16: Racconto dell'Orrore (Parte 2)
A/N: questo capitolo è così corto da non meritare una citazione.
Trigger Warning: oggettificazione e sessualizzazione delle relazioni WlW (sì, Timothy sta sul cazzo anche a me).
«Ecco perché viene chiamata Senzanome», concluse rivolgendosi a Joseph, «perché non ha più un nome».
Rabbrividii, pensando alla sorte toccata a Senzanome, una sorte ancora peggiore della morte. Era stata totalmente dimenticata, come se non fosse mai esistita. Ma alcuni conti non tornavano.
«Hai detto che Senzanome diede alla luce una figlia, Rose. Cosa ne fu di lei?», chiesi, chiudendo la giacca e flettendo le gambe fino a far toccare le ginocchia al petto. Ero così tanto assorto dalla storia che non mi ero accorto del vento che aveva iniziato a soffiare, e le fiamme del falò, più flebili e tremolanti di qualche minuto fa, non emanavano più il calore precedente.
Ophelia spense la luce emessa dal telefonino, che era rimasta accesa per tutta la durata del racconto. «Be’, poiché rimase orfana, Primrose si prese cura di lei, come se fosse sua figlia. Soltanto molti anni dopo, quando Primrose era nel letto di morte confessò la verità a Rose, pentita di aver condannato all’oblio sua sorella, affinché tramandasse oralmente la sua storia e, in qualche modo, tornasse a vivere in ognuno di noi. Libera da questo fardello, esalò il suo ultimo respiro. Oh, Violet, racconti tu il resto della storia o ci penso io? Sai, visto che riguarda la tua famiglia».
Violet fece un lungo tiro da una sigaretta. «Credo che possiamo fare a meno di quel pezzo della leggenda, grazie», disse freddamente.
«Ho capito, ci penso io. Quando Rose divenne adulta…».
«Lascia stare, faccio io. Almeno la farò breve ed indolore», la interruppe, scocciata. Non sembrava fiera di ciò che stava per narrare. «Secondo una certa versione della leggenda, Rose Blake sposò uno dei figli dei latitanti, un certo Edward. Oppure un Edwin», sbuffò.
«Edward», la corresse Ophelia. «Edward Wollstonecraft. Per chi non lo sapesse, Wollstonecraft è anche il cognome di Violet».
«Sempre secondo la versione della Summer», sottolineò Violet.
«Io mi fido ciecamente delle competenze storiche di Emma. Ehi, questa versione fa di noi cugine di millesimo grado, oltre che migliori amiche. Dovresti apprezzarla».
«Non fraintendermi, O, sarei felice di essere anche tua cugina», disse Violet, con una smorfia, «ma dubito che una mia antenata possa essere così ingenua di divenire il burattino di un demone».
«Senzanome non era il burattino della Succuba, ma la sua anima gemella, e ha preferito passare l’eternità con lei all’Inferno piuttosto che continuare a vivere senza di lei sulla Terra. Io lo trovo un finale terribilmente romantico», disse Ophelia, sognante.
«Hai una concezione del romanticismo abbastanza distorta», replicò Violet, con gli occhi alzati al cielo. «Io preferisco la versione in cui Rose muore subito il parto. Almeno la discendenza di Senzanome si ferma lì».
«Ma se così fosse non saresti mai nata e io non avrei una migliore amica».
«Basta, io ci rinuncio», sospirò Violet, e spense la sigaretta strofinandola su un sasso. «Vogliamo passare alla prossima storia dell’orrore?»
«Se la prossima storia ha anch’essa una relazione tra donne, perché no?», sghignazzò Timothy, rovistando nella borsa frigo. «Di questo passo smetterò di guardare i porno per leggere racconti erotici di genere saffico. Ehi, chi cavolo ha finito tutte le birre? Dannazione, devo aver lasciato le altre in auto».
«Perché, tu sai leggere?», lo schernì. Per una volta, mi trovai schierato dalla parte di Violet. «Comunque, chi vuole raccontare la prossima storia?» Si voltò verso di me, le labbra piegate in un ghigno. «Aiden? Hai una storia da raccontarci, che non sia la tua autobiografia? Sai, vorremmo spaventarci a morte, non annoiarci a morte».
Improvvisamente abbandonai lo schieramento Violet – a quanto pareva, si era legata al dito il consiglio letterario datole precedentemente – e decisi che la sete di Timothy meritasse la priorità assoluta. Ed era un buon pretesto per darmela a gambe.
«Credo che andrò a prendere le birre che Timothy ha lasciato in auto». Tesi la mano aperta verso Timothy e lui mi lanciò le chiavi dell’auto.
«Grazie, Aiden, sei il migliore».
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