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1 - La quiete, o quasi

Erano le sei del mattino, e tutto era immerso nella nebbia di Ottobre. Il piccolo quartiere di Notting Shade non era mai stato così silenzioso. Le viuzze usavano brulicare di passanti e venditori ad ogni ora del dì e della notte, come una grandissima caffettiera dalla quale sta per uscire la bevanda. Quel giorno, invece, niente. Aveva ancora voglia di dormire.

Christopher si trovava ancora sprofondato nel regno dei sogni quando la sveglia suonò. Svegliare un pigro come lui non era banale, perciò il ragazzo aveva optato per una suoneria molto, ma molto rumorosa. Di tanto in tanto la cambiava, perchè altrimenti imparava a riconoscere il suono e allora non si svegliava più. Quella mattina partì un successo rock degli anni Ottanta:

-Buddy you're a boy
Make a big noise
Singin' in the street
Gonna be a big man someday
You've got mud on your face
You big disgrace
Kickin' your can all over the place...-

Christopher mugugnò: non aveva per nulla voglia di alzarsi, mentre che meno quel giorno.

-Singin' we will
We will rock you!
We will
We will rock you!...-

Il telefono del ragazzo continuò imperterrito a mandare la musica. Andò avanti così per un altro po', fino a che la canzone non terminò, costringendo Christopher ad alzarsi, seppur controvoglia.
Tirò su la veneziana bianca che copriva la piccola finestra della sua stanza. La fioca luce che riusciva ad oltrepassare i banchi grigi lo accecò. Sbatté le palpebre un paio di volte per abituarsi alla luce, poi diede uno sguardo al quartiere. Riuscì a distinguere i gatti che dormivano stravaccati sui tettucci delle auto; vide il venditore di castagne, Jim, all'angolo della strada, già pronto per fare affari; notò una serranda della casa di fronte che si alzava; sentì in lontananza risuonare un vecchio disco dei Beatles. Notting Shade si stava finalmente risvegliando, pronta ad affrontare un giorno nuovo, che avrebbe riservato chissà cosa.

Ancora intontito dal sonno, Christopher scese al piano inferiore per fare colazione. Prese la moka e il caffè in polvere, e iniziò a riempire il contenitore sovrappensiero. Quel venerdì sarebbe stato pieno fino all'orlo. Prima di tutto, la scuola. Il quarto liceo non era per nulla banale come si potesse credere. Poi, gli allenamenti. E quella sera, sarebbe stato con Florence, la sua ragazza. Sarebbero andati in collina, solo loro due, a guardare le stelle. Avrebbero passato un Halloween diverso, solo loro due e il cielo, lontani da tutto il resto.

Qualche grano di caffè finì sul piano del mobile della cucina. Christopher si riscosse dai propri pensieri, e prese la spugna per pulire. Sistemato il piccolo disastro, il ragazzo accese il gas e mise la moka sul fuoco. Mentre il caffè saliva, Christopher aprì il frigo e tirò fuori il cartone del latte. La scritta stampata a caratteri cubitali rifletteva la luce bianca del sole . Ne versò un poco nella sua tazza blu, punteggiata di bianco. Aprì l'anta del microonde e ve la infilò dentro. Mentre faceva tutte queste azioni, meccaniche e abituali, la sua mente faceva ruotare i mille ingranaggi che vi si trovavano dentro, cercando un modo per poter rendere quell'appuntamento perfetto.

Pigiò due volte il pulsante con sotto scritto: "+30 sec" e guardò la tazza che iniziava a girare. Sembrava un piccolo pianeta che ruotava sulla propria orbita, senza fermarsi fino a che non lo ferma la fine del mondo. Solo che in quel caso la fine del mondo arrivava dopo un minuto, ed era annunciata dai BIP assordanti e ripetitivi del microonde.
Christopher versò in caffè nella tazza e prese il pacco di biscotti al cioccolato dalla credenza. Mangiò velocemente, come se non si fosse svegliato prima solo per fare tutto con calma.

Abbandonò la tazza nel lavello della cucina, senza nemmeno sciacquarla. Salì gli scalini a tre a tre, distendendo per bene i muscoli delle gambe. Entrò in camera sua e diede una rapida occhiata in giro: quando si era svegliato, non aveva nemmeno fatto caso alla baraonda che lo circondava. "Come sempre" pensò, mentre un guizzo divertito che gli attraversò gli occhi.

Guardò l'orologio: le sette meno venti. Come diavolo aveva fatto ad impiegare così tanto tempo solo per fare colazione? "Io te l'ho sempre detto che eri lento". La voce saccente della sua ragazza gli risuonò in testa, come se fosse stata la sua coscienza pronta ad intervenire in qualsiasi modo in cui c'era da scegliere o rimproverare, nonostante prediligesse quest'ultima. Christopher aggrottò la fronte, quasi stesse tentando di scacciarla dalla sua testa. Poi si riscosse ed iniziò a riordinare.

Alle sette e mezza era davanti alla fermata dell'autobus, giacchetto di pelle indosso e AirPods nelle orecchie. Teneva lo sguardo basso, vuoto, fisso sullo schermo rotto del telefono, con lo zaino stracarico che lo sbilanciava di lato. In lontananza, si sentì il rumore del motore dell'autobus, che strappò il ragazzo da quello stato di ipnosi che il cellula gli provocava. Il grande bus rosso a due piani gli si fermò davanti e, con un gesto atletico, salì sul mezzo. Mostrò il suo abbonamento all'autista ancora assonnato, che annuì distrattamente, e poi salì al piano di sopra.
A quell'ora l'autobus non era ancora così pieno e i posti migliori erano sempre liberi. Christopher si sedette in fondo, stravaccando le gambe, e volse lo sguardo verso l'esterno. Altre forme di vita stavano iniziando ad animare il quartiere, rimasto addormentato troppo a lungo. Christopher si tolse una cuffietta dalle orecchie, rimanendo ad ascoltare i rumori della strada. Un sorriso gli balugnò sulle labbra: sì, Notting Shade era un quartiere che non aveva stare a poltrire.

Il liceo scientifico della città era un grande, grandissimo edificio che si trovava su una traversa della High Street. Sembrava il classico stereotipo di liceo: i muri di un giallo smorto, il cortile intorno,  la scalinata bianca e sbeccata, l'orologio in cima alla torretta. Sì, da questo punto di vista, il liceo Charles Darwin non aveva nulla di speciale. Ma quello che lo rendeva unico era chi ci stava dentro. Tutti gli studenti contribuivano a fare di quel posto una leggenda, chi con imprese mirabolanti e decisamente folli (Jacob Halley aveva ancora il polso rotto dopo quella caduta dallo skateboard. Ma quanto poco cervello devi avere per tentare un salto unico di sei barili?) , chi con la propria conoscenza. La stragrande maggioranza della classe di Christopher apparteneva alla prima categoria, quella dei palestrati che fanno gli spacconi con le ragazze, ma lui era riconducibile all'esatto definizione di nerd. Il fatto che portasse gli occhiali e fosse riccio e moro poi lo accentuavano ancora di più, ma lui lavorava come un mulo da soma. Studiava regolarmente dalle tre e mezza alle otto, per poi riprendere dalle nove alle dieci. Fisso, senza stancarsi mai. Ma quel giorno, quel giorno era diverso. Aveva deciso che non avrebbe aperto libro, per dedicare il suo tempo a Florence.

<Ehi, Christopher!>

Il ragazzo si voltò. Di fronte a lui c'era la sua ragazza. Rimase quasi senza parole per quanto fosse bella quel giorno. Si era legata i capelli neri in uno chignon ordinato, e si era passata più e più volte il lucidalabbra.

<Florence....stai...stai benissimo...>

<Beh, grazie. Ci si becca all'intervallo, così avremo più tempo per noi, eh?>

<Sì....certo certo...>

<Allora a dopo!>. Florence gli piazzò un bacio sulla guancia e saltellò via.
Christopher prese ad accarezzarsi il punto dove la ragazza l'aveva baciato. Cavolo se era cotto di lei. Nonostante fosse un anno più piccola, aveva il doppio del fascino di una del quinto anno.
DRIIN! La campanella che segnava l'inizio delle lezioni suonò impertinente, dicendo a tutti che stava per iniziare "un'altra grande, grande giornata", come ripeteva spesso la direttrice Harrods. Tutti gli studenti iniziarono ad entrare nell'edificio a passo svelto. Christopher seguì la massa e varcò il portone.

Intanto però, in un posto lontano centinaia, anzi, migliaia di chilometri dal liceo di Notting Shade, qualcosa, o forse qualcuno osservava da una finestra nascosta i ragazzi entrare.

<Amber> chiamò una figura dietro quel qualcuno, che voltò la testa

<Davvero sono così...in pace? Non litigano...si amano...> rispose il qualcuno, che a quanto pare si chiamava Amber

<Non lasciarti ingannare dalle apparenze.  Sono capaci di uccidere come nessun altro> rispose la figura <È per questo che vi abbiamo preparato così intensamente. Stasera scenderete tutti. Non curarti di loro, fai solo quello che sai che devi fare>

Amber annuì, poi si staccò dalla finestra e svanì, come polvere nera. L'altra figura se ne andò allo stesso modo. Mancavano solo poche ore al momento che avrebbe segnato tutto il mondo per sempre.

-Spazio autrice-
Ebbene, ho deciso finalmente di pubblicare la mia prima, vera storia. So che può risultare lento, però si evolverà pian piano. L'idea mi è venuta mentre leggevo Asimov. Si, normalissimissimo. Io non è che penso alla storia mentre leggo, nooooo. Vabbè, ovviamente uscirà la solita merda. Ditemi cosa ne pensate. Addiiiio

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