24: Gli Eredi di Charles Manson
Guardami dall'alto e vedrai in me un pazzo. Guardami dal basso e vedrai in me un dio
Charles Manson
A/N: Nope, non sono morto, semplicemente mi ero dimenticato come tenere in mano una penna. Spero che il prossimo aggiornamento arrivi più presto di questo. Buona lettura!
Non era un caso che nei polizieschi spesso venissero omesse le scene degli appostamenti che precedevano gli inseguimenti: come stavo avendo occasione di sperimentare, nascondere l’auto in un dei posteggi più in disparte e fissare la porta d’entrata della biblioteca aspettando che la nuova sospettata si palesasse era sfiancante, snervante e terribilmente noioso.
Tuttavia mi diede tempo per riflettere… e per biasimarmi di non aver collegato prima i puntini che mi avrebbero portato a sospettare di Violet.
Violet, che odiava Blythe per chissà quale ragione. Violet, che era l’unica persona ad eccezione del sottoscritto ad aver visto Blythe salire in auto con Derek. Violet, che seguiva Blythe per sapere dove e quando colpire – quando Blythe era fuori città, in una strada isolata.
Ma qualcosa non era andato secondo i suoi piani.
Blythe era andata via prima che Violet sopraggiungesse, e allora aveva sfogato la sua frustrazione per essersela lasciata sfuggire su Derek – oppure lo aveva ucciso per sviare i sospetti su Blythe.
Per quanto riguardava la faccia spaventata di Derek, cristallizzata in un urlo perenne… be’, chi non sarebbe terrorizzato se si trovasse di fronte a Violet in preda ad istinti omicidi e con un pugnale in mano?
Ma alcuni conti non tornavano.
Come era riuscita Violet a eliminare tutte quelle persone da sola?
La risposta era semplice quanto spaventosa: non era da sola. Diantha aveva ipotizzato che ci potesse essere un gruppo di psicopatici in città, e forse non era considerazione tanto folle come aveva creduto.
Forse Violet faceva parte di una setta simile a quella fondata da Charles Manson: una banda di psicopatici con il comune obiettivo di uccidere chiunque li capitasse a tiro.
Violet era come Mark e qualsiasi altro bullo sulla faccia della Terra, tormentare gli altri era il suo passatempo preferito e la sofferenza altrui alimentava il suo ego. Ma se a un certo punto si fosse accorta che tormentare psicologicamente le sue vittime non fosse più sufficiente a soddisfare il suo lato sadico che gioiava alla vista di lacrime e cicatrici che straziavano la pelle, e avesse voluto spingersi oltre, togliere alle sue vittime ogni possibilità di rialzarsi e di ricucirsi l’anima che riduceva loro a brandelli – ucciderle?
Ovviamente avevo valutato l’idea di chiamare la centrale di polizia per avvertire che una ragazza se ne andava in giro con un pugnale in borsa proprio quando poche ore prima era stata ritrovata una donna con la gola recisa non molto lontano dal centro abitato. E dato che la polizia aveva fretta a chiudere il caso, sarebbe stata ben lieta di arrestarla.
Era proprio questo che mi tratteneva dall’alzare la cornetta.
Se c’era anche soltanto la più piccola delle possibilità che in realtà Violet fosse innocente e quel pugnale le servisse come accessorio per un cosplay medievale, non potevo permettere che passasse il resto della sua vita dietro le sbarre, per quanto fosse uno scenario confortante.
Inoltre Ophelia ne aveva passate troppe. Sarebbe riuscita a reggere l’arresto di Violet – per mano mia, per di più?
Forse sì, ma io di certo non sarei più riuscito a guardarmi allo sapendo che l’avevo privata della sua migliore amica per dei crimini che magari non aveva commesso.
Senza dubbio in Violet Wollstonecraft risiedeva della malvagità, ma quanta, esattamente?
Dovetti aspettarla finché il sole si ritirò sotto la coltre di montagne. Qualsiasi cosa intendesse fare con quel pugnale, avrebbe agito col favore delle tenebre.
Accese una sigaretta, la fiammella dell’accendino offuscata per via della nebbia, e si guardò attorno con circospezione; quando volse lo sguardo verso la mia auto mi accovacciai sul volante. Ero certo che nell’oscurità dell’abitacolo ero praticamente invisibile, ma se mi avesse sorpreso a spiarla non avrei proprio saputo cosa inventare per giustificarmi. Qualcosa come ho forato una gomma e aspetto che si sistemi da sé mentre aspetto al caldo non sarebbe stato credibile.
Attraversò la zona dei posteggi, raggiunse il marciapiede e si fermò al margine di esso. Allora estrasse il telefono dalla borsa e se lo portò all’orecchio, la sigaretta incastonata tra le labbra mentre parlava. Alla fine di quella breve conversazione fece un cenno di assenso col capo e buttò il telefono nella borsa.
Rimase immobile sul posto con lo sguardo nella direzione della scuola mentre tamburellava la punta di un piede per terra e ispirava lunghe boccate di fumo. Stava aspettando qualcuno, e l’attesa la rendeva nervosa. Be’, era comprensibile, anch’io mi sarei agitato se dei miei complici per commettere un crimine avessero tardato a un appuntamento prestabilito.
Presto la sigaretta fu ridotta a un mozzicone fumante; lo gettò sul marciapiede e lo spiaccicò sotto il piede rigirandolo più volte – più o meno come faceva con i sentimenti altrui.
A un tratto due fasci di luce fendettero la nebbia e l’oscurità, e illuminarono il tratto di strada accanto a Violet.
Un’auto rallentò e si fermò al lato del marciapiede col motore ancora acceso; Violet aprì una delle portiere posteriori e si infilò al suo interno, un piccolo covo buio dove mi era impossibile scorgere un viso o un qualsiasi altro dettaglio. La vettura ripartì, e fu subito nient’altro che una sagoma nera visibile solamente grazie alle luca dei fanali posteriori.
Se la setta di Charles Manson viaggiava sul Black Bus, quella di Violet su una banale utilitaria…
Guidare a Nessdoom era sempre rischioso, e lo era ancora di più con i fari spenti. Però sarebbe stato ancora più pericoloso farmi cogliere in flagrante dalla stessa presunta banda di criminali che stavo inseguendo – fare la stessa fine di Derek, dell’escursionista di stamattina e delle altre vittime non rientrava nei miei piani, allora mi tenni cautamente a una trentina di metri di distanza dalla loro auto per non destare alcun sospetto e mi orientai seguendo a vista i bagliori rossi dei fanali che tralucevano nel grigio sporco.
Dopo aver svoltato due volte, il terreno aveva assunto qualcosa di famigliare: la sua irregolarità faceva sussultare la povera Pinto di mio fratello, e quando le ruote passarono sopra quello che speravo fosse un sasso sobbalzò come spaventata – e un po’ lo fui anch’io, per quel che ne sapevo potevo aver investito un gatto randagio. Mi annotai mentalmente di controllare in seguito se le ruote si fossero sporcate di sangue o se si fosse aggrovigliato un intestino sul paraurti.
Quella strada l’avevo già percorsa il primo giorno della mia permanenza a Nessdoom sotto la guida di Ophelia, e da quelle parti c’era un solo luogo degno di nota.
Il Cimitero delle Famiglie Fondatrici.
Quando scorsi le mura che circoscrivevano il suo perimetro posteggiai l’auto al margine della strada, nascondendola come meglio potevo sotto l’ombra di un albero scheletrico. Percorsi il tratto mancante a piedi, sforzandomi di controllare la frenesia che mi spingeva a muovermi incautamente, con il rischio di essere scoperto.
Davanti al cancello non c’era traccia dell’automobile dei possibili eredi di Charles Manson, ma l’inferriata vibrava come se fosse stata appena sbattuta e la maniglia era ancora reclinata verso il basso, troppo arrugginita per alzarsi da sé: erano indizi lasciati dal loro ingresso nel cimitero. Detective Langdon 1 – Eredi di Charles Manson 0.
Per essere dei serial killer, erano assai sbadati.
Quando afferrai la maniglia del cancello, striata da appiccicosi fili di ragnatela, un brivido mi scosse come se fossi appena uscito da una doccia gelata. Era la paura che si impossessava di me, fetida e viscosa come la ragnatela su cui avevo posato la mano.
C’era la probabilità che se fossi entrato nel cimitero non ne sarei più uscito, se non come salma. Non sapevo cosa volesse fare Violet con quel pugnale, ma di qualsiasi cosa si trattava progettava di farla in segreto, lontana da sguardi indiscreti, altrimenti lei e i suoi sgherri non si sarebbero presi il disturbo di posteggiare l’auto lontano dal cimitero.
Quindi, se Violet mi avesse sorpreso a curiosare tra una lapide e l’altra, temevo che mi avrebbe presentato il suo amichetto affilato. Chissà se Joseph avesse avuto il buonsenso di farmi seppellire a Los Angeles: non mi esaltava l’idea di trascorrere l’eternità a Nessdoom, seppure tre metri sottoterra e coi vermi come unici compagni.
Ma stavano morendo persone innocenti, e se avevo la possibilità di finalmente capire chi stava macchiando quella cittadina con chiazze vermiglie non potevo tirarmi indietro.
Prima di avere ripensamenti spinsi l’inferriata, che si trascinò a fatica sul terreno incolto e piegò sotto il suo passaggio steli d’erba cresciuti a dismisura, finché dal cancello non si librò un latrato metallico. Chiusi gli occhi, stringendo le palpebre fino a farle tremolare, come se servisse a cancellare lo stridio appena prodotto.
«Cos’è stato?».
Mi pietrificai all’istante, con la mano ancora stretta alla maniglia. Quella voce sconosciuta proveniva da molto, molto vicino, da non più di una quindicina di metri, ma la nebbia era talmente fitta che celava qualsiasi cosa oltre la punta del mio naso.
Se non potevo vederli, loro non potevano vedere me.
«Non è nulla, pisciasotto. Quel cancello è più vecchio di Marigold Blake, è normale che cigoli quando soffia il vento».
Quella voce invece la riconobbi: era di Violet, scortese e scorbutica anche in mezzo ai morti.
«E se fosse proprio lei? O un altro degli Anziani?». Chiunque stava parlando, sembrava spaventato quanto me.
«Ti prego, Clover, non rendere tutto più difficile di quanto lo sia già», sospirò Violet.
«Violet ha ragione», disse Florian, e come al solito il suo tono era quello di un domatore che si giocava la carta dell’accondiscendenza per placare una bestia feroce, «prima facciamo questa cosa prima possiamo tornare a casa e dimenticarcene».
«Sempre che gli Anziani non ci scoprano. Mia madre dice che i corvi sono i loro occhi e le loro orecchie, vedono e sentono tutto ciò che succede a Nessdoom e poi glielo riferiscono…».
«Senza offesa, Clover, ma tua madre crede persino che i Winter non rappresentino una minaccia, quindi faresti meglio a non berti tutto ciò che ti racconta», disse Violet. «E, per la cronaca, non ho mai visto mio nonno parlare con un corvo. Nemmeno gli Anziani hanno il potere di controllare gli animali».
«Però mentre spii Blythe Winter a volte la vedi parlare con i corvi», disse una quarta voce, con tono di scherno. «Forse lei riesce a comunicare con loro… o con le serpi come te».
«Non la sto spiando, cretina, ma la sto solo tenendo d’occhio, mi accerto che lei o gli altri Winter non rompano la Tregua. Non mi piace, anzi, detesto profondamente stare appiccicata al fondoschiena di quella pazza che parla con i corvi, e a momenti anche con i libri, ma almeno io seguo gli ordini chi sta sopra di me». Violet fece una breve pausa, poi continuò: «Come dovresti fare tu, Cynthia Duval. Ti ricordo che la discendente più prossima a Primrose Blake sono io, perciò farai quello che ti dirò senza discutere».
«Per ora lo sei tu», sghignazzò Cynthia, per nulla intimorita da quella singolare intimazione. «Appena la magia si risveglierà nella vera discendente di Primrose, ti prenderà a calci il culo e perderai la momentanea autorità che hai su di noi. Tornerai a strisciare nella fogna dalla quale sei sbucata».
«E avverrà a breve. Ophelia ha già sviluppato il Presagio, quanto tempo ci vorrà prima che inizi a dare fuoco a oggetti o a far esplodere finestre involontariamente?», disse Clover. «Probabilmente gli Anziani stanno già organizzando la sua Iniziazione».
«E se ci beccano qui prepareranno anche i nostri roghi, quindi muoviamoci», intervenne Florian, quasi per mettere a tacere quella strana conversazione.
Sentii Violet e i suoi sgherri spostarsi verso la zona centrale del cimitero, foglie secche sbriciolarsi sotto i loro passi, e intanto la ragnatela si appiccicava alla mia mano madida di sudore freddo.
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