21: La Spia
Tutto è magia, o niente.
(Novalis)
Non vedevo Blythe da otto giorni, undici ore e trecentotredici pagine di Belli e Dannati.
Otto giorni, undici ore e trecentotredici pagine di Belli e Dannati che vivevo con la costante paranoia che il corpo di Derek saltasse fuori, qualcosa andasse storto e la SWAT o l’FBI suonassero alla porta di casa con un paio di manette sgargianti da farmi indossare per la sfilata di moda criminale autunno – ergastolo 2020/per-il-resto-della-mia-vita.
Esistevano manette nere?
In ogni caso, per il momento l’unico esponente delle forze dell’ordine a varcare la soglia di casa era Diantha – e non sembrava intenzionata ad arrestarmi o sospettare che il fratello del suo ragazzo avesse manomesso elementi di una scena di un crimine.
Durante le visite di Diantha avevo istituito l’abitudine di sedermi sulla poltrona in soggiorno e sfogliare ritmicamente Belli e Dannati con le cuffie infilate nelle orecchie.
Il volume della musica lo tenevo al minimo.
La stavo spiando.
Mentre fingevo di non esistere origliavo le loro conversazioni in cucina e sul divano in soggiorno. La camera da letto era off-limits – troppo lontana e luogo di conversazioni che consistevano in mugolii ed ordini che non avevano nulla a che fare con la professione di Diantha.
Perlopiù Diantha parlava di Ophelia, di come si stesse distanziando da lei e non riuscisse a penetrare nel suo mondo, si lamentava dei ragazzini che di notte andavano al cimitero di Nessdoom ad ubriacarsi e fare baldoria, delle scartoffie che compilava quotidianamente, ogni giorno ce n’erano delle nuove che sostituivano quelle vecchie, e del clima di tensione che si respirava alla stazione di polizia: un serial killer a piede libero non giovava al clima lavorativo e all’umore dei suoi colleghi.
Poi arrivava il turno di Joseph: si lasciava andare in un turpiloquio su come il destino avesse stretto un accordo con il fato per fargli perdere le scommesse puntate sulle partite di rugby della settimana; su Timothy e le sue insopportabili battute a sfondo sessuale; sui progetti che doveva ridisegnare in soddisfazione perché i clienti non erano mai soddisfatti.
In pratica Joseph e Diantha si condividevano a vicenda le loro giornate, cosicché si sfogassero e avessero l’impressione l’uno vivesse la giornata dell’altra e rimediassero al tempo che non avevano trascorso assieme.
Non potevo fare a meno di chiedermi se un giorno sarebbe stato possibile anche per me e Blythe raccontarci a vicenda il tempo che non avevamo condiviso assieme, rievocare e rivivere i momenti trascorsi distanti l’uno dall’altra.
Aiden, caro, com’è andata oggi? Oh, bene, grazie, ho finito di leggere il Willbur Smith che avevo iniziato settimana scorsa e ho pensato tutto il giorno ai tuoi occhi che nascondono milioni di segreti. La tua giornata invece? Le solite cose, ho inscenato un paio di incidenti e stradali, è stato così divertente. E mi sei mancato così tanto. Magari la prossima volta potrai venire con me e Bartholomew, ti insegneremo a distruggere i corpi e ogni traccia di DNA su di essi.
Okay, forse per me e Blythe sarebbe andata diversamente rispetto a Joseph e Diantha.
«…il corpo è stato trovato da un escursionista nei boschi dietro la proprietà dei Burroughs», sentii dire Diantha dalla cucina. Venni immediatamente riscosso dalla mia stupida fantasia e catapultato nel mondo reale, dove il rapporto tra me e Blythe era nientemeno che una confusionaria e sottile linea grigia macchiata dal sangue di Derek ed io a un passo dal essere rinchiuso in galera.
Il cuore prese a battermi all’impazzata e non sentii più le gambe. Era fatta, quel maledetto escursionista aveva firmato la condanna a morte di me e Blythe. E forse anche di Bartholomew. La Jeep e il corpo di Derek erano pregni del nostro DNA, sarebbero risaliti a noi ancora prima che fossi riuscito a dire “i remake di It sono meglio degli originali”.
«Sono distrutta, Joe. Stavolta è toccato alla signora Evans, ma se la prossima volta sarà qualcuno che conosciamo? Oddio, e se la prossima fosse Ophelia…».
Tirai un sospiro di sollievo. Non era stato il corpo di Derek ad essere stato trovato, ma quello della signora Evans – chiunque lei fosse. Questo significava che per il momento io, Blythe e Bartholomew non avremmo soggiornato in una carcere di massima sicurezza per un lungo, lunghissimo periodo.
Mi sorpresi – e poi vergognai – a non provare dispiacere nel sapere che le vite di una donna innocente e dei suoi cari fossero state distrutte. Provavo… sollievo, e i battiti del mio cuore tornarono regolari.
Evidentemente il mostro che aveva ucciso Derek, la signora Evans e altre persone prima di loro mi stava facendo diventare un mostro a mia volta, portando alla luce i miei lati peggiori.
«Ophelia è abbastanza intelligente da non andare nei boschi da sola», la confortò Joseph, e con la coda dell’occhio lo vidi posare una birra sul tavolo della cucina e stringerla in un abbraccio.
A quel punto estrassi le cuffiette dalle orecchie: non importava che la mia copertura da apprendista agente della CIA saltasse, non volevo rischiare di perdermi una singola parola.
«È stato stupido organizzare il falò». Diantha aveva tutta la mia comprensione. «Poteva succederci qualcosa», disse, muovendo i piedi lateralmente e con le mani cinte al collo di Joseph, come se stesse danzando un lento che sentiva soltanto lei.
«Eravamo in tanti… e armati, non avevamo nulla da temere». Joseph le baciò la fronte, si sciolse dall’abbraccio e poso le mani sulle spalle di Diantha, vestita con la divisa da poliziotto. «E forse è per questo che non è successo niente, forse perché aveva paura di noi. Forse… forse dovremmo andare a cercarlo, cercare il bastardo che sta facendo queste cose orribili».
Diantha arretrò di un passo. «Che cosa intendi?»
«Organizziamo una battuta di caccia», disse Joseph, e si aprì un’altra lattina di birra. «Domani, all’alba. Raduniamoci con Timothy e gli altri, e partiamo dalla proprietà dei Burroughs. Ci facciamo un giretto nei boschi, troviamo quel… quell’essere», rivolse il capo verso il fucile affisso alla parete, l’interno della doppia canna brulicante d’oscurità, «e poi gli diamo quello che si merita».
«Vengo anch’io», esclamai alzandomi dalla poltrona, ancora prima di rendermi conto che stavo per infrangere la promessa fatta a Blythe.
Una promessa che sembrava essere facile da mantenere prima che mi si parasse davanti agli occhi l’occasione di scoprire cosa si nascondesse nei boschi e di dare un taglio a questa storia.
«Non se ne parla», disse Joseph, e la speranza di fare luce su questa faccenda si deflagrò con la stessa velocità con cui si era palesata.
«Perché no?»
«Perché è troppo rischioso e…», lasciò la frase in bilico.
«E cosa?»
Joseph sospirò e prese a girare la lattina di birra tra le sue mani, come se stesse leggendo le minuscole scritte impresse sull’alluminio. «E non sei nemmeno capace di reggere un fucile».
Non me la sentii di contraddirlo, mio fratello sapeva meglio di chiunque altro che le mie mane avevano una vita propria, scollegata dal resto del corpo.
«Posso… posso rendermi comunque utile. Okay, non so tenere in mano un fucile, ma un coltello sì», proposi.
Aggrottò le sopracciglia. «E saresti disposto ad usarlo per difenderti? Per uccidere?»
Deglutii. Sapevamo entrambi che non ne sarei stato in grado. C’era un’abissale differenza tra premere un grilletto e colpire un bersaglio a decine di metri di distanza rispetto ad affondare una lama nella carne di una preda e bagnarsi del suo stesso sangue. Era molto più intimo.
E chi era realmente la preda? Noi oppure… loro?
«Joseph ha ragione», disse Diantha in tono accondiscendente, «non saresti al sicuro nei boschi. Non possiamo correre rischi inutili».
Chiusi bruscamente il libro. «Okay, ho capito, non verrò con voi alla ricerca di baby Richard Ramirez», sbuffai, ma in fondo ero conscio che avevano ragione: sarei stato solo un peso, e la mia goffaggine avrebbe potuto ferire me o qualcun altro, per non parlare della mia inesperienza con le armi. Timothy, Diantha e probabilmente i loro amici con cui andavano a cacciare erano tiratori esperti, mentre io… be’, ero io.
Andai a ritirarmi in camera mia, e quando posai il piede sul primo scalino della rampa di scale mi venne un’idea. Era solo un bisbiglio, un soffio, ma quando arrivai all’ultimo scalino si fece più solida, concreta.
Avevo un piano.
Mi fermai davanti alla porta di camera mia, e mi sforzai di sopprimere un sorrisino che avrebbe potuto tradirmi. Mi girai, lentamente.
Joseph e Diantha erano rimasti in cucina, e avevano seguito la mia ascesa in camera con lo sguardo, come se fossero restii a credere che mi fossi arreso così facilmente.
E, ancora una volta, non avevano tutti i torti.
Sfoderai il sorriso più raggiante che avessi mai fatto in vita mia. «Mi stavo chiedendo se», parlai con voce vellutata, trasparente, «potessi almeno accompagnarvi fino alla proprietà dei Burroughs. Sapete, per farvi supporto morale, o qualcosa del genere».
Joseph e Diantha si scambiarono un’occhiata interrogativa. Joseph aveva sicuramente notato qualcosa di strano nel mio comportamento; Diantha era vicesceriffo, non si beveva facilmente le bugie.
«Tanto domani devo uscire in ogni caso per riportare questo libro in biblioteca». Sventolai il Belli e Dannati come se li stessi salutando. «Tanto vale unire l’utile al dilettevole, no?»
Avevo ancora un centinaio di pagine da leggere, non lo avrei restituito neanche morto. Tuttavia sarei tornato in biblioteca molto presto – appena avrei chiuso questa spinosa conversazione.
«Non vedo perché no», acconsentì Joseph, scrollando le spalle. Dirgli che dovevo andare in biblioteca aveva reso tutto più credibile. «Dopotutto saremo fuori tutto il giorno, quindi a noi l’auto non servirà».
«Perfetto», esclamai, e mi battei una mano sulla fronte «Oh, e ora che ci penso devo proprio uscire».
Scesi dalla rampa di scala – la giacca era in camera, ma se mi fossi mosso più in fretta possibile forse Joseph non avrebbe fatto domande – e mi diressi verso la porta.
«Dove stai andando?», chiese Joseph mentre mi allacciavo una scarpa.
«Fuori», risposi evasivo.
«Sì, fin qui c’ero arrivato».
I lacci della scarpa si erano annodati e mi sentivo schiacciare dal peso del suo sguardo sulla nuca. Era andato tutto bene finora, perché Joseph doveva rovinare tutto?
«Aiden?», si intromise Diantha.
Perfetto, ora erano due contro uno. «Sì?», temporeggiai.
«C’entra mia sorella?»
Aprii la bocca per dirle di sì, che stavo per uscire con Ophelia, ma la richiusi prima di tradirmi con le mie stesse parole. Se Diantha avesse chiesto ad Ophelia di confermare la mia storiella, la verità sarebbe saltata a galla. Se mi fossi concordato con Ophelia per costruirmi un alibi, le avrei dovuto spiegare il perché della mia richiesta.
E ormai era risaputo che Blythe non le andava a genio.
Non potevo dire la verità a Diantha: avevo appena detto che sarei andato in biblioteca il giorno seguente.
Farfugliai qualcosa di incomprensibile alle orecchie umane e riuscii ad infilare il piede nella scarpa.
«Cosa?»
Ne mancava ancora un’altra.
«No, Ophelia non c’entra nulla», dissi, e mi concentrai sull’altra scarpa.
«Allora dove diavolo stai andando?», insistette Joseph.
«Ti droghi, Aiden? Dicci la verità».
«No, certo che no», dissi mentre mi allacciavo le stringhe e mettevo in moto le rotelle del mio cervello per inventare una bugia plausibile, ma al posto delle rotelle c’era soltanto un criceto addormentato che non ne voleva sapere di venire in mio aiuto. «Io… io…», farfugliai con lo sguardo chino sul pavimento.
«Puoi dirci qualsiasi cosa, Aiden», mi incoraggiò Diantha.
«Okay», sospirai, e fronteggiai i loro sguardi perplessi. «Io… io… sto per uscire col mio ragazzo, quindi non aspettatemi, farò tardi».
Feci dietrofront e prima che mi facessero altre domande uscii dalla porta di tutta fretta.
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