Perché tu sei.
Ognuno sarà libero di leggere questa storia come meglio crede, ma ci tenevo a farvi sapere come l'ho scritta io e come l'avevo pensata: fate partire la canzone che troverete qui sopra, per ogni pezzo che leggerete sulla destra, e bloccatela quando lo scritto finisce, per poi ricominciare.
Siete padroni di non farlo ovviamente.
Quando la leggerai tu, però, leggila come ho chiesto, per favore.
A te, che sei sempre dentro di me.
Mi ricordo di te
Ricordo i mille giri sulle giostre, su di te
Ho fatto un'altra canzone
Mi ricorda chi sono
Ho messo un altro rossetto sopra il labbro superiore
Molte persone mi dicono che quello che siamo non va bene, che è strano, forse troppo.
E forse hanno ragione no?
Forse dovrei "allentare la presa".
Forse dovrei preoccuparmi di meno, pensare di meno, lasciarti un po' stare.
Poi mi ricordo di quando eravamo piccole, e giocavamo a maestra e alunna davanti casa, nei giorni dove il caldo estivo era troppo per stare dentro, e volevi che io facessi sempre l'insegnate perché credevi che avevo davvero qualcosa in più da dire, qualcosa in più da spiegare, da doverti davvero insegnare solo perché, tra le due, sono la più grande.
E credo che questi vestiti da "maestra" io non me li sia mai tolti davvero di dosso, perché lo so che voglio sempre dirti qualcosa in più, insegnarti qualcosa in più, spiegare qualcos'altro.
Quando dovrei solo lasciarteli vivere, questi più.
Mi ricordo di quando c'era la festa di paese e in piazza mettevano le giostre e tu volevi andare per forza su quella che girava veloce ed io non volevo mai perché solo a guardarla mi veniva il mal di stomaco.
Ma tu mi guardavi, volevi compagnia, e allora sbattevi i piedi ed io dovevo trovare un modo per farti stare in silenzio e smetterla di strepitare perché, ammettiamolo, sei stata una bambina insopportabile, e allora salivo con te.
E tu urlavi che eri felice ed io urlavo che volevo scendere da quella cosa infernale.
Poi, non so come o quando, ma tu avevi smesso di essere felice e urlavi dalla paura, perché "la cosa infernale" non era più la giostra, ma la vita ed io non ti ho sentita.
Negli occhi delle serrande si stenderanno e io sparirò
L'ultimo soffio di fiato e sarà la voce
Ad essere l'unica cosa più viva di me
Voglio che viva a cent'anni da me
Voglio rimanga negli anni com'è
Fumo per sbarazzarmi di lei.
La prima sigaretta è arrivata a quattrodici anni, per me, era da poco morto nonno e la mia situazione di salute era peggiorata, e quando lo hai saputo non mi hai detto nulla, solo che avresti voluto provare, un giorno.
Ti avevo detto di non farlo, che eri piccola e tu mi rispondesti che se lo avevo fatto io avresti potuto anche tu.
Giungemmo ad un'accordo: a quindici anni compiuti, la tua prima sigaretta l'avresti fumata con me.
Gli anni passarono, le vita andava avanti, e noi crescevamo ed io stavo sempre più male, la mia salute peggiorava e correvo con mamma tra medicinali e corsie d'ospedale e tu rimanevi lì a guardare, in silenzio.
Stavo cosi male che i tuoi occhi non li vedevo, ma adesso, ne sento il peso del ricordo addosso ogni giorno.
Credo sia iniziato qui, il tuo silenzio, il tuo stare male.
Me lo dico ogni giorno, avrei dovuto notare i piccoli segnali che lasciavi in giro, sarei dovuta essere più attenta. Dico sempre che ero troppo malata, troppo spaventata, troppo assuefatta dai medicinali.
Ma tu urlavi, nei tuoi silenzi, ed io non sentivo.
Gli anni passarono, la vita andava avanti e noi crescevamo e non so se hai davvero manutenuto la tua promessa, ma i tuoi quindici anni arrivarono e anche quella prima sigaretta.
Ma torna da me
Dove sei finita, amore?
Come non ci sei più
E ti dico che mi manchi
Se vuoi ti dico cosa mi manca
Adesso che non ci sono più
Adesso che ridono di me
Adesso che non ci sei più
Non so se
Ricordo che uscivamo insieme, che mamma mi costringeva a portarti fuori con il mio gruppo di amiche, ed io non volevo.
Avevo paura mi mettessi in imbarazzo, mi facessi sentire stupida.
Ma infondo stupida lo ero davvero.
Dovevo fare una cura, portami le medicine dietro, e non volevo.
Inventavo mille scuse per non portarmi una stupida borsa con l'occorrente per ogni evenienza.
E allora tu, piccola e forte nel tuo silenzio assordante, scendevi la sera con me, ti mettevi infondo al gruppo, da sola. Non parlavi mai.
Una sera era una borsa bianca, quella dopo una nera. Poi uno zaino.
Sei stata la prima ad imparare come salvarmi la vita a quattordici anni.
E ti ho odiato. Ti ho odiato perché tu stavi bene ed io ero sempre ricoverata in ospedale a fare esami e a morire ogni volta che un dottore mi diceva che forse era leucemia, o cancro al cervello.
E lo so che e stupido, cattivo e che non avrei dovuto mai e poi mai pensare una cosa del genere e ti chiedo scusa.
Ma ero spaventata, e so che non è una giustificazione valida.
Mi sentivo sola e ho pensato solo al mio dolore, senza pensare a quello che stavi vivendo tu.
E tu stavi rinchiusa nei tuoi silenzi, ma urlavi ed io non sentivo mai, e mi dispiace.
Ti ricordi di me
Quanto è bello abbracciarmi
Per sentirti un po' a casa
Sarà bello abbracciarti
Dirti: "Mi sei mancata"
In un bosco di me
C'è un rumore incessante
E lo faccio da parte
Tu sei la mia voce
A diciassette anni abbiamo scoperto cosa avessi: un'allergia pericolosa, se non sto attenta mortale, ma nulla di cosi "grave" o "brutto" come avevano detto mille e mille luminari che avevo sentito.
Stavo male lo stesso: dovevo andare da un psicologo e da un neurologo e mi sentivo strana, diversa e avevo paura di essere giudicata.
Ricordo che dopo la prima seduta, tornata a casa, mi sono chiusa in camera, luce spenta e mi sono messa a letto. Non avevo voglia di mangiare, parlare, pensare.
Neanche mamma era riuscita ad entrare in quel muro che avevo alzato, ma tu si.
Sei entrata, non hai acceso la luce, mi hai accarezzato i capelli e ti sei seduta sul mio letto.
Volevo chiederti cosa ci facessi lì, cosa facessi a casa.
A quell'ora saresti dovuta essere a lezione di danza, la tua grande passione.
E rimpiango di non averti mai detto quanto sei bella mentre danzi.
Vestita del tuo immacolato silenzio mi hai sollevato dal letto e mi hai stretto forte.
"Sono qui."
E ho pianto. E tu con me.
Ricordo che un giorno avevi una gita con la scuola, che non volevi andare perché la mia di scuola era chiusa e non volevi lasciarmi sola. Dicevi che avevi un brutto presentimento. Io ho riso.
Poi, con riluttanza, ti sei fatta convincere da me e da mamma e sei andata. Non andavi mai da nessuna parte ormai. Eri troppo impegnata a badare a me, a difendermi da qualcosa che avevo dentro e non voleva lasciarmi.
Quel giorno non volevi andare perché avevi un brutto presentimento.
Quel giorno sono stata male, ed ero sola a casa.
Quel giorno sono andata in ospedale, con mamma che guidava come una pazza appena l'avevo chiamata.
Quel giorno sono stata male, tanto.
Quel giorno per pochi secondi sono morta.
Poi mi hanno aiutata, e mi sono ripresa.
Mi hai chiamata perché avevi un brutto presentimento, ero in ospedale e te l'ho dovuto dire.
Hai urlato come una pazza. Hai pianto ed io con te.
Hai iniziato a dire che era colpa tua, che dovevi rimanere a casa, che non saresti dovuta andare via.
Io ho cercato di dissuaderti, dirti che tu non avevi colpe, che non potevi saperlo.
Poi mi hai detto che non mi avresti mai più lasciata sola.
E non l'hai fatto, mai.
Mi ricordo di te
Mi vedevano ridere sola
Ma eri te
Ho baciato un foglio bianco
E la forma delle mie labbra
Ha scritto da dove nasci tu e che non morirai
Il nostro rapporto era cambiato.
Iniziavamo a diventare inseparabili.
Ma tu rimanevi chiusa nei tuoi silenzi, nei tuoi peccati che non volevi confessare.
Ho fatto diciott'anni e abbiamo perso nonno. Non volevo festeggiare per non dare un dispiacere a papà, ma tu mi dicessi che nonno voleva che facessi la festa e in una settimana abbiamo organizzato tutto.
Ed io che sono sempre stata, e lo sono ancora, una perfezionista e maniaca del controllo volevo che tutto fosse come avevo pensato, e tu, con una pazienza assurda, vestita dei tuoi silenzi hai fatto tutto come speravo, stando attenta ai minimi dettagli.
E nonostante gli alti e bassi, è stato perfetto. Perché tu eri lì con me.
Dopo poco mi sono fidanzata e tu eri più felice di me, sapendo i retroscena che avevo avuto in passato con altri ragazzi.
Lui ti piaceva, me lo avevi detto subito.
Dicevi che era un buon amico e molto gentile, che sapeva ascoltare.
E, di fatti, grazie a lui i tuoi silenzi iniziarono a crepitare.
Dovevo ammettere che all'inizio ne ero un po' gelosa, stavo lottando per far sciogliere quel ghiaccio che avevi costruito intorno alla tua anima. Sapevo che se lo avevi costruito era anche per colpa mia, della me vecchia che non potrò mai perdonare per quello che ti ha fatto, ma cercavo il tuo di perdono, e quella strada mi sembrava giusto.
Ti avevo portato via la voce, ora dovevo solo aiutarti a ritrovarla.
Però lui ti faceva bene, ti ascoltava e finalmente tu iniziavi a regalarci un po' di te, ed era meraviglioso.
E se negli occhi delle serrande si stenderanno e io sparirò
L'ultimo soffio di fiato darà la voce
A quella che è l'unica cosa più viva di me
Voglio che viva a cent'anni da me
Perché in giro mi chiedon di me
E mi chiedo di te anch'io
Lavoravamo al bar con i nostri genitori per dare una mano come potevamo. Avevo dato l'esame di maturità e tu eri al tuo penultimo anno.
Era estate e se tutti gli altri ragazzi uscivano o andavano al mare, noi stavamo a lavorare, sudate marcie a fumare sigarette e bere Estathè.
Non ricordo come uscì fuori di mettere una serata con musica latina per attirare più clienti e allora si decise alla svelta: io mi sarei dovuta occupare dell'intero servizio come neanche un maître di sala avrebbe potuto, tu ti saresti occupata di una sezione di tavoli, nostra cugina di un'altra, il mio lui avrebbe fatto il barman, zia alla caffetteria, mamma al bancone e zio e papà in cucina.
Alla fine io occupavo della servita e tu ballavi il reggeaton in mezzo alla sala.
Mi arrabbiavo, ti chiamavo e tu ti giravi verso di me e ridevi, ridevi tanto e forte ed eri felice ed io lo ero con te.
Dove sei finita, amore?
Come non ci sei più
E ti dico che mi manchi
Se vuoi ti dico cosa mi manca
Adesso che non ci sono più
Adesso che ridono di me
Adesso che non ci sei più
Era passato un anno.
Lavoravo tanto, dove potevo.
Aiutavo i nostri genitori al bar, lavoravo in fabbrica e poi come cameriera.
Tu invece studiavi come un'ossessa. Ti dividevi tra danza e temi di italiano e ti prendevo in giro chiamandoti Leopardi per il tuo studio matto e disperatissimo.
Mi guardavi male, ti innervosivi e mi dicevi di andarmene che avevi bisogno di concentrarti e volevi silenzio.
Tu che del silenzio avevi rivestito le tue pareti.
Avevo un po' di soldi, stavo ancora con quel ragazzo, quello che ti piaceva e ti faceva parlare, mi propose un viaggio in Spagna. Volevo andare, ma non avevo mai lasciato il nido e mamma aveva paura che con la mia allergia e nessuno presente sarei potuta stare male.
E poi arrivasti tu, la convincesti con quel tuo modo caparbio e testardo e bellissimo e allora partì.
Mi sono divertita tantissimo, e ti devo ringraziare anche per questo.
Tirava un vento assurdo quella sera sulla terrazza di casa, eravamo arrotolate in una coperta testa e fumavano con solo la luce della luna.
Mi stavi spiegando perché amassi cosi tanto la luna, quando io preferivo le stelle.
Sempre gli opposti io e te, ma la verità è che una non brillerebbe mai senza l'altra, e viceversa.
Mi hai chiesto perché facessi tre lavori, perché mi spaccassi la schiena per i soldi.
E ti dissi che avrei voluto andarmene. Lontano. Magari un giorno non troppo distante da quello.
Perché sognavo una vita diversa, una storia diversa da quella che sembrava essere scritta per me.
Mi guardassi in silenzio, poi tornasti a fumare.
Ti chiesi perché studiavi come un'ossessa.
E mi dicesti che volevi andare all'università. Volevi imparare tutto quello che c'era da sapere sul mondo. E non mi dicesti altro.
Ed io capì che volevi imparare di un mondo diverso da quello che avevi conosciuto.
Non so se
Ti ricordi di me
Quanto bello abbracciarmi
Per sentirti un po' a casa
Sarà bello abbracciarti
Dirti: "Mi sei mancata"
In un bosco di me
C'è un rumore incessante
E lo faccio da parte
Tu sei la mia voce
Era il giorno del tuo esame di maturità e io, con mamma e nostra cugina, eravamo a farti compagnia.
Ormai sapevamo la tua tesina a memoria, era bellissima e ci avevi lavorato con cosi tanta passione che non si poteva non sentire. L'avevamo ascoltata mille e mille volte e l'avremo ascoltata altre mille se ce lo avessi chiesto.
Tremavi, ti eri fumata già tre sigarette e stavi per accendere la quarta quando chiamarono il tuo nome.
Ti si allargarono gli occhi, mi guardasti piena d'ansia ed io ti presi la mano, ti guardai e cercai di darti tutto il coraggio che ti serviva.
"Sono qui."
E tu hai stretto la mia mano più forte.
Fortunatamente l'esame era a porte aperte ed io e nostra cugina ci potemmo sedere d'entro l'aula con te, sotto tua richiesta, mamma invece aspettò fuori.
Dicevi ti metteva troppa ansia deluderla.
Lei ti sorrise e ti disse che non avresti potuto in nessun caso, ma aspettò lo stesso fuori.
Iniziò la prima domanda e sentì il cuore tremare.
Ma tu iniziassi a parlare cosi tanto di tutto quello che sapevi che ad un certo punto i professori non avevano neanche il tempo di porti le domande che tu già avevi risposto, battendoli sul tempo.
Spaziavi su mille argomenti con una d'disinvoltura cosi assurda che, noi due ancora sedute con i pali sudati stretti l'un l'altro, potevamo solo ascoltarti a bocca aperta.
Il bello arrivò quando, come se stessi al bar a conversare con un amico, rilassassi la postura, portassi un braccio dietro di te, poggiandone il gomito allo schienale della sedia e continuasti a parlare tranquillamente di non ricordo quale coreografo, con la stessa facilità di cui si può parlare del tempo.
Io e nostra cugina trattenemmo a stento le risate, che liberammo appena uscimmo da li.
Baby, ne ho fatte
Baby, ne ho fatta di strada
Baby, ti ho cercato in ogni dove
Nelle corde di gente che non conosco
Ma in fondo bastava guardarmi dentro più che attorno
Sei sempre stata in me e non me ne rendevo conto
Un mese dopo la maturità arrivò agosto ed il tuo diciott'anni.
Ti avevo promesso una mega festa, e spero che ti sia piaciuta tanto.
Avevo pensato a tutto, stavo risparmiando da tanto tempo per quell'evento ed ero andata a vendere l'oro che mi era rimasto dal battesimo.
Ti avrei regalato tutto quello che avessi chiesto, qualunque cosa, per te.
E quella sera eri la principessa più bella di tutte le storie.
Dopo quella sera partimmo per il nostro primo viaggio all'estero insieme.
Ormai la mia relazione con quel ragazzo si era consolidata e il vostro rapporto era cresciuto diventando come fratelli di sangue.
Cosi organizzammo un viaggio per tre persone verso Londra.
Dieci giorni di corse e sveglie alle sei.
Il Big Ben, la London Eye, i musei, le strade, gli odori assurdi e il tuo inglese pessimo. E di tantissime foto e risate.
Te lo dissi lì, che alla fine avevo deciso, sarei partita. E che dopo questa vacanza avevo deciso anche l'arrivo.
Mi hai sorriso, mi hai stretto forte la mano e mi hai guardata.
E, alla fine, ho capito, nel tuo silenzio, cosa volevi dirmi.
Era passato un altro anno da quel viaggio.
Da tempo facevo solo un lavoro, anche se il centro di scommesse sportive non era proprio il mio ambiente naturale ci lavoravo bene e lo staff era bello. Avevo finalmente abbastanza soldi.
Alla fine l'ho fatto, sono partita per andare via.
Tu mi hai incoraggiata, sostenuta e aiutata come potevi.
Mamma stava male, non sapevamo cos'avesse ed io non ero certa di volerlo più fare. Tu mi hai guardata, mi hai preso la mano e nel tuo silenzio ho capito, alla fine, che mi stavi promettendo di esserci tu, per lei.
Eri ancora chiusa nei tuoi silenzi, ma stavo imparando a sentirli.
Dove sei finita, amore?
Come non ci sei più
E ti dico che mi manchi
Se vuoi ti dico cosa mi manca
Adesso che non ci sono più
Adesso che ridono di me
Adesso che non ci sei più
Ho iniziato a capire che mi mancavi più di quanto avevo previsto una settimana dopo essere partita.
Era straziante tornare a casa e non trovarti urlare qualcosa sulla religione con mamma o sul Impero Romano con papà.
Era orribile fumarsi una sigaretta all'una di notte senza di te e le nostre chiacchiere su tutto.
Uscire la sera e non andare allo stesso bar, passare il tempo in giro per la città insieme.
Sembrava tutto troppo diverso, lo sapevo, lo avevo messo in conto. Eppure non lo avevo previsto cosi doloroso.
Mi mancavi troppo.
Mi mancherai sempre.
Mi sei sempre mancata.
Non c'eri più nella mia vita di tutti i giorni e le videochiamate erano troppo poco, i messaggi a tutte le ore non bastavano più. Non mi bastava niente.
Avevo bisogno di te.
Avrò sempre bisogno di te.
Ho avuto sempre bisogno di te.
Io so che
Ti ricordi di me
Perché è bello abbracciarmi
Per sentirti un po' a casa
Ti ricordi le notti
Che urlavamo per strada
Ma nel bosco di me
Ora siamo tornate
E per sempre sarà
Che tu sei la mia voce
Erano passati mesi prima che fossi potuta scendere di nuovo in Italia.
All'inizio la nuova vita, il nuovo lavoro, il dover imparare una lingua nuova mi avevano assorbito, poi la scoperta del nuovo virus: il covid-19, e i vari lockdown, non sono potuta partire.
Tornata a casa, esattamente un giorno dopo di te, che eri salita una settimana prima per passarla insieme, mi hai aiutata ad organizzare la sorpresa per mamma e papà, che non sapevano fossi in viaggio verso casa.
Ricordo la prima volta che ti ho rivisto.
Ti ho stretta fortissimo, avendo paura mi scomparissi tra le mani.
Il tuo profumo credevo di averlo dimenticato: sapevi di buono e di casa.
Abbiamo fatto tutto, in quella settimana, tra ristoranti e cultura di giorno e discoteche di notte.
Poi nella settimana in Italia, siamo andate al mare, e a mangiare la mozzarella che da noi è la migliore e io non la mangiavo da troppo tempo.
Era una sera d'estate, faceva caldo e la finestra delle cucina era aperta. C'erano gli zii con nostra cugina e stavamo parlando del più e del meno, tu cazzeggiavi con il telefono e non prestavi attenzione, quando, ad un certo punto, mi hai guardata in modo strana e hai esordito:" Un fotografo mi ha contattata, vuole che faccia da modella per degli scatti."
Non era una cosa poi tanto strana, in realtà.
Non era la prima volta che ti capitava e non eri la prima volta che avresti rifiutato.
"Lui lavora a Londra."
Gli occhi mi brillarono.
Erano giorni che ti parlavo di venirtene da me, che avresti potuto fare tanto, che la vita era migliore, che saremo state insieme.
Tu volevi, so che volevi.
Ma eri titubante, non volevi lasciare mamma sola.
E allora trovavi sempre una scusa nuova.
Ma quella, sarebbe potuta essere una buona opportunità a mio favore, cosi tentai.
Tentammo tutti.
Tentai tutti i giorni, finche' non vinsi.
Ti regalai il biglietto, ero troppo felice.
Poi riparti e questa volta non ero triste, a breve saremo ritornate insieme.
Che noi siamo tornate
E per sempre sarà
Sì, per sempre sarà
Che tu sei la mia voce
Ora sono sei mesi che vivi qui, hai un fidanzato meraviglioso che ti vuole bene e un bel lavoro. La pandemia ti sta dando filo da torcere ma tu resti, resisti. Stringi i denti e mi dici che sei stanca ma stai bene.
Convivi, e anch'io e ci vediamo poco anche per il lavoro che ci occupa troppo tempo ad entrambe.
Ma il primo momento libero ci organizziamo.
Stiamo insieme, ci sentiamo ogni giorno, e mi sei vicina al cuore come sempre.
Tutto questo per dirti che sono felice.
Che mi dispiace, che ho sbagliato tanto con te.
Che non potrò mai perdonarmi ma spero potrai farlo tu, un giorno.
E per dirti, soprattutto, che ora i tuoi silenzi li sento, non devi più urlare.
Per sempre,
La tua sorella maggiore.
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