14: Il Tizio 1 e il Tizio 2
Alla luce del sole non perdeva nulla della propria avvenenza; era senza dubbio la creatura più bella che avessi mai visto e la spiacevole somiglianza con il viso del mio sogno aveva perso l'effetto della prima, inaspettata scoperta.
Joseph Sheridan Lefanu (Carmilla)
Trigger warning: malattie sessuali, sessismo, un po' di misoginia, oggettificazione del corpo femminile, abuso di alcolici.
A/N: Wattpad si rifiuta di trasporre automaticamente le parole scritte in corsivo, quindi ve le ritroverete in un anonimo stampatello.
A/N2: questo capitolo è lungo e trash.
Quel pomeriggio scoprii che montare una tenda non era difficile come credevo. Bastava posizionare il telone sul terreno, piantare i chiodi, dargli un paio di colpi di martello ben piazzati, collegare le aste tra loro e il gioco era fatto.
Io ovviamente mi ero limitato ad osservare Joseph, il suo collega Timothy e Diantha che le montavano. Se avessi avuto un martello in mano mi sarei ritrovato nel giro di poco tempo al pronto soccorso con le dita fratturate.
All'imbrunire scoprii che la birra non era malaccio. Certo, il sapore mi disgustava, ma ad ogni sorso che bevevo percepivo la testa più leggera e le gambe più pesanti, e il colore delle lingue di fuoco del falò attorno al quale eravamo seduti si fece più intenso, e piano piano divennero fiori d'arancio incandescenti che danzavano in un cerchio di pietre. Iniziai a capire perché mio fratello ne bevesse a quantità industriali: le cose insignificanti divenivano degne d'interesse e i drammi privi d'importanza.
Riuscivo a navigare nei momenti spinosi della scorsa notte liberamente, nonostante gli aghi continuassero a trafiggermi la mia pelle era anestetizzata. Nulla poteva più scalfire la corazza che mi avvolgeva proteggendomi dalle angherie di quel mondo ingiusto e crudele. Il dolore si era spento, ma una nuova sensazione che non pensavo di poter provare si era fatta strada spianata: la nostalgia. Non vedevo Blythe da sole ventiquattro ore - e si sarebbero moltiplicate in un quarantotto, un settantadue, una settimana, un mese, fino diventare a un "mai più" - eppure... mi mancava. Mi mancava il suo sorriso malizioso che sembrava perennemente nascondere qualcosa, i suoi occhi che rilucevano segreti, le nostre conversazioni che non sapevo mai dove ci avrebbero portati, e, ancora peggio, agognavo la sua presenza più di un'altra cosa, la volevo al mio fianco in quel momento e in quelli a venire, volevo osservare il bagliore del fuoco danzare sulla sua pelle lattea e godermi l'effetto cromatico.
Ma ormai quello che volevo non aveva più importanza: era troppo tardi.
Avevo il sospetto che assumere alcolici desse anche libero sfogo alla mia vena tragica.
Finii una lattina di birra e la buttai alle mie spalle, finendo non-mi-importò-dove. Per quella serata l'inquinamento provocato da oggetti non biodegradabili aveva smesso di esistere, e il destino del nostro pianeta non mi toccava minimamente. Tutto finisce prima o poi, no?
«Prendine un'altra». Timothy aprì una borsa frigo piena di Bud-Light e me ne lanciò una dall'altro lato del falò, disegnando un effimero arco argentato nell'aria.
Diantha, seduta tra Joseph ed Ophelia, gli lanciò un'occhiata contrariata, ma non disse nulla. Come non aveva nulla per le precedenti quattro o cinque lattine. D'altronde, non era in servizio.
Aprii la lattina ed ingurgitai immediatamente il suo contenuto ghiacciato, prima che la schiuma fuoriuscisse da essa e mi sbrodolassi i vestiti - ne sarei stato assolutamente in grado.
«Allora, chi vuole iniziare?», chiese Ophelia, seduta a gambe incrociate con una lattina nell'incavo tra le gambe.
«Iniziare cosa?», biascicò Timothy. Non sembrava un tizio molto sveglio, ma dopo tutte quella birra chi poteva esserlo?
«A raccontare la propria storia dell'orrore. Siamo qui apposta per questo».
«Ah, io pensavo che lo scopo della serata fosse fare la gara a chi beve di più». Timothy alzò la lattina che teneva in mano, la tracannò fino a finirla e strofinò il dorso della mano sulle labbra, per pulirle dai rimasugli di birra. «Ma va bene lo stesso, visto che siamo in tema di storie dell'orrore vi racconterò la mia ultima scopata».
«Modera il linguaggio, ricorda che mia sorella è ancora minorenne», lo ammonì Diantha.
«Sorellina, guarda che non sono vergine da un pezzo», disse Ophelia, alzando gli occhi al cielo, «non rimarrò traumatizzata a vita se Timothy racconta un'avventura sessuale».
«Per stasera hai bevuto abbastanza». Diantha prese la lattina riposta tra le gambe di Ophelia e versò il liquido giallognolo sul terreno.
«Ehi, ridammela, è mia!»
«Aspetta un attimo...». Quando anche le ultime gocce furono a terra Diantha le restituì la lattina. Vuota. «Tutta tua».
«Ti odio», borbottò Ophelia, che si sfogò gettando via la lattina e consolò accendendosi una sigaretta. L'alcol ci rendeva i nemici numero uno dell'ecosistema.
Timothy si alzò in piedi, barcollante, e prese camminare attorno a noi, lentamente, come un leone che accerchia la sua preda. «Bene, bene. Dov'eravamo rimasti? Ah, sì, alla mia scopata leggendaria...»
«Tim, se non ti fosse chiaro, a nessuno interessa cosa fai con il tuo uccello nel tempo libero», lo fermò Joseph. Per una volta concordavo con mio fratello.
«A me sì», obiettò Florian.
«Florian Finneas Fletcher, tu mi disgusti nel profondo dell'anima», sibilò Violet, trapassandolo con lo sguardo.
Florian si strinse nelle spalle. «Perché? Sono solo curioso».
«Mi vergogno di essere la tua ragazza».
«Però mi ami».
«Purtroppo sì, per qualche motivo che fatico a comprendere», sospirò Violet.
Timothy arrotolò le maniche della camicia fino al gomito. «Un voto a mio favore è più che sufficiente! Finché ci sarà anche un solo un paio di orecchie disposte ad ascoltare i resoconti delle mie scopate, non esisterò a narrarle», sentenziò in tono solenne.
Io invece ero fermamente convinto che alcuni avvenimenti era meglio dimenticarli, riporli in un cassetto, chiuderlo con un lucchetto ed ingoiare la chiave - e, soprattutto, non condividerli. Soprattutto se erano intimi e coinvolgevano terze persone.
«Timothy, sei ancora in tempo per cambiare idea», lo avvertì Diantha, severamente. Ero certo che quella era la tonalità di voce che assumeva quando era in servizio.
«Davvero? Anche se i protagonisti - anzi, i coprotagonisti, il protagonista ovviamente sono io - della mia scopata sono due Winter?»
Timothy era proprio dietro di me in quel momento, quindi non riuscivo a vedere la sua espressione, ma erp pronto a scommettere la mia prima edizione di Carrie che sul suo viso si era disegnato un sorriso trionfante. Sapeva di aver destato la nostra curiosità - il mio cuore che batteva all'impazzata ne era la conferma. Nonostante le birre che avevo bevuto, ero nuovamente in balia delle emozioni, della paura di ricevere un'altra coltellata in schiena.
«Ti ascoltiamo», Diantha confermò la mia ipotesi. Il suo tono di voce non aveva più nulla di poliziesco. Magari dalla... uh, testimonianza di Timothy sperava di ricavare qualche indizio sufficiente per incastrare i Winter.
Anche l'attenzione di Violet e Ophelia era stata totalmente incentrata su di Timothy. Quella di Florian probabilmente l'aveva avuta nel momento che aveva pronunciato "scopata".
Io speravo soltanto che Timothy non avesse avuto nulla a che fare con Blythe. Se vederla salire nella Jeep di un altro uomo era stata una doccia d'acqua fredda, come sarebbe stato sentire quello che si apprestava essere un resoconto di un rapporto sessuale? Una doccia d'acqua ghiacciata?
«Chi l'avrebbe mai detto che avrei ottenuto l'autorizzazione ufficiale anche da parte degli sbirri?», sghignazzò Timothy, compiaciuto nel catalizzare tutta l'attenzione su di sé.
«Passa subito al dunque: quali Winter hanno avuto la sfortuna e il coraggio di accoppiarsi con te?», chiese Violet. Sembrava un po' stufa di quel teatrino egocentrico messo in piedi da Timothy, e un po' iniziavo ad esserlo anch'io. Fremevo d'impazienza.
«Hazel», rispose fieramente, come se si stesse vantando di un bottino di guerra.
«Impossibile», disse Ophelia, «ci stai prendendo per il culo. Hazel è impegnata».
«Infatti sono stato con due Winter, non uno. Il suo fidanzato-fratello ci guardava mentre si stava...».
«Okay, basta così», lo interruppe Diantha, «i dettagli non li vogliamo sapere».
A me bastava sapere che Blythe non aveva giaciuto con Timothy. Non volevo sapere nient'altro, e mi dispiacque per Hazel e Louis, anche se non li conoscevo, la cui intimità ci stava venendo spiattellata in faccia contro la loro volontà.
E Timothy non sembrava avere nessuna intenzione di fermarsi. «Di certo Louis Winter non è un tipo geloso», sghignazzò. «Se stessi assieme ad uno schianto come Hazel non permetterei a nessun ragazzo di avvicinarsi a lei o di parlarle, figuriamoci lasciare che...»
«Per fortuna che non sei impegnato», sussurrai. Cercai di sussurrare. Dalla sua faccia, paonazza e con le sopracciglia aggrottate dedussi che me l'ero lasciato sfuggire ad alta voce. Un altro scherzetto causato dalle birre.
«Puoi ripetere, Langdon? Credo di aver capito male ciò che hai detto» chiese, in tono di sfida e con pugno chiuso in sé stesso. Nei film iniziano sempre così le risse nei bar malfamati. Tizio 1 dice una scomoda verità, tizio 2 finge di non aver capito, tizio 1 lo ripete, fermamente e col petto gonfio di coraggio, tizio 2 gli salta addosso, e, dopo qualche pugno e bicchiere frantumato in testa, tizio 1 ne esce sanguinante ma vincitore.
L'unica volta che avevo fatto a botte era stata... non avevo mai fatto a botte con qualcuno, quindi le probabilità che ne uscissi sanguinante e vincitore non erano dalla mia - ne sarei uscito sanguinante e basta.
Come sempre, la diplomazia sembrava essere l'arma migliore. E la più sicura, soprattutto per i miei connotati. Feci un profondo respiro e posai la birra a terra, in bilico tra un paio di sassi. «Intendo dire che il mondo non è tutto in bianco e nero. Ci sono anche zone grigie... come il rapporto tra Hazel e Louis, che, anche se non lo comprendiamo appieno, dobbiamo rispettare», dissi d'un fiato, sentendomi addosso lo sguardo degli altri. «E se non riesci ad accettare che una tua ipotetica partner parli con altri ragazzi, forse dovresti imparare a fidarti di lei».
La mano di Timothy si schiuse, le dita tornarono a penzolare all'altezza della coscia. Sputò per terra ciò che era il primo rifiuto biodegradabile che rilasciammo nell'ecosistema quella giornata. «Ci mancava soltanto il professorino di sociologia che ti analizza il comportamento».
«A dire il vero è la psicologia la disciplina che analizza il comportamento umano a livello individuale. La sociologia invece lo studia in correlazione alla società o al gruppo sociale di appartenenza», lo corressi. Timothy mi fissò esasperato, gli occhi spalancati che stavano per schizzare fuori dalle orbite. «Ma alla fine», deglutii, «non c'è chissà quale differenza tra di esse, giusto?».
«Giusto», confermò, deciso, e ricominciò ad orbitare attorno a noi come un satellite di Saturno. Dopo un paio di giri sospirò e sprofondò sul terreno erboso, accanto alla borsa frigo, facendo scricchiolare residui di foglie morte sotto il suo peso. «Be', dato che, per qualche motivo ignoto, nessuno vuole sapere i dettagli della mia doppia conquista mi tocca concludere qui il mio racconto dell'orrore».
«È stato meno orribile di quanto mi aspettassi», ammise Diantha, sollevata.
«Ah, già, quasi dimenticavo, credo di essermi beccato una malattia sessuale che mi ha costretto a letto nei giorni seguenti», disse Timothy all'improvviso. «Pensavo di morire, mi sentivo prosciugato. Ecco dov'era la parte paurosa!», esclamò dandosi una pacca sulla fronte.
«Come non detto».
«Le malattie sessuali non funzionano così», precisò Ophelia, con nuvolette di fumo che le uscivano dalla bocca, «i sintomi non si presentano subito e non si guarisce da un giorno all'altro».
«E tu chi sei invece, una professoressa di sessuologia?», sbuffò Timothy. «Va bene, non mi sarò preso una malattia alle palle, ma di certo me le hanno rotte queste continue precisazioni!»
«Stavo solo cercando di rendere utili le nozioni apprese a educazione sessuale», ridacchiò Ophelia, e tornò seria. «Se non c'è altro, posso raccontare la mia storia dell'orrore, che è davvero dell'orrore?»
Ophelia non sembrava più entusiasta del racconto di Timothy, e non potevo darle torto.
«Dove lo avete fatto?», chiese Violet. Non l'avevo mai vista così interessata a qualcosa. La sua faccia annoiata al club di poesia sembrava appartenere ad un universo alternativo.
«A letto. Non sono un tipo da auto o ascensori. Sì, possono essere eccitanti, ma io bisogno di silenzio per concentrarmi».
Timothy, con o senza birra, non era assolutamente un tipo sveglio.
«Non intendevo quello, idiota, ma la posizione... cioè, la posizione geografica», si affrettò ad aggiungere, prima che Timothy fraintendesse la domanda e ci fornisse informazioni di cui potevamo fare a meno. «Lo avete fatto a Nessdoom?»
«Ah, ecco! Spiegati meglio la prossima volta», grugnì, e si servì una delle ultime birre rimasteci. Aprì la lattina e si fece lungo sorso, lasciando in sospeso la domanda di Violet in una pausa di gorgoglii e addormentando i suoi ultimi neuroni funzionanti, l'alcol come narcotico.
«No, non a Nessdoom», rispose infine, massaggiandosi la pancia gonfia di gas. «Ora che ci penso, hanno insistito per andare fuori città». Pensai a quando Blythe aveva declinato l'offerta di Derek di andare da lei e immediatamente messo in chiaro che casa sua era off-limits. Forse i Winter non volevano che degli estranei entrassero in casa loro perché rischierebbero di vedere cose compromettenti, come scheletri nascosti sotto i letti o strumenti da tortura. O forse le signore Winter avevano delle regole sulle visite molto ferree. «Allora Hazel e Louis hanno prenotato una stanza d'hotel a Portland. Roba da ricchi, con la Jacuzzi e l'asse del cesso in ceramica. Terminato il divertimento se ne sono andati e io ho passato la notte lì, tanto era tutto già pagato. Ero così debole che mi sono addormentato appena ho poggiato la testa sul cuscino. Non ricordo l'ultima volta che mi sono assopito così velocemente senza farmi neanche un goccio».
Gli credetti sulla parola.
«Come sei entrato in contatto coi Winter?», chiese Diantha.
«"Entrato in contatto"... ma dove sono finito, in un episodio di Law & Order?», la scimmiottò. «Siamo "entrati in contatto"», accompagnò le parole mimando con le dita il simbolo delle virgolette, «tramite un sito d'incontri. Quei due hanno un profilo di coppia. Evidentemente portarsi a letto degli sconosciuti è un hobby che condividono».
Joseph scoppiò a ridere, ma quando si accorse che Timothy non ci trovava nulla di divertente chiese incredulo: «Sei davvero iscritto ad un sito d'incontri?»
«Se vedessi quanto è facile rimorchiare in quei siti non faresti tanto lo spiritoso».
Prima che Joseph ebbe occasione di ribattere, Diantha cinse il braccio di Joseph e accoccolò la nuca sulla sua spalla, gli occhi chiusi. «Non credo che il mio ragazzo abbia bisogno di rimorchiare».
«Dici? Hazel ha una sorella più giovane, piccolina e con i capelli rossi per cui ti lascerebbe all'istante». Sobbalzai - metaforicamente, le mie membra erano troppo appesantite dalle birre per sobbalzare. Stava parlando di lei. «Se è vero ciò che si dice delle rosse, e se sa muovere la lingua come la sorella...»
Alcol o meno, i miei pugni si chiusero automaticamente ed ero sul punto di recitare la parte del tizio 2 - il cattivo, il violento. Non importava che Blythe mi avesse ferito, mi adirava egualmente che qualcuno parlasse così di lei, come se non fosse una persona ma un oggetto del piacere.
«Oh, 'fanculo i Winter», sbottò Ophelia. Non osai guardarla. Avevo paura che scorgesse nei miei occhi sentimenti che solitamente non erano parte di me. «Per una volta possiamo parlare di qualcos'altro, come, ah sì, ciò per cui siamo qua?», chiese rivolta a tutti noi. «Le storie dell'orrore, ve ne siete dimenticati?»
Diantha alzò una lattina di birra al cielo. «Giusto, 'fanculo i Winter. Per colpa loro finirò all'inferno. O meglio, per colpa del serial killer. O della setta. O quello che è».
La guardammo tutti, interrogativi. «Ma che diavolo stai dicendo?», chiese Ophelia.
«Non dovrei dirvi ciò che sto per dire, visto che è top secret, ma... sento di potermi fidare ciecamente di ognuno voi, e non perché ho bevuto tre... no, due birre». Finora ne avevo soltanto sentito parlare, ma in quel momento fui certo che Diantha rispondesse all'espressione "non reggere l'alcol". Be', pure io non scherzavo su quel fronte.
«D, forse non è una buona idea», le suggerì Joseph, e da un punto di vista razionale aveva ragione, ma io ero egoisticamente convinto che qualche informazione segreta di una poliziotta che vigilava in una cittadina scossa da una serie di omicidi fosse ciò di cui avevo bisogno per schiarirmi le idee.
«Cosa intendi dire?», la invitai a proseguire. Joseph mi scoccò un'occhiataccia alla quale risposi facendo spallucce.
Diantha si mordicchiò il labbro inferiore e parlò fissando le lingue di fuoco. «Siamo arrivati al punto che dobbiamo trovare il responsabile di queste atrocità, ad ogni costo. Altrimenti saremo costretti ad inventarcelo».
Ci misi un po' per comprendere cosa volesse dire, forse perché non immaginavo che la polizia fosse disposta a spingersi così lontano. Rabbrividii, pensando alla vita innocente che sarebbe stata rovinata.
«Oppure i responsabili», si corresse Diantha. «I Winter sono i candidati perfetti per vincere il Maine Awards 2020 nella categoria "serial killer & affini". Gli omicidi sono iniziati appena si sono trasferiti, non sarà un problema trovare un collegamento tra la loro presenza e tutte quelle morti. Il Dipartimento ci costruirà sopra una bella storiella e darà alle persone ciò di cui sono assetati: giustizia».
Sussultai. «Ma i Winter sono innocenti!», esclamai. O perlomeno così credevo. Non potevo saperlo con certezza, ma non potevo nemmeno essere certo del contrario.
Joseph, Diantha e gli altri si girarono verso di me, sorpresi della mia reazione. L'unica a non esserne sorpresa era Ophelia. Mi schiarii la voce. «Almeno fino a prova contraria, no?», dissi, contemplando una pellicina su una delle mie unghie. Piano piano la mia convinzione che i Winter fossero innocenti iniziava a vacillare.
«Se un indizio ci conducesse a casa dei Winter e trovassimo nella loro proprietà una prova della loro colpevolezza non sarebbero più innocenti».
«Ovviamente», concordai. Ma poi feci uno più uno, e non mi trovai più tanto d'accordo. «Aspetta, è per questo che l'altro giorno cercavi la proprietà dei Winter? Per seminarvi delle prove che li avrebbero incastrati?»
«No!», esclamò, quasi orripilata. «Era solo per dare un'occhiata, senza secondi fini. Lo giuro». Le credetti. «Non è ancora arrivato il momento di falsificare le prove. Ma arriverà presto, se non troviamo il vero colpevole».
«Non è giusto», dissi con un filo di voce. Non sapevo proprio cosa fare per evitare la galera a Blythe e alla sua famiglia. Stavo combattendo contro qualcosa un milione di volte più grande di me.
«Notizia dell'ultima ora: il mondo non è giusto. Per questo che ho deciso di diventare poliziotta, per cercare di renderlo un posto un po' meno ingiusto», disse con un sorriso amaro. Era evidente che quella storia non piaceva nemmeno a lei. «Ma a quanto pare non ci sto riuscendo come speravo».
«Ma se i Winter fossero veramente colpevoli», disse Timothy, «in quanti potrebbero dire di essere sopravvissuti dopo essere stati a letto con ben due serial killer?»
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