2: Resti Mortali
Dopo giorni e notti di un lavoro e di una fatica incredibile, riuscii a scoprire la causa della generazione e della vita; anzi, di più ancora, divenni io stesso capace di dare animazione alla materia morta.
Mary Shelley
Stavo gelando. Forse era a causa dello sbalzo di temperatura dopo aver passato la giornata in biblioteca. Forse perché il sole era calato oltre le montagne e l'ombra era scesa sulla città.
In ogni caso, tremavo violentemente e mi affrettai a rifugiarmi in auto, dove il freddo era pungente quanto all'esterno. Tastai invano il cruscotto dell'auto, alla ricerca di un pulsante che accendesse il climatizzatore - ammesso che ne fosse dotata. Immerso nell'oscurità e incapace di aprire un portabagagli, non avevo speranza di cavare un ragno dal buco.
Qualcuno bussò contro il finestrino e il mio povero cuore ne risentì, perdendo un battito. Era Ophelia, che si copriva la bocca con la mano per celare una probabile risata per avermi fatto sobbalzare.
Feci per abbassare il finestrino, ma la maniglia girevole era bloccata o non ero capace di girarla, allora uscii dall'auto. Non l'avrei mai detto, ma riuscii ad aprire la portiera al primo colpo.
«Ciao», dissi e chiusi la portiera prima che entrasse altro freddo nell'auto. Joseph non ne sarebbe stato contento.
«Ciao, Aiden. Vedo che hai anticipato la nostra escursione in biblioteca». Sul suo viso a forma di cuore un'espressione delusa.
«Ah, sì, non ho saputo resistere, scusami. Dovevo assolutamente uscire di casa e trovare qualcosa da leggere».
«Me ne farò una ragione. Cos'hai trovato, quindi?»
«L'Esorcista», risposi, e mi venne in mente che l'avevo abbandonato in biblioteca «ma ora che ci penso... l'ho dimenticato in biblioteca».
Non potevo certo dirle perché l'avevo "dimenticato". Sospettavo che dirlo ad alta voce sarebbe suonato diversamente dal pensarlo e che mi avrebbe fatto passare per un pazzo maniaco.
«Quanti anni hai, Aiden?»
«Diciannove, ma cosa c'entra?» chiesi confuso.
«È che mi sembri giovane per avere il morbo di Alzheimer, tutto qui», disse e il suo viso tornò raggiante.
Alzai gli occhi al cielo. «Tu, invece, che ci fai qui?»
«Stavo tornando a casa, la scuola è qua nei paraggi, anche se non la si vede. Si può sentirla, però». Voltò la testa ad est della facciata della biblioteca, verso l'onnipresente nebbia. «Non senti le urla di gloria di un branco di adolescenti brufolosi che possono tornare in libertà, dopo essere stati rinchiusi tutta la giornata tra quattro mura e costretti a leggere i romanzi di Frost e a trovarne un senso?»
Aveva ragione: in lontananza si udiva un chiacchiericcio di persone e il marciapiede e le strade erano più animate rispetto a quando ero uscito di casa.
«Frost non ha scritto nessun romanzo, era unicamente un poeta», puntualizzai.
Quando si parlava di letteratura, non transigevo su nulla.
«Mi scusi, professor Langford, non mi bocci, la prego», mi supplicò sarcasticamente.
«A dire il vero, il mio cognome è Langdon».
Ophelia sbuffò. «Langdon, Langford, è praticamente lo stesso. Comunque non è carino da parte tua non avermi ancora chiesto il mio cognome e...».
Improvvisamente Ophelia si irrigidì e guardò nella direzione della biblioteca.
«Ophelia? Cosa c'è?»
«Niente», disse con un filo di voce.
Guardai anch'io verso la biblioteca, e la vidi uscire dalla porta principale. C'era qualcosa di insolito nella camminata di Blythe Winter. Pareva che i suoi piedi non toccassero terra e stesse danzando nell'aria, opponendosi alla legge di gravità.
Ora che non ero attirato dai suoi occhi magnetici, avevo l'occasione di guardarla meglio. I suoi capelli scompigliati dal vento erano lingue di fuoco, il suo viso molto pallido, quasi malaticcio - anzi, era letteralmente bianco come un cencio - ed era messo in risalto da una pelliccia nera che portava. Ma c'era della bellezza disumana in quel pallore innaturale. Sembrava gesso levigato, e i lineamenti del suo viso - il naso piccolo e dritto, le labbra rosee e pronunciate, il lungo collo da cigno - scolpiti da uno scultore rinascimentale.
Incenerì Ophelia con lo sguardo - era un'espressione che avevo letto una moltitudine di volte, ma solo in quel momento compresi cosa significasse realmente - il suo viso angelico si tese, la sua mano si chiuse a mo' di pugno e le nocche, se possibile, sbiancarono ancora di più.
Poi, i suoi occhi si posarono su di me. I suoi lineamenti si ammorbidirono e i suoi occhi smisero di sputare fiamme. Sembrava... confusa. Perplessa.
«Entra in auto. Adesso», bisbigliò Ophelia.
«Perché?»
«Fa' come ti ho detto. Per favore».
Aprii la portiera e mi infilai nell'abitacolo; Ophelia fece lo stesso e fu accanto a me, sul sedile del passeggero.
Blythe era svanita nella nebbia, non c'era traccia di lei.
«Ma qua dentro è il Polo Nord!» esclamò Ophelia.
Feci per cercare un modo per accendere il climatizzatore, ma Ophelia mi precedette. «Aspetta, faccio io».
Schiacciò un pulsante situato accanto al volante e della corrente d'aria calda prese a fluire all'interno del veicolo. «Ecco, ora va già meglio», disse Ophelia. «Ho visto tuo fratello farlo una volta, per fortuna mi sono ricordata come funziona 'sto coso».
La corrente d'aria calda fluì all'interno del veicolo e piano piano smisi di tremare. Persino il mio fiato aveva smesso di condensarsi in nuvolette di vapore acqueo.
«Ecco, l'Era Glaciale è finita», disse Ophelia togliendosi un giaccone, appallottolandolo su sé stesso e gettandolo nei sedili posteriori. Prego, Ophelia, fa' come se fossi a casa tua.
«Adesso vuoi dirmi cosa diavolo ti è preso?» sbottai.
«Mmmh. Hai notato la ragazza che stava uscendo dalla biblioteca, no? Capelli rossi e occhi dannatamente inquietanti?»
Annuii. Come sarebbe stato possibile non notarla?
«Diciamo che è meglio starle alla larga».
«Perché?»
«È pericolosa».
«In che senso? È una serial killer o qualcosa del genere?» chiesi ironicamente.
«Forse. Puoi accendere l'auto? Voglio portarti in un posto».
«Okay, ma dove andiamo?» Infilai la chiave e schiacciai il gas.
«È una sorpresa».
Sospirai. «Possiamo tornare al discorso di prima?»
«No», rispose fermamente, e quando fummo lontani dalla biblioteca aggiunse: «Non posso parlartene. Riguarda il lavoro di mia sorella e, sai, c'è di mezzo un fastidioso ostacolo chiamato 'segreto professionale'. Gira a destra».
La strada che presi era più sterrata rispetto a quelle che avevo attraversato per raggiungere la biblioteca e quando l'auto andava sopra un'incrinatura io e Ophelia sobbalzavamo.
«Gira alla terza uscita a destra»
«No», dissi cercando di imitare il suo tono risoluto.
«No?»
«No, a meno che tu non infranga un fastidioso ostacolo chiamato "segreto professionale"».
Silenzio.
Superammo la prima uscita a destra. Poi la seconda. Accelerai.
«Va bene, va bene, hai vinto! Te lo dirò, ma tu gira a destra, adesso», disse Ophelia.
Feci come mi disse e ci inoltrammo in una zona rurale, che ospitava una ricca vegetazione, e, se possibile, ancora più nebbiosa.
«Sono tutt'orecchi», la invitai a parlare.
«Okay. Mmmh, da dove posso iniziare? Be', il punto che Nessdoom non è noiosa come sembra. Bisogna sapere leggere tra le righe per rendersi conto che non è una normale cittadina di provincia».
«Continua».
«Conosci la media nazionale delle sparizioni e dei decessi nelle città con meno di cinquemila persone?»
«Ne ho una vaga idea».
«A Nessdoom è sei volte superiore rispetto alle altre cittadine», disse Ophelia, «da quando i Winter si sono trasferiti».
«I Winter?» chiesi, pur sapendo che il cognome di Blythe fosse Winter. Ma forse si riferiva a degli altri Winter, ce n'erano così tanti negli Stati Uniti...
«La famiglia di Blythe».
Sapevo dove stava per andare a parare. «E allora? Non significa niente, potrebbe essere soltanto una coincidenza».
Per qualche ragione mi sentivo in dovere di proteggere Blythe. Non mi andava a genio che venisse etichettata come una cattiva persona, ed ero sicuro che non lo fosse. Più o meno.
«Anche Diantha la pensava così, inizialmente - e lei è vicesceriffo. Poi le sparizioni sono aumentate, e sono diventate cadaveri, tutti ritrovati nei boschi che circondano la casa degli Winter. Escursionisti, cacciatori, una coppia e una anche un bambino».
Rabbrividii. «Se tua sorella è davvero sicura che siano stati i Winter, non può arrestarli?»
«Non è affatto certa che siano stati loro, ma è sicura che sono implicati nella faccenda in qualche modo. Le manca il filo conduttore tra tutte quelle morti, e un movente. E, soprattutto, le mancano le prove per interrogarli. Continua dritto».
Mi concentrai sulla guida. La nebbia era fitta, il crepuscolo vicino e non volevo fare un incidente la prima volta che Joseph mi prestava la sua auto. Mi avrebbe immediatamente spedito sul primo volo per Los Angeles.
«E se si fossero semplicemente smarrite? Le persone scomparse. Insomma, con tutta questa nebbia, immagino che sia facile perdersi. E al calare della notte, con la temperatura che si abbassa...»
«Il bambino e la coppia, forse, si sarebbero potuti perdere, questo te lo concedo. Ma i cacciatori e gli escursionisti? Non credo. Gli abitanti del luogo conoscono la zona come le loro tasche, non si perderebbero nemmeno a occhi chiusi
«Il fatto che i Winter non si facciano mai vedere in città ha anche contribuito ad alimentare i sospetti», continuò Ophelia. «Persino Blythe, che, stando a quello che mi ha detto Diantha, è la più giovane della famiglia, non si fa vedere in città. Pare che studi a casa, dovrebbe essere all'ultimo anno delle superiori, se non sbaglio. Qui si conoscono tutti, proprio tutti, ma nessuno conosce i Winter. Non per davvero, perlomeno».
Deglutii. Blythe e la sua famiglia sembravano indifendibili.
«Eppure oggi Blythe era in biblioteca», dissi.
«Già. A proposito, cosa ci era andata a fare?» chiese con aria sospettosa.
«In biblioteca? Non so, probabilmente stava architettando il prossimo omicidio», cercai di ironizzare, ma la mia voce fu più seria di quanto sperassi, e mi venne in mente cosa aveva detto Blythe al bibliotecario, quando aveva preso in prestito quel libro dallo strano titolo: «Per organizzare una caccia alle streghe e ai demoni». Certo, stava scherzando, probabilmente stava scherzando, ma non riuscivo a fare meno di domandarmi a cosa le servisse un libro del genere, così arcaico, scritto in latino. Malleus Maleficarum, il Martello delle Malefiche...
Mi venne anche in mente che era conoscenza della brutta reputazione che aveva tra gli abitanti di Nessdoom. Non osavo immaginare cosa significasse avere una brutta reputazione. Certo, a Los Angeles ero lo sfigato, il secchione delle superiori, l'eterno vergine, e mi erano stati affibbiati altri epiteti poco carini, ma nessuno mi considerava una cattiva persona.
«Siamo quasi arrivati», disse Ophelia.
Odiavo continuare quell'odiosa conversazione, ma dovevo chiederglielo. «Ophelia?»
«Sì?»
«Tu credi che Blythe e la sua famiglia siano coinvolte in questa faccenda?»
Ci pensò un attimo prima di rispondere. «Non lo so. Non mi piace che la gente sospetti dei Winter solo perché sono un po'... fuori dal comune. Per il fatto che vivano fuori città e non si siano integrati, e che gli omicidi siano iniziati poco dopo che si sono trasferiti da non si sa dove. Può essere una coincidenza, o forse no. Ma come si è soliti dire, innocente fin3o a prova contraria, e di prove non ce ne sono».
Mi sentii un po' più leggero sapendo che Ophelia non si era fatta condizionare dai pregiudizi, come sembravano esserlo tutti in quella maledetta cittadina.
«Però provo una strana sensazione le poche volte in cui sono nelle loro vicinanze. Una brutta sensazione, a dirla tutta. È come un gelido formicolio che danza sulla mia pelle, un senso di minaccia. L'ho provata anche prima, quando Blythe è uscita dalla biblioteca».
Con la coda dell'occhio vedevo Ophelia che mi scrutava, in attesa di una mia risposta. Non sapevo cosa dire, e l'abitacolo dell'auto si fece all'improvviso più stretto.
«Pensi che io sia pazza, vero?»
«No», mi affrettai a rispondere, «penso che tu abbia letto uno Stephen King di troppo, e che hai molta fantasia. Tutto qui».
Chi stavo cercando di convincere? Me oppure lei?
Sbuffò. «Se lo dici tu».
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