Capitolo 15
Zacchy sfondò la porta con tutta la rabbia e la frustrazione che possedeva in corpo. Quello era stato davvero un colpo basso da parte di Troy, non poteva davvero credere a che livello la sua crudeltà poteva arrivare, e con che fierezza gli aveva mostrato il risultato, se chiudeva gli occhi poteva ancora vedere quell'orrore di foto che gli avevano appeso sull'armadietto, tutta la scuola l'aveva vista aveva addirittura partecipato, sicuramente erano stati tutti molto bravi a non farsi sgamare dai professori perchè nessun insegnante aveva detto nulla al riguardo nemmeno dopo la ricreazione. 'Muori mostro', 'I vampiri stanno in Transilvania, non lo sapevi? Vacci!', 'Fai così schifo che in confronto la merda vince una sfilata di moda' e via discorrendo, che male gli facevano quelle frasi, non aveva fatto male a nessuno di quei ragazzi, perchè se la stavano prendendo così tanto con lui? Zacchy si preoccupava solo di avere buoni voti, per il resto del tempo stava anche per conto suo senza interagire con altri studenti, perchè questo sembrava dare loro così fastidio a tal punto di fargli così tanto male?
Ignorò Beirut che andò a fargli le feste dopo averlo aspettato tutta la mattina, smise di scodinzolare come se avesse capito che qualcosa non andava col suo padrone, Zacchy aprì la porta del bagno così forte che andò a sbattere conto io muro, si affacciò allo specchio per guardare la sua faccia con gli occhi gonfi di pianto e che avevano ripreso a lacrimare, stava stringendo così forte le mani sul lavandino che se avesse avuto la forza di Hulk lo avrebbe spaccato in due. Il suo sguardo si portò lentamente sui faretti spenti che illuminavano lo specchio, sentiva una forte tentazione di accenderli e piantati sotto i palmi delle mani e lasciarle bruciare, come se in qualche modo volesse accontentare quei mostri dei suoi compagni di scuola. In realtà lui odiava darla vinta ai cattivi, molte volte nel corso dell'anno scolastico avrebbe potuto dire tutto ai suoi genitori e magari o cambiare scuola o studiare a casa facendo così il gioco di tutti quei bulli cattivi che non vedevano l'ora di vederlo sparire, invece no: incassava tutto dentro e resisteva più che poteva. Ma questa volta non sarebbe stato in grado di i giocare il boccone amaro di questo scherzo di pessimo gusto. Per la prima volta appoggiava in pieno il pensiero disgustoso dei suoi compagni, per la prima volta sentiva un tale bisogno di vedersi scomparire talmente si stava odiando in quel momento, ma non riuscì ad accendere la luce del bagno. Andò dritto in camera sua, era sicuro che questa volta gli anti-depressivi non lo avrebbero aiutato a stare meglio, aprì la confezione e ne ingoiò due, poi altri due, fece una pausa per riprendere fiato e calmarsi ma le lacrime non smettevano di scendere, così ne prese altri due, poi tre, quattro, cinque, non si stava sentendo meglio.
"Va bene, volte che muoio? E allora sarete accontentati." Pensò guardando la mano che stringeva la scatolina dei farmaci, si tirò dritto con la schiena mentre il cane intimorito osservava dalla porta della sua camera un ragazzo che non sembrava più il suo padrone ma era un ragazzo colmo di rabbia e tristezza, odio verso se stesso e certamente un'idea in testa che non avrebbe portato niente di buono.
Zacchy prese un bel respiro profondo, ciò che stava per fare non era una cosa semplice, chiunque lo avesse già fatto prima di lui ai suoi occhi risultava davvero molto coraggioso, e lui di coraggio non ne aveva così tanto, ma era ancora più forte il desiderio di non rivedere più quelle facce di merda dei ragazzi della sua scuola, degli insegnanti più ciechi del mondo che non si accorgono mai di niente ma, soprattutto, era stufo di vedere se stesso allo specchio tutti i giorni, così pallido, così inutile. Con un balzo fulmineo, portò la confezione dei farmaci alla bocca e li ingoiò tutti insieme. Faticò a mandarli tutti giù ma dopo tre tentativi dove per poco vomitava tutti gli anti-depressivi finirono nel suo stomaco, ed apparentemente sembrava non succedere nulla, non si sentiva diverso ma nemmeno bene, era esattamente tutto come prima. Beirut però non si calmò, rimase ad osservare io suo padrone che posava una scatoletta sulla scrivania con un'espressione quasi delusa.
Zacchy si voltò per guardare il suo cane, alzò le spalle e disse: "Hey bello tranquillo, tanto non è successo niente." Stava per abbandonare del tutto la scrivania quando all'improvviso sentì qualcosa che saliva sulla gola, poi sentì un dolore lancinante allo stomaco come se stesse per esplodere, iniziò a girargli la testa e faticava a stare in piedi, il respiro diventò sempre più corto e alla fine cadde a terra in preda alle convulsioni, l'effetto dei farmaci stava iniziando. Beirut iniziò ad abbaiare freneticamente, agitato e spaventato e non sapeva dove correre, buttò giù due vasi di fiori appoggiati sul tavolino del telefono fisso e alzandosi sulle zampe posteriori cercò di aprire la porta e correre fuori, conosceva bene la strada per il panificio di Annabeth ed aveva anche quattro gambe che lo facevano correre più velocemente, in breve tempo si trovò davanti all'ingresso del panificio ad abbaiare isterico, a saltare e ululare. Dall'interno del negozio, Annabeth alzò la testa lentamente come se non capisse cosa stesse succedendo, rimase come stranita quando vide il suo cane tentare di sfondare la porta. Ma la cosa che la stupì di più fu che fosse solo, non c'era Zacchy con lui a fare una passeggiata e il cane mentre abbaiava mostrava i denti, non scondinzolava, era come impazzito. Smise di fare quello che stava facendo e uscì a fermare l'animale che aveva imbrattato di bava la porta di vetro della panetteria, si abbassò per arrivare alla sua altezza e gli chiese: "Beirut! Cosa c'è? Che ci fai qui da solo?"
Il cane iniziò a spingerla col muso, a tirarle i vestiti e a guarire rumorosamente, tutti i passanti non smettevano di guardare quello spettacolo. Annabeth sentì salire un forte imbarazzo, non sapeva cosa fare, si alzò in piedi e mosse qualche passo verso casa per vedere cosa avrebbe fatto Beirut, e quando Beirut vedendo che la donna lo stava seguendo sfreccia verso casa tornando indietro di tanto in tanto a recuperare Annabeth, solo dopo che il cane le ruppe quasi La Manica della camicia capi che qualcosa non andava e gira do il cartello della panetteria in 'chiuso' corse dietro al cane poi veloce che poteva.
La casa era così gelida, il cane abbaiava davanti alla porta della camera di Zacchy più matto che mai, Annabeth tremava al solo pensiero di varcare quella porta, non sapeva che cosa aspettarsi date le circostanze. Deglutì e cercò di capire cosa stesse succedendo, si appoggiò alla porta e chiamò Zacchy per sentire se andava tutto bene: "Zacchy tesoro? Sei in casa? Va tutto bene?"
Nessuna risposta, solo un rumore sordo che sembravano gemiti.
"Zacchy mi senti? Cosa stai facendo, che succede?"
Di nuovo nessuna risposta. Annabeth sentì salire l'ansia e aprì la porta gridando: "Zacchy per l'amor del cielo vuoi..."
Rimase pietrificata.
Zacchy era per terra in preda alle convulsioni, la schiuma alla bocca e gli occhi rigirato all'indietro; Annabeth cadde a terra in ginocchio urlando con tutto il fiato che aveva in corpo, striscio verso il figlio e lo prese fra le sue braccia, poi raccogliendo tutta la grinta che aveva chiamò suo marito e subito dopo un'ambulanza, piangeva e non riusciva a stare calma, dopo aver chiamato l'ambulanza ricevette subito un'altra chiamata da suo marito che sicuramente non aveva connesso bene quello che stava succedendo: "Annabeth ma che succede? Che hai?"
"Michael... Zacchy sta... chiamato l'ambulanza.... ospedale." Annabeth non riusciva nemmeno a completare la frase, era così avvolta dalla paura che non le veniva possibile farsi capire, specialmente in mezzo ai singhiozzi, Michael dall'altra parte del telefono cercò di tranquillizzarla e di farle dire brevi risposte alle sue domande per capire meglio: "Tesoro calmati, Zacchy sta male?"
"Si!"
"Hai chiamato l'ambulanza? È grave?"
"Si!"
"Molto grave?"
"Si! Si! Si!"
"Aspettami, vengo casa non ti muovere."
"Ma l'ambulanza?"
"Se arriva vai con loro altrimenti aspettami."
Il viaggio in ospedale fu così caotico che nessuno avrebbe saputo raccontare bene che cosa davvero fosse accaduto. Zacchy si risvegliò sul letto in una stanza d'ospedale, aveva la mascherina dell'ossigeno, la flebo ed era attaccato alla macchina che gli segnava i battiti, si sentiva debole e a pezzi come se fosse appena caduto da un balcone, aveva male alla testa, una sete bestiale e faticava a respirare. Guardandosi intorno vide sua madre addormentata su una sedia vicino alla porta della stanza, dalla porta semi aperta poteva vedere delle ombre, grandi e piccole e sentiva delle voci ma erano così lontane. Si voltò verso la finestra e vide che era notte, il suo ultimo ricordo risaliva al pomeriggio quando era tornato a casa da scuola, era sicuro che fosse giorno ma non ricordava che ore fossero, ricordava di aver ingerito tutti i farmaci e di aver pensato che aveva solo sprecato un'intera confezione di anti-depressivi e poi basta, buio totale. La luna lo guardav severo, c'erano poche stelle, forse era appena calata la notte, potevano essere le nove e dieci forse, tornando con lo sguardo verso sua madre vide che aveva in mano la confezione vuota dei farmaci, nonostante la debolezza e la fatica di connettere gli avvenimenti gli fu facile immaginare che tra poco avrebbe dovuto dare un mare di spiegazioni, a questo punto doveva solo scegliere da dive cominciare. Dalla porta apparve un dottore, suo padre, i suoi zii e i suoi cugini; in pratica c'era tutta la famiglia al completo. Annabeth si svegliò sentendo la mano del marito appoggiarsi alla sua spalla, si alzò in piedi e strinse la mani al dottore che disse: "Buonasera signora, mi dispiace che abbiate dovuto attendere cosi tanto ma abbiamo gli esiti degli esami di vostro figlio."
"E che cosa dicono?"
"Gli esami dicono che vostro figlio è andato in overdose di Fluoxetina."
"Parla di questi? Che roba sono dottore?"
"Signora, sono anti-depressivi. E se si prende una dose non consigliata si va i contro a effetti collaterali, o peggio come vostro figlio, quasi alla morte."
"Un momento, Zacchy prendeva degli psicofarmaci? Da quando? Tu lo sapevi?" Michael si intromise nella conversazione confusissimo, prese dalle mani della moglie la scatoletta e sventolando di fronte al volte di Annabeth e del medico chiese: "Da quanto tempo Zacchy ha questi cosi in camera sua?"
"Oh Dio Michael, io non lo so, è la prima volta che li vedo."
"Dottore, lei crede che sia stato un errore? Tutto questo insomma, lei crede che Zacchy abbia esagerato per sbaglio? Oh per l'amor del cielo ma nostro figlio era depresso e noi non lo sapevamo." Si sfregò le tempie con gli indici ancora incredulo, per lui e Annabeth tutta questa storia era puramente nuova, solo che non sapevano come comportarsi. Il dottore sospirò e disse: "Be' signore, temo che vostro figlio avesse la piena intenzione di fare ciò che ha fatto, ma quello di cui voi dovreste occuparvi ora è sapere il perchè."
"Ma che cosa stava cercando di fare dottore? Di stare meglio?"
"Signora, vostro figlio ha tentato di suicidarsi."
Questa parola rimbombò nella stanza vuota, Annabeth quasi cadde a terra per lo shock, a Michael si spalancò la bocca dell'incredulità, gli altri parenti preferirono tacere. Dopo aver ripreso il pieno controllo delle proprie emozioni marito e moglie ringraziarono il dottore e lo lasciarono andare via, e fu quello il momento in cui Zacchy decise di smettere di fingere di essere ancora incosciente, emise un gemito e diede un leggero colpo alla sponda del letto per farsi sentire. Tutti si riunirono intorno a lui cercando di contenere tutte le domande che avevano, Annabeth gli accarezzò la testa e pettinandogli con le dita la frangia gli chiese: "Zacchy, come ti senti?"
"Dove sono?"
"In ospedale tesoro, ma è tutto passato adesso."
"Che ore sono? Da quanto sono qui?"
"Sono le dieci meno un quarto, sei arrivato nel tardo pomeriggio." Suo padre gli prese una mano dall'altro lato del letto, Zacchy voleva alzarsi ma non trovava la forza di farlo così chiese a suo padre se riusciva ad inclinargli il letto in modo da farlo sentire più comodo, quando fu in posizione tra il seduto e io sdraiato riuscì finalmente ad uscire del tutto dallo stato confusionale che lo avvolgeva, suo zio gli accarezzò la testa e parlando a nome di tutti disse: "Hey ciccio, noi adesso vi lasciamo soli così vi riposate, veniamo qui domani mattina presto va bene?"
"Va bene."
"Buonanotte. Buonanotte Michael, Annabeth, riposatevi, adesso è tutto finito."
Si abbracciarono e si salutarono, poi Zacchy e i suoi genitori rimasero soli nella stanza, Zacchy avrebbe tanto voluto chiedere ai suoi di evitare di parlare adesso di quello che stava succedendo ma suo padre fu più rapido di lui: "Zacchy allora, cosa diavolo ti è passato per la testa?"
"Scusatemi."
"Perchè lo hai fatto?"
Zacchy guardò i suoi genitori, uno ad uno, poi abbassando gli occhi sospirò e disse: "Mamma, papà, c'è una cosa che non vi ho detto. E non è una bella cosa."
"Cosa è successo? Ti stiamo ascoltando."
"Ti ricordi quando non vi ho detto niente del concerto di fine anno della scuola? Ecco, non ve l'ho detto perchè non volevi che veniste a sapere che mi bullizzavano."
"Bullizare?" Annabeth diventò pallida quasi come lui, "Zacchy, dei ragazzi a scuola ti trattavano male?"
"Non solo dei ragazzi, tutti lo facevano mamma. In classe, a lezione, all'intervallo. Sempre."
"Oh Dio Zacchy. Perchè non ce lo hai detto?"
"Perchè andava avanti da troppo tempo, mi sembrava tardi e non sapevo come dirvelo, e poi finchè erano battute potevo fare finta di niente ma, non sono state più solo quello."
"Perchè ti prendevano in giro Zacchy? Per la tua malattia? È per la porfiria che ti trattano male?"
"Si. Mi chiamano Dracula, mi mettono l'aglio nell'armadietto e mi scrivono bigliettini tutti i giorni. Solo che questa volta hanno fatto peggio." Zacchy raccontò quello che era successo all'intervallo: raccontò della foto, delle frasi, delle lezioni da incubo e della crudeltà di Troy che sopportava da cinque mesi, raccontò anche del suo segreto profilo instagram dove adesso tutti volevano vedere la sua faccia e il malessere che ciò gli comportava, disse ogni singolo dettaglio in modo tale che non avessero più domande da porgli, a metà discorso gli scesero dei lacrimoni pazzeschi che non riusciva a frenare, si sentiva così stupido per quello che aveva fatto, si vergognava della sua codardia e del suo carattere gelido verso tutti ogni volta che volevano solo parlare con lui. Annabeth e Michael ascoltarono in silenzio tutto il suo discorso, alla fine si guardarono incapaci di elaborare qualcosa da dire. Annabeth sospirò e prendendogli una mano disse: "Ciò che hai fatto ci ha molto spaventati. E mi fa davvero male sapere che era davvero quello che volevi fare, ma ora ti chiedo, hai raccontato tutto tutto?"
"Si mamma, tutto tutto."
"Ok, va bene. Riposati adesso. Domani ci aspetta una giornata intensa e piuttosto particolare."
"Perchè? Che succede domani?"
"Dovrai spiegare tutto anche agli zii, e noi parleremo coi tuoi insegnanti di tutta questa storia." Michael gli accarezzò la testa, poi gli riabbassò lo schienale del letto per permettergli di dormire meglio, Zacchy preannunciava già che non avrebbe passato una notte tranquilla per via dei pensieri dell'impossibilità di muoversi, ma era così stanco che forse non avrebbe fatto tutta questa fatica. Non sogno niente quando sprofondò nel sonno, non diverse nemmeno conto di aver dormito, appena chiuse gli occhi e li riaprì era gia mattina, tra non molto gli zii e i cugini sarebbero arrivati e lui doveva pensare a che cosa dire.
Quando Zane ed Henry si fermarono davanti a lui Zacchy sentì il cuore che iniziò a picchiare dentro al suo petto, sapeva bene quello che avrebbe dovuto confessare ma io problema era spiegare il perchè non lo avesse mai detto, tutti sapevano che Zacchy non era il tipo che raccontava a tutti quello che gli succedeva, che pensava o altro, preferiva sempre ascoltare gli altri e magari dare la sua idea per sistemare eventuali problemi. Sospirò profondamente e guardando i suoi cugini con lo sguardo basso iniziò: "Emm allora... ecco io avrei da dirvi una cosa."
"Come stai? Ti senti un po' meglio?" Zane sembrava aver letto i suoi pensieri e cercò fi infondergli coraggio sviando il discorso, quando ad Henry sembrava molto impaziente di ricevere delle vere spiegazioni, Zacchy guardò suo cugino e rispose con un filo di voce: "Si sto meglio, almeno credo."
"Perchè hai voluto toglierti la vita?" Henry incrociò le braccia al petto e iniziò a battere il piede nervoso.
"Perchè è successa una cosa, ma che non vi ho detto."
"Allora parla ti ascoltiamo."
"A scuola, dall'inizio dell'anno, sono vittima di atti di bullismo da parte dei miei compagni e, be' ieri hanno esagerato, o dovrei dire hanno superato il limite."
"Ma questo da quanto tempo succede?"
"Da quando è iniziata la scuola, diciamo un mese dopo fino a adesso ecco." Zacchy non riusciva più nemmeno a reggere i loro sguardi, dietro ai due ragazzi erano seduti gli zii che ascoltavano un silenzio ma volevano lasciare ai tre il compito di cavarsela da soli. Henry iniziò a sbattere le palpebre velocissimi, gli occhi stavano luccicano come lucine di natale e iniziò a ridere nervosamente, succedeva così quando davvero si arrabbiava o veniva colpito nel profondo, senza guardare Zacchy chiese con tono feroce: "E non hai certo pensato di dircelo vero? Perchè avresti dovuto, siamo solo i tuoi cugini dopo tutto, ci diciamo tutto no?"
"Non era questo il problema, io avrei voluto dirvelo."
"Però non lo hai fatto, e si può sapere perchè?"
"Non lo so, non ci riuscivo, avrei dovuto dire troppe cose ed era passato troppo tempo."
"Non ci sei riuscito?" Henry per poco non gli ballava addosso,"Cosa vuol dire questo? Non ti fidi di noi forse? Pensavi che avremmo fatto la spia?"
"Henry!" Zane cercò di fargli abbassare la voce, infondo erano ancora in ospedale e non potevano urlare come disperati, "Puoi evitare di fare il matto adesso? Lo conosci sai che fa sempre così."
"Ma questo cosa vuol dire? Che di noi non si fida? Di noi, degli zii, di mamma e papà?"
"Si che mi fido di voi." Zacchy non riusciva ad alzare la voce, era come se stesse sussurrando sia per la paura di continuare il discorso sia per il fatto che era ancora debole per quello che era successo prima. Henry e Zane rimasero a guardarlo un secondo, poi Henry uscì di corsa dalla stanza furioso seguito dal cugino che cercava di calmarlo, a quel punto zia Katherine e zio Robert si avvicinano al letto con uno sguardo a metà tra l'essere delusi e l'essere tristi per lui, anche loro avrebbero tanto voluto essere stati messi al corrente di quello che gli stava succedendo ma erano stati ragazzini anche loro e da una parte capivano la sua riservatezza. La zia si sedette sul lato del letto e accarezzandogli le guance gli disse: "Non te la prendere, Henry è fatto così lo sai, gli passerà."
"Ha comunque ragione ad avercela con me, avrei potuto parlargliene ma non ho voluto."
"Tutti facciamo degli errori, adesso pensa a rimetterti in sesto, poi penserai a fare pace con loro."
"Ok zia. Grazie."
Zacchy rimase in ospedale per altri due giorni, i medici avevano deciso di tenerlo sotto osservazione ancora un po', poi venne dimesso. Ai suoi genitori vennero consigliati degli psichiatri specializzati ma Annabeth wra molto scettica se aggidarsi a loro oppure no, secondo lei la colpa era principalmente sia che non era venuta meno ai suoi doveri di madre, secondo lei non aveva indagato abbastanza sulla vita privata di suo figlio. Dal canto suo anche Michael si sentiva in colpa e anche lui, come la moglie, pensava che uno psichiatra non avrebbe permesso a Zacchy di guarire del tutto; il giorno prima che Zacchy uscisse dall'ospedale, Michael e Annabeth erano stati al liceo dove il figlio studiava per avvisare i docenti di quanto accaduto, fin una conversazione molto lunga dove professori, bidelli e preside compreso non sapevano neppure come giustificarsi, anche il signor Ebbrill venne avvisato della situazione, ma per motivi personali Annabeth non gli aveva permesso di andare a trovare Zacchy all'ospedale. Per inciso, Annabeth non era la tipica mamma che dava la colpa a tutti e per proteggere la famiglia chiudeva Zacchy sotto una campana di vetro, ma per il fatto che si sentiva responsabile voleva gestire la situazione completamente da sola. E ora avevano anche un problema da risolvere oltre alla depressione: i tre cugini avevano completamente smesso di parlarsi, Henry era furioso con Zacchy e non voleva nemmeno vederlo, Zane non sapeva come comportarsi perchè se da un lato voleva sare vicino a Zacchy dall'altro era completamente d'accordo con Henry, e per quanto riguardava Zacchy si era rinchiuso in casa e non voleva vedere nessuno. Annabeth e Michael presero la decisione che Zacchy avrebbe trascorso il resto dell'anno scolastico a casa, lontano dai bulli, dai professori e da tutto ciò che lo aveva spinto a tentare di uccidersi, chiamarono un tutor privato che gli dava video lezioni online, in questo modo Zacchy non si sentiva a disagio a causa della sua malattia, la principale causa dei suoi dolori. Mangiava sempre poco sia a pranzo che a cena ed era più simile a uno zombie, camminava a fatica. Michael cercava di farlo sorridere un po' a volte ma non cambiava proprio niente, Zacchy per io momento non aveva voglia di ridere.
Per una settimana decisero di lasciarlo in pace, decisero di lasciargli organizzare da solo le cose da fare, lo studio, le video lezioni e tutto il resto, loro si preoccupavano solo di avvisato che era pronto da mangiare e che era ora per lui di farsi la doccia, il resti faceva tutto da solo. Dopo quale settimana decisero che stava arrivando il momento di fargli riprendere in mano la sua vita e piano piano introducevano dei dialoghi per svegliarlo un po', ma con scarsissimi risultati.
"Allora, come ti trovi col tutor online?"
"Bene."
"È bravo? Spiega bene le cose?"
"Si, di chiamo di si."
"Hai tutto chiaro oppure devi fargli qualche domanda a volte?"
"Va tutto bene."
Annabeth guardò suo marito che ricambiò lo sguardo, poi Michael scosse la testa per far capire che per quella sera avevano parlato abbastanza; non avevano approvato l'idea dello psichiatra ma avevano comunque contattato un loro amico esperto di queste cose per farsi consigliare qualcosa, il loro amico gli aveva consigliato di interessarsi a lui piano piano ogni sera, un passo in più ogni volta, magari in questo modo sentendo qualcuno al suo fianco disposto a dargli aiuto Zacchy avrebbe piano piano ripreso sicurezza. Solo che al momento non sembrava funzionare. Annabeth e Michael cercavano di evitare il discorso della scuola, dei bulli e del suicidio, dato che erano i principali motivi per il quale la vita di Zacchy stava andando a rotoli forse fingere che non fosse mai successo niente avrebbe fatto bene a tutti, ma non si poteva cancellare quello che era stato. Zacchy guardò sua madre che stava roteando la forchetta sul piatto e disse sospirando: "Mamma, non serve fare tutte queste domande ogni sera, ho imparato la lezione. Se c'è qualcosa che non va te lo dico."
"Oh ma questo mi fa molto piacere, sai che sono sempre pronta ad ascoltarti tesoro."
"Si, però posso chiederti una cosa?"
"Certo, quello che vuoi tesoro."
"Puoi smetterla di dormire in camera mia? Non ho altri farmaci e non abbiamo un secondi piano. Non c'è pericolo, non lo faccio più."
Michael spalancò gli occhi e guardò sua moglie, non sapeva che Annabeth dormiva a fianco a Zacchy durante la notte ma non gli fu difficile capirne il perchè. Fece una smorfia per rimproverarla ma cercò di non farlo notare al figlio, anche il ragazzo se ne era accorto benissimo, tossendo nervosamente disse a Zacchy che se voleva poteva andare a fare la doccia e a dormire e che a sparecchiare ci avrebbero pensato lui e la mamma, si diedero la buonanotte e arresero che Zacchy sparisse dentro camera sua. Dopo circa venti minuti di silenzio Michael bevve un bicchiere di birra e poi disse: "Tu dormi con lui la notte, perché lo fai?"
"Michael, lo so che non dovrei ma, ha tentato di... si insomma quello quando non c'ero e voglio evitare di mancare ancora per lui."
"Si ma così gli stai solo addosso e questo non gli farà bene, lo sai vero?"
"Si, ma è più forte di me."
"Annabeth non è un bambino! Va in prima superiore ha quindici anni sa cosa fare della sua vita!"
"No invece! Non lo sa e il suo gesto ne è la prova! Lo so che dalle medie la sua malattia è diventata pesante e fastidiosa per lui ma, non pensavo che la odiasse a tal punto da fare questo."
"Annabeth."
"E poi ha ancora quattordici anni, ricordati che non li ha ancora fatti i quindici, li fa a Dicembre."
"Lo so, ma l'ho detto per farti capire che è grande." Michael posò il bicchiere nel lavandino, poi massaggiando le spalle di sua moglie e baciandola la testa le sussurrò dolcemente: "Non voglio litigare, ma prima capisci che Zacchy ha qualcosa che non va e non si chiama porfiria e prima saprai farlo guarire."
"Nemmeno io voglio litigare, mi dispiace solo non essermene accorta prima ecco."
"Si dispiace anche a me. Ma ormai è fatta, ora dobbiamo rimediare."
Zacchy rimase con ma fronte appoggiata alla porta, avrebbe tanto voluto uscire e gridare ai suoi genitori che se qualcuno aveva tutta la colpa di quanto era successa aveva un nome e un cognome, ed era Troy Sigrif. Ma non lo fece, la situazione era già abbastanza pesante per tutti ed era meglio pensare a se stessi ora, cercare di tornare ad essere la persona di un tempo. La notifica di instagram lo fece girare di scatto e una forte rabbia gli salì in corpo, con il naso arricciato dalla rabbia guardò la chitarra che giaceva ancora vicino alla finestra con le tende tirate, era impolverata per ciao del tempo passato senza essere usata. Zacchy ci si precipitò contro, la prese e la gettò nel suo armadio, chiuse l'anta con forza e ci si buttò sopra mettendosi le mani tra i capelli, poi scivolò seduto sul pavimento. Il trambusto portò in camera sua la mamma che quando entrò lo vide seduto sul letto, gli occhi lucidi e il telefono in mano con instagram aperto. Si sedette vicino a lui per consolarlo e in quel momento, sentendomi il bisogno come mai prima di allora, Zacchy ricambiò l'abbraccio con tutta la forze che aveva.
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