disegni fatti sul muro di fronte al letto che la osservavano immobili, carichi di colore, come sempre. Le figure di Kaneki e Touka, dal famoso manga "Tokyo Ghoul", la osservavano sereni dalla parete, dove erano stati amorevolmente creati insieme.
Tutto sembrava immutato.
"Era solo un sogno.
È stato solo un incubo..."
La ragazza non riusciva a darsi pace, stropicciandosi tra le lenzuola; si strofinò velocemente gli occhi, cercando di regolarizzare il respiro.
Lo sfondo che aveva caratterizzato quel sogno, le sensazioni, le emozioni che aveva provato, e persino gli odori ed il tocco erano sembrati dannatamente reali. Se avesse chiuso gli occhi era certa di poter sentire ancora la polvere tra le dita e l'odore di tumefazione.
Si era sentita completamente partecipe di quella breve vicenda che aveva vissuto durante il sonno, e non se ne capacitava, mentre gli occhi si posavano istintivamente sulla lettera posata sulla superficie della scrivania.
Ymir...
La bionda scosse la testa, come per cacciare via quegli assurdi pensieri, e si destò dall'irrequietezza che l'aveva colta al suo risveglio.
•••
Qualche ora dopo, la giovane si destreggiava tra i corridoi dell'università, con l'intento di dirigersi in aula. Il secondo quadrimestre si apriva con una serie di materie più impegnative e difficili; quel lunedì, la ragazza avrebbe dovuto ascoltare diverse ore sulla materia Storia, etica, deontologia professionale.
I corridoi erano pieni, gremiti di studenti che chiacchieravano, si preparavano mentalmente a far fronte alle lezioni, e ridevano giulivi.
Eileen, invece no.
Con lo zaino sulle spalle, la ragazza camminava assorta nei suoi pensieri, che perlopiù si concentravano sulle elusioni dell'interprete di Elle, sulla cugina Adele, su una certa Ymir, sul fatto che Adele aveva eluso all'esistenza di un rapporto tra lei stessa e questa Ymir, e al sogno che l'aveva colta impreparata.
Ah, per non parlare del fatto che Adele sapeva dell'attuale esistenza di una certa Lexy Nerone, e che aveva menzionato una certa Historia.
La bionda aveva di che pensare, e si fece fermare dai suoi stessi pensieri esattamente dov'era.
Poco dopo, affilò leggermente lo sguardo e corrucciò le labbra rosee, quando s'accorse che mentre lei era assorta, qualcuno aveva cominciato ad osservarla. La ragazza era rimasta in mezzo al corridoio, completamente immobile.
Dall'altra parte, appoggiato al muro, un ragazzo del primo anno la osservava intensamente. In breve, venne raggiunto da un altro studente, che gli si mise affianco e che cominciò anch'esso a guardarla.
Eileen riconobbe subito il bruno con le lentiggini, che qualche mese prima era apparso in classe, come Markus Freckles.
Il ragazzo dai capelli chiari, appoggiato al muro, e dagli occhi grandi e affilati, era Johan Stein.
Quei due erano al primo anno, e benché lo sapesse, non avevano mai avuto nulla a che fare con la giovane.
Il suo stomaco si compresse, di nuovo quella sensazione.
"Jean, mi aiuteresti in cucina?
Altheia è di turno nelle pulizie delle stanze oggi..."
Il giovane si affacciò nella cucina, la testa appena oltre lo stipide della porta. Alzò gli occhi al cielo, ma non ebbe il coraggio di negarmi il suo aiuto.
"Insomma, qualche volta potresti anche chiedere a quel suicida che non vede l'ora di morire..."
"Jean!", dissi, mostrandomi indignata di fronte alla sua solita propensione agli insulti verso il povero Eren.
Il biondo di fronte a me scoppiò a ridere, probabilmente la mia espressione doveva essere abbastanza buffa; poco dopo, lo seguii a ruota.
"Sai, è davvero bello averti qui con noi, per una buona volta sono molto d'accordo con la rara permissività che ha avuto il Comandante Erwin...", rispose, con ancora le lacrime agli angoli degli occhi.
Sorrisi radiosa, con le guance un po' rosate. Tra schiuma e spugne, scherzi e risate, io e Jean passammo quel po' di tempo e pulire le stoviglie della cena e ad alleggerire quell'ombra di terrore che alleggiava sempre sulle teste di tutti noi...
Eileen spalancò gli occhi, quando, in un battito di ciglia, le era sembrato di avere avuto un'allucinazione.
Johan e Markus sembravano essersi dissolti, come se non fossero stati mai lì.
Sbatté leggermente le palpebre.
Ora cominciava davvero a preoccuparsi per la sua salute mentale. Per qualche attimo, aveva avuto davanti ai suoi occhi una copia esatta di sé stessa; vestita con quella che si poteva dedurre essere una divisa, a lei sconosciuta e che non aveva mai indossato in vita sua, immersa in un frangente di quotidianità assieme a Johan.
Che lei aveva chiamato Jean.
Forse, tutti quei pensieri strani le avrebbero bruciato il cervello, prima o poi, aveva pensato.
Quando fu in classe, prese posto negli ultimi banchi, conscia della poca attenzione che avrebbe potuto prestare alle lezioni, quel giorno.
Si nascose un poco tra i capelli lunghi e lisci. Gli occhi intensi e marroni suggerivano che non fosse proprio lì, con la testa. O con l'anima.
Persino quando Lexy prese posto accanto a lei, cominciando a tartassarla col suo solito fiume di parole, Eileen non le diede ascolto. Quando la mora la scosse, la giovane si limitò ad estrarre una busta ingiallita dallo zaino e a porgergliela.
"Ti dico solo che mia cugina Adele è venuta a mancare anni fa..."
Così mentre l'amica si era buttata a capofitto nella lettura sul contenuto della busta, la bionda si era lasciata andare ad un forte sospiro, accasciandosi sul banco.
"Buongiono a tutti! Io sono la vostra docente di Storia, Etica e deontologia professionale... Mi chiamo Ingëll Bianne, ma potete chiamarmi semplicemente Ingëll!"
La giovane bionda venne folgorata nuovamente da quella sensazione.
Era la terza volta ormai, quel giorno.
Non ebbe nemmeno il tempo di alzare lo sguardo, che un'altra allucinazione la colse.
La radura era incontaminata, spuntava solo qualche albero qua e là. Questo stava solo a significare una cosa; continuare a cavalcare, senza fermarsi, altrimenti si sarebbe potuto andare incontro ad una morte quasi certa.
Il mio cavallo era stremato ma, leale come solo un animale poteva esserlo, non aveva dato segni di serio cedimento e continuava a rispondere ai miei comandi. Attorno a me, i miei compagni di squadra rimasti in vita cavalcavano esausti, ma determinati. Il guardarli bene mi aveva rincurato un po'. Fuori dalle mura, essere da soli significava solo finire in pasto ai giganti.
"Ah! Mannaggia, son rimasta solo io...", urlò una voce a me familiare.
Una delle persona più fidate che conoscevo si era avvicinata a noi, spronando il suo cavallo.
La donna era rimasta completamente sola, con i segni della battaglia visibili dal mantello verdognolo, ormai distrutto, e dalle lame dimezzate.
"Capo-squadra Hanji Zoe! Sta bene?", le aveva repentinamente chiesto un mio compagno.
La squadra di Hanji era sicuramente caduta. Digrignai i denti, arrabbiata. Non importava se non li si conoscevano bene, perdere i propri colleghi faceva sempre un male assurdo.
Quando mi raggiunse, cercò di fare un sorriso leggero, fallendo nell'impresa.
La guardai preoccupata.
"Hanji, stai bene?"
"No, che non sto bene...", sussurrò tra i denti, "Tutta la mia squadra è morta..."
"Hanji...", la voce semplicemente mi si spezzò. Lei se ne accorse subito, e mi guardò, nuovamente rianimata.
"Io sono una donna di scienza! Io li catturerò un giorno, i titani! Li catturerò, lì studierò e capirò il modo per ucciderli tutti!"
E detto questo, sguainò le lame per aria, e sorrise serafica, probabilmente immersa tra i suoi pensieri, divisi tra scienza, ragione e follia.
Quando Eileen alzò lo sguardo su Ingëll, la nuova docente, il tutto fu troppo per lei. Ciò che visse in quegli attimi ad occhi aperti le percorse velocemente il viso, creano un misto tra diverse emozioni.
Curiosità, insicurezza, meraviglia e terrore.
Tutte insieme, e Lexy le vide tutte.
Nell'allucinazione che aveva appena avuto, la donna con la quale aveva parlato, Hanji Zoe, era identica alla professoressa Ingëll Bianne; capelli castani e raccolti in una coda, occhi espressivi e marroni, fisico alto e asciutto, volto dai tratti morbidi ma costernato da una forte decisione.
Le due differivano solo per il vestiario; se la docente indossava un tailleur elegante, la donna a cavallo indossava una divisa militare... ovviamente, macchiata di sangue.
Perché, a quanto pare, il sangue non mancava mai in quelle strane allucinazione che avevano colpito la giovane studentessa.
Calò il silenzio, nell'arco di 3 minuti.
Eileen aveva abbandonato la classe, gli occhi lucidi e un po' fuori di sé.
Lexy l'aveva inseguita, con la lettera di Adele stretta in una mano, e con una brutta sensazione alla base dello stomaco.
Ingëll le guardò basita, e si grattò la testa, sospirando un poco.
"Astrid e Altheia, quindi... ecco dove eravate...", sussurrò la donna, scuotendo leggermente la testa.
Poco dopo, iniziò la sua lezione, come se nulla fosse accaduto.
La ragazza corse velocemente; voleva scomparire, essere il più lontana possibile. Nonostante il suo ardente desiderio, sfrecciò per i corridoi della facoltà, finché non raggiunse l'uscita interna.
Sì guardò intorno spaesata, finché non colse la presenza della caffetteria; marciò velocemente dentro al locale, ordinò un caffè macchiato e un cornetto. Senza fare troppi complimenti, posò frettolosamente le monete in mano alla cassiera, si dileguò fuori e si sedette nei tavolini all'aperto, aspettando il suo ordine e torturandosi le mani.
La sua università era davvero molto grande e disponeva di varie break-zone, tra le quali spiccava la caffetteria "La Coordinata bar", un piccolo angolo di tranquillità molto frequentato dai suoi compagni di corso, e non solo.
In un'occasione diversa, Eileen si sarebbe trovata lì con un moto allegro, magari con la compagnia dell'amica riccia, e avrebbe preso il suo solito caffè, chiacchierando del più e del meno, godendosi l'aria fresca ed i raggi di sole autunnale sulla propria figura.
Già, in un altro momento.
Solo che, adesso, la giovane si torturava le meningi, incapace di comprendere la strana piega che la sua vita stava prendendo, le stranezze che le erano successe.
Si sentiva esplodere.
Così, quando Lexy era arrivata tutta trafelata e con gli occhi spalancati, Eileen era saltata sulla sedia, facendo spostare il tavolino e rischiando di rovinare a terra.
"Ti ho...", disse la mora, annaspando, "ti ho cercata dappertutto!"
Gli occhi verdognoli corsero sul suo viso, cercando un qualsiasi indizio, una spiegazione a tutta quella vicenda. Come darle torto d'altronde, Lexy di tutta quella storia sapeva poco e niente; giusto qualche riga letta da una lettera invecchiata dall'umidità, e probabilmente dal tempo. La bionda la guardò solo, completamente smarrita, e lei capì.
"Vado ad ordinare...", sorrise leggermente, l'amica, "tu, solo, resta qui".
Una buona mezz'ora era passata lentamente, mentre le due avevano parlato e discusso riguardo le vicende che, iniziate la sera precedente al Titan's pub, avevano cominciato a colpire Eileen. Lexy l'aveva costretta, forse marcando un po' la mano, a svuotare il sacco; così, venne a conoscenza del breve dialogo che era avvenuto con l'attore Elia, del terribile incubo di quella notte, delle allucinazioni ove i protagonisti erano stati Johan Stein, Markus Freckles, la docente Ingëll Bianne e la stessa bionda.
Quando Eileen finì di raccontare, ancora scossa, si creò un silenzio abbastanza pesante. Dire quelle cose ad alta voce non faceva che renderle ancora più reali, ed inquietanti.
"Eileen, non può essere lo stress dell'Uni? Non che non ti creda, però... dovremmo valutare tutte le cause..."
"Mmm, mmm...", mugugnò la bionda, colta da una lieve sensazione di delusione immotivata.
"Magari sto solo diventando pazza..."
"No! Non era quello che intendevo...", la mora cercò di trovare le parole giuste, "Magari questa cosa della lettera è solo uno scherzo, può essere? Magari hai avuto l'impressione che quei ragazzi ti osservassero, e non era così..."
Eileen strinse un labbro tra i denti; sapeva che tutta quella storia non aveva senso, ma in cuor suo sapeva di non essere fuori di testa.
In cuor suo, era l'unica a sentire ardere quella sensazione. La libertà ed il cambiamento.
Forse avrebbe dovuto trovare una soluzione da sola. Poi, però, le parole di Adele la travolsero come in piena.
'So che al tuo fianco hai la tua persona, lei sarà un pilastro in tutta questa vicenda...'
"Lexy, hai letto la lettera di Adele. Hai letto degli incontri ambigui che ha menzionato, della rivelazione di qualcosa. Casualmente, quindi, la notte stessa vivo un sogno fin troppo reale, e il giorno dopo vedo delle persone, che ho sempre intravisto in questi mesi, con occhi diversi e ne ho delle conseguenti allucinazioni?
Adele aveva scritto che le avrei riconosciute, in qualche modo. Sta succedendo, ti sembrerebbe un caso?"
Appena Eileen terminò di esporre il suo pensiero, un rumore sordo e metallico riempì l'aria. Le ragazze si spaventano, prese com'erano dal loro discorso coincitato. Notarono come il cameriere aveva cominciato a scusarsi, mentre frettolosamente raccoglieva le loro ordinazioni, o meglio, quello che ne restava; le due tazzine col caffè si erano versate totalmente sul cemento, i cornetti erano razzulati leggermente più in la dei loro piedi.
Quando il ragazzo si era rimesso con la schiena dritta, con l'intento di scusarsi direttamente con le due clienti, gli morirono le parole in bocca.
Eileen si sentì folgorare, e non per il suo aspetto.
Il giovane che la sovrastava era un ragazzo molto affascinante; dalle labbra carnose e i capelli color cioccolato lunghi, e sapientemente raccolti in un piccolo chignon sulla testa. Le spalle ampie erano rigide, e nella loro posizione risaltavano il fisico asciutto, ma atletico del ragazzo. I grandi occhi, particolari nelle loro sfumature verdi, erano illuminati da una luce decisa ed ardente.
Una sensazione li folgorò entrambi, e vennero presto inghiottiti da uno scambio di sguardi talmente intenso, che persino Lexy si sentì ammutolire da esso.
Quella sensazione.
E la stavano provando entrambi.
Occhi negli occhi, in un viaggio lontano di memorie proibite ad occhi indiscreti e sconosciuti.
Il ragazzo le si avvicinò, lento e deciso.
"Sei proprio tu", le disse solo, alzando leggermente le folte sopracciglia.
"Come, prego?", rispose Eileen, leggermente confusa.
"Sei la Valkyria."
Hey, Guys! 。◕‿◕。
Vi ringrazio di cuore per aver letto fino a qui; se la storia vi sta piacendo e avete deciso di lasciare una stellina o un commento, il mio cuore si riempirà di gioia, per l'apprezzamento e il sostegno alla storia!
Spero che con il susseguirsi degli eventi non vi confonderere, ma che seguirete il filo degli intrecci.
Per ultimo, vi lascio con una piccola curiosità riguardante il titolo del capitolo:
La sapevate che in Giappone molti termini racchiudono un significato, difficilmente spiegabile, siccome solo perlopiù concetti?
Il termine Shoganai indica ciò che non può essere evitato. Significa accettare che qualcosa può avvenire al di fuori del nostro controllo. Questa parola serve per incoraggiare le persone ad andare avanti nella vita senza rimanere troppo legate al passato e senza rimorsi.
Mentre, il termine Yugen nell'arte giapponese indica le capacità misteriose che non possono essere descritte a parole; inoltre il termine letterario "simbolismo" dal punto di vista artistico é considerato in italiano il più vicino al significato di questa parola giapponese.
Spero vi abbia incuriosito!
Io ed Eileen vi salutiamo calorosamente, aspettandovi il prossimo martedì con il nuovo capitolo.
Besosss,
- Rea-chan. ( ˘ ³˘)♥
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