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26: Uno Scambio Equo

A/N: questo capitolo è dedicato alla dolcissima SofiaCraia98, che mi ha aiutato a migliorare le descrizioni (fino a qualche settimana non avevo idea di cosa fosse un "loculo") ed è stata sempre al mio fianco per sostenermi durante la stesura di questo calvario; e a Lou_Marie_Allie, che ha aspettato questo capitolo quanto Ophelia aspetterebbe il nuovo film di Saw.
Buona lettura!

A/N2: come al solito Wattpad non mi ha trasposto il corsivo dal documento Word, rip.

TW: Violenza fisica e psicologica.


Forse affidarmi al destino non era stata una buona idea. Com’era, già? Non si accettano caramelle dagli sconosciuti e non ci si deve fidare dei pseudo segni del destino?

    La cripta di Nessdoom era più o meno spaventosa quanto le segrete del castello del Conte Dracula. Certo, era dotata di un sistema di illuminazione più efficiente, ma questo provava che a Nessdoom il sovrannaturale esisteva. Della Transilvania non ne ero certo. 

    Ero disceso nelle profondità della cripta seguendo una scalinata a chiocciola; i gradini erano fradici di umidità secolare – e cos’altro avrei potuto aspettarmi, con la sempiterna nebbia di Nessdoom? – e il bagliore innaturale emesso dalle fiaccole faceva sfavillare le irremovibili chiazze d’acqua.

    Terminate le scale, mi ritrovai in una vasta sala disseminata da file regolari di colonne che si dividevano in coppie di arcate che sorreggevano il soffitto, a pochi metri dalla mia testa; le mura erano delineate da torce che gettavano danze di ombre sul pavimento e sulle colonne, troppo poca luce per diradare completamente l’oscurità che permeava la cripta. Sotto i miei piedi si estendeva una lunga grata che attraversava due file di colonne fino giungere al lato opposto della sala, percorrendo una distanza diverse decine di metri; al di là delle sue fessure c’era solo nero e buio, da cui proveniva lo scroscio di un flusso d’acqua, non più rumoroso del gorgoglio di un ruscello – ma abbastanza da impedirmi di udire cosa si diceva il gruppetto di streghe e stregoni in fondo alla sala, riuniti attorno a quello che pareva un altare. 

    Un odore antico permeava l’aria rarefatta di quella camera mortuaria – odore di morte secolare, rinchiusa nelle centinaia di loculi granitici che fungevano da giacigli per le spoglie dei discendenti delle famiglie fondatrici di Nessdoom da più di trecento anni.  

    Tanto per una volta, e quando più ne avevo bisogno, riuscii a muovermi silenzioso come un fantasma, camminando al fianco dei piloni dell’ala ovest, dove la luce delle fiaccole non sopraggiungeva. Ultimamente, le tenebre sembravano essere schierate dalla mia parte, sempre pronte a nascondermi da Violet – e da quel pugnale troppo affilato per essere un gadget di qualche fandom high fantasy.

    Mi fermai quando raggiunsi l’ultimo dei pilastri e mi nascosi dietro di esso, aderendo il mio corpo all’umida roccia mal levigata. La distanza che mi separava da Violet e i suoi seguaci era minima, niente più che una manciata di passi, e riuscii a sentirla dire: «Dai, cosa sono queste facce da funerale? Stiamo per scoprire chi è il killer, almeno fingete un po’ di entusiasmo!».

    «Cristo, Violet, siamo di fronte a un cadavere, quale altra faccia dovremmo fare, se non una da funerale?», disse Cynthia. 

    «Bella, questa. Sicuramente migliore delle battute di Florian».

    Per un attimo mi manco il respiro, e senza pensarci due volte sporsi mezza testa oltre il pilastro di pietra. Oh, ecco da dove proveniva il tanfo di morte… e di decomposizione.

    Sull’altare, non più grande del tavolo da cucina di casa mia, era riposta una salma. Blythe aveva ragione: i cadaveri non sono affatto carini, specialmente se hanno le pelle verdognola, le guance scavate fino all’osso e le dita scheletriche come quello che stavo guardando. Sul cranio erano rimaste poche fortunate ciocche di capelli, filamenti argentei adagiati su un alto colletto di pizzo di una semplice tunica nera, adornato da perline bianche. 

    La lastra di uno dei loculi situati accanto all’angolo di quella vasta cripta era ridotta in frammenti riversati sul pavimento, come se fosse stata fatta esplodere con della dinamite… Violet riusciva a evocare il fuoco dal nulla, ma cos’altro era in grado di fare?

    «Non era una battuta», sospirò Cynthia. «Ma dobbiamo proprio giocare a Viktor Frankenstein? Tanto sappiamo già chi è, anzi, chi sono i responsabili di queste morti».

    «Non lo so, Cynthia, i miei genitori mi hanno detto che loro si nutrono in maniera tradizionale, per quelli come loro, non…», Clover deglutì, «… tagliano». 

    «Stavolta mi tocca convenire con i genitori di Clover», disse Violet, con una canna spenta incastonata tra le labbra, mentre armeggiava con l’accendino da cui schioccavano scintille troppo flebili per accenderla. «i Winter sono troppo snob per assalire gente nei boschi e tagliar loro la gola per bere il sangue… anche se di Bartholomew non posso esserne certa. Quel tizio è fottutamente inquietante... Oh, cazzo, accenditi!».

    L’estremità della cartina prese fuoco dal nulla, come se fosse stata accesa da un accendino invisibile, e l’olezzo di carne putrefatta venne ricoperto dall’odore di marijuana – il male minore. Lo annusai a pieni di polmoni per cancellare dal palato l’alido sapore di morte. 

    «Ho dei fiammiferi con me», disse Clover, in tono incerto. «Avresti potuto chiedermeli».

    «Così è più divertente».

    «Violet ha ragione», disse Florian, «tutto sommato, i Winter si stanno comportando bene, perlomeno non hanno infranto la Tregua: non si sono mai nutriti a Nessdoom, di questo dobbiamo dargliene atto». 

    «Già, e quando vogliono nutrirsi di abitanti di Nessdoom, li portano fuori dai confini, magari in lussuose camere d’hotel a Portland, come fanno Louis e Hazel», continuò Violet. «Blythe almeno ha la decenza di mangiare soltanto forestieri». 

    «Ti ho vista, la sera del falò, quando hai saputo che Timothy è andato a letto con quei due», disse Florian. «Per un attimo hai pensato che avessero infranto la Tregua, vero?».

    Violet annuì, pensierosa. «Hanno trovato un modo per aggirarla ed evitare di scatenare una guerra civile. Peccato: incenerire Blythe Winter è nella mia lista delle Cose-Da-Fare-Prima-Di-Morire… subito dopo Narcissa». 

     «Forse ne avrai l’occasione prima che te l’aspetti, Blythe mica ronza sempre attorno a Langdon?», disse Florian. 

    «Cosa? Ma Langdon sta assieme alla sorella di Ophelia, nemmeno Blythe sarebbe così sfacciata da…».

    «No, no, non Joseph», Violet interruppe Clover con un gesto brusco della mano, «ma suo fratello, Aiden Langdon, un insopportabile nerd so-tutto-io – Dio, mi irrita anche solo pensarci. Si è trasferito qua da poco e credo che si sia già preso una cotta Blythe. Ma la sua anima è ancora intatta, non si è nutrita di lui», fece un lungo tirò dalla canna, «per il momento». 

    Cynthia mimò uno sbadiglio plateale. «Okay, molto entusiasmante, ma adesso basta gossip nessdoomniano. Che cazzo, chi se ne frega di chi va a letto con chi e di chi succhia l’anima a chi?». 

    «L’anima non è l’unica cosa che viene succhiata», sghignazzò Florian. 

    «Forse è ora di dedicarci alla nostra amichetta». Violet avvicinò il viso a una distanza spaventosamente vicina a quello della donna che giaceva sull’altare, quasi fosse l’angelo della morte che stava concedendo l’ultimo bacio a un moribondo. Avvinghiò le dita tra il colletto imperlato e lo abbassò con un movimento secco, rivelando una cucitura che attraversava la gola verdastra da un orecchio all’altro. «Poppy Whitespoon, l’unica dei cadaveri qui presenti a non avere ancora il cervello totalmente decomposto e mangiato dai vermi e, con un po’ di fortuna, in grado di ricordare com’è morta».

    «E chi l’ha uccisa. O cosa», disse Florian.

    «Poppy era quasi cieca, probabilmente non sapeva nemmeno di trovarsi nel bosco, figuriamoci se ha visto chi l’ha uccisa», sospirò Cynthia. «Non è meglio lasciarla così com’è, a riposare?». 

    «Se, come credi, è stata uccisa da un Winter, allora non sta riposando: la pace non viene concessa a coloro a cui viene divorata l’anima. Per loro non c’è nessun Aldilà, soltanto il Nulla», disse Violet. «Magari ci ringrazierà per averle dato una pausa dalla noia eterna, seppur sotto forma di zombie, ma è pur sempre meglio che niente, vero, Poppy?». 

    Il silenzio calò sulla sala, nessuno proferì parola – soprattutto Poppy. 

    Senza che me ne rendessi conto, anche il mio nome stava finendo sulla bocca dei nessdomniani alla mercé del loro intrattenimento e dei loro pregiudizi da provinciali. Un nerd so-tutto-io? Seriamente?

    Be’, se fosse giunta alle orecchie di Violet la voce che ero incappato nel corpo di un certo “forestiero” e che avevo rubato i suoi effetti personali, e li avevo consegnati alla sua acerrima nemica, avrebbe speso parole molto meno lusinghiere nei miei confronti. 

    Violet spense la canna strofinando il mozzicone a uno dei lati dell’altare, decorato da rune a forme spirali, e un fiotto di scintille cascò per terra, nel buio della grata; il mozzicone fece la stessa fine. 

    «Era proprio necessario fumare quella roba qui?», sbottò Cynthia. «Lo so che non te ne frega nulla dei vivi, ma almeno potresti portare un po’ di rispetto ai morti».

    «Mi aiuta a concentrarmi», Violet fece spallucce, «e la necromanzia richiede molta concentrazione». 

    «Malefica, ora che ci penso, mi sa che il tuo piano diabolico abbia una falla», disse Cynthia, sistemandosi il vistoso cappello da strega, e Clover voltò immediatamente la testa verso di lei.

    «Ah, perché, tu pensi?».

    «Una volta che avremo riportato Poppy in vita, come farà a dirci chi l’ha uccisa, visto che, sai, la sua gola non è esattamente in un bello stato? È risaputo che non sei una cima in biologia, e in qualsiasi altra disciplina richieda un briciolo di materia grigia, ma per parlare sono necessarie le corde vocali».

    «Io…».

    «Nel caso tu non lo sappia, la materia grigia è il cervello».

    «Proprio per questo ho portato con me carta e penna», intervenne Florian, salvando Violet da quell’istante di esitazione. Aprì la lampo della borsa a tracolla e poggiò accanto alle gambe di Poppy un bloc-notes e un paio di matite. «Sono o non sono il miglior fidanzato più premuroso che esista?».

    «Siamo sicuri che questa vecchia stronza sappia scrivere?», chiese Violet, facendo una smorfia. 

    «Che c’è, ti brucia ancora che Poppy si faceva tuo padre?», disse Cynthia, sogghignante. 

    «Esatto, mi brucia ancora, quindi non ti conviene giocare con il fuoco», sibilò Violet. Le fiamme delle fiaccole presero a crepitare violentemente, quasi avessero assimilato la rabbia di Violet. E forse era davvero così. «Comunque ero rimasta che i gossip nessdoomiani non ti interessassero».

    «Per quelli che coinvolgono la famiglia della discendente di Senzanome posso fare un’eccezione», disse Cynthia. «”Wollenstonecraft” dovrebbe essere inserito nel dizionario nella voce dei sinonimi di “tradimento”, “codardia”, “menzogna” e… ah, sì, anche di “alcolismo”». 

    «Cynthia, adesso basta», disse Florian, perentorio. 

    «Se la tua ragazza ha qualcosa da dirmi può benissimo farlo lei, non ha bisogno che il cavalier Florian corra sempre in suo soccorso». 

    Violet prese a respirare profondamente, con la testa rivolta il basso e il viso nascosto dai capelli. «Calma, Violet… Non ucciderla…», mormorò tra sé e sé, le fiamme smisero di vacillare e si stabilizzarono, scoppiettando a ritmo regolare. 

    Infine alzò la testa e parlò in tono risoluto, inflessibile: «Per effettuare l’incantesimo di resurrezione è necessario molto Potere, più di quanto io ne disponga e gli Antenati siano disposti a concedermi, per questo mi serve il vostro aiuto. 

    Per prima cosa, creeremo un legame tra di noi, cosicché possiate canalizzare il vostro Potere in me. 

    In seguito stabiliremo un ponte tra il Potere e Poppy, che userò per indirizzare a mia volta il Potere in lei. Sarà come un’iniezione di adrenalina magica, abbastanza forte per riportarla in vita il tempo necessario per farle un paio di domande – e per vedere se sa scrivere –, e prima che le venga voglia di carne umana la rispedirò nell’Aldilà… o nel Nulla. Avete domande?».

    «Sì, Malefica, io ne ho una», disse Cynthia, e per una volta nella sua voce non c’era traccia di sarcasmo. «Pensi che siamo stupidi oppure idioti?».

    «Entrambi, ma come mai ti è sorta questa curiosità proprio ora?».

    «La maggior parte delle formule di incantesimi necromantici sono state scritte dalla mia famiglia, quindi so benissimo che costruire un legame magico per canalizzare il nostro Potere dentro di te è un passaggio superfluo: canalizzarlo tutti contemporaneamente verso Poppy sarebbe più semplice e rapido, e questo lo sai benissimo anche te».  

    «Che cosa vorresti insinuare?».

    «Che a te non importa nulla di riportare indietro Poppy per fare luce sulla sua morte, e su quella delle altre vittime. Tu vuoi soltanto più Potere, il nostro». 

    Violet sorrise. «Ti hanno mai detto che sei paranoica? Forse interrompere le sedute dal dottor Hillson non è stata una buona idea, stai diventando pazza».

    «Non vado più dal dottor Hillson perché è stato ucciso anche lui, testa di cazzo che non sei altro!».

    Improvvisamente la temperatura si abbassò e venni scosso da una serie di brividi; il mio alito si condensò e le lenti degli occhiali si appannarono. Mi strinsi nelle braccia per proteggermi da quell’inverno sovrannaturale, trattenendomi dal battere i denti. 

    «Ah, già, mi sembra che, al club di poesia, il bibliotecario abbia accennato che suo fratello non ha fatto una bella fine. Vabbè, succede, una delle tante disgrazie della vita», sospirò Violet. «Ma, Cynthia, se tu tenessi veramente alla memoria del dottor Hillson, non ti faresti scrupoli a far fluire in me un po’ del tuo Potere. Fallo per lui, non per me».

    «Ma perché?». 

    «Chi lo sa, magari perché non voglio che portiate il fardello di praticare magia nera in prima persona, preferisco lasciare il lavoro sporco tutto per me… Così, una volta che gli Anziani scopriranno che abbiamo violato le regole, ci sarà la piccola possibilità che vi risparmino e mettano al rogo soltanto la sottoscritta».

    «Violet Wollenstonecraft, una martire incompresa…Certo, come no». Il freddo si placò, e la  

temperatura salì con la stessa velocità con cui era scesa. 

    Offrì la mano a Violet, sopra il petto della salma di Poppy. «A te l’onore».

    «Sarà rapido…», Violet prese la mano di Cynthia nella sua e fece scorrere la lama sul palmo, «…ma non indolore».

    La mano di Cynthia si colorò in fretta di liquido carminio, e, invece che tamponare l’emorragia, la lasciò sospesa a mezz’aria lasciando che il sangue colasse sulla tunica di Poppy.

    «Questo è per avermi ricordato cos’ha fatto quella stronza di Poppy», disse Violet. Anche lei eseguì quel macabro sacrificio di sangue sulla propria mano, ma si limitò a puntellare il suo palmo con la punta del pugnale con un gesto cerimonioso. «E comunque gli ha fatto bere un filtro d’amore». 

    «Malefica, ma ogni mattina, dopo che ti svegli, vai in bagno e reciti ad alta voce “specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bugiarda della congrega”?», disse Cynthia a denti stretti. Neppure un’emorragia le impediva di mortificare Violet.

    «Stai zitta un secondo e lascia fluire il tuo Potere, non abbiamo tutta la notte». Violet strinse la mano di Cynthia e presto le loro dita si intrisero di sangue, e dalla pressione generata dalla stretta altra linfa vitale zampillò sulla salma. Qualsiasi strano rito stessero facendo, sembrava il modo migliore per scambiarsi malattie veneree.

    Le streghe chiusero gli occhi e lo scoppiettare delle fiamme venne sovrastato da un suono alieno, il viscido strisciare di un serpente, condensato in quel sanguinolento intreccio di dita. L’aria si fece pesante, come se fosse carente di ossigeno, e la mia pelle si accapponò, in preda a uno strano formicolio.

    Il viso di Cynthia si tramutò in una maschera di dolore, la fronte era aggrottata e le labbra serrate; infine, dopo attimi di silenziosa agonia, si lasciò sfuggire un gemito. «Basta, Violet!».

    «Oh, non c’è fretta», sogghignò.  

    Cynthia si dimenò come un animale in trappola, cercando di scampare a quella morsa che l’attirava a sé come un magnete, ma i suoi sforzi erano vani. 

    Allora Violet lasciò la mano, e Cynthia venne scaraventata all’indietro di qualche passo, che rimbombarono rumori metallici al di sotto della grata. «Forse ne ho preso un po’ più del previsto, ma non preoccuparti, ne farò tesoro». 

    «Lascia che ti curi», disse Clover, in tono gentile.

    «No!», esclamò Violet. «Non sprecare il tuo Potere per un graffietto, non è nulla che non si possa sistemare con un cerotto».

    «Un cerotto? Mi ci vorranno dei punti!», sbraitò Cynthia, mentre premeva un fazzoletto sulla ferita inferta. Presto ogni lembo del tessuto venne impiastricciato di rosso, cancellando le decorazioni floreali ricamate negli angoli. 

    «Se hai la forza di urlarmi addosso vuol dire che non è nulla di grave, quindi smettila di fare i capricci», la liquidò Violet. «Florian e Clover, è il vostro turno adesso». 

    Violet ripeté il medesimo procedimento con Florian e Clover, ma ambedue le volte venne sparso meno sangue: si limitò a puntellare le loro mani con l’estremità del pugnale, come aveva fatto con la propria.

    Alla fine, quando aveva assorbito anche il Potere dei due ragazzi, gettò la testa all’indietro, l’espressione del suo viso beata e soddisfatta come quella di una tigre che si concedeva un sonnellino ristoratore sotto l’ombra di un baobab, dopo aver divorato un’antilope. 

    «Clover?».

    «Mh?».

    «Tiralo fuori».

    Lo sguardo di Clover si abbassò sulla scatola di cartone che portava sottobraccio. La depositò cautamente sulla grata, si chinò, scomparendo alla mia vista; quando riapparve aveva in braccio un coniglio bianco dagli occhi rosso rubino che roteavano irrequieti nelle orbite, scandagliando l’ambiente, e le orecchie tese all’insù. Sporse il musino in avanti, affondandolo nella tunica di Poppy Whitespoon. «No, Fergus, questo non si mangia», Clover si ritrasse di un passo e gli passò una mano tra il pelo candido. «Fai il bravo, okay? Non sentirai nulla, te lo prometto».

    «Se vuoi lo faccio io», si propose Cynthia, tendendo le mani verso il coniglio, il fazzoletto grondante di sangue attorniato a quella lesa. «Farò tutto io».

    Clover sembrò considerare un attimo la sua offerta, ma poi scosse la testa. «No, devo essere io a farlo. Glielo devo. Credo che sia giusto… così». 

    Violet sbuffò. «Vorrei essere morta anch’io, almeno mi risparmierei questa schifosa scenetta strappalacrime». Porse il pugnale verso Clover, la cui lama rifletteva scintillii carmini al bagliore delle fiaccole e l’elsa abbastanza lunga per essere impugnata con due mani. 

    Clover sbiancò in viso, ma afferrò l’elsa. La contemplò per un momento, quasi fosse ipnotizzato, con le labbra socchiuse. «La lama… non potremmo darle una ripulita, prima?».

    «No, non c’è tempo, dobbiamo creare il ponte adesso».

    Clover posizionò il pugnale sotto la gola del coniglio, che fissava incuriosito, inconsapevole del pericolo che rappresentava quell’oggetto contundente. Esitò, con la mano talmente tremante che quasi aveva assunto vita propria.

    «Dai, cosa aspetti? Fallo!», lo incitò Violet.

    Clover avvicinò di pochi centimetri la lama al coniglio, scossa dagli stessi tremiti che lo assalivano. «Non ci riesco», mormorò.

    «Sono morte delle persone, Clover, e se non scopriamo chi è il responsabile ne moriranno altre! Le vuoi sulla coscienza, è questo che vuoi?», gli urlò dall’altra parte dell’altare. «È solo uno stupido coniglio, dannazione, la sua vita per salvarne altre!».

    Clover chiuse gli occhi e il suo petto venne scosso da una serie di singhiozzi. «Scusami, Fergus, non ti dimenticherò mai…».

    Ma nonostante i suoi buoni propositi, Clover non accennava a compiere il gesto fatale, mantenendo la lama in bilico a pochi centimetri dal pelo del coniglio.

    «I prossimi a morire potrebbero essere i tuoi genitori, e tu ti preoccupi di un coniglio!», insistette Violet. «Potrebbe essere Cynthia, potrei essere io! È questo che mi stai dicendo, Clover, che la mia vita vale meno di quella di un coniglio?».

    «No, ma…».

    «Allora dimostralo! Fallo per i tuoi genitori, per le tue consorelle e i tuoi confratelli!». 

    «Non ce la faccio», tirò su con il naso e posò bruscamente il pugnale sull’altare, «non posso!». 

    Violet sbuffò e tirò un calcio contro l’altare, spazientita. In seguito puntellò i gomiti sulla superficie dell’altare e spostò il suo peso in avanti, come se fosse troppo stanca per reggersi in piedi. «Okay, capisco», mormorò, passandosi le mani sul viso, nei capelli viola, incurante che fossero rapprese di sangue secco. «Non devi farlo per farlo per forza, c’è un’altra soluzione». 

    Gli occhi gonfi di lacrime di Clover si illuminarono: forse c’era speranza per Fergus. O forse si illudeva che in Violet ci fosse una parvenza di misericordia. «Davvero?».

    «Certo», confermò Violet, ma Clover avrebbe dovuto sapere che era dotata della stessa empatia di un sasso. «Lo farò io». Con un paio di movimenti quasi fulminei, impugno l’elsa del pugnale, afferrò le orecchie di Fergus e lo strappò dalle sue braccia. 

    Clover non fece nemmeno in tempo di gridare, che la lama del pugnale era già affondata nella gola del coniglio, e quando Violet la ritrasse sbocciò una rosa sanguinea che macchiò di violenza il pelo niveo. Riusciva soltanto a fissare incredulo la vita che abbandonava sotto forma di un fiotto rosso il suo coniglio, che lottava e si dimenava come per trattenerla, mentre le sue guance si rigavano di lacrime. 

    «Spegnere una vita per accenderne un’altra… Mi pare uno scambio equo», disse Violet, tenendo Fergus sopra il petto di Poppy e lasciando che il sangue sgorgasse sul suo abito, dipingendole il mento di striature rosse. «Certo che è proprio duro a morire, eh?», disse come sdrammatizzare, ma era impossibile riuscire ad alleggerire quella situazione più tragica del finale di Titanic

    Magari non era lei la serial killer che stava seminando terrore a Nessdoom, ma di certo era una psicopatica di prima categoria. 

    «Forse è meglio accelerare i tempi», disse, meditabonda. Mentre una mano teneva Fergus per il ventre, con l’altra afferrò le sue orecchie e fece leva per inarcare il suo collo: ci fu un flebile scricchiolio e il momento successivo Fergus smise di stramazzare e si accasciò tra le sue mani, scosso da spasmi involontari; aveva perso la sua battaglia per la vita e, se esisteva qualcosa che si avvicinava anche lontanamente alla giustizia divina, presto si sarebbe trovato in un luogo migliore di questo mondo – non che ci fosse bisogno di chissà quali criteri specifici, basterebbe soltanto che non ci fosse Violet Wollenstonecraft. 

    «Voilà, è stato più facile del previsto», esclamò Violet, «quasi divertente. Dove lo metto?». 

    «N-n-e-ell-a-a…», singhiozzò Clover, con lo sguardo rivolto verso il basso.

    «Scusami? Non ho capito niente, balbetti persino peggio di quel caso clinico di Aiden Langdon», rise Violet. «Cynthia, tu che frequenti regolarmente i dottori di Nessdoom, sai per caso se il logopedista è ancora vivo?».

    Sentii la rabbia scalpitare nel mio petto, così intensa da poter bruciare tutta la stanza – con o senza Potere. Mi trattenni dall’uscire dal mio nascondiglio per dirne quattro a Violet,  conficcando le unghie nelle mani; il dolore fisico mi distrasse da quello interiore e zittì le risate nascenti di Mark. 

    Cynthia le porse la scatola di cartone, costellate da macchie di sangue sul materiale marrone. «Mettilo qua dentro». Violet lasciò cadere con un tonfo sordo in quella tomba improvvisata il corpo di Fergus. «Non so se ci metteranno al rogo per aver violato le regole», sibilò Cynthia, chiudendo la scatola, «ma so che se che succederà, vederti bruciare sarà un’immensa soddisfazione personale, il momento più bello della mia vita». 

    «Attenta a quello che dici», replicò Violet, «con tutto il Potere che mi scorre nelle vene in questo momento, mi basterebbe uno schiocco di dita per farti esplodere… Inoltre so che i rituali di necromanzia sono più efficaci con un sacrificio umano». 

    «Cosa dico ai miei genitori? Come glielo spiego?», singhiozzò Clover, con le mani tra i capelli.

    «Muoiono persone come mosche e tu ti preoccupi di cosa dire a mammina e papino? Ma che ne so, inventati una balla, di’ loro che è scappato dal recinto, o da ovunque lo tenevate».

    «Fergus stava in casa, con noi».

    «Interessante», fece uno sbadiglio plateale. «Be’, se avete finito di distrarmi con i vostri piagnistei, io proseguirei con il rituale: abbiamo una stronza da riportare in vita».

    Violet diede una rapida occhiata al foglio stropicciato, e mosse le labbra, pronunciando parole silenziose. Annuì tra sé e sé e appoggiò una mano sulla fronte di Poppy e l’altra sul petto, dove c’era il cuore – o quel che ne rimaneva. Respirò profondamente e prese a recitare una litania in francese. Forse Blythe ne avrebbe compreso qualche parola, – o un po’ più di qualche – ma per me erano prive di significato, suoni alieni privi di senso logico.

    Man mano che avanzava nel rituale avevo l’impressione che migliaia di insetti brulicassero sulla mia pelle; il tanfo di morte si intensificava e mi penetrava nelle narici, la mia gola si fece arida. 

    Capii che l’incantesimo era compiuto quando l’ultima parola pronunciata da Violet echeggiò come una campana stonata, e sentii danzare le lettere di quell’incomprensibile parola sulla mia pelle, scacciando via gli insetti.

    «Poppy Whitespoon, io ti invoco dall’Oltretomba!», gridò Violet. «Torna nelle tue spoglie mortali per servire la tua Congrega!».   

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