1. E' solo uno scherzo di cattivo gusto
«Io... credo... che abbiamo sbagliato posto.» fu la prima cosa che dissi, fissando il grande castello diroccato di fronte a me e con un braccio reggendomi ad Ayana, come se rischiassi di svenire da un momento all'altro. La governante mi avvolse le spalle, consapevole che se non mi avesse sorretto e tenuto stretto, mi sarei ritrovato a terra.
Quello era un posto spettrale, non si poteva definire in altro modo. Avrebbe potuto trovarsi tranquillamente in una delle storie d'orrore che io e i miei fratelli ci raccontavamo per metterci paura, quando eravamo piccoli.
Era cupo, fatiscente, mastodontico. Il palazzo era una bestia di pietra grigia, sicuramente annerita dal tempo e dalle intemperie, con vari torrioni spioventi, uno dei quali era mezzo crollato. A circondarlo c'erano cinta murarie merlate e un grosso cancello nero di ferro battuto, dalle punte acuminate. Chissà quanti poveri uccellini dovevano esserci rimasti infilzati!
«Non è questo. Non può essere questo il Palazzo Reale, ci siamo sicuramente sbagliati!» esclamai, lanciando prima un'occhiata di suppliche ad Ayana, che si strinse nelle spalle, impotente. Poi osservai disperato le guardie di Samarcanda, che invece aprirono il cancello senza nemmeno guardarmi. Maledetti bestioni senz'anima!
Feci per girarmi e tornare nella carrozza, ma una guardia si parò davanti allo sportello, fissandomi con un'occhiata perentoria. «Dovete proseguire oltre il cancello, Altezza.» tuonò, non concludendo prima di aver detto le parole magiche: «Ordini della Regina di Smeraldo.»
Gli lanciai uno sguardo furente. «Bene! Andatevene al diavolo allora! E con voi pure la Regina!» ringhiai. «Andiamo, Ayana!» Girai i tacchi e mi avviai impettito verso il cancello, che superai ad socchiusi, con un'espressione da Gran Signore Offeso. La donnona coi capelli a porcospino mi seguì dandomi qualche colpetto d'incoraggiamento sulla schiena.
Avevamo fatto solo due passi all'interno del giardino, quando mi pentii amaramente. Difficile immaginarsi come potesse essere un tempo: il grande prato era secco, beige e marrone, un'imponente fontana di pietra con chissà quale statuetta sulla cima era sfracellata. Chi o cosa poteva essere stato in grado di fare una cosa del genere? Un terremoto?
I cespugli si ergevano alti, incolti e spinosi, solo un mucchio di rovi e di sterpaglie. Da lontano, potevo notare che un lato delle mura aveva ceduto ed era precipitato oltre il burrone su cui l'intero castello affacciava. Sotto, il mare. L'idea di abitare su di esso, per me, sarebbe stata grande fonte di gioia... Ma quel mare sembrava nero, scuro, forse per colpa delle nuvole o del tenebroso palazzo a guardia di Vonya.
«No! No, non intendevo dire questo! Mi scuso!» esclamai, alzando parecchio la voce per farmi sentire dalla guardia che avevo appena mandato al diavolo. Corsi verso il punto da cui ero arrivato, uscendo nuovamente dal cancello. «Riportatemi a casa!» implorai.
Solo allora mi accorsi che la carrozza era appena partita e, lì davanti, sostavano solo un mucchio di valigie. Mi gettai all'inseguimento del vetturino, perché forse sarei riuscito a raggiungerlo... «Aspettate! E' un ordine!» urlai dietro, ma dopo qualche metro mi ritrovai piegato in due ad ansimare. «ASP...ETTATE... PER L'AMOR... DEGLI SPIRITI!» gridai, riprendendo fiato.
Ma ormai la carrozza era lontana.
Caddi sulle ginocchia, facendomi male sulla ghiaia appuntita. «Non è possibile che mi abbiano abbandonato qui...» piagnucolai, coprendomi la faccia fra le mani. Era una tragedia da cui ne sarei uscito solo grazie ad un miracolo.
«Forza, principe Taro.» Dita gentili mi si posarono sulle spalle, accarezzandole piano. «Vi siete formato da solo, a Samarcanda. Qui non sarà diverso.» sussurrò Ayana, in piedi dietro di me.
«Aya...» mugugnai, con le lacrime agli occhi, mentre lei mi aiutava ad alzarmi. Mi gettai contro il suo petto morbido e prorompente e scoppiai a piangere come un bambino. L'avevo detto che avevo la lacrima facile... «Mi manca casa! Voglio tornare a Samarcanda, non voglio stare qui! Odio già questo stupido posto!»
«Coraggio, coraggio. Non fate il bambino.» mi rassicurò dolcemente, allontanandomi quel tanto necessario per asciugarmi le lacrime. «Andrà tutto bene. Adesso fate un bel respiro, raddrizzate la postura e andiamo. Sono sicura che in molti vi stiano aspettando.»
«Sì, sì, hai ragione.» Sospirai, asciugando le ciglia bagnate con le dita. Mi prese sottobraccio e mi accompagnò verso il cancello. Era una fortuna che avessi almeno lei.
«I bagagli lasciamoli qui, manderemo un servo a prenderli.» aggiunse ed io annuii, guardandomi mestamente la punta delle scarpe: non volevo guardare di nuovo l'orrendo spettacolo che era quel giardino.
Raggiungemmo la scalinata che anticipava l'imponente portone d'ingresso, vecchio e corroso dal tempo. Era chiuso. Alzai il naso, perplesso.
«Ehi, Aya... Dov'è il tappeto rosso, la fila di domestici e la corte?» Mi girai a guardarla, gelato. «Dov'è il mio corteo di benvenuto?»
L'ottimismo della mia governante vacillò. Aggrottò la fronte, fissando l'uscio chiuso, poi mi rivolse un sorriso forzato. «Forse saranno dentro! Fa freddo, qua fuori!» Nei suoi occhi leggevo il profondo dubbio. Nemmeno lei ci credeva.
«Sì. Forse saranno dentro.» replicai, stringendo le labbra. Salimmo ogni gradino con il cuore in gola e, mentre ci avvicinavamo, la mia angoscia aumentava. C'era qualcosa di troppo strano.
Lo sapevo bene che Vonya aveva problemi economici, ma il palazzo era completamente ridotto in rovina. E dov'era tutta la gente? Qualsiasi corte sarebbe venuta a vedere chi fosse il consorte del Re, che fosse per educazione o per semplice curiosità. Forse si erano solo dimenticati del mio arrivo, che era comunque strano.
«Oh! Non è chiuso!» esclamò Aya, come se fosse una buona notizia, spingendo il palmo sul portone. Mi lanciò un'occhiata per assicurarsi che fossi pronto ed io annuii. Quindi spalancò l'ingresso.
Si innalzò una zaffata di polvere che ci fece tossire entrambi. Sfarfallai le palpebre, abituandomi alla differenza di luce: la penombra oscura era peggiorata da pesanti tende di velluto davanti a tutte le finestre. L'enorme salone d'ingresso era padroneggiato da una scala di legno centrale, che saliva verso il piano superiore e si diramava su due corridoi differenti, con ampie balconate. Pareti con intarsi mezzi crollati, parquet e mosaici pieni di calcinacci, fili di ragnatele e affreschi quasi completamente coperti dalla polvere sui soffitti.
Era tutto maestoso e spettrale, un posto in rovina in cui non avrei mai vissuto, se non sotto costrizione. Mentre mi guardavo intorno a bocca aperta, costernato dal caos che mi circondava, ebbi l'impressione di scorgere un'ombra scura all'angolo del corridoio, al primo piano, poco dopo il corrimano delle scale.
«Taro Okoro da Samarcanda.» la voce stridula di una donna mi fece sobbalzare. Abbassai lo sguardo e vidi apparire, dalla porta ad arco al fianco delle scale, una signora con un candelabro in mano, affiancata da un altro figuro. «Sei in ritardo di diversi giorni.»
Lei non era giovane, ma aveva quell'età imprecisata che non la rendeva esattamente anziana. Alta, magra e secca; pallida, con una crocchia nera tiratissima sulla testa e un vestito scuro che le penzolava addosso come uno straccio, era inquietante come un fantasma. Per non parlare dei dentoni da castoro che le spuntavano dal labbro superiore... Una mannara, probabilmente.
Al suo fianco, c'era un signorotto molto più basso di me - e quindi tanto basso - in panciotto blu notte e pantaloni a costine, brizzolato, con lucide guanciotte rosse e due paia di orecchie da lepre in testa. Reggeva anche lui un candelabro a bracci, con un'espressione imperscrutabile, vagamente sottomessa.
«Come vi permettete di mettervi a tu per tu con Vostra Altezza?!» li rimproverò Ayana, stringendo le balze del gonnellone pesante che indossava. Prima che potessero rispondere, intervenni.
«Finalmente, della servitù!» Ero lieto di vedere una traccia di vita in quel postaccio. «Dov'è il resto di voi? C'è parecchia polvere quaggiù!» esclamai, storcendo il nasino. «E, oh, dovreste mandare qualcuno a prendere i nostri bagagli, sono rimasti al cancello, dove mi aspettavo che foste ad aspettarmi, come cortesia comanda.» rimbrottai, continuando a parlare senza fermarmi. «Quando si degnerà qualcuno della corte a farsi vedere? E' un mortorio!» Mi gettai da sopra ad una spalla la treccia con aria vezzosa. «Spero che la vasca da bagno sia già riscaldata. Consumerò i pasti dopo essermi lavato.»
«Il principe ha un accurato regime dietetico che segue ossequiosamente, vi posso consegnare la pergamena in un-» Ayana stava già rovistando nell'unica borsa che si era portata dietro, ma venne interrotta da uno scoppio di risa.
I due domestici si erano vicendevolmente guardati e si erano improvvisamente messi a ridere. Battei le palpebre, destabilizzato da quella reazione imprevedibile. Lanciai un'occhiata alla mia governante, che sembrava allibita quanto me. Al punto che aveva iniziato a cacciare fuori aculei dalle guance.
Una cosa che faceva spesso quando era angosciata: era una mannara porcospina, in fondo. Uno dei vari motivi per cui la chiamavo Porcospino quando ero piccolo... Non originale, ma era divertente prendere in giro le sue buffe pettinature e vederla cacciare fuori gli aculei per disperazione!
«Che cosa c'è di tanto divertente? E' strano che io abbia una dieta personalizzata?!» esclamai, offeso. Quelli risero ancora più forte, al punto che mi vennero le guance rosse. «MA INSOMMA!» Picchiai un piede contro il pavimento e finalmente la spilungona tornò ad un barlume di serietà.
«Sei solo un omega e ti comporti come il padrone di casa.» Fece un passo avanti, troneggiando su di me con un'espressione minacciosa. «Non c'è nessuna corte. Non ci sono altri servitori. Non avrai un bagno caldo ed è meglio che ti prepari all'idea che se vuoi mangiare e vivere in un bel posto, allora dovrai cucinare e pulire tu.» Forse era solo uno scherzo. Solo uno scherzo di cattivo gusto.
Capii, tuttavia, che non stava scherzando quando disse l'ultima terribile frase prima del mio crollo emotivo: «Dalle tue parti sarai anche un principe, ma qui gli Omega non sono niente.»
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro